macci: (Default)

Prompt: A friend asks only for your time, not your money.

parole: 515

 

Ginevra e Ermenegilo erano amici di vecchia data. Quasi fratello e sorella. Cresicuti insieme dagli albori della loro nascinta. Ermenegildo nascondeva un segreto, sin da quando aveva 3 anni, era innamorato perso di Ginevra. E lo dimostrava essendo per lei presente.

Sfortunatamente, Ginevra ea una di quelle persone che non capiva che qualcuno gli andava dietro nemmeno se metteva i manifesti.
Letteralmente qualcuno ci aveva persino provato, imitando Love Actualy, ma non c’era stato verso. Lei aveva sorriso e aveva espresso solo un grande divertimento epr il gesto.
Questa era Ginevra.
Per quanto strano, era intelligentissima, aveva solo un problema a capire i sentimenti umani. Con pazienza Emernegildo le spiegava sempre ogni cosa, aveva persino studiato psicologia solo per poterle spiegare meglio i sentimenti umani.
A vederla ora, era chiaro che lei soffrisse di una qualche forma di autismo e, come ogni donna, era molto brava a mascherarlo, ma ora che si era laureato in psicologia riusciva a vedere tutti i sintomi.
Non glielo aveva mai detto, però. Non perché volesse tenerglielo segreto o altro, ma perché senza testarla non aveva certezze e non poteva certo avanzare ipotesi. Non voleva spaventarla o ferirla. Voleva solo amarla.
Tuttavia, da circa un mese, le cose tra loro era cambiate. Ginevra si era avvicinata ad una ragazza di nome Melinda e, così come nella loro amicizia, ginevra le stava dando tutta sé stessa.
Era una cosa che faceva; dedicarsi alle cose con anima e corpo, spesso dimenticando la cosa precedente.
Avrebbe voluto non sentirsi geloso, avrebbe voluto non odiare quella ragazza, avrebbe voluto non sentirsi la persona più meschina del mondo e pensare ai modo di come far finire quella amicizia.
Ma era umano.
Ed era abbastanza consapevole che provare quei sentimenti fosse normale, e agire per ammortizzarli era l’unica cosa che doveva fare: razionalizzare, analizzarli, amalgamarli, accettarli.
Un giorno tornò a casa e trovò Ginevra seduta sulla staccionata, il viso basso, gli occhi rossi.
« Che succede? » le fece, preoccupato.
Lei alzò gli occhi solo un attimo per poi riabbassarli. Nuove lacrime solcarono il suo viso e lui si avvicinò repentinamente per pulirgli le guance.
« Gin… »

« Voleva solo i miei soldi. » riuscì a dire con un filo di voce « che le comprassi cose… non voleva davvero essere mia amica. »
Non poteva nascndere una meschina parte di lui che fu felice della cosa. Era troppo potete.
Aveva avuto ragione. Aveva avuto il premio.
« Un vero amico vuole solo il tempo, non i tuoi soldi. » mormorò, prendendola tra le braccia « e tu hai me. »
Ginevra si strinse tra le sue braccia e annuì.
« Io ho te. »
« Tu avrai sempre me. »
Lei quasi rise, mentre strofinava il naso moccioloso sulla sua camicia « tu ci sei sempre per me. E’ questo essere amici? »
« Anche. Ma io vorrei essere anche qualcosa idi più. Ti amo. Mettiamoci insieme. »
Lei restò immobile tra le sue braccia, poi annui silenziosamente.
« okay. »
« Ci servono altre parole? »

« Ma non ho più parole… »
« proviamo ancora a insitere. Qualcosa verrà »
« Ti viene altro in mente? »
« nope. »
« nemmeno “ti amo anche io”? »
« ah sì giusto. Ti amo anche io. »
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parole: 8000.

La vergine scarlatta

 

Questa sarebbe stata una bella gatta da pelare.

Mentre i suoi occhi studiavano minuziosamente ogni centimetro del quadro il cervello iniziò a vagliare diverse tecniche da utilizzare per ripristinarlo al suo antico splendore. La lacca si era chiaramente ingiallita, nulla di particolarmente drammatico, ma la vera sfida sarebbe stata ricreare gli occhi. Gli occhi erano sempre la cosa più difficile.

Apollo annuiva mentre il curatore della galleria d’arte spiegava in che modo era stato esposto, che luce lo aveva colpito, le informazioni sull’anno e sull’autore di cui disponevano. Ogni informazione era vitale per quantificare l’ammontare del lavoro che avrebbe dovuto svolgere, di quali ingredienti sarebbero stati i solventi e quali tecniche.

In circostanze normali, un lavoro del genere non sarebbe stato molto diverso da una pulitura, riempire qualche ammanco e rimetterlo in sesto ma quel danno…

Tre tagli, chiaramente intenzionali, attraversavano la tela e, come se questo non fosse già abbastanza, parte era stata strappata con cattiveria.

“ Cosa ne pensa Signor Apollo? »  domandò il curatore con una nota d’ansia che gli addensava la voce.

“ Mi chiami Smith »  gli disse subito “ Preferisco che si usi il mio cognome. »

Il curatore annuì e ripeté la domanda tornando a guardare il quadro e Apollo prese un profondo respiro, già immaginandosi chino su quella tela per settimane all’avvenire, poi annuì lentamente.

I tagli poteva rimetterli insieme, ma la parte strappata sarebbe stata una bella gatta da pelare.

“ Vi costerà molto. »  ammise “ Ma dovrei riuscire a recuperarla. »

Quando tornò a guardare il curatore lo vide quasi in lacrime per la felicità mentre annuiva con entusiasmo “ La ringrazio molto. »

“ Inizierò da domani, ho affittato uno studio non lontano da qui, le darò l’indirizzo. »

“ Non so davvero come ringraziarla. »  replicò il curatore “ Mai ci saremmo aspettati che avvenisse un danno simile sotto la nostra supervisione. Se non riusciamo a restaurarlo, sarà un disastro. »

Apollo scrollò le spalle “ Andrà tutto bene. »  promise.

 

“ Hai promesso? »  quasi urlò Agata con i grandi occhi verdi sbarrati dalla sorpresa “ Sai che non si deve mai promettere. »

“ Non siamo dottori, Agata. E’ scienza. »  scrollò le spalle lui prendendo la tazzina di tea alle erbe davanti a lui “ Dovevi vederlo, era quasi in lacrime. »

Agata alzò gli occhi al cielo e i suoi occhiali si spostarono un poco sul naso, cosa che la costrinse a fare una smorfia per rimetterli a posto.

“ In ogni caso, vorrei che per una volta venissi a Parigi per vedermi non solo per lavoro. »  lagnò con un sospiro.

Apollo annuì solennemente. Lui e Agata si erano conosciuti a Roma, all’Accademia delle belle Arti, ma poi le loro strade si erano dovute separare per seguire la propria vocazione.

In Italia, patria dell’essenza stessa dell’Arte, non c’era futuro per un artista e Agata aveva dovuto girare il mondo per approdare in fine a Parigi dove la sensibilità e il talento venivano ancora apprezzati. Mentre per lui le cose erano andate diversamente. Lui era un restauratore itinerante, andava dove c’era bisogno di lui. Ma quell’essere sempre in viaggio e sempre chino su una tela, minava le sue energie per restare in contatto con la gente.

“ Mi dispiace Agata, farò di meglio. »

Lo prometteva sempre. Per fortuna, Agata conosceva esattamente l’entità del suo lavoro e comprendeva. Non che certe volte non le pesasse, ma era la vita che si era scelto.

Strinse le labbra colore cremisi e si sistemò gli occhiali un’ultima volta prima di dire “ Ti farai perdonare questa sera. »

“ Perché? Che facciamo? »

Lei sorrise, i suoi occhi verdi brillarono di una malizia deliziosa “ Andiamo a una festa. »

 

Con il “farsi perdonare” Agata intendeva che doveva vantarsi di conoscerlo davanti a tutti e non poteva fare altro che mostrarsi al meglio e perfino una piroetta non ci sarebbe stata male.

Apollo credeva che Agata lo sopravvalutasse enormemente, ma di certo se esaltare la loro amicizia la faceva felice, non vedeva perché sminuire i suoi sforzi. Lui si vantava di conoscere lei continuamente.

La festa era in una vecchia casa con i pavimenti consumati e brutti tappeti. Sospettava che i tappeti fossero necessari per evitare cadute rovinose, ma di certo rovinavano l’estetica. I soffitti alti con decorazioni arzigogolate rispecchiavano l’architettura Parigina del diciassettesimo secolo, anche se erano chiaramente più recenti e mal mantenute. Le pareti erano completamente coperte da quadri a cui sarebbe servito il suo aiuto poiché posti su divani di fumatori incalliti e senza un appropriata areazione.

Purtroppo, era diventata una sua deformazione personale notare quanto venissero maltrattati.

“ Vieni, ti presento tutti. »

Agata lo trascinò da gruppetto a gruppetto presentandolo e ed ogni volta la sua presentazione era la stessa:

“ Vi presento Apollo Smith, il famoso Apollo Smith. »

Che di solito veniva seguito da stretta di mani e poi la frase che più aveva sentito nella sua vita.

“ Ma ti chiami davvero Apollo? »

Lui osservò la ragazza bassina con i capelli raccolti e gli occhiali quasi più grande della sua faccia e le fece un sorriso un po’ tirato.

“ Sfortunatamente. »  rispose “ I miei genitori erano patiti dell’Arte Greca ed era anche il Dio dell’Arte e della Medicina. Credo che volessero che diventassi un dottore, ma sfortunatamente per loro ho scelto entrambe le specialità e ora sono un medico dei quadri. »

Tutti risero e Agata appoggiò una mano sulla sua spalla in segno di orgoglio, per poi dire ancora.

“  È anche un artista, sapete? All’accademia lo invidiavo da morire! »

Apollo accusò il colpo, mentre scrollava le spalle “ Ho solo tecnica. »

“ Solo tecnica? »  Agata alzò gli occhi al cielo “ Il suo quadro “La Venere Scarlatta” era diventato leggenda all’accademia, la gente lo fermava per strada per complimentarsi! »

E con questo, Apollo aveva finito la sua pazienza. Fece un mezzo sorriso di circostanza e si allontanò con la scusa di prendere qualcosa da bere.

Era così abituato a passare ore e ore chino su una tela in silenzio da non essere molto abituato alle feste, soprattutto se queste lo mettevano al centro dell’attenzione.

Finché Agata si vantava del suo lavoro andava bene, ma quando spostava l’attenzione sulla sua fallita carriera di “artista” il suo istinto era solo quello di glissare la conversazione. Non importa quante volte gli avesse detto di smettere di parlarne, Agata insisteva che era un vero peccato che non lavorasse più a nulla di originale.

Cercando un poco di pace dal chiacchiericcio e il tintinnino del bicchieri, Apollo cercò rifugio in stanze adiacenti, meno frequentate e più silenziose.

Entrò in un salottino dove ogni mobilia era in velluto rosso .

 

Ma ciò che attirò di più la sua attenzione fu un quadro sopra ad un enorme caminetto, messo lì, senza una teca e senza alcuna cura, ma che lo colpì per la bellezza del tratto e delel pennellate.

Si avvicinò, incuriosito. Era una sua deformazione professionale, voler vedere sempre lo stile dei quadri, analizzarlo, analizzare com’erano trattati, stimare quanto erano danneggiati e il lavoro che ci sarebbe dovuto stare dietro.

Quel quadro andava decisamente curato: la patina di pittura che un tempo lo rendeva lucido era diventata ormai gialla e con la cenere del camino e il resto, non poteva fare altro di pensare a quanto cotone ci sarebbe andato per pulirlo tutto.

Alcuni punti del quadro erano stati chiaramente sistemati, tanto era grossolano il ritocco. Riusciva a vedere perfino il rilievo della patch chiaramente messa dietro al quadro per compensare un taglio.

Le sue mani fremevano all’idea di metterci le man sopra.

Solo dopo averlo analizzato minuziosamento, finalmente si curò di vedere il quadro completo.

Aveva chiaramente uno stile di Monè. Forse della sua epoca. Le pennellate erano precise sul volto, ma grossolane in molti altri punti, dando alla donna ritratta un quasi sfumato aspetto, come se fosse eterea e inafferrabile.

L’unica cosa che sembrava renderla reale era un bellissimo abito scarlatto che spiccava sulla pelle diafana e i suoi occhi erano azzurri che, abbinati a dei capelli quasi bianchi, le davano l’dea di un angelo peccaminoso.

Il suo sguardo non era annoiato, ma bensì quasi confuso, come se non capisse perché fosse ritratta. Era un espressione così atipica nei dipindi dell’epoca, che sembrava quasi una foto. Un momento improvviso immortalato in una tela che tuttavia dava l’idea di essere stata conclusa in giorni.

Chiunque lo avesse creato, era un grande artista. Doveva cercarlo.

Si avvicinò al quadro, per studiare meglio il lavoro, cercare una firma, ma dovevano essere cperte dalla cornice o, forse, sul retro.

L’impossibilità di capire chi ne fosse l’artista lo irritò, ma era un fastidio con cui aveva sempre avuto a che fare.

Se ne sarebbe fatta una ragione prima o poi. Di sicuro non prima di aver cercato in lungo e largo la soluzione a quell’enigma.

Sicuro era che quel quadro fosse spettacolare e che la donna ritratta era di una bellezza incredibile.

Sentì a stento un rumore di sedia trascinata sulla sua destra, ma era così concentrato che lor ealizz solo quando avvertì i passi.

Si girò e per un attimo gli parve che quella donna avesse preso vita davanti a lui, solo con vestiti maschili e con un corpo decisamente più androgino.

“  Posso aiutarti?  »  domandò il ragazzo che gli si era avvicinato con una voce annoiata.

“  Chi ha dipinto uquesto quadro?  »

Il ragazzo alzò gli occhi e lo studiò. Sicuramente non era un intenditore d’arte perché lo vide dal suo sguardo che non poteva carpire nemmeno una minima parte di quanto fosse magico quel dipinto.

“  Mia madre.  »  rispose.

“  Come?  »

“  Mi madre.  »  confermò “  Jacklin Dellerout  »

Per un attimo gli sembrò di non aver capito il nome, poi collegò.

Jacklin era una artista contemponaea, molto affezionata alla scuola di monet, incredbile. Classica ma i suoi quadri avevano quel tocco di moderno, come mettere pose e espressioni non consone ai ritratti.

“  è un autoritratto.  »  continuò il ragazzo.

Certo, era ovvio. Era decisamente molto simile a sua madre.

Quel ragazzo, se possibile, era più bello della donna ritratta nel quadro.

Lo studiò come se fosse un’opera. La sua pelle era così perfetta che poteva sentire sulla pelle la superficie liscia e i suoi occhi erano così azzurri che ne studiò le cromature.
bello, di una bellezza unica.

Se non fosse stato una persona interessata solo all’arte, si sarebbe potuto invaghire di lui in un attimo.

Di sicuro Agata saebbe stata innamorata di lui in un istante.

« è decisamente un artista talentuosa. Mi piacerebbe conoscerla. »

Il ragazzo alzò gli occhi verso il quadro e restò in dilenzio per qualche minuto « Troppo tardi, è morta cinque anni fa. »

« Oh. »

« Se vuoi ho altre opere da farti vedere. »

Uno sprzzo di elettricità lo attraversò « sì per favore. »

Semrò confuso se assecondarlo o meno, quasi come se fosse seccato che molti lo avevano già provato a convincere a fargli vedere i quadri per poi cercare altro. Soppesò la cosa, guardadnolo dall’alto del suo metro e ottanza per poi stringere le labbra.

« Seguimi. »

Qualsiasi fosse l’esame a cui era stato sottoposto del giro di quel minuto e mezzo doveva averlo superato perché iniziarono a camminare per un lungo corridioio e solo allora Apollo si rese conto di quanto enorme fosse quella villa.

Solo per passare all’ala successiva, sembrava che dovevano oltrepassare due isolati.

Lo portò ad una porta modesta, o almeo modesta in corrispondenza di tutte le porte passate. Questa era di legno, intarsiato con pochi ghirigori e aveva una scritta sbiandita sopra che poteva essere sia Jacklin studio o anche Jack tugurio per quel che riusciva a leggere.

Il ragazzo accese la luce e intere pareti di quadri erano accatastate in un modo totalmente confusionario e che non rendeva onore al lavoro che c’era dietro quei quadri.

Una parte di lui morì solo al pensiero di come dovevano essere ridotti, ma l’altra parte, quella incuriosita, si fece strada nella stanza.

Alzò qualche telo, e riscoprì quell che potevano essere definiti solo capolavori.

C’erano camerieri e cameriere che ridevano, tra un lavoro domestico e l’altro, mentre il loro padrone li ignorava. C’erano donne con bambini annoiati, c’erano lavoratori con in mano stracci come se fossero soldi.

Erano scene di vita normale, ma ogni signolo momento era unico e speciale e di vitale importanza per le persone ritratte.

« Quello sul caminetto di là è intitolata La vergine scarlatta. Mia madre l’ha dipinto prima della sua notte di nozze, non era più vergine ovviamente, era già icninta di me, per questo il rosso, ma di certo voleva ancora mostrarci candida e pura. »

« Non credo. » si ritrovò a replicare apollo quasi senza rendersene conto.

« Come? »

Si morse un labbro, indeciso se parlare o meno, alla fine decise di continuare « Quello che traspare a me è che volesse mostrarsi pura, nonostante la concezione della verginità. » ci rifletté. Il rosso del vestito era un chiaro indizio del sangue, ma le sfumature e l’aria eterea dava l’idea di voler rappresentare l’essenza effimera della verginità.

« A me trasmette l’idea che sia una persona candida e pura, nonostante tutto. Che non un atto naturale come il sesso, potrebbe mai cambiarne la natura. »

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, impensierito « E’ un modo di metterla a cui non avevo mai pensato. » poi esitò. « In ogni caso, non lo sapremo mai. »


 

« Perché li tenete qui nascosti? »

Il ragazzo fece spallucce « Credo sia già tanto che non li buttiamo. La mia matrigna vuole disfarsene da appena ne ha saputo l’esistenza. »

Si morse un labbro, come se si fosse esposto troppo.

« E’ un eresia. » replicò apollo « Adrebbero invece esposti. »

Il giovane ragazzo, chiaramente il padrone di casa di quella villa, sembrò intristito da quella frase. Ma chiuse gli occhi per un secondo e la noia era già tornata nel suo sguardo.

« Bhe, hai visto i quadri. Ora andiamo. »

« Posso prendermene cura. » replicò « Sono un restauratore! Posso aiutarti a farli tornare al loro splendore. »

Negli occhi azzurri del ragazzo passò un lampo di rabbia « Quindi volevi vederli solo per un tornaconto personale. Certo ovvio. »

« come? »

Lo spintonò senza troppa convinzione, solo per convincerlo ad uscire dalla stanza « Non ti darò dei soldi per sistemarli. Sparisci. »

Apollo non insistette, ma prese dalla tasca un biglietto da visita prima di passarglielo.

« Lo farò gratis! »

« Certo, come no. »

« sono serio. »

« anche io. Sparisci. »

Lo spintonò via con più convinzione tanto che Apollo sentì quasi male.

Deciso così di battere in ritirata.

« Se non sarò io, almeno falli valutare perché stanno morendo così. »

Quella frase fermò il rampollo della famiglia « come? »

« il quadro sopra al camino, è rovinato. »

« E’ stato restaurato nemmeno cinque anni fa. »

« E lo ha RESTAURATO un cane.  Non la chiamerei nemmeno restaurazione! Lo hanno ancora solo rovinato. »


 

« E tu saresti un esperto vero? »


 

« Toccalo. Se dove è stato messa la pach sentirai il rilievo allora è stato fatto male. Vedi te. »

Il ragazzo sembrava un po’ incazzato, così decise che doveva battere in ritirata.

La festa stava ancora andando avanti e Agata era ubriaca, un ragazzo stava cercando di rimorchiarla. Con un sospiro la raggiunse e dovette quasi arrivare alle mani per riportarla a casa.

Una volta a casa, l’immagine di quella donna non lo lasciava andare, ma ancora di più del figlio.

Il profilo del suo viso, i caelli fini, il corpo asciutto… la sua mente ricreò le linee del suo corpo, ognu avvallamento, ogni curva.

Non aveva mai preso la matita per creae qualcosa di suo ormai da anni, ma quella notte si mise seduto e sentì il bisogno do disegnare.

Prese foglio e penna solo per mettere a tacere questa sua voglia, consapevole che appena si sarebbe messo a lavoro, i cattivi risultati lo avrebbero dissuato. Quasi ci sperava.

Ma non appena posò la matita sul foglio, la sua mente gli restituì l’immagine del corpo perfetto del ragazzo sconosciuto.

I fallimenti, non lo dissuasero e, d’un tratto, si ritrovò che era l’alba e aveva finito lo sketch book unicamente per ritratti del ragazzo.

Agata lo trovò chino sulla tela come se fosse gollum col suo tesoro.

L’amica sembrò un attimo perpmessa per poi fare uno squittio felice e saltellare fino da lui.

« hai disegnato!! » esclamò contenta « Evviva! »

La sua espressione  divenne molto più interessata quando vide il soggetto.

« oh, ma hai disegnato lui! »

« Tu sai come si chiama? »

« Ma certo, è della famiglia Villanel. Arturh Villanelle. E’ ricco e figo da fare schifo e la festa a cui siamo andati l’ha organizzata lui. Fa sempre feste da paura! »

« Artur… » ripeté apollo meditabondo « Credo di volerlo ritrarre. »

 

**

 

 

 

La musica attraversava a stento le pareti, arrivando attutita e a stento riconoscibile.

 

Queste erano le sue feste: loro di là e lui in una stanza privata, o sul letto, o nell’idromassaggio.

 

Questa volta, era in una vasca con le zampe di lione e fissava il soffitto.

 

La noia, era parte integrande della sua vita, la sentiva soffocargli sulla pelle come una crema poco traspirante. La respirava nell’aria, pesante e densa.

 

Si sentiva sempre così: ovattato nella sua stessa intera esistenza.

 

Come quella musica, a stento avvertita, così era la sua vita.

 

Almeno finché non si affacciava il pensiero di quel ragazzo incontrato.

 

Non che avesse fatto chissà quale impressione su di lui, certo baciava bene e il sesso non era stato malaccio, eppure per qualche ragione continuava a venirgli in mente quello sguardo intenso mentre osservava la Venere Scarlatta alla parete come se potesse leggere la sua storie interse nella tela, come se le pennellate fossero parole.

 

La passione che intravedeva da qelle pupille attente e meticolose, lo avevano stregato.

 

Avrebbe dato ogni cosa, ogni suo avere per avere una tale passione.

 

Non importava nemmen che fosse produttivo….sarebbe bastato qualcosa.

 

Eppure ci aveva provato. Aveva provato ogni cosa: cucina, arte, sport, perfino ricamo. Aveva saltato da hobbie a hobbie ma nulla gli aveva mai dato alcun brvido.

 

Perfino il suo analista si era arreso. Dopo tre anni di analisi era sbroccato e aveva detto che decretato che lui era troppo ricco per farsi dei problemi.

 

Era arrivato alla conclusione che essere infelici fosse parte dell'essere umano. Pur non avendo nessun tipo di problema, la gente tendeva a crearli, a estremizzarli, quasi come se la sofferenza fosse l'unica cosa vera ed importante nella vita.

 

La gente ambiva ad essere infelice. Era letteralmente ciò per cui respirava.

 

Certo, avrebbe potuto prendere e andar in un paese povero e fare una stima di ciò che era davvero importante nella vita, ma volontariato e affini non lo attraevano nemmeno più di tanto. Organizzava anche raccolte fondi per pura e totale noia.

 

Smosse l'acqua ormai quasi fredda, lasciando che la schiuma scoppiettasse. Osservò le bolle svanire prima di assestarsi e pensò nuovamente al ragazzo che osservava quel quadro come se fosse l'unica cosa che esistesse al mondo.

 

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse del cigolare della porta e dei passi.

 

“Pensi di restare lì ancora per molto? “domandò una voca gentile.

 

alzò gli occhi e per un attimo pensò di avere un allucinazione. Ritrovò i suoi occhi, anche se questa volta erano fissi su di lui, quasi fosse lui La Vergine SCarlatta.

 

“ ... tu?  »  boccheggiò, confuso “  Che ci fai qui?  »

 

il ragazzo alzò un sopracciglio con aria interrogativa “  Ti cercavo  »

 

Arturh lo osservò coem se avesse improvvisamente due teste e schiuse le labbra senza dire nulla.

 

Il ragazzo continuò “  Posso entrare?  »

 

Artur restò in silenzio, senza cpire il filo della situazione, osservò senza dire nulla il ragazzo togliersi le scarpe la maglia, prima di scivilare ancora vestito nella vasca.

 

“  cosa stai facendo?!  »  domandò ancora più confuso.

 

Il ragazzo incrocoò i suoi occhi e sorrise, enigmatico, prima di sedersi, vstito in vasca. La camicia bianca, orma zuppa, aderì perfettamente al suo corpo, riscoprendo un corpo asciutto. Ebbe un perfetto visuale dei suoi capezzoli rosa ma ciò che attivava la sua attenzione erano le sue mani. Si era appoggiato con la schiena alla vasca e le dita avevano inziiato a creare cerchi nell'acqua.

 

Le sue mani erano bellissime, delicate e affusolate. le unghia corte e curate sembravano essere in grado di toccare con delicatezza ogni cosa.

 

Quelle dita sfioravano la passione ogni volta che curava un quadro?

 

“  Che fai qui da solo?  »  domandò il ragazzo con un espressione confusa.

 

“  Stavo da solo, appunto.  »

 

“  Ma lì c'è una festa. una festa organizzata da te.  »

 

“  Se volessi andare ad una festa, sarei di lì.  »

 

“  Che senso ha?  »

 

“  Perché tu sei qui?  »

 

il cuore iniziò a battergli forse il cuore. quella situazione era stranamente interessante, ebbe appena una specie di vibrazione interna.

 

Prese un profondo respiro, mentre tentava di capire di leggere la situazione.

 

Il raagzzo ipiegò la testa di lato, a contemplametno della situazione, i suoi occhi lo stavano studiando come se fosse lui stesso un opera d'arte.

 

“  Vorrei ritrarti. “disse “Posso pagarti.  »

 

“  non mi servono soldi.  »

 

“  Ti dovrò un favore, allora.  »

 

“Perché dovresti volermi ritrarre?  »

 

era una conversazione strana da fare mentre erano immersi in una vasca, spratutto mentre uno dei due era ancora vestito.

 

Gli artisti erano davvero strani, ed era per questo che erano anche interessanti.

 

Lui era intrigato in quel momento.

 

Nemmeno si conosceveno ancora, eppure quel ragazzo aveva deciso di buttarti nella vasca con lui.

 

“Perché non faccio che pensare a te. “replicò, ma senza sembrare interessato, come se fosse una cosa che gli dava perfino fastidio.

 

“  Oh.  »

 

“  Ma non è come pensi. “si affrettò a dire, con un sopracciglio alzato “Solo artisticamente parlando.  »

 

“  Sì?  »

 

“  Sì.  »

 

“  Quindi saresti interessato a ritrarmi perché mi trovi... artisticamente interessante.  »

“  esatto.  »

 

“  E sei venuto a una mia festa e ti sei buttato in una vasca solo per cheidermi di farti da modello.  »  ragionò ad alta voce “  solo per questo?  »

 

“  Lo so. è strano. Ma è così.  »

 

“  Perché dovre accettare?  »

 

“  Perché così ti dovrò fare un favore?  »

 

“  Non so se lo sai, ma a me non serve assolutamente nulla. ho letteralemento tutto.  »

“  Ti posso dare una cosa che vuoi.  »  disse allora “  Ti posso regalare qualcosa per cui vivere.  »

Questo era divertente. Un ragazzo credeva davvero di risolvere tutta la sua esistenza in due minuti in croce?

“  Dovrei volere un ritratto di me?  »

“  Tu vuoi capirti.  »  sogghniò “  Tu non sai chi sei ma io posso vederlo. Puttosto chiaraemnte.  »

Quella frase gli causò un fastidio alla bocca


La musica attraversava a stento le pareti, arrivando attutita e a stento riconoscibile.

 

Queste erano le sue feste: loro di là e lui in una stanza privata, o sul letto, o nell’idromassaggio.

 

Questa volta, era in una vasca con le zampe di lione e fissava il soffitto.

 

La noia, era parte integrande della sua vita, la sentiva soffocargli sulla pelle come una crema poco traspirante. La respirava nell’aria, pesante e densa.

 

Si sentiva sempre così: ovattato nella sua stessa intera esistenza.

 

Come quella musica, a stento avvertita, così era la sua vita.

 

Almeno finché non si affacciava il pensiero di quel ragazzo incontrato.

 

Non che avesse fatto chissà quale impressione su di lui, certo baciava bene e il sesso non era stato malaccio, eppure per qualche ragione continuava a venirgli in mente quello sguardo intenso mentre osservava la Venere Scarlatta alla parete come se potesse leggere la sua storie interse nella tela, come se le pennellate fossero parole.

 

La passione che intravedeva da qelle pupille attente e meticolose, lo avevano stregato.

 

Avrebbe dato ogni cosa, ogni suo avere per avere una tale passione.

 

Non importava nemmen che fosse produttivo….sarebbe bastato qualcosa.

 

Eppure ci aveva provato. Aveva provato ogni cosa: cucina, arte, sport, perfino ricamo. Aveva saltato da hobbie a hobbie ma nulla gli aveva mai dato alcun brvido.

 

Perfino il suo analista si era arreso. Dopo tre anni di analisi era sbroccato e aveva detto che decretato che lui era troppo ricco per farsi dei problemi.

 

Era arrivato alla conclusione che essere infelici fosse parte dell'essere umano. Pur non avendo nessun tipo di problema, la gente tendeva a crearli, a estremizzarli, quasi come se la sofferenza fosse l'unica cosa vera ed importante nella vita.

 

La gente ambiva ad essere infelice. Era letteralmente ciò per cui respirava.

 

Certo, avrebbe potuto prendere e andar in un paese povero e fare una stima di ciò che era davvero importante nella vita, ma volontariato e affini non lo attraevano nemmeno più di tanto. Organizzava anche raccolte fondi per pura e totale noia.

 

Smosse l'acqua ormai quasi fredda, lasciando che la schiuma scoppiettasse. Osservò le bolle svanire prima di assestarsi e pensò nuovamente al ragazzo che osservava quel quadro come se fosse l'unica cosa che esistesse al mondo.

 

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse del cigolare della porta e dei passi.

 

“Pensi di restare lì ancora per molto? “domandò una voca gentile.

 

alzò gli occhi e per un attimo pensò di avere un allucinazione. Ritrovò i suoi occhi, anche se questa volta erano fissi su di lui, quasi fosse lui La Vergine SCarlatta.

 

“  ... tu?  »  boccheggiò, confuso “  Che ci fai qui?  »

 

il ragazzo alzò un sopracciglio con aria interrogativa “  Ti cercavo  »

 

Arturh lo osservò coem se avesse improvvisamente due teste e schiuse le labbra senza dire nulla.

 

Il ragazzo continuò “  Posso entrare?  »

 

Artur restò in silenzio, senza cpire il filo della situazione, osservò senza dire nulla il ragazzo togliersi le scarpe la maglia, prima di scivilare ancora vestito nella vasca.

 

“  cosa stai facendo?!  »  domandò ancora più confuso.

 

Il ragazzo incrocoò i suoi occhi e sorrise, enigmatico, prima di sedersi, vstito in vasca. La camicia bianca, orma zuppa, aderì perfettamente al suo corpo, riscoprendo un corpo asciutto. Ebbe un perfetto visuale dei suoi capezzoli rosa ma ciò che attivava la sua attenzione erano le sue mani. Si era appoggiato con la schiena alla vasca e le dita avevano inziiato a creare cerchi nell'acqua.

 

Le sue mani erano bellissime, delicate e affusolate. le unghia corte e curate sembravano essere in grado di toccare con delicatezza ogni cosa.

 

Quelle dita sfioravano la passione ogni volta che curava un quadro?

 

“  Che fai qui da solo?  »  domandò il ragazzo con un espressione confusa.

 

“  Stavo da solo, appunto.  »

 

“  Ma lì c'è una festa. una festa organizzata da te.  »

 

“  Se volessi andare ad una festa, sarei di lì.  »

 

“  Che senso ha?  »

 

“  Perché tu sei qui?  »

 

il cuore iniziò a battergli forse il cuore. quella situazione era stranamente interessante, ebbe appena una specie di vibrazione interna.

 

Prese un profondo respiro, mentre tentava di capire di leggere la situazione.

 

Il raagzzo ipiegò la testa di lato, a contemplametno della situazione, i suoi occhi lo stavano studiando come se fosse lui stesso un opera d'arte.

 

“  Vorrei ritrarti.  »  disse “  Posso pagarti.  »

 

“  non mi servono soldi.  »

 

“  Ti dovrò un favore, allora.  »

 

“  Perché dovresti volermi ritrarre?  »

 

era una conversazione strana da fare mentre erano immersi in una vasca, spratutto mentre uno dei due era ancora vestito.

 

Gli artisti erano davvero strani, ed era per questo che erano anche interessanti.

 

Lui era intrigato in quel momento.

 

Nemmeno si conosceveno ancora, eppure quel ragazzo aveva deciso di buttarti nella vasca con lui.

 

“  Perché non faccio che pensare a te.  »  replicò, ma senza sembrare interessato, come se fosse una cosa che gli dava perfino fastidio.

 

“  Oh.  »

 

“  Ma non è come pensi.  »  si affrettò a dire, con un sopracciglio alzato “  Solo artisticamente parlando.  »

 

“  Sì?  »

 

“  Sì.  »

 

“  Quindi saresti interessato a ritrarmi perché mi trovi... artisticamente interessante.  »

“  esatto.  »

 

“  E sei venuto a una mia festa e ti sei buttato in una vasca solo per cheidermi di farti da modello.  »  ragionò ad alta voce “  solo per questo?  »

 

“  Lo so. è strano. Ma è così.  »

 

“  Perché dovre accettare?  »

 

“  Perché così ti dovrò fare un favore?  »

 

“  Non so se lo sai, ma a me non serve assolutamente nulla. ho letteralemente tutto.  »

“  Ti posso dare una cosa che vuoi.  »  disse allora “  Ti posso regalare qualcosa per cui vivere.  »

Questo era divertente. Un ragazzo credeva davvero di risolvere tutta la sua esistenza in due minuti in croce?

“  Dovrei volere un ritratto di me?  »

“  Tu vuoi capirti.  »  sogghniò “  Tu non sai chi sei ma io posso vederlo. Puttosto chiaraemnte.  »

Quella frase gli causò un fastidio alla bocca dello stomaco “  Pensi di conoscermi?  »

“  Non del tutto.  »  replicò il raagzzo con un sorrisetto “  Per questo voglio ritrarti. Sei itneressante e io ti voglio scoprire.  »

“  Sno letteralmente mezzo nudo davanti a te.  »

“  sì e mi piace quello che vedo. per questo voglio ritrarlo.  »

“  e tu perché pensi che sia una cosa più metafisica?  »

“  Perché è ovvio. guardi le cose senza interesse, bevi come se non avesse sapore, scopi come se dell'orgasmo non te ne fregasse nulla.  »

“  che ne sai di come scopo?  »

“  Ti sei fatto mezza festa di lì, La gente parla.  »

“  alla gente piace parlare male dele persone ricche.  »

“  vero.  »  sogghignò “  Ma so per certo che non sei mal dotato là sotto, ma non te ne frega nulla di divertirti.  »

“  non faccio altro che divertirmi.  »

“  Ed è per questo che ha smesso di essere divertente, non credi?  »

“  Cosa vuo da me? »  insistette ancora.

“  Te l'ho già detto. ritrarti. Devo ripetermi?  »

“  E in cambio mi darai non so... uno scopo? Un motivo di vivere?  »

“  Ti darò una passione.  »

“  E quale sarebbe?  »

Il ragazzo tese la mano e quelle dita proemttendi sembrarono volerlo quasi afferrare “Io sono Apollo, piacere.  »

“  Apollo? Che razza di nome è?  »

“  Un nome molto dignitoso. di un dio.  »

“  I tuoi genitori ti devono oridare tanto.  »

“  Sono appassionati di arte greca. Volevano che diventassi un medico, invece sono diventato un medico di quadri.  »

Artur si mosse, a disagio nell'acqua “  E se accettassi?  »

“  Ti ritrarrei.  »

“  e se non mi piacesse ciò che crei?  »

“  Scegli tu. Puoi anche picchiarmi.  »

Artur si mise più comodo, poi annu' meditabondo “  Se vuoi avermi, devi concederti. “decretò “Hai detto che perfino l'orgasmo non mi da piacere quindi, ecco, se riesci a farmi venire bene, sarò il tuo modello.  »

Non era davvero interessato a farci sesso. Era interessato a lui, ma non in senso biblico. Tuttavia ora che aveva epsresso l'idea dovette ammettere di iniziare a trovare intrigante l'idea.

Apollo distese le gambe e poggiò i piedi sull'interno coscia dell'altro.

Fece scivolare il destro in su in  cerca di qualcosa di più interessante. Ma quando stava per arrivare alla meta, si fermò.

“  Potrei masturbarti senza problemi. Ho piegarmi a novanta e farmi fottere, ma non ci sarebbe alcun divertimento.  »

Si alzò e uscì dalla vasca “  Invece… potrei semplicemente dirti che ti aspetto in studio domani. E solo quanto vorrai davvero fottermi, potrei fartelo fare.  »

Sotto gli occhi attenti di Arturh, Apollo scivolò via. Ed era strano che riuscisse ad essere figo perfino con i vestiti zuppi e gocciolanti mentre andava via.

 

**

 

 

Si presentò in studio come promesso e Apollo lo fece perfino attendere!

Uscì dopo un po’, con i capelli chiusi dietro un corino alto, con della pittura tra le ciocche e un camice.

Gli lanciò un’occhiata veloce prima di dirgli di seguirlo.

“  Mi vuoi nudo?  »  domandò divertito.

“  Ti voglio a tuo agio.  »

“  Nudo allora.  »

Iniziò a spogliarsi senza dire altro e si buttò sul piccolo stage steso su un lato e in posa. Apollo lo ignorò del tutto mentre lui cercava un modo decene per starsene.

“  Hai finito?  »  domandò una volta che inziava ad essere imbarazzante rigirarsi sul palco.

“  Sì.  »

“  Ora puoi per favore metterti seduto normale?  »

“  Sei così noioso nei tuoi quadri?  »

“  Non è la posa che voglio immortalae, voglio che tu sia naturale.  »

“  Non so davvero come essere al naturale.  »

“  Prova a pensare a quanto eri piccolo, a mentre vedevi la televisione, il programma più bello che tu abbia mai visto. Come ti sentivi.  »

“  Vuoi che mi sieda davanti alla tv a vedere Silor moon?  »

“  Ti piacev sailro moon? Non Ken il guerriero o Capital Tsubasa?  »

Artush scollò le spalle “  Sairlo moon era più figa. E fantasticare mentre faceva altro con quel bastone era molto divertente  »

“  Sei un sacco perertito per essere uno a cui non interessa il sesso.  »

“  Non ho mai detto che non mi interessa. Solo che non lo trovo sopravvalutato.  »

Apollo sogghirnò “  forse sei asessuale  e non lo sai? Non ci sarebbe nulla di male.  »

“  Non è il mio caso. Garatnisco.  »

“  Allora masturbati.  »

Qeulla frase lo colpì alla sprvvista.

“  C-come?  »

“  Se per te il sesso è importante e non un tabù, e la cosa più bella a cui riesci a pensare a come si sgrillettava Usaghi allora, perché no?  »

“  Non fa una piega.  »

Artur ra già nudo, ed era sempre più intrigato dalla situazione. Si mise davanti a lui, el gambe divaricate e si iniziò ad accarezzare.

Lo fece lentamente, studiando ogni movimento del corpo dell’altro. Voleva vedere come reagica ad ogni carezza, ad ogni gemito.

E, si ritrovò inaspettatamente intrigato dalla sua reazione.

Non era nè intrigato nè imbarazzato, ma i suoi occhi studiavano il suo corpo con attenzione.

Si sentì come la vergine scarlatta, un'opera d'arte in bella vista, e sentì che quello sguardo poteva vedere di lui ogni cosa, ogni dettaglio, ogni difetto.

Soprattutto i difetti.

Eppure, non ne fu preoccupato.

Per la prima volta nella sua vita, sembrava che qualcuno riuscisse davvero a vederlo, e il suo corpo reagì con una eccitazione che non aveva mai provato.

Si sentì vulnerabile, si sentì agitato e con il cuore a mille e avvertì l’emozione scivolare lungo la pelle.

Si ritrovò duro come non mai mentre sosteneva il suo sguardo della persona praticamente sconosciuta che si era parato davanti.

Apollo aabbassò lo sguardo solo un attimo, per sistemare pennelli e colori e iniziò a scrivee sulla tela qualcosa.

I suoi occhi continuano a altalenare tra lui e la tela per un lungo tempo e nel frattempo artur era sempre più incuriosito dalla situazione.

Solo che dopo un po’ iniziò ad annoiarsi e smise. L’erezione ci mise un po’ ad andarsene ma se ne andò tranquillamente.

 

Ore e ore passarono noiose, Artuno sentiva il culo che iniziava a fare male.

Dopo un po’ Apollo mise giù il pennello e decretò “  Per oggi basta.  »

Per oggi. Ci sarebbero stati più giorni?!

Si alzò e si sgranché le gambe per poi avventurarsi fino alla tela ma apollo si parò innanzi per evitare che vedesse.

 “  Scusa?!  »
“  Non puoi vedere finché non sarà finito.  »

“  Ma voglio vedere come sta venendo!  »

“  Non puoi.  »

“  eddai.  »


“  Nope.  »

Offeso, artur si vestì al volo con gesti secchi e si girò verso apollo.

“  Sei uno stronzo.  »

“  Sempre stato!  »

“  Hai fame? Ti offro la cena.  »

Si aspettava un rifiuto, invece apollo annuì meditabondo “  Cinese?  »

“  Va bene  »

 

**

 

Andarono ad un ristorante cino giapponese e ordinarono il mondo. Nonostante non avesse fatto un cazzo di niente arturo si sentiva del tutto esausto. Apollo, iniziò a parlare dell’arte giapponese, di come gran parte fossero stampa e che quindi erano una delle stampe più antiche del mondo.
era interessante sentirlo parlare, era bello vederlo appassionato.

Sembrava che avesse esattamente ciò che a lui mancava e lo trovò attraente sopra ogni cosa.

“  Senti, ti va di scopare?  »

Apollo si zittì, le labbra socchiuse, e per la prima volta riuscì a veder un rossore delle sue guance.

Annuì, lentamente.

Pagarono la cena e Artuno decise di segurilo ovunque fosse. Tornarono allo studio e lì si fermarono l’uno davanti all’altro e si guardarono, in attesa.

Apollo si avvicinò e appoggiò una mano sul petto dell’altro.

Gli guardò le mani, con attenzione iniziò a sbottonargli i bottoni della camicia.  I suoi occhi continuavano a sostenere il suo sguardo.

Il pensiero ai capezzoli che aveva ntravisto nella vasca lo fece scaldare, e allo sguardo che c’era prima mentre lo scrutava, lo fece sentire emozionato.

Apollo riusciva a farlo sentire fragile come nessuno. E lo conosceva nemmeno da due giorni.

Forse era tutto nella sua testa però. Forse voleva disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi che aveva trovato qesta persona interessante senza un vero motivo e…

Delle dita toccarono la sua guancia riportandolo alla realtà e a quella situazione. Rivide gli occhi di apollo e lo trovò bellissimo, e poi trovò  bellissimo il tocco delle sue labbra.

Gli afferrò i fianchi e lo strinse a sé, con poù forza di quanto avrebbe voluto tanto che il pittore gemette nelle sue labbra con una piccola smorgia.

“  Piano.  »  sururrò.

“  Mai.  »

Lo strattonò, solo per buttarlo sul divanetto in cui era stato seduto per ore e lo guardò dall’altro come se fosse un gioiello prezioso.

Apollo Van stuart, il suo strano stalker che curava i libri e sapeva dipingere.

Cercò ancora le sue labbra, lo fece con ferocia.

Le mosse come se voless divorarlo e apollo tentò disperatamente di resrpiare al suo assalto. Una mano scovolò lungo il petto mentre si faceva strada alla ricerca di quei capezzoli che aveva visto quel giorno nella vasca e sentì i polpastrelli fremere nel sentire i bottoncini di carne.

Un respiro proruppe dalle sue labbra schiude e sentì il cuore battere sotto la gabbia toracica.

Un  nuovo bacio si consumò con sempre più ardente passione.

Una mano scivolò lungo il suo ventre e iniziò a cercare a tentoni il suo sesso. Non era tipo da preliminari. Avevo afferrarlo, renderlo duro e fotterlo.

Non si aspettava di trovarlo già duro ma quando si ritrovò la durezza direttamente nella sua mano, oltre la sorpresa si ritrovò piacevolmente divertito. Forse gli era piaciuto tutto sommato ritrarlo!

Iniziò ad accarezzarlo, adorando il sussultò di eccitazione che ebbe il suo petto. E si godette le palpebre temare mentre il piacere avanzava.

Stava quasi per venire, quado apollo lo fermò.

Si guardarono indecisi su cosa fare ma di certo non voelvnao già venire. Artur si levò da sopra di lui e apollo ne approfittò per togliersi i pantaloni. Finalmente nudo dalla cintola in giù, alzò una gamba e si offri a lui.

Artur osservò il suo corpo e realizzò che opera d’arte fosse. Lo raggiunse e gli aprì le ginocchia il più che poeva per guardarlo meglio.

Il suo sesso era di una bellezza immane, era lungo e affusolato eduro.

Non gli era mai piaciuto un cazzo duro più di così.

Sent’ la gocca inziiare a salivare di più, e un desiderio che non aveva da mlto tempo. Affondò il viso tra le sue coscie e lo prese tra le labbra.

Ciò che seguì fu un succhiare, leccare e torturare la pelle tesa fino a farlo scoppiare.

E scoppiò, sulla sua pelle e il calore di quel seme lo fece sentire come se fosse stato apepna battezzato.

Il sesso era bello. Questo era sicuro.

Fino a quel momento non aveva mai capito davvero il messaggio della venere scarlatta: loro non erano mano impuri solo perché amavano il piacere, e apollo di certo non era sbagliato solo per lasciarsi andare.

Dio, era così bello con l’espressione post orgasmo, che desiderò sapere disegnare solo per immortalarla.

Ebbe l’impulso di prendere il cellulare solo per poterlo fare.

Apollo doveva aver seguir la scia dei suoi pensieri perché strise le palpebre a moì di minaccia

« non ci provare nemmeno »

« ma…»

« ho detto no. »

« che seccatura. »

Apollo allora decise di tagliare la testa al toro e di girarsi per poi appoggiare la testa alla spalliera. Si passò una mano sull’ano, a mettergli il manifeste di quello che voleva davvero.

Artuno si ritrovò a guardare anche l’ano con smania. Non c’era nulla in quel ragazzo che non gli causasse smania.

Affondò le dita nell’ano e ne sentì l’intero caldo e stretto e ambì ad entrarsi subito. Ma lo preparò con cura mentre tutto il cuo corpo voleva solo che continuasse da dove erano interrotti.

Fu apollo con un gemito a incitarlo a farlo

E lii lo fece.

Affondò in lui in diverse spinte, una più scivolante dell’altra e si ritrovò immerso in quel ragazzo che aveva incontrato ad una festa e che aveva sedotto in un'altra.

Il suo artista preferita, il dottore dei quadri, ora era alla sua più completa mercé, era lì per essere completamente suo, per essere la sua puttana.

Iniziò a pingere, iniziò a fotterlo, lo fece con movimenti duri quasi sconnessi e disperati.

Dopo quella che parve un eternità lo sent fremere e venire ma non gli bastava. Voleva venire anche lui. Così quando apollo croòllò sul divano, lui si spinse addosso a lui e dentro di lui. Gli parve di arrivare in posto dove non era ancora arrivato, ma da quella posizioen, benché scomoda, gli parve di avere controllo e potere. Con il suo peso, stava imponendo il suo cazzo fino a profondità mai considerate.

Apollo tremò, con un gemito che espldeva dalla sua bocca e strinse le dita sulla staoffa fino a sbiancarle.

Lo sentì contrarsi, lo sentì anzimare e capì solo dopo che gli aveva cuasato uno degli orgasmi più intensi che avesse mai visto.

Se prima lo aveva considerato bello, vederlo sfatto, arrossato, esausto e disperato di averlo dentro, era una visione ancora più bella.

Nessun quadro o, ancora più dozzinalmente, una foto poteva immortalare quel momento. L’unico artista in grado di farlo, con tutta probabilità, era apollo stesso.

Avrebbe comunque provato per tutta la vita a ricreare quell’immagine.
Concentrò ogni respiro in assaporarlo, assaporare il sapore, il suono dei suoi ansiti e gemiti e l’odore di sudore e sperma.

Era perfetto. Semplicemente perfetto.

Riprese  a a muoversi, desideraso di venire anche lui finalmente e usò quell’ano stretto con gioia finché l’orgasmo non lo raggiunse.

Mentre veniva capì che tutto sommato un paio di giorni immobile a far nulal se poi poteva fotterselo nn sarebbe stato così male.

Ma prima di cambiare idea, decise comunque di uscire da lui e venergli addosso.

Di marchiarlo, di renderlo suo così come apollo aveva marchiato lui.

Erano così pure, insieme, erano così spontanei.

Erano bellissimi.

**

 

Quando finalmente riuscì a vedere il proprio quadro, artur ne restò esterrefatto. Per la prima volta riuscì a vedere quanto somigliasse a sua madre e ne fu fiero.

Quel quadro era bellissimo, e non perché lui ne fosse il soggetto ma perché apollo era un genio e lui lo sapeva semplicemente perché era figlio d’arte.

Apollo aveva ricreato esattamente il momento in cui la sua tristezza aveva attraversato i suoi occhi.

Contrarialemtne a quanto era, lo aveva ritratto vestito, con solo un felbile lembo che lasciava trasparire una vulnerabilità.

Una cravatta sfatta. Ai suoi piedi c’erano pezzi di puzzle sparsi.

Era esattamente come si sentiva lui tutti i giorni: un puzzle a pezzi, che non riuscivano ad incastrarsi e lo sforzo di farlo, di tentare di ricreare quell’immgine di sé, il semplice tentare lo aveva reso esausto.

Apollo era riuscito a ricreare esattamete ciò che ra.

Se ne era innamorato in quel momento. Appena aveva visto il quadro, quel piacere, quel adorare quel ragazz si era tramutato in amore.

Perché l’aveva visto ed era pieno di una così tanto passione e talento che non poteva evitare di esserne pazzo.

Decise che lo avrebbe sposato.

Lo decise lì, su due piedi, mentre il suo cuore batteva all’impazzata.

**

Lo cercò tra le vie di Parigi come se non ci fosse un domani. Sapeva che si sarebbe dovuto incontrare in un bar con Pier, ma non aveva idea di quale bar.

Così corse quasi, mentre saltellava da un bar e l’altro alla ricerca del suo unico vero amore.

Ma non c’era traccia di apollo da nessuna parte. Ma Agata spuntò dal nulla e lo colpì con un sorriso.

« artur! »

« Sto cercando Apollo! »

« Apollo è andato via. »

« Come?! »

« E’ partito ieri per L’ Italia. Mi dispiace. »

Il cuore gli si spezzò nel petto. Ma poi si ricordò di essere ricco sfondato. Prese il cellulare e inizò a digirare il numero della sua carta di credito su skyscanner per il volo dell’italia. Agata alzò un sopracciglio.

« Sai vero che l’itlaia non è certo così piccina? Dovresti sapere che ci sono all’incirca un miliardo di città e tu nn hai idea di in quale sia lui. »

« Firenze? »


« nope. »

« Venezia? »

« Nope.

« Roma? »

« Nope. »

« Potrei acneh elencarle tutte, trovo la lista in un attimo quindi evita di farmi perdere tempo e dimmi dov’è. »

« A sperlonga. »

« E dove cazz è?

« E che ne so? «

Cercò la città disperatamente e ne studiò gli itinerati. Era una città di mare e aveva senso essenso lui col nome di un dio greco che avitasse vicino al mare.

Decise che l’avrebbe raggiunto e si avviò verso l’aereoporto.

**

 

Sperlonga era una cittadina tranquilla e carina,  la gente lo accols con un sorriso e qualche braccialetto regalato, salvo poi pretendere soldi.

Una volta lì si accorse di non avere la più pallida idea di dove fosse così si ritrovò a chiamare Agata e chiederle disperatamente di aitarlo.

Lei gli disse l’indirizzo.

« Ma non ti sembra di aver esagerato? E se lo spaventi? »


 

« Lo amo. Tenterò il tutto per tutto. »

Convinto delle sue convinzioni, lo trovò in riva al mare, con uno skatch book tra le mai a disegnare. Stava guardando le onde come se potesse vederne il mistero che quelle acqua potessero nascondere.

Lo raggiunse, cercando di non correre sulla spiaggia e gli tolse il sole dalla faccia.

Alzò gli occhi e lo guardò come se vedesse un fantasma, poi scattò in piedi.

« che diavolo ci fai qui?! »

« Ti cercavo! »

« cosa?! »

« Ti sono venuto a cercare. »

Lo guardò in cagnesco, poi serrò le labbra in un sorriso di circostanza.

« Per nulla inquietante, no no. »  replicò « Tornatene a parigi. Non tiv voglio qui! »

« Ma sono venuto appositamente per te! »

« e quindi? »

« Ti amo. »

« Abbiamo scopato solo una volta. E non è nemmeno stato un granché »


 

« menti. »

Mentiva. Lo sapevano tutti e due. Era stato magico.

« Comuqnue tu non mi ami. «

« Certo che ti amo. Tu sei riuscito a vedermi dove nemmeno geste pagata per analizzarmi sono riusciri. »

« Quindi tu mi ami solo per come ti vedo? Wow, dice molto su di te e le tue priorotà! »

« Non è … così. » tentò « Cioè la fai sembrare una cosa sbagliata. »

« perché lo è. » replicò lui « A parte che io ti vedo, cosa puoi dire di me. Cosa  ti piace di me? »

« Qeulla domanda lo colse alla sprovvita.»

« tutto? «


 

« Tutto. «

« E non va bene. Non sai tutto di me quindi nn puoi amare tutto di me. «

« Perché vuoi rovinare il mio enorme gesto romatico? »

« Perché non è rimantico manco per il cazzo. Vettene e lasciami solo!! »

Dopo un’ora di discussione Artur tornò in albego arreso.

**

Due giorni dopo Apollo era seduto sulla spiaggia a disegnare le onde. Erano belle, ma quello che le avrebbe rese ancora più bello sarebbe stato aggiungerci atrtud dentro.

Nonostante i red flag, andò da lui e passarono diverse notti a litigare e fare l’amore.

Da un lato era tutto troppo assurdo e dall’altro non riusciva  a smettere di pensare a lui.

« Devi tornare in terapia. » gli fece promettere « Sei completaente pazzo e non posso stare con uno che è completamente pazzo. «

« Pensavo ti piacessero glia rtisti non sono i più pazzi di tutti? »

« Sono… i più creativi. »


 

« Pazzi. » concorsò « Gli scrittori hanno amici immaginari nella testa e i disegnatoi hanno corpo nella mente tutto il tempo. «

 

*

Seduti davanti al quadro che ora recava solo piccolo soldi che attraversavano la tela, così minimi che nessuno ci stava facnedo davvero caso, i due ragazzi erano seduti, l’uno accanto all’altro e osservavano il dipinto.

La madama sembrava osservarli con indulgenza, ma era quasi sicuro di vedere ancora del rancore nelle iridi del dipinto. Non era sicuro nemmeno fosse solo la sua impressione o un sottile segret che il vero autore aveva voluto imprimergli.

Forse era soggettivo.

Magari a volte il blu era semplicemente il blu.

Si girà verso Arthur e lo osservò. Accarezzò il suo profilo con la mente, scolpendo ogni sporgenza con cura e emozione.

Era bello come nessuno, perfino con quel piccolo taglio sul sopracciglio.

Arty scutava la dama del dipinto con occhi lontani, forse in ricordi che gli suscitava.

Gli poggiò la mano sulla sua, volendo riportarlo da lui.

« E’ davvero bello. » ammise « Non ne sono mai riuscito a vedere davvero la bellezza che ci vedevi tu. Per me era solo odio, rancore e dolore. »

Apollo strinse un po’ le dita e Artì aprì la mano per intrecciarle alle sue.

 «E’ davvero bello. » ripeté.

Ed era così.

Era davvero bello quel momento, quel preciso istante.

Loro due, insieme, a lasciare andare il passato, per affrontare il futuro insieme.

 

macci: (Default)

Ad ogni costo

Fandom: ff14

parole: 1036


E, così com’era stato annunciato, il futuro era arrivato.

Emet selc alzò gli occhi al cielo e osservò le stelle cadere, poteva quasi riuscire a percepire la vita scivolare nel cosmo, svanire, come un eco lontana.
Era stato annunciato. Era stato tutto predestinato: Zodiark stava per essere evocato e il mondo sarebbe tornato al suo porto, immutabile così com’era sempre stato: perfetto.
Eppure era inquieto.
lo sapeva che tornare all’Aether era quello che erano destinati a fare, che la morte era solo un passaggio prima di ricongiungersi con l’oceano di magia che aveva dato loro vita. Lo sapeva, ma la sua irritazione era così intensa che sembrava dare forma a nuove creature.
Senza volerlo, aveva appena creato un mostro con artigli lunghi due metri e alto quattro, con occhi rosso sangue. La creatura urlò vero di lui, ma non si scompose. Era irritato, e sapeva benissimo perché.
Passeggiò tra la gente urlante e le macerie, sentendo l’irritazione sempre più avanzare mentre raggiungeva la sua meta.
Hytlideus era in piedi davanti ad una statua, era di una creatura che avevano creato, considerata perfetta e rilasciata. Di una grazie immutata nel tempo ora però la statua giaceva senza braccia e il capo spaccato.
Il suo migliore amico la guardava con tristezza, come se le dispiacesse per lei.
Non era mai stato così sentimentale.
Ma lui era una brava persona, era sempre stato accanto a lui, insieme sin da quanto erano appena spuntati da quando erauno usciti dall’oceano magico, non ricordava letteralmente nemmeno un giorno senza che fosse al suo fianco.
E ora, nel gioco della fottuta apocalisse, lui voleva andare via, lasciarlo solo, abbandonarlo.
L’irritazione aumentò.
- ehi. – disse il suo migliore amico, come se lo avesse percepito anche senza guardarlo. Forse era così.
- Non te lo farò fare. – lo minacciò.
Hytlideau spostò lentamente gli occhi su di lui e la profondità del suo sguardo lo colpì dritto al cuore.
L’irritazione divenne disperazione.
Non poteva perdere i suoi occhi.
Non voleva vivere la sua vita senza sciogliersi nel guardarli ogni giorno per il resto della sua vita.
- Devo andare.- disse lui, un sorriso sul volto come se non stesse per andare a morire, perché quello era morire! – e svanire dalla sua esistenza. Una esistenza dov’era semrpe stato presente.
- No. – si ritrovò a dire.
- Non è una tua scelta. –
Emet avanzò di un passo, quasi tentasse di sembrare minaccioso tuttavia quel passo sembrò incerto e malfermo e questo non era da lui. Così si impose di farlo diventare il secondo. Ci riuscì, ma il suo migliore amico non sembrò impressionato.
- Non puoi. –
- Devo. –
- Non te lo posso permettere. –
- come ho già detto, non è una tua scelta. –
La disperazione creò un altro mostro, questa volta era una creatura dalle sembianze di una donna eterea che piageva lacrime nere da occhi scavali nel creanio. Il suo urlo, si unì alle altre che echeggiavano nella valle distrutta.
Erano tutto attorno a loro, eppure sembrava così lontano da scorrere in una realtà parallela.
- … ti prego.- si ritrovò a dire, con un filo di voce. Una voce che si era spezzata epr la disperazione – non puoi chiedermi di esistere in un mondo dove tu non ci sei più. –
Il sorriso di Hytlideus si accentuò - Ma io sarò sempre qui. –
Non era vero, nulla era vero.
Come poteva essere tutto giusto che la gente svanisse, e non potesse più essere sfiorata, guardata…. Baciata.
Non poteva vivere, senza di lui.
- Ho detto… no. –
- Emet…-
Annullò le distanze e afferrò il viso nelle sue mani. Non esitò nemmeno un istante prima di premere le labbra sulle sue.
Avvertì il suo respiro interrompersi e percepì sotto le dita corpo irrigidito.
Poi lo sentì ritrarsi e Emet glielo permise solo per poter ritrovarsi di nuovo immerso nei suoi occhi stupendi.
- No. – disse ma non sembrava scosso o arrabbiato. Ad onore del vero nemmeno emozionato. I suoi occhi generalmente dolci e caldi ora riflettevano solo un meditabondo artefatto.
- Non puoi andartene ora. –
- Non posso lasciare morire tutte le persone che amo. –
- E io non posso lasciare morire te! –
Hytlideus sostenne il suo sguardo – Non posso lasciare morire la persona che amo. – si corresse, in fine.
Emet sent’ la vita scivolare via dal suo corpo mentre lo afferrava per le spalle e lo spingeva verso il primo muro. Ebbe appena il tempo di rendersi conto di quello che tava accadendo che si ritrovò di nuovo a lambire le sue labbra. Questa volta, ricambiato.
Il baciò sembrò durare solo un attimo, ma si ritrovò senza fiato e costretto ad allontanarsi. Solo allora si rese conto che doveva essere durato molto di più per essere così ansante.
O poteva tranquillamente essere l’emozione.
- Ti amo, non puoi morire. – soffiò – Non ora. –
Hytlideaus passò le dita affusolate tra i capelli, i nuovo sorriso che scivolò sulle labbra era triste e dolce e stupendo e doloroso.
- Non posso vivere, sapendo che tutti sono morti solo per farmi stare con te. Semplicemente non posso. –
- E se ti rapissi? Potrei impedirti di andare all’evocazione, rinchiuderti in una gabbia e non lasciarti più andare. –
La tentazione divenne un tutt’uno con il blu dei suoi occhi.
- Emet… -
- No. –
- Ci rivedremo. – tentò di rassicurarlo – Questa vita è solo un concetto, saremo di nuovo insieme. –
Quando provò a divincolarsi dalla sua presa, emet questa volta lo lasciò andare.
Si ritrovò in piedi, le mani abbandonate lungo i fianchi e il cuore che batteva così lento da sembrare fermo.
Htlideaus lo salutò, con un cenno della mano, come se dovesse andare solo via per un attimo, e si sarebbero rivisti il giorno dopo.
Peccato che stava per svanire.
- Ti riporterò indietro. – gli promise, e la determinazione si addensò nella sua anima – Riporterò tutti indietro. –
Il so migliore amico sorrise e annuì – Allora ci vediamo, Emet. –
Le urla erano ancora in una realtà parallena lontana, il cielo scuro era illuminato solo dalle stelle morenti.
I mostri scivolavano nella città come se ne fossero padroni.
Vide la sua schiena allontnarsi e si ripromise che non sarebbe stata l’ultima volta he avrebbe visto il suo migliore amico…. Il suo primo e unico amore.
Lo avrebbe portato indietro…
A costo di ogni altra cosa.
Ogni. Altra. Cosa.

macci: (Default)
Iniziativa: cowt11
Prompt: M3 Sereno + Neve
Parole: 7057
Il suono del silenzio (Capitolo 4)


Non importa quanto si sforzasse, la sua voce, seppur più alta di quanto non fosse stata negli ultimi mesi, non riuscì ad arrivare a nessuno. Si appoggiò alla parete, ansante e la guardò dal basso. La neve aveva attutito la caduta, ma l’intera parete era un ammasso di fanghiglia scivolosa da un lato e dove non era stata affatto toccata dal sole, era diventata una lastra di ghiaccio.
Dal momento che non aveva altra scelta, provò lo stesso ad arrampicarsi. Senza bacchetta e senza voce, era letteralmente la sua unica possibilità. Ma ricadde a terra, la schiena colpì il suolo e stavolta non c’era abbastanza neve per evitargli il lancinante dolore.
Imprecò e si sforzò di rimettersi in piedi, mentre tutto il suo corpo desiderava solo restare un attimo fermo a recuperare energia.
Ma non aveva tempo. A giudicare dalla velocità con cui il cielo si stava scurendo, presto sarebbe stato buio.
Senza la magia, quel buio avrebbe perfino potuto ucciderlo.
Come si faceva ad accendere un fuoco senza la bacchetta? Esisteva davvero un modo?
Una cosa alla volta. Serviva del legno.
Si guardò attorno con disperazione, ma non trovò che rocce, fango e ancora neve. E anche se avesse trovato legno, sarebbe stato zuppo o congelato…
Fu allora che si rese conto di non avere alcuna possibilità di sopravvivere. Non se qualcuno non si fosse accorto che mancava.
E quello fece più male della caduta.
L’adrenalina finora lo aveva spinto a pensare, ragionare, tentare di trovare una soluzione, ma tutto si spense quando quella semplice realizzazione lo colpì come un pungo nello stomaco: non si era accorto nessuno che mancava, e nessuno lo avrebbe fatto nelle prossime ore.
Nemmeno i suoi compagni di stanza, nel non vederlo avrebbero probabilmente ipotizzato fosse di ronda come prefetto.
Si guardò attorno, rendendosi conto che quella fossa, con tutta probabilità era la sua tomba. Che la solitudine, la disperazione e il silenzio, erano stati, in ultimo, una condanna a morte.
Una volta aveva rischiato di morire tra le fiamme, e Harry Potter era arrivato a salvarlo, ma questa volta…
Il pensiero di Harry smosse qualcosa dentro di lui, qualcosa che non aveva mai provato. Era solo, disperato e iniziava a sentire già i primi brividi, ma non era nulla al pensiero che nemmeno lui sarebbe giunto ad aiutarlo.
In quel momento non ricordava nemmeno perché avevano litigato, tutto ciò che ricordava era che era l’unico che lo avesse visto, che si era preso cura di lui, che aveva provato ad aiutato… e aveva rovinato tutto.
Era quello che voleva, no? Essere lasciato in pace a vivere nel mondo parallelo che si era creato. Un mondo dove nessun poteva ferirlo, dove nessuno poteva raggiungerlo, toccarlo o ricordarsi che esisteva.
Ma chi davvero avrebbe voluto una cosa del genere? Ovvio che fosse così!
Voleva essere visto, voleva essere ascoltato, voleva che i suoi pensieri e le sue emozioni avessero importanza. Voleva esistere.
Solo che non sapeva più come fare.
Tutto ciò che lo circondava lo feriva, tutte le persone a cui aveva voluto bene lo avevano lasciato e l’unica persona che aveva tentato di aiutarlo…
Non avrebbe dovuto arrabbiarsi con lui perché non era abbastanza paziente o perché era diventato frustrato dalla lentezza dei suoi progressi. Né perché non comprendeva i suoi sentimenti. Non aveva senso pretendere che lui li intuisse, avrebbe dovuto invece parlarne. Magari con i suoi tempi, scandendo parola per parola.
Ma quando lo aveva visto frustrato e innervosito il pensiero che avrebbe deluso anche lui lo aveva aggredito come un crucio.
Lo aveva allontanato lui per primo, prima ancora di essere abbandonato.

Perché devi sempre fare così?

Poggiò le mani sulla parete, non sapeva nemmeno perché e si mise ad osservare le sue mani arrossate e i residui di neve e fango incastrati tra le dita, finché non riuscì più a vedere nulla. Le lacrime avevano annebbiato la sua vista e erano così calde che gli sembrarono una cosa estranea a lui, come se non fossero nemmeno sue.
Fosse stato chiunque altro, avrebbe trovato un modo per sopravvivere, uno qualsiasi, ma la verità era che Draco era così stanco… solo così stanco.
Se era così sbagliato tanto valeva sparire.
Le lacrime calde e l’adrenalina ormai esaurita iniziarono a fargli sentire la vera entità del freddo che provava. Iniziò a battere i denti, mentre le gambe accusavano l’appesantirsi dei vestiti umidi. Il suo unico istinto fu di rannicchiarsi, per cercare di raccogliere a sé quanto più calore poteva.
Si strinse nelle spalle e affondò il viso nelle braccia incrociate, ma ormai si era fatto quasi buio e il silenzio che lo aveva accompagnato come il suo migliore amico, sembrava essersi dilatato attorno a lui.
Era sicuro che una foresta sarebbe dovuta essere più chiassosa, ma ciò che lo circondava era avvolto nella completa e immutata serenità.
Il buio era sempre più intenso.

Fece uno strano sogno. Era in un aula, tra le braccia di Harry. Il suo tocco era caldo, così caldo che non voleva fare altro che aggrapparsi a lui, stringerlo e non lasciarlo più andare.
Voleva essere migliore per lui, voleva essere adatto a lui.
Se il mondo al di fuori della sua bolla aveva Harry, lui voleva vivere in quel mondo.
Sognò di baciarlo. Sognò di essere sincero con sé stesso, di ammettere di amarlo con la sua voce.
Se avesse ritrovato la sua voce, quella vera, quella biascicata, un po’ arrogante e sprezzante, l’avrebbe usata.
Se l’avesse riavuta anche solo per un secondo, tutto ciò che avrebbe detto era il suo nome e un ti amo, urlato a piedi polmoni davanti a tutti per poi aggiungere San Potter, giusto per poter dare quel tocco di suo in più.
Quello fu un bellissimo sogno. Se sarebbe presto morto con il ricordo del sapore di quel bacio caldo e umido, tutto sommato sarebbe morto felice.
Ma si risvegliò e odiò immediatamente il suo intero corpo.
Boccheggiò, reprimendo un gemito di dolore. Tutto gli faceva male e pulsava come se cercasse di destarlo dal torpore.
Provò a muoversi, ma qualcosa lo tratteneva, qualcosa di pesante e ruvido sfregava sulla pelle nuda.
Perché era… nudo?
Sentì due mani afferrargli le spalle e una voce arrivargli da lontano.
- Draco, va tutto bene. –
Chi era?
- Sei al sicuro. Va tutto bene. –
Provò ad aprire gli occhi, ma le palpebre sembravano pesanti come due macigni. Desistette, ma cercò di concentrarsi su ogni altro senso.
Il gelo era ancora parte di lui, scorreva nelle sue vene, ma l’aria che gli accarezzava la pelle era più calda. Qualcosa di pesante gli era addosso e realizzò solo dopo un po’ che fosse una coperta. Forse più di una.
Era… al chiuso?
Le mani che lo tenevano fermo erano ferme ma gentili, ma soprattutto erano calde.
- Resta sveglio, ti prego. – disse ancora la voce e il cuore gli perde un battito perché finalmente la riconobbe.
Schiuse le labbra e disse – Harry? –
Le mani sfregarono le spalle in un disperato tentativo di riscaldarlo – Sei al sicuro ora. Non ti riaddormentare. –
Si era appena svegliato, ma il suo corpo gli chiedeva di tornare a dormire. Poteva avvertire le catene del sonno tirargli i polsi verso il basso, come un carceriere esigente.
Ma si sforzò di restare sveglio, di concentrarsi sulle mani di Harry e sulla sua voce.
- Cazzo. – lo sentì dire, più frustrato che mai.
Draco provò a sorridere, stranamente divertito – Cazzo. – confermò.
Sentì le mani di Harry a contornargli il viso. Si stavano freddando per via del contatto con la sua pelle, ma adorò sentirle.
Provò ancora ad aprire gli occhi e stavolta ci riuscì.
Harry era paonazzo in viso, forse per lo sforzo di averlo trascinato… dove?
Sembrò intuire i suoi pensieri – Siamo nella capanne di Hagrid. – Alzò il viso e si guardò attorno, sembrava ancora in panico. Quando tornò a guardarlo aveva un poco di più gli occhi rossi.
- Devo andare a chiamare l’infermiera ma non posso lasciarti solo. – sembrò dirlo più a sé stesso.
- S-sto be-bene.- provò a dire e i denti gli sbatterono. Si rese conto solo allora che stava tremando.
Negli occhi verdi di Harry, erano condensati così tanti sentimenti che non riusciva a capirli tutti.
Lo vide prendere la bacchetta e accendere il fuoco nel camino della capanna. Lo sguardo di determinazione nel tentare di alimentarlo sembrò più minaccioso nella morte sfiorata.
- Harry… - soffiò ancora. Aveva una cosa da dirgli.
Ma Harry si allontanò da lui per aprire l’armadio e cercare forsennatamente qualcosa. Stava buttando all’aria così tanti vestiti che l’intero pavimento se ne ritrovò ricoperto.
Prese il giaccone più grande trovato e lo aggiunge alla già enorme pila di coperte che gli schiacciava il petto.
Se non lo aveva ucciso il freddo, di sicuro quelle coperte potevano finire il lavoro per lui.
Se non fosse che era preoccupato da morire per lui, sarebbe stato perfino buffo.
Draco si ritrovò a sorridere e a dire - Sei venuto a cercarmi. –
Quella frase sembrò frenare la forsennata ricerca e Harry si girò a guardarlo con un’espressione indecifrabile. Si sedette accanto a lui e sfregò ancora i palmi sulle coperte come a volerle riscaldare ulteriormente.
- Certo che sono venuto a cercarti. – disse solo.
Certo che Draco fosse innamorato di lui. Come avrebbe potuto non esserlo?
Il suo corpo fu avvolto da un torpore nuovo. Era ancora gelato, senza dubbio. Ma un calore nuovo lo stava lentamente conquistando e avanzava ad ogni battito del suo cuore.
Provò un desiderio che non aveva mai provato prima. Non in quella misura almeno.
- Harry ho freddo. – disse ancora, piano.
Lui si morse un labbro e si guardò attorno per cercare qualsiasi altra cosa con cui coprirlo. Così, Draco gli venne incontro.
- tu sei caldo. –
La faccia da pesse lesso che fece, valse tutto il gelo che ancora lo avvolgeva. Non provò a nemmeno ad fingere imbarazzo, sembrò genuinamente cadere dalle nuvole.
Si alzò in piedi e fiondò via le scarpe. Si rese conto di essere tuttavia zuppo anche lui, così tolse i pantaloni e la camicia, restando nelle più orripilanti mutande che avesse mai visto.
Ma gli stava bene così. Se lo appuntò come prossimo regalo di Natale.
Faticò a togliere via i mille mila strati di roba che gli aveva buttato addosso e si adagiò accanto a lui con una delicatezza mai vista.
Draco non si pensò nemmeno per un attimo, prma di cercare il contatto con lui. Anche se Harry provava nulla di romantico nei suoi confronti andava bene così. Se quello era l’unico momento in cui poteva crogiolarsi nel calore del suo corpo, lo avrebbe custodito e vissuto come un dono.
Si aggrappò a lui, lasciò che i loro corpi aderissero più che poteva, e Harry lo strinse, oh se lo strinse, così forte da fargli male.
Merlino, se lo amava.

Forse si era riaddormentato, forse era solo stato avvolto da quel torpore in ogni suo aspetto, ma Draco ebbe un secondo risveglio qualche ora dopo.
Aveva la testa appoggiata sulla sua spalla, e Harry gli stava accarezzando il braccio con movimenti lenti, su e giù. Sembravano coccole. Erano belle.
Meditò per un secondo di restare lì, senza dirgli di essersi svegliato, di stare meglio, tuttavia ricordava la preoccupazione, l’ansia e il panico che probabilmente lo stava ancora tormentando.
Così strofinò la punta del naso ancora un po’ fredda sulla sua pelle e sussurrò – ehi. –
Sentì il corpo di Harry sobbalzare e subito rilassarsi. Cercò di guardarlo e non nascose il sollievo.
- Ehi. –
Draco non voleva lasciarlo andare. Sapeva di doverlo fare ma non voleva.
Per una volta, non voleva reprimere ciò che provava davvero.
I suoi sentimenti erano importanti.
- Sto meglio. – disse – davvero. –
Harry lo osservò dall’altro come se cercasse di analizzare il suo corpo attraverso gli strati. Aveva ancora gli occhiali addosso, ma dubitava avessero una vista magica.
Restò in silenzio per un lungo attimo, poi avvertì i polpastrelli premere sulla sua spalla, era un tocco così diverso da quello che finora lo aveva cullato che gli parve di percepire nettamente il cambio di umore.
- Mi hai spaventato a morte. – disse, serio – Se osi rifarmi una cosa del genere ti salverò solo per ammazzarti io con le mi stesse mani. –
Draco si ritrovò a sorridere e affondò il viso nel suo collo, solo perché poteva – Ma verrai a salvarmi. –
- E poi ti ammazzerò. –
- Ma verrai a salvarmi. –
Harry strinse le labbra e i polpastrelli divennero meno rigidi – Ma verrò a salvarti. – confermò.
Restarono in silenzio. Un silenzio riempito solo da lo scoppiettio del fuoco che dava luce a una stanza lugubre. Quella catapecchia era un tugurio e ci viveva una persona che non aveva mai davvero apprezzato, ma in quel momento era il loro piccolo angolo di paradiso.
Chissà come avrebbe reagito Harry e rendersi conto che mentre lui era lì solo per aiutare qualcuno per via delle sindrome dell’eroe, Draco si crogiolava in qualcosa che non aveva mai creduto di poter provare, che non aveva mai osato sperare anche se ora era inevitabile.
In quel momento ricordò di essersi fatto una promessa.
Fino a quel momento si era ripetuto che i suoi sentimenti non avevano importanza, che era solo, che non interessavano a nessuno. Tuttavia, non era nemmeno importante che interessassero a qualcuno, era a lui che dovevano importare.
Doveva ritrovare la sua voce e aveva un solo modo per farlo: usarla.
- Ti amo, San Potter. -
Fu strano non avere alcuna paura della sua reazione. Con tutta probabilità non lo avrebbe nemmeno preso sul serio. Eppure era quello che provava e andava bene così.
Questa volta, fu il turno del suo eroe di restare in silenzio, ma non lo scacciò. Sentì il pollice unirsi al peso sui polpastrelli sul braccio e poi il palmo.
Fu un tocoo nuovo, sicuro, quasi possessivo.
- Non puoi dirmelo mentre siamo mezzi nudi in un letto. – disse, infine.
Draco ridacchiò, e si allontanò un poco, per poterlo guardare in viso. Harry cercò immediatamente il suo sguardo.
- Io posso dire quello che mi pare. – mormorò Draco.
Se n’era accorto da un po’, ma non voleva darci peso.
Non era svanita quella sensazione che gli aveva impedito di parlare per mesi, non poteva sparire completamente. Probabilmente sarebbe stata lì, minacciosa, per il resto della sua vita, però si era… ridimensionata.
Probabilmente per i monologhi danteschi era ancora presto, ma adesso percepiva che la sua voce era solo sua e che aveva cose importanti da dire.
Vide qualcosa nei suoi occhi, un lampo di frenesia che non gli aveva mai visto e, subito dopo, sentì il calore delle sue labbra sulle proprie.
Faticò a registrare quel repentino cambiamento, ma quando realizzò che lo stava baciando anche l’ultima sua preoccupazione svanì, annebbiata dal desiderio inarrestabile che lo avvolse.
Non credeva che dopo essere quasi morto assiderato poteva eccitarsi tanto, ma il corpo di Harry era addosso a lui, erano praticamente nudi e gli si era appena dichiarato. Quel bacio famelico era stato il colpo di grazia.
Si staccò da lui, senza fiato e Harry si morse un labbro, come a reprimere la voglia di tornare sulla sua bocca.
- Ho freddo… - disse mentre si rispecchiava nei suoi occhiali – ho ancora molto freddo. – riconobbe la sensualità nella sua voce, ne fu quasi orgoglioso. Fu strano, ma quel semplice dettaglio lo fece sentire un po’ di più sé stesso.
Harry inghiottì a vuoto, facendo scivolare lo sguardo lungo il collo vagliando l’ipotesi imprimere un marchio sulla pelle diafana.
Tornò a baciarlo, con meno foga di prima, ma con altrettanta eccitazione, si spinse addosso a lui, facendo collimare i corpi interamente e riuscì a sentire fino a che punto quell’eccitazione fosse presente.
Era anche una gran bella eccitazione.
Aprì le gambe, quel tanto che bastava affinché Harry scivolasse tra di loro. Le due erezioni si scontrarono e un brivido di passione li soggiogò.
Harry si alzò sui gomiti e lo guardò dall’alto, il suo viso contrito in una smorfia un po’ confusa. Probabilmente non credeva nemmeno che stava davvero per succedere. Di sicuro Draco si sentiva intontito dagli eventi, e non voleva interrogarsi su di null’altro che la voglia di aggrapparsi al calore della sua pelle.
Draco alzò le mani e le poggiò sui fiachi di Harry che sussultò.
- Hai le mani fredde. – mormorò a mo’ di giustifica.
L’altro s’umettò le labbra, gesto che il compagno seguì con un’attenzione smaniosa e sussurrò – E tu riscaldamele. –
Fece scivolare le dita in basso, valicando l’elastico delle orrende mutande del compagno e affondandole nella peluria fitta. Non andò oltre, aspettava un segno da Harry che spostò il peso su un braccio per cercare con l’altro, l’accesso ai boxer del biondino.
Era quello il permesso.
Nonostante le dita fredde, quando trovò il suo sesso, Harry si lasciò andare ad un lungo sospiro, si godette quella carezza per qualche attimo, prima di sforzarsi di restituire il favore.
Draco non si era davvero reso conto di quanto fosse eccitato, fin quando la mano calda di Harry non si chiuse attorno al proprio sesso, causandogli un gemito che echeggiò in quella catapecchia.
Fu il suono più acuto che avesse mai espresso in mesi e Harry sogghignò, soddisfatto.
- Mesi a farti dire l’alfabeto quando dovevo solo toccarti. –
Che Imbecille che era” Gli regalò due abbondanti carezze mentre cercava un modo di vendicarsi. Era letteralmente sotto di lui, con le mani nelle sue mutande e aveva dato scena ad un suo minimo tocco. Aveva solo un’arma a sua disposizione; la sua voce, una voce che Harry aveva ammesso di apprezzare come se fosse un grande segreto.
- E pensa se mi fottevi, - sussurrò, il più possibile suadente – a quest’ora ero guarito da un pezzo. -
Il copro di Harry ebbe un fremito e spinse i fianchi sulla sua mano, sul polso avvertì un nuovo calore, un calore umido. Non servì guardare in basso per rendersi conto che Harry era un poco venuto.
Si morse un labbro, colpevole. Draco era così eccitato ed euforico che rischiava di ridere come uno scemo.
Dopo un primo momento di contemplazione, continuò ad accarezzarlo, quasi dimentico dei tentativi di Harry di provare a fare altrettanto. Tentarono di normalizzare il ritmo e coordinarlo, ma divenne presto frustrante e nervoso. Harry allontanò la mano, e tirò via quella di Draco spingerla con la propria sul cuscino e intrecciare le loro dita, poi spinse il proprio sesso duro contro il suo.
Questa volta gemettero entrambi, e così lo fece ancora e ancora, finché non fu impossibile ragionare.
Draco era sopraffatto dal corpo dell’altro, era ovunque addosso a lui, lo schiacciava, ma soprattutto, gli piaceva.
Ogni spinta era un’ondata di piacere che lo attraversava completamente.
L’orgasmo cancellò anche l’ultimo residuo di freddo, il gemito di piacere fu un ruggito che gli graffiò il petto. Il piacere, oh il piacere, era così intenso che il mondo perse ogni confine.
Non era più nel suo mondo parallelo, non era nemmeno nel mondo dove vi erano tutti gli altri. Non c’era mondi diversi da quello.
Il mondo erano i suoi baci, il suoi peso su di lui e il calore del seme tra di loro.
Quando tutto finì i due erano ansanti, esausti e si guardarono come se cercassero di capire cosa fosse davvero successo.
- Wow... – disse Harry in un ansito.
Draco stavolta rise, divertito. Erano appena venuti insieme e l’unica cosa che riusciva a dire il suo tormentatore preferito era “wow”. Perfino lui che era stato muto per mesi, poteva trovare mille parole migliori.
Ma non voleva farlo sfigurare così gli fece eco con un – wow. –
Harry scrollò steso accanto a lui, quel letto era talmente enorme che avrebbero potuto dormirci in sei, eppure gli piaceva che la loro pelle si toccasse ancora.
Il silenzio che ora riempiva la stanza, era reale, concreto, non quell’ovattata disperazione che era sempre stata per lui.
Per una volta, il silenzio era pacifico e dolce.
Inghiottì a vuoto e si rese conto di avere la gola secca. Da quanto non beveva? Ora che tutto il suo corpo aveva finito l’adrenalina e l’eccitazione, sentiva le conseguenze di tutte le ultime dodici ore addosso e si ritrovò a provare una sete e una fame istantanea.
- C’è qualcosa da mangiare in questa catapecchia? –
Harry si girò a guardarlo come se non avesse capito le sue parole, si fecero strada pian piano nella sua mente. Non era l’unico che aveva affrontato un evento traumatico: Harry doveva essersi spaventato a morte.
Restò steso nel letto, mentre il Grifone si alzava e iniziava a cercare qualcosa negli armadietti. Restò a fissarlo, mentre arrabattava qualcosa da mangiare e da bere. Si mise seduto solo quando la premessa di cibo si fece imminente.
Afferrò il panino che Harry gli stava tendendo e si rese conto di essere più stanco di quanto credeva dal momento che gli sembrò pesante dieci chili.
Iniziò a mangiarlo con una foga che non ricordava dall’asilo.
Harry, dal canto suo, si mise seduto sul bordo del letto e addentò meditabondo il proprio panino. Con gli occhi fissi sul fuoco, chiese.
- Mi hai fatto preoccupare a morte. –
Se non avesse avuto una fame da lupi, quella frase gliel’avrebbe tolta. Rallentò la masticazione per avere tempo di trovare le parole.
- Mi dispiace. – il magone che gli si era condensato allo stomaco faceva a botte con la necessità di mangiare. Addentò quindi un altro boccone controvoglia.
- Non eri da nessuna parte nel castello, nessuno sapeva dov’eri… - gli lanciò un’occhiata veloce – come hanno potuto lasciarti lì? –
Non c’era solo rabbia nella sua voce, ma anche molto incredulità. Come se non riuscisse sinceramente a comprendere perché poteva essere successo.
- Harry… - esordì, facendo mente locale per tentare di capire come affrontare quel discorso, ma Harry scosse la testa.
- Li odio. – soffiò – Li odio tutti. –
Draco alzò la mano come ad indicargli di aspettare. Finì il panino sotto gli occhi confusi dell’altro poi finì un intera bottiglia d’acqua.
Era consapevole che erano nel bel mezzo di una discussione importante, ma era piuttosto sicuro di essere ad un passo dal morire di fame e sete e oggi erano già quasi morto una volta. Era più che abbastanza.
Si tolse le coperte di dosso e gattonò a fatica per via degli arti ancora un po’ rigidi, verso l’altro e lo raggiunse.
- Ascolta. – esordì, con una nota fragile nella voce – Non è colpa loro, io mi sono isolato più di quanto loro lo facevano già.- sentì i batiti del suo cuore iniziare ad aumentare e l’aria a diventare leggermente più satura. Eccola ancora, quella sensazione che lo aveva accompagnato per mesi quando prova a parlare. Ora magari i dialoghi normali non erano così difficile, ma aprire il suo cuore? Ammettere le sue emozioni?
- Io… avrei potuto chiedere aiuto. – prese un profondo respiro – Non me lo avrebbero negato. –
Harry soppesò quelle parole – Ma nemmeno si sono accorti di quello che stava succedendo. –
- Forse. – mormorò – Forse, invece, non sapevano come aiutarmi. –
- O volevano. – li accusò ancora.
- Perché se io sto bene o no, dovrebbe dipendere da altri? – replicò amaramente Draco – Sono io il problema. –
- Tu non sei nessun problema! – sbottò Harry.
L’altro alzò gli occhi al cielo - Sai che intendo. –
- No, Draco, no. – l’umore del grifone stava peggiorando – Noi due sappiamo quello che abbiamo passato più di tutti loro messi insieme, noi la guerra l’abbiamo vissuta, cazzo. Tu hai vissuto per due anni sotto uno stress enorme, la tua famiglia in costante pericolo, a stretto contatto con un pazzo omicida. Nessuno sano di mente starebbe bene dopo una cosa simile. –
- Tu hai vissuto di peggio eppure stai bene. –
- Io non ero solo. –
Quella frase lo colpì come uno schiaffo in faccia. Sentì il dolore tornare, come delle sabbie mobili in cui affondava in fretta, fin troppo in fretta.
La voglia di tacere, non parlare più, evitare anche solo di esistere tornò, forte come prima.
Era stato bello, dimenticarla per un po’.
Harry gli prese le mani prima di soffiare – Scusa. Perdonami. – sembrava davvero sincero – Riesco sempre a dire la cosa sbagliata, sono un idiota. –
Eccome se lo era. Accidenti se lo era!
Draco si asciugò una lacrima e Harry gli asciugò con un pollice l’altra.
- E’ così bello sentire di nuovo la tua voce, Draco. – soffiò, quasi fosse un segreto – Mi era mancata. –
– Vedere la morte in faccia, cambia un po’ le cose. –
- Quindi ti senti meglio? –
- No. – replicò immediatamente Draco.
- Ma… -
Stringendo le mani calde di Harry, fece dei respiri profondi per calmarsi. Una volta che le lacrime si erano asciugate e il dolore si era affievolito un poco finalmente disse - Io non sto bene, finalmente riesco ad ammetterlo. Questo non può cambiare, non se mi limito a curare i sintomi e non il vero problema. –
- Ma ora stai parlando con me. – gli fece notare.
- Perché sei tu e io ti amo, ma il pensiero di farlo con gli altri… - solo il pensiero degli altri, lo faceva sentire sull’orlo di un precipizio. Un precipizio a cui era rimasto aggrappato per troppo a lungo. Anche se ora era al sicuro, era ancora così vicino a gli argini. Gli altri erano ancora dall’altra parte di quella voragine e per raggiungerli non poteva limitarsi a saltare.
Stava cercando di capire come spiegare a Harry ciò che provava. Esprimesi non era il suo forte, non più almeno. Riusciva a parlare, certo, ma ammettere le sue paura e ansia più profonde? Era difficile perfino per una persona normale.
- Dicevi sul serio, allora. –
- Mh? –
Harry esitò – Quando hai detto che mi ami. –
Oh.
Draco sviò lo sguardo, imbarazzato, chiedendosi se questo significava dover lasciare andare le sue mani. Erano così calde e gentili e… non voleva lasciarle andare.
– Non importa se per te non è lo stesso. – disse dopo un po’ – Importa che io dia valore a ciò che provo e al fatto che voglio dirtelo. –
Harry lo stava fissando con la stessa intensità di quanto fissava il microscopico movimento delle sue sopracciglia per riuscire a capirlo.
- Non ti credevo il tipo. – ammise Harry dopo un po’ – Ti immaginavo più uno di quei ragazzi che magari alzavano un sopracciglio e ti davano dell’imbecille per dire “ti amo”. –
Draco alzò volutamente e platealmente un sopracciglio – Sei vuoi te lo dico così. Non perderei mai l’occasione per dirti che sei un imbecille. –
La risata cristallina del Grifone riempì il silenzio calmo e rilassato di quella baracca, poi gli si fece vicino e cercò le sue labbra. Ogni gesto, ogni movimento ed ogni attimo del bacio che seguì, sembrarono essere pervase dalla felicità.
Harry gli prese il viso tra le mani e lo guardò negli occhi, con un’estrema intensità – Hai detto che non c’è bisogno che te lo dica, ma… -
- Ma mi ami anche tu. – finì per lui.
Vide il rossore colorare le sue guance. Non lo negò. Così, Draco sogghignò e sussurrò anche – E la mia voce ti piace da morire. – Harry non negò nemmeno questo.
Dopo quelle montagne russe di emozioni, si sarebbe aspettato di essere esausto. Era passato dal quasi morire assiderato, dal sopravvivere al dichiararsi e condividere un momento intimo fisicamente ed emotivamente con l’uomo che amava. Il tutto nel giro di poche ore.
Era sopraffatto da così tanti contrastanti sentimenti che, dopo mesi di silenzio, erano a dir poco disorientanti.
Ma ne era anche così affamato.
Voleva contatto, voleva attenzione, voleva amore. Lo voleva ad un livello quasi molecolare.
Tornò a baciarlo e approfondì il bacio, lo rese più umido e sensuale, finché Harry non si staccò da lui, senza fiato.
- Mettiamo le cose in chiaro, non puoi baciarmi così quando siamo nudi. –
Draco si ritrovò a sogghignare – Allora sei davvero un idiota. – gli passò una mano tra i capelli – Magari ti sto baciando così proprio perché siamo nudi. –
Vide il desiderio negli occhi di Harry, era denso e travolgente. Non lo aveva ancora nemmeno sfiorato, ma in quegli occhi si vide divorato, ma c’era anche esitazione. Era lieve, ma abbastanza da farlo resistere.
Draco si allontanò da lui stendendosi nell’enorme letto e gli tese una mano.
- Ho freddo. – soffiò – Vieni a scaldarmi. –
**

Questa volta se la presero con calma. Si baciarono a lungo, mentre lasciavano che l’eccitazione prendesse il sopravvento. Quando Draco sentì i denti di Harry premere leggermente i denti sul suo collo, quel contatto duro, così diverso dai baci, lo fece tornare duro come roccia.
Non era troppo sicuro di come dovevano andare le cose. Non era mai stato davvero con nessuno, aveva solo una vaga idea di come sarebbe dovuta andare con un uomo.
Sapeva esattamente cosa doveva andare in cosa, ma ora che erano nudi, eccitati e con la mente completamente confusa dalla passione, non sapeva cosa doveva succedere.
Harry fece scivolare una mano lungo la sua schiena, editando sul monte del glutei, come se voless andare oltre ma temesse di esagerare.
Draco si limitò a pensare Harry gli era già stato sopra e si era sentito tanto vicino a lui da rasentare la follia, averlo dentro sarebbe stato…
Sentì tutto il suo corpo improvvisamente fremere a quella prospettva.
Così si limitò a poggiare una mano sul bicipide e spingerglielo un po’ più in basso, dando il permesso alla sua mano di proseguire lungo quella invisibile liena.
Harry si irrigidì un poco, come se non si aspettava tanta risolutezza, ma accolse presto con gioia quella concessione.
Non andò dritto alla meta, ma si limitò a lasciare che i polpastrelli afferrassero delicatamente un gluteo e ne saggiassero la consistenza.
Draco si schiacciò su di lui, facendo entrare i loro sessi a stretto contatto, poi si staccò dalle sue labbra per sussare – alla faccia del grifondoro! –
Harry s’umettò le labbra e tornò a baciarlo. Stavolta le dita scivolarono più in in là tanto che finalmete Draco snetì il primo contatto con il suo ano. Sussultò un poco, ma non abbastanza da sembrare apsventato.
Ora che finalmente sentiva il suo anello di carne acarezzato, la prospettiva di Avere un cazzo dentro di sé avrebbe douto spaventarlo, invece il suo corpo gli regalò una piccola fibrillazione di gioia e desiderio.
Non si era rese conto di volere un sesso duro dentro di sé così tanto, e di certo non fino a quel momento. Harry applicò più pressione nell’anello di carne e esso iniziò a aprirsi a lui.
Era intimo, e Draco si sentiva fragile come una ferita scoperta in prossimità di sale, ma non era mai stato così ansioso che qualcosa succedesse.
Finalmente sntì la prima falance entrare dentro di lui, la sentì muoversi nel suo interno e sentì il proprio corpo stringerla.
Fu strano e stranamente bello.
Un gemito gli proruppe dalle labbra con forza e morì nella bocca di Harry che gli sorrisi divertito e parecchio infoiato.
- Ti piace qui, eh? – mormorò.
- Stai…- soffiò – Stai cercando di farmi parlare? –
Beccato.
Harry sogghignò e inderò il sito più in profondità – Dimimi se tipiace. –
- … mi piace.- confermò – Voglio di pià. –
- ah sì? – soffiò ancora harry – E come lo vuoi? –
Draco inghiottì a vutoo. Era evidente che la sua voce era un kink per harry. Ora si spiegavano un sacco di cose.
- Scopami con due dita. – gli ordinò. Gli piace che nella sua intonazione non ci fosse alcuna supplia ma mero ordine.
Harry tacque, eseguendo il comando. Premette anche la seconda falange che con più pressione iniziò finalmente a trapassare l’ano. Una volta dentro, iniziò a muovere dentro e fuori le dita così da simulare una penetrazione vera e propria e draco si ritrovò sopraffato dal piacere.
Peccato che fosse anche frustrante.
- Levale. –
Harry esenguì, docile come un cangolino.
Draco decise che era lui al comando tutto sommato, quindi si staccò da lui per spingerlo steso supino e cn uno slancio ci mise cavalcioni su di lui.
Quel cambio fu un o’ repentino così tanto che Harry lo guardò confuso e incuriosito.
Draco cercò il sesos di Harry, duro come roccia, con le sue natiche e inizò a strusciarse con esse, stimoaldno la pelle tesa mentre sostenteva lo sguardo sempre più da pesce lesso ifnoiato di Harry.
La penne tesa del suo sesso sfregava contro il suo ano gà stimolato così divenne inevitabile che Draco iniiasse a sentire la volgia di averlo dentro di sé.
Era cos ì potente che si chiese come aveva fatto a non capire di essere una puttanella vogliosa fino a quel momento.
Si alzò sulle ginocchia e gli prese l’uccello per poi spingerselo dentro. Chinandos su quel sesso, lo sentì affondare dentro di sé.
Pulsava sul suo glande, e ora sulla sua asta, infine tutto il suo corpo stitolò e pulsò sulla base.
Harry era completamente paonazzo e senza fiato, arrancaò alla ricerca di aria. Strinse le mani sulle gambe di Draco come a minacciarlo di non muovrsi e comunque lui non ne aveva alcuna intenzione.
Gli piaceva, cazzo. Averlo dentro di sé, affondato fino a prfondità che non sapeva nemmeno di aver. Gli piaceva in una maneira così completa che si chiese se era davvero Draco Malfoy e ora un’estensione dell’uccello di harry Potter. Un mero accessorio di abbellimento.
- cazzo, - sussurrò harry – Cazzo. –
Sempre meglio di wow, almeno sto giro era tematico.
Ma stare fermi stava diventando incredibilmente frustrante, così inziò a muoversi e il piacere, se possibile aumentò.
Draco si ritrovò presto a muovere i fianchi con una foga che non aveva mai provato, che il suo intro corpo reggeva a stento.
Era così fottutamente bello che trascendeva loro due.
Grazie al cazzo che il mondo era in sovrappopolazione se il sesso era così bello. Non che loro due potessero effettivamente procreare, ma se potevano farlo draco era sicuro che pur di continuare a fare sesso così avrebbe sfornato volentieri mezza squadra di calcio.
Il sesso era bello, ma soprattutto il sesso con l’uomo che amva era qualcosa di spettacolare.
Ttte quelle vaccate sul fatto di non lasciare che altri gestissero il proprio umore, ora gli sembravano appunto vaccate.
Magari non una persona fisica, ma in quel momento un semplice uccello duro, poteva gestire il suo umore eccome!
Al momento era letteralmente il centro del suo mondo, di sicuro sembrava arrivare fino al centro del suo corpo.
Ma quando roterò un po’ il bacino, e centrò il punto magico, il mondo perse definitivamente confini.
Il letto iniziò a gigolare tanta la forza che ci stava mettendo per spingersi quel cazzo con sempre più forza dentro.
Harry glia fferrò i fianchi e cercò di dare un ritmo più gentile a quelle spinte.
Ah, già c’era anche la persona oltre a quella bollente durezza dentro di lui.
Vero. E lo amava perfino.
Misteri della fede.
Iniziò a muoversi più gentilmente addosso a lui, e un nuovo tipo di piacere, più docile e scalmo iniziò a dilatarsi dentro di lui.
Harry ansimò e le sue labbra sembrarono invitanti. Così si chinò a baciarle.
Muoversi per scoparsi da solo mentre limonava con lui, non era la cosa più comoda del mondo, ma in quel momento non risciva a decidere cosa fosse meglio.
Ma iniziò a mancargli il fiato così, si mise seduto di nuovo e si fermò un attimo per recuperare un po’ di energie.
Quando riprede a muoversi, Harry gli afferrò i fianchi e alzò i suoi, arrivando ancora più in profondità.
- cielo, parlerò fino alla fine dei miei giorni se posso farlo mentre mi sbatti il tuo uccesso dentro. – promise.
- Cazzo! – ripeté harry prima di afferrarlo per i fianchi e sbatterlo sul materasso per poi aggredirlo sbattendolo con più energia
- smettila di palrare o vengo! –
Era il colmo. Hary che per mesi gli aveva intimato di ricominciare a parlare ora gli diceva di tacere!
Rise e si aggrappò alle sue spalle, mentre si avviinava al suo orecchio per iziiare a parlare, con voce bassua e suadente.
- Fottimi più forte, non ti fermare, voglio sentirti fino in gola, voglio sentire il suo seme riempirmi. –
E lo sentì, sentì qualcosa di umido colpirlo dall’interno con forza e Harry fece una faccia davvero buffa mentre veniva prima di crollargli addosso.
Anche se era venuto il sesso era ancora duro, tante era stata l’eccitazione e Draco adorava sentirlo dentro di sé tanto che iniziò a muovere i fianchi per scoparsi ancora. Harry grugnì, ma capì l’antifona. Si mise sui gomiti e riprnde a ondeggiare per scoparlo con gli ultimi residui di durecza che eprdoravano.
Per farlo finire, lo mastrbò anche.
Draco venne con un gemito che riempì l’aria e si accasciò sull’enorme deltto del guardiacaccia.
Entrambi ansani e senza energie, restarono aggrovigliati e l’uno addosso all’altro. Non avevano le forze nemmeno per sposarsi di lato.
- E’ stato… -
- Wow? –
- Incredibile. –
- Hai aumetnato il tuo vocabolario, bravo. –
- Io almeno il mio vocabolario l’ho usato. –
- Ti toglierei il sesso, se non fosse tanto incredibile. –
- grazie, grazie. –
Finalmente harry rotolò di lato e iniziarono a fissare da soli allegramenti il soffitto. Il silenzio ora era bello, adorabile e tante cose ma del resto dopo una scopata del genere c’era davvero poco da dire.
- Quindi… - soffiò Draco dopo un po’ – Abbiamo litigato per anni quando potevamo scopare. Bella storia. –
- Meh mica potevamo scopare, eravamo ancor aun attimono piccioni, non ti pare. –
- E c’è stata la guerra. –
- E c’è stata la guerra. –
Ci fu ancora silenzio.
- Ma ora passeremo il tempo a farlo vero? –
- Mi incazerei del contrario. –
- Ottimo. –
- Ah, senti ma volevo chederti. Esattamente perché abbiamo litigato ieri? –
- potrei dirti perché mi faceva un sacco di pressione e non mi andaa di guarire subito. Insomma questa storia aveva un attimo di bisogno di quacche ricaduta. Vuoi mettere che guarivo subito? Che morale avrebbe avuto? –
- Che palle ‘sta morale del cazzo. Uno non può più scrivere di traumi e zozerie senza doverci mettere una trama, del sesso scritto bene e della morale? –
- A quanto pare no. –
- Ma nemmeno se poi viene usato solo per un concorso stupido? –
- In quel caso è d’obbligo. –
- Vabbé tanto nessuno leggerà mai questa scema. Me ne assicurerò. –
- Sì, ma intanto… vuoi rifarlo? –
- Assolutamente sì! –
Stavolta Draco si aggrappò elle ante del letto e Harry si incincchiò deitro di lui. Non ci fu nemmeno tempo per prepararlo, gli entrò dentro con una singola spinta e iniziò a fotterlo come se non ci fosse un domani.
Sentirono dei rumori e la porta si aprì. Hagrid restò sulla porta, con gli occhi enormi e lo sguardo perplesso.
- Che cazzo?! – quasi urlò.
Harry urlò di rimando – O resti a guardare o te ne vai! – mentre faceva una pinta particolarmente precisa che fece urlare Draco di piacere.
Hagrid restò sulla porta indeciso sul da farsi, poi si richiuse la porta alle spalle, avanzò per la stanza e si sedette per terra. I suoi occhi fissi suoi loro corpi nudi.
Essere guardati li eccitò, se possibile, di più.
Draco ormai aveva perso i confini con la realtà, il suo corpo era completamente assoggettato alla scoperta del sesso e di avere Harry dentro di sé.
Il piacere lo colpì come uno tsunami mentre il suo crpo esplodeva dall’interno.
Crollò di faccia sul cuscino, metnre le gambe gli tremavano.
Sentì a stento il seme di Harry schizzargli addosso.
- sei venuto con culo? Wow, alla priam volta? –
- Seconda. – lo corresse.
- Sei comuqnue una puttanella. –
- La tua putanella. –
Draco era così stremato che chiuse gli occhi e si addormentò.
Vide prima di chiudere gli occhi Harry afferrargli una gambe a mettersela sulle spalle, poi lo sentì entrargli di nuovo dentro.
Scrollò le spalle e gli augurò – buon diverntimetno – metnre crollava in un sonno profondo.
O sognò di avere altri tre orgasmi, o li ebbe davero. Non ne fu tanto sicuro. Sapeva solo che quando quando avevano inziaito tutto il suo corpo era n preda al piacere.
Fanculo la scuola e tutto il resto.
Se lo sarebbe sposato ed era ricco abbastanza che avrebbero passsato il resto della vita solo a scopare.
Dubitava che harry avrebbe avuto a che ridire.
Si risvegliò la mattina dopo. Lo fece con un orgasmo.
Harry gli era ancora dentro, probabilmente si era svegliato e aveva inziaito a fotterlo.
- Cielo, mi piae da morire essere tuo. –
Harry sogghignò e gli pizzicò un capezzolo. Dalla sensibilità suppose che emtnre dormiva glie l’aveva morso per bene.
- anche a me. –
- Ma… - Draco si girò verso il professore addormentato con il cazzo in mano e una pozza di seme davanti a lui – che facciamo di lui? –
aHarry scrollò le spalle – Probabilmente morirà vergine, quindi abbiamo fatto un opera pia a lasciarlo guardare. Tanto non dirà nulla, o verrbbe licenziato. -
Non faceva una piega.






















Quanto tornarono ad Hogwatrs era ormai mattina. Draco lasciò andare Harry con il cuore pieno di un sentimento che non provava da tantissimo tempo.
Ma sapeva che quella felicità era temporanea.
Poteva riempire le crepe della sua anima con palliativi, ma non si sarebbero mai colmate, non ignorandole.
Dopo una doccia lunga e bollente, Draco si diresse verso l’ufficio della Mc Grannit. Sperava di prendere solo un appuntamento ma caso volle che la preside fosse in ufficio e lo ricevette subito.
Era sommersa da scartoffie, metà delle quali volavano sulla sua testa quasi a beffarsi di lei.
- Come posso aiutarla? – fece lei. Una penna d’oca stava febbrilmente scrivendo su una pergamena appunti. La preside stessa sembrava provata dallo stress.
Una parte di lui avrebbe voluto rimandare ad un momento più opportuno, ma sapeva che se fosse andato via da lì, con tutta probabilità il coraggio gli sarebbe venuto a mancare.
Doveva farlo. Doveva insistere.
Aveva rinunciato troppo a lungo.
Così, finalmente disse la verità – Non sto bene e ho bisogno di aiuto. –
Alle sue orecchie sembrò un una semplice frase, nessuna particolare inclinazione o tono. Era pronto a trovare le forze per parlare ancora, quando tutto il caos attorno a quella scrivania semplicemente si fermò.
I fogli volanti tornarono ad impilarsi in un angolo della scrivania e la penna d’oca si acquietò, esausta.
Il viso austero della preside divenne più gentile, ma allo stesso tempo serio e professionale.
- Andrà tutto bene. - disse.
E Draco per un attimo, non stentò a crederle.
La strada sarebbe stata lunga e difficile. Ma era lì, aveva chiesto aiuto ed era stato ascoltato.
Aveva ritrovato la sua voce. Era bassa, ancora flebile, ancora insicura…
Ma era sua.





macci: (Default)

Iniziativa: cowt11
Prompt: il coperchio del mare
Parole: 7055

Copriti, se sei pallido


La cosa più fastidiosa di tutto erano le smancerie. Ron e Pansy erano i più appiccicosi, mentre Hermionen e Blaise passavano ore a guardarsi negli occhi.
Era snervante essere gli ultimi due single del sestetto e essere costantemente al loro seguito dal momento che altrimenti sarebbero stati loro due, da soli.
Harry lanciò un’occhiata a Draco Malfoy, seduto sulla sdraio come se fosse un trono reale, la schiena così dritta che annullava di fatto l’utilità di una maledetta sdraio. I duoi occhi scrutavano l’orizzonte come se cercasse di vedere la curvatura della terra e così confutare che la terra era davvero sferica.
- E’ tetraedrica. – gli venne incontro con un sorriso affabile.
Gli occhi grigi del serverde si spostarono su quella nuova interferenza nel suo lungo pensare e lo guardarono come se un suddito della più bassa estrazione sociale gli avesse appena rivolto una parola.
Si massaggiò il collo, sentento già la testa volare via.
- di tetraedrico c’è solo il tuo cervello, Potter. – replicò con una cadenza seccata – renditi utile e vanni a prendere uno di quei cosi cremosi che vi piace tanto. –
- Avete i gelati anche nel mondo dei maghi, dovresti sapere cosa sono. –
- Abbiamo i freddogusti, e sono mille volte meglio. Ma mi accontenterò. –
- C’è un gusto particolare che vuoi? –
- Sei ancora qui? – replicò seccato, finalmente abbassando la schiena per sdraiarsi – Se ti sbrighi magari ti potrei concedere la libertà, mio piccolo elfo domestico. Mi eviterebbe di doverti vedere. –
Harry osservò il corpo del ragazzo e si ritrovò a sorridere sotto i baffi. Draco non doveva aver collegato che per liberare un elfo serviva un indumento e l’unico che al momento possedeva addosso era un costume da bagno.
Doveva ammetterlo, per essere liberato, sarebbe volentieri corso fino al bar per tornare con un succulento gelato.
A quel punto le due cose si potevano tranquillamente accumulare insieme.
Accantonò il pensiero. Se era vero che nonostante i loro amici facessero ormai coppia fissa, tra loro era un altro paio di maniche.
Harry trovava Draco Malfoy sexy da morire? Assolutamente.
quando lo aveva visto in costume da bagno aveva rischiato l’erezione istantanea? Senza dubbio.
Lo irritava da morire e allo stesso tempo lo portava ai matti non zittirlo con il proprio cazzo giù per la gola? Decisamente.
Aveva una mezza possibilità di consumarlo fino alle primi luci dell’alba? Non in quella vita.
Così si alzò e, lanciando un’ultima occhiata alle altre due coppie che non si erano nemmeno resi conto che lui e Draco erano effettivamente lì, si diresse verso il bar.
Una volta lì si prese qualche attimo di tempo per bersi una bella bibita ghiacciata non desiderando tornare con così tanta fretta a sedere sotto un ombrellone con due coppie che facevano i piccioncini e un ragazzo che odiava la sua sola presenza ma che era uno schianto in costume da bagno.
Ormai andava a farsi una nuotatina al mare solo per raffreddare isuoi bollenti spiriti. Quando lo avevano costretto a fare quella vacanza non aveva considerato questo fattore.
Quando tornò all’ombrellone, il sole era girato abbastanza che l’ombra era scivolava via dal corpo del suo sogno proibito. Finalmente, con la schiena appoggiata alla sdraio, sembrava essersi un po’ rilassato al sole e sperò che questo lo tenesse un po’ docile con gli occhi chiusi affinché potesse godersi la vista senza che fosse un’occhiata veloce e discreta.
Ma la rilassatezza post pranzo avvolse anche lui come un guanto e si ritrovò addormentato sul suo lettino quasi subito.

Erano ormai passate ore quando Ron lo svegliò scuotendolo malamente.
- Harry, svegliati. Dobbiamo andare –
- mh? – si destò dal suo sonno e si mise seduto. In tempo per sentire un gemito molto sofferto. Si girò verso il resto dei suoi amici. Blaise era chino sulla sdraio di Draco mentre Pansy tentava di non ridere ma lo sforzo le aveva colorato le guancie di rosso. L’unica che sembrva sinceramente preoccupata era Hermione.
Draco era ancora sulla sdraio ma non riusciva a vederlo per via della barriera umana che gli si era creata attorno.
- Dobbiamo tornare in albergo. – disse Ron, gravemente – Malfoy non sta bene. –
- come? – si alzò di slancio e afferrò le spalle di Blause e Hermione per discostarli e così aprirsi la visuale sulla persona sdraita.
Solo che quella non era più una persona. Era un aragosta lessata al sole.
Pansy puntò il dito sul braccio e premette con orgoglio così da causare nel servperese un ulteriore gemito di dolore che stavolta la portò a ridacchiare esplicitamente.
- Ti avevo detto di metterti la pozione protettiva! – lo rimproverò Hermione – Hai la pelle delicata. –
- Io non prendo ordine da nessun grifondoro! – tentò di replicare con minacciosità Draco, cosa che gli risultava impossibile con il corpo completamente ustionato e gli occhi rossi per le lacrime.
Seguirono diversi minuti sul da farsi, prima che Hermione annunciasse che dovevano tornare in albergo e che lì avrebbe preparato una pozione per ripristinare in fretta la pelle del biondino.
L’albergo non era lontano, ma ogni passo per Draco fu una vera e propria tortura.
- il crucis fa meno male… - bofonchiò dopo che era stava adagiato sul letto con quanta delicatezza poteva. E ne poteva usare davvero poca.
Hermione scomparve nella sua stanza a preparare la pozione. Blaise e Ron iniziarono a bofonchiare tra loro con aria concentrata mentre Draco tentava di fissare il soffitto con l’aria di chi sperava gli cadesse addosso per porre fine alle sue sofferenze. Purtroppo per lui, non accadde.
Cosa c’era che non andava in lui per trovarlo estremamente sezxy anche così?
- E quindi direi che è la soluzione migliore. Non trovi, Potter? –
Cadde dalle nuvole girandosi verso i suoi amici. – come? –
- Contiamo su di te. – insistette Blaise con una pacca sulle spalle – Sono sicuro che lo farai sopravvivere questa notte. –
- eh? –
- Grazie di esserti offerto così altruisticamente. Ti dobbiamo un favore. –
- cosa? –
- Allora, diciamo a hermione di portarti la pozione e ci vediamo domattina. –
Andarno via senza dare a Harry tempo di capire cosa fosse davvero successo ma la realizzazione lo colpì quando la porta si chiuse con un BAN e lui si ritrovò solo nella stanza con un Draco Malfoy dolorante, mezzo nudo di cui prendersi cura tutta la notte.
Non era la situazione in cui avrebbe voluto trovasi. Almeno non così.
Tanto per cambiare avrebbe voluto renderlo lui dolorante. A seguito della notte in questione.
- Portami l’acqua! – sbraitò il ragazzo, dolorante.
Immagino che doveva prendere ciò che il destino gli dava.

Per le seguenti due ore, Harry sopportò ogni capriccio, ogni insulto, ogni lamento con pazienza infinita. C’erano dei momenti in cui Draco fissava il soffitto, perso nei suoi pensieri, ed erano un piccolo angolo di pace in tutto quell’incubo.
Alla fine di quelle due faticose ore, Hermione comparve nella stanza e gli mise in mano tre flaconi di crema.
- Gli farà ricrescere la pelle ustionata, risanando tutto. – confermò – Auguri –
- Cosa? –
- Bhe, non posso certo mettergliela io. Sarebbe sconvieniete. –
- E per me non lo sarebbe?! – quasi sbottò esasperato.
Hermione s’umettò le labbra – Certo. Ma tu lo gradirai pure un po’ quindi… divertiti. – gli fece un piccolo occhiolino e anche lei prese il via.
Harry si ritrovò quindi con tre flaconi giganti tra le braccia, aguardare il corpo seminudo di Malfoy che avrebbe dobuto presto massaggiare.
Osservò l’entita delle ustioni e notò con un eccitante orrorem che le ustioni andavano fino alla estremità dell’elastico del costume da bagno.
Sembravano essere davvero dappertutto.
Prese un profondo respiro: sarebbe andato tutto bene. A differenza di Malfoy lui era vestito. E non poteva abbassare la testa per vedergli protuberanze strane.
Tutto sommato da questa situazione poteva venirne qualcosa di buono fuori.
- Che aspetti, ptter, un invito scritto? –
- Assolutamente. –
- Non scocciare e mettermi la pozione! –
Harry si avvicinò al letto e poggiò un paio di flaconi lontano dalla sua portata mentre l’ultimo glielo sventolò sotto il naso.
- E’ questo che vuoi? –
Gli occhi di Draco erano rossi sia per il dolore, che iniettati di sangue, osservò prima lui, poi il flacone.
- Potter… - soffiò, minacciosamente.
- Vuoi che ti sparga per tutto il corpo questa pozione giusto? –
- Non fare il coglione. – le guance dovevano essersi tirate tanto che una smorfia di dolore gli sfuggì sul viso – Ne ho bisogno. –
- lo so. – soffiò Harry divertito – devi solo chiedrmelo. Gentilmente. –
Gli occhi grigi lo trafissero nuovamente, e gli ingranaggi del cervello iniziarono ad incepparsi – Potter. – disse ancora. Nel suo vocabolario avrebbe dovuto essere una cosa a metà tra una minaccia e una richiesta gentile.
- anzi, no. – fece Harry divertito – Implorami. –
Per un attimo ebbe paura di aver tirato troppo la corda, ma Draco si limitava a fissarlo in silenzio. Provò ancora un po’ a tirare la corda, era troppo divertente.
- Ti aiuto, prova con “ti prego, Harry” –
Draco abbassò gli occhi sul suo corpo, come se soppesasse il danno e quanto era disposto a concedere.
- Se mi aiuti, ti riempio di soldi. –
- “ti prego, aiutami” –
- Dammela, me la metto da solo! –
Provò ad alzare il braccio ma il dolore lo colse come un avada kadavra e dopo un urletto poco rivile lo lasciò cadere. Due lacrime gli solcarono il viso, cosa che fece sentire in colpa il grifone.
Stava per arrendersi e iniziare, quando sentì Draco Malfoy pigolare.
- Ti prego, aiutami. – e, stradinariamente, sembrò perfino sincero.
Non fu divertente come sperava.
Si sedette accanto a lui e si spruzzò un po’ di pozione sulla mano per poi iniziare dal viso. Massaggiò con più delicatezza poteva la fronte, le guence e la liena del mento. Era la prima volta che poteva toccarlo con così tanta intimità, forse sarebbe stata l’ultima.
Decise di prenderla molto con calma.
Massaggiò ogni parte del suo viso, passo le dita pure sulle labbra screpolate e gli occhi di Draco si addolcirono un poco.
La pelle iniziò a stare bene quasi immediatamente, il rossore iniziò gradualmente a diminuire e il viso iniziò a rilassarsi.
Dopo il viso, che lasciò con rammarico, passò al collo, le scapole, le spalle…e il petto.
Era così concentrato in quel minuzioso lavoro che non si era reso conto di trattenere il respiro ogni volta che toccava la sua pelle.
In parte era perché fosse concentrato in non fargli assolutamente male, in parte perché respirare rubava attenzione ad ogni forma, avvallamento, tocco che poteva rubare.
Con il viso in via di guarigione, ma ancora il corpo dolorante, Draco ora aveva un espressione sofferta e sfinita ma anche rilassata.
Era quello il suo viso dopo aver avuto un orgasmo?
Come avrebbe voluto scoprirlo!
Il palmo impomatato scorse lungo il braccio arrossato con delicatezza e una volta che il rossore diminuiva, iniziava leggerente a massaggiare per far penetrare la pozione più in profondità. Gli occhi di Draco qualche volta si socchiudevano dal sollievo e Harry era contento di stargli facendo del bene tutto sommato.
Passò minuziosamente la pozione sull’avambraccio, sulle mani, tra le dita, così via anche con l’altro braccio. L vide provare a muoversi quadi volesse testare la sua nuova mobilità ritrovata, ma una smorfia spuntò nuovamente sul suo viso.
Stava guarendo, ma le ustioni erano chiaramente profonde e ci voleva del tempo.
Solo la parte superiore aveva consumato la prima boccetta, quindi prese la seconda e ne versò una generosa quantità sul petto. Poggiò la mano delicatamente sullo sterno e iniziò a massaggiargli i pettorali arrossati. Per un secondo, evitò i capezzoli, come se toccarli avrebbe potuto mettere i manifesti sulla sua sitazione, ma poi si disse che se c’era un occasione di poter godere della loro consistenza sotto le dita, era quella.
Era un’occasione più unica che rara.
Con un’esitazione e un profondo respiro, passò delicatamente le dita sull’aureola. Cercò di non farlo vedere come un obbiettivo, ma come un passaggio obbligato. Quando finalmente il suo indice premette sul capezzolo dentro, si ritrovò a trattenere il repsiro.
E Draco pigolò piano.
- Ti ho fatto male? – domandò.
- Sì. – fu la sua risposta lapidaria.
Mise altra pozione e insistette sulla zona nuovamente, e si premunì di usare l’altra mano per occuparsi anche dell’altro capezzolo rimasto finora ignorato.
Draco sviò lo sguardo, probabilmente imbarazzato. E Harry si godette ogni secondo di quella tortura, li massaggiò, li premette come bottoncini, li sentì indurirsi, li avvertì ingrandirsi.
E gli divenne duro all’istante.
Draco bofonchiò quella che poteva essere solo un’imprecazione e tornò a guardare il soffitto come se cercasse una distrazione, una qualsiasi.
Per un secondo, l’istinto più primordiale di prendere tra le labbra quei bottoni lo accolse come una fiammata alimentata dall’alcool, ma cercò di aggrapparsi ad ogni suo più piccolo neurone per tornare in sé.
- basta così, appena guariranno le braccia al resto ci penso io. –
- Possono volerci ora. –
- ho detto… -
Harry gli toccò la pancia ancora arrossata a draco sobbalzò con un urlettò che gli uscì dalle labbra. Un sorriso malvagio decirò il video di Harry.
- Dicevi? –
L’altro tacque.
Non avrebbe rinunciato all’idea di toccarlo nemmeno sotto tortura. Aveva avuto il suo corpo mezzo nudo davanti per tutto il giorno, non potendo quasi nemmeno guardarlo senza rendere le sue attenzioni evidenti, ora aveva perfino la scusa di guardare e toccare? Non ci pensava nemmeno a rinunciare.
Abbassò le sue attenzioni sugli addominali, e il solo pensiero di toccarli il suo sesso ebbe un fremito.
Ormai passata il tempo tra l’apnea e il sentire il cavallo dei pantaloni soffocare, e tutto ciò che il suo corpo riusciva a fare era toccarlo, massaggiarlo, desiderare ogni centimetro.
Alzò gli occhi brevemente su di lui trovandolo con la testa girata e lo sguardo più lontano che mai.
Lasciò scivolare la mano unta più in basso, giusto un paio di centrimetri, ma lasciò quasi intendere l’idea di valicare l’elastico del costume e proseguire per parte dove il sole non aveva fatto danni.
Merlino solo sapeva se non ne ebbe un vero istinto di farlo.
Nella sua mente, doveva essere una cosa semplice, un giocre un altro po’. Era riuscito a fargli indurire i capezzoli che svettavano ancora nella loro bellezza sul petto del biondino, ma dubitava di riuscire in altro.
Una punta dell medio quasi valicò l’elastico, si fermò giusto in tempo per non farlo davvero, quasi a simulare una carezza solo più generosa delle altre.
Cioè che lo sorprese, fu vedere Draco schudere le labbra appena per poi serrarle. Le se guance erano all’impovviso divnetare di nuovo rosse o la pozione doveva ancora funzionare?
Era così assorto nel guardare il suo viso imbarazzato e rosso che il pensiero che le sue attenzioni potessero far indurire altro più dei capezzoli non l’aveva nemmeno sfiorato.
Abbassò gli occhi e Draco tentò di impedirglielo dicendo – Ora posso fare da solo, posso muovermi, guarda!-
Provò a piegare un braccio e l’urlo di graffiò la gola.
Ricadde, ansante e l’odio per sé stesso che irradiare da ogni centimetro di pelle solo apparentemente risanato.
Era duro.
Harry non riusciva a distogliere lo sguardo da quel bozzo che era si era creato nel costume, impossibile da nascondere o dissimulare.
Draco era diventato duro ed era mezzo nudo e impossibilitato a muoversi.
E lui voleva scoparlo.
Un pensiero malvagio si affacciò nella mente di Harry, un pensiero così crudele e che avrebbe dovto spaventarlo.
Avrebbe potuto prenderlo, fotterlo, per ore. E dRaco non avrebbe potuto dire e fare nulla per fermarlo. Assolutamente nulla.
Venne un po’ nei suois tessi pantaloni al solo pensiero, ma si aggrappò ad una ragione che non sapeva nemmeno di aver ancora.
Prese un lungo e profondo respiro, cercando di ignorare quella durezza che se ne stava lì, come un gelato ghiacciato nell’afa estiva.
Sfidando ogni logica, decise di continuare a curargli le scottature. Fingendo di non aver visto l’evidente erezione, si spostò sulla parte inferiore del suo corpo, scendendo dal letto e iniziando con i piedi.
Per fortuna qui la bruciatura era strettamente legata alla parte inferiore delle gambe, complice ancora un po’ d’ombra rimasta si era salvata. Ma c’erano le cosce che sembravano aver bisogno pozione immediatamente.
La sua mente, già perversa per ovvie ragioni, si chiese quanto gli avrebbero fatto male, mentre si spingeva in lui.
La sua mente doveva assolutamente oriarlo, per continuare a rimandare nella sua mente immagini del genere.
Prese, infine, la terza e ultima boccettina.
Continuò dalle ginocchia, massaggio delicatamente centimetro dopo centimetro. Sentì la saliva azzerarsi in bocca mentre avanzava verso l’alto e diventava sempre più difficile ignorare quella presenza. Cosa che divenne impossibile non appena fu così vicino da quasi sentire la meta sotto i palmi.
Tentò di regolarizzare il respiro, mentre, con una misticità unica, fece scivolare il palmo nell’interno coscia e sentirlo sobbalzare nel momento che le nocche si ritrovarono a urtare un testicolo.
Oh porco merlino, voleva aprire la mano e afferrargli tutto, voleva sentire quell’ennesivo avvallamento sotto le dita.
Ma si sforzò di razionalizzare ciò che stava succedendo: Draco non era eccitato dalle sue carezze. Era semplice biologia, le endorfine date dal sollievo della fine di un dolore lancinante dovevano averlo stimolato abbastanza da renderlo completamente duro.
Ma era una cazzo di erezione sull’uomo che si sognava la notte, cazzo.
- Hai finito? – sbottò ancora Draco, ormai i suoi occhi sembravano fissi sul muro, incapaci di sostenere il suo sguardo – Se hai finito, vattene. –
Si rese conto di muoversi solo quando Draco provò a fermarlo ritrovandosi a gemere dal dolore.
Anche se la pelle era tornata rosa e sana, le ferite in profondirà erano ancora in riparazione.
Tutto perché aveva fatto scivolare un dito dentro l’elastico dei suoi boxer.
- e questa? – domandò, con una piccola nota divertita nella voce – Non vuoi che ti aiuti anche con questa? –
Tutto il corpo di Draco era bollente per il sole pres, ma il calore dei suoi genitari era così invitante da sfidare il caldo dell’afa estiva.
- Fanculo, Potter. –
- E’ un invito? –
Ridacchiò, per non mostrare il vero desiderio che c’era dietro quelle parole,
Draco tacque, ma lo vide stringere e dita sulle lenzuola come se cercasse di far fronte a un improvviso dolore.
- Non potrai muoverti per altre ore, prima che tu possa darti sollievo, inizierà a farti molto, molto male. –
La salivazione iniziò ad aumentargli nella bocca.
I testicoli erano di una perfezione incredibile, sembravano avere la perfetta misura per finire nella sua bocca. Il suo sesso, oh quello, completava il coronamento, sembrava perfetto per la sua mano, lungo da godere di ogni carezza, e avrebbe dato ogni cosa per affondarselo in gola.
Desiderò di tirare via il resto del costume, di osservare l’anello di carne, si chiedeva se fosse anch’esso bianco come lui, o magari più rosato. Desiderò saggiarlo con le dita, affondare in quell’antro…
Qualcosa nel suo sguardo doveva averlo tradito, perché Draco lo riportò alla realtà dicndo.
- smettila di sbavare Potter. –
- parla quello che ce l’ha dueo solo perché l’ho accarezzato un poco. – replicò lui, divertito.
- è una reazione fisiologica, - rispose piccato - dopo tanto dolore il sollievo porta a queste conseguenze. –
Un sorriso si aprì sul viso di Harry – E dimmi, Malfoy, riesci già a muoverti? Perché altrimenti finché tu non riesci dovrai restare così… - lasciò scivolare una mano lungo la coscia – entro quanto inizierà a farti male? Non sei stanco di provare dolore, oggi? –
Lo sguardo di strafottenza si incrinò un poco, ma mantenne il suo sguardo, provò a muoversi, alzò il braccio si dieci centrimti prima di rifarlo cadere con poco onore sul materasso. Socchiuse gli occhi, indispettito.
Quello era un momento di vitale importanza. Ogni parola, ogni tono, perfino ogni singolo movimento del suo corpo doveva essere perfetto per rendere quella paradossale situazione, e accettare il suo aiuto, l’unica alternativa.
Con il cuore in gola e la voglia di fargli cose davvero deprecabili repressa, disse ancora – Posso aiutarti. – avrebbe voluto che la sua voce fosse uscita chiara, limpida, sicura, ma gli era venuta rauca.
Maledetta eccitazione.
Tentò di schiarirsi la gola prima di continuare – Resterebbe tra noi. –
Draco era rigido come un tronco, e non si riferisva solo alla sua durezza. Il suo viso era così teso e ostinato a guardare altrove da sembrava una statua di sale.
Aveva l’impressione di poter vedere la fatica fisica di formulare, creare e unite le parole affinché non fossero risultate un’implorazione.
Decise di venirgli incontro – Facciamo così, - soffiò – Mi fermerò solo se dirai “no”. –
Non aspettò nessun cenno, si limitò a concentrarsi su ciò che stava per fare. Dovette reprimere il sorrido a trentadue denti che smaniava di essere mostrato.
Poteva farlo. Stava per farlo!
Osservò il suo trofeo come se fosse la vetta dell’himalaya.
Non lo afferrò immediatamente. Nonostante fosse tutto ciò che voleva fare, nonostante voleva sentirlo caldo e pulsante tra le dita, non voleva spaventarlo.
Così si limitò a inginocchiarsi tra le sue gambe aperte e iniziò con una mano leggera sul grembo, e lasciò scivolare le dita lentamente verso il basso.
Pregò che quel “no” non arrivasse e quando sentì la peluria sotto i polpastrelli, il cuore gli salvò il gola.
Cercava di non guardarlo in faccia. Aveva posto l’intera situazione come se fosse un “favore” mettersi a guardare ogni sua espressione avrebbe potuto tradire la propria.
Così, lasciò scorrere la peluria tra le dita e lo toccò. Gentilmente. I polpestrelloi percorsero dalla punta verso il basso l’intera lunghezza, saggiandone il calore e ogni forma.
Poi lo avvolse con il palmo e quella forma sembrò perfetta per la sua mano.
Se c’era un momento, uno qualsasi in cui avrebbe potuto tirarsi indietro era stato l’attimo prima di prenderlgielo tra le mani.
Dopodiché Harry realizzò che Draco era immobilizzato e completamente alle sua mercé e che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel piacere che questo gli stava causando.
Alzò gli occhi e si beò del rossore delle sue guance, degli occhi lucidi e delle labbra che volevano schiudersi senza però averne il prmesso.
Era eccitato eppure insisteva nel voler mantenere un’espressione orgogliosa.
Non vedeva l’ora di distruggergliela tra i gemiti.
Iniziò ad accarezzarlo, frustantemente piano, e quando vide il suo braccio scattare come a provarci lui stesso e il gemito di dolore lo costrinse a desidere, il cuore gli saltò un battito.
Era suo. Almeno per le prossime ore.
I capezzoli erano ancora duri e… soli. Ricordava con piacere com’era averli sotto le sue dita, e la sua bocca ne chiese un assaggio.
Si issò su di lui e con la punta delle lingue ne cercò la forma, quando la trovò Draco sobbalzò a mo’ di singhiozzo.
Avrebbe voluto tormentare anche l’altro bottoncino di carne, ma con una mano impegnata a godersi quel calore sul palco e l’altra a reggerlo mentre succhiava, mordeva e torturava il primo capezzolo, era impossibilitato.
Essere un essere umano con solo due braccia certe volte era frustrante.
Si chiese se ci fosse una qualche pozione o magia che poteva fargli crescere un nuovo arto. Se ci fosse staot, lo avrebbe usato unicamente per torturare quel corpo immobile sotto di lui.
Il suo capezzolo aveva un po’ il sapore della crema, ma non gli dava fastidio. Sapeva di conquista e opportunità.
Sentì il primo sospiro, fu come una sirena che cantava ai marinai per farli naufragare. Un po’ com’era naufragato il suo autocontrollo.
Iniziò a strofinare la sua pelle con più energia, il piacere iniziò a montare, lo sentì diventare più grande e più duro ad ogni carezza, riusciva quasi a sentire sotto la pelle l’arrivo dell’orgasmo.
D sicuro, sentiva il proprio.
Era ad un passo dal venire senza essersi nemmeno toccato, da quanto tempo non gli succedeva?
Draco serrò gli occhi e un gemito pigolio esplose dalla sua gola. Eccolo, stava per venire.
E il gioco sarebbe finita lì.
Quel pensiero fu devastante, e si ritrovò ad allontanarsi dal corpo di Draco come lo strappo di un cerotto.
Si sentì eprfino un po’ in colpa mentre lo sguardo assassino dell’altro lo colpiva come uno schiaffo.
- Potter … che cazzo… - ansimò, frstrato.
Harry si ritrovò in ginocchio tra le sue gambe, a fissare il suo sogno proibito duro che aveva il viso in fiamme, tutto ciò che poeva diventargli duro di marmo e abbandonato sotto di lui.
Lo desiderò come non l’aveva mai desiderato.
Se Draco doveva venire, non doveva essere per una semplice sega.
Osservò il membro implorante e arrossato e decise che se doveva venire, doveva essere nella sua bocca.
Tornò su di lui, restò per un attimo sospeso sul suo corpo, come a chiedere il permesso. Lo avrebbe fatto comunque, ma quel patto restava: solo un “no” lo avrebbe fermato.
Anche se, mentre si chinava a baciargli l pube con un letto tocco e umido che anticipava ciò che sarebbe presto arrivato, a quel punto non era sicurissimo nemmeno si esserne più in grado.
Voleva affondare quel sesso nella sua bocca. Voleva sentie il suo sapore, voleva assaggiare il suo nettare e ingoiarlo.
Voleva un sacco di cose che quella mattina era solo sogni bagnati.
Gli baciò la punta e Draco inarcò il bacino per spingerso su quel tocco, incapace di controllars, anche se lo fece ricadere mordendosi un labbro dal dolore.
Anche se in apparenza la sua pelle era guarita, doveva essere stata veramente terribile l’ustione.
Schiuse però le gambe, come a dargli il permesso, e lo fece senza alcuna smorfia, dolore o perfino esitazione.
Voleva venire. Non gli importava come.
Era fortunato che Harry fosse dello stesso avviso.
Il primo tocco di lingua fece ansimare entrambi, Harry stesso era già perfino un po’ venuto solo a sentire quel sapore, ma qunaod iniziò a scorrere la lunghezza, quel momento sembrò scivolare via, come il resto della sua ragione.
Lo leccò, lo succhiò, lo divorò. Non per torturarlo, ma perché voleva che la sua intera bocca gustasse quella durezza.
Voleva che DRaco si masturbasse al solo ricordo di quel momento per il resto dei suoi giorni, voleva assaporare quell’attimo con ogni fibra del suo essere.
Finché non ce la fece più. Il desiderio di sentirlo più in profondità possiible dentro la sua bocca divenne vitale come respirare, appoggiò le labbra sulla punta e le schiuse, godendosi quella durezza affondargli dentro.
Draco scattò nuovamente con i fianchi in alto, affondando in luoghi dove non era mai stato nessuno, ricadde e li rialzò, con la foga di chi voleva solo scopargli la bocca e fregandosene se provava o meno dolore.
Sent’ l’orgasmo esplodergli sul palato, e poi lungo la gola, quasi soffocandolo.
Lo adoro come non aveva mai adorato nulla.
Il proprio divenne parte di quel momento, lo sentì scorrere sotto le vene, dilatarsi dentro di lui fino a invadere ogni angolo della sua pelle di piacere.
Si ritrasse a fatica e controvoglia e si appoggiò sui talloni. Aveva il respiro affaticato da tutto quello che rea successo e gli tremvavano le gambe, ma non era nulla rispetto a come Draco se ne stava completamente disfatt sul letto, gli occhi chiusi, le labbra gonfie dai morsi che si era dato per tacere i gemiti. Il suo sesso, era ancora straordinariamente duro per l’orgasmo che aveva avuto ma non stentava a credere che presto sarebbe tornato a riposo.
Quindi… era finita lì.
Ed era giusto così.
Si alzò a fatica. Doveva andare in bagno e eliminare le prove del proprio coinvolgimento cercando di non mostrarlo al serpeverde, ma la voce di Draco lo colse di sorpresa.
- Harry… -
Tonrò a guardarlo. Draco aveva smesso di ostentare freddezza o orgoglio, ora i suoi occhi arrossati erano fissi nei suoi ed erano bellissimi. Lo trovò più bello che mai, così tanto che ebbe quasi la sensazione di sentire il proprio sesso urlare per tornare duro.
Draco schiuse le labbra e sussurrò - Non posso muovermi. –
Non fu la frase in sé a fargli scorrere un brivido lungo la schiena, ma la voce rauca con cui l’aveva detto. C’era un bisogno così denso in quelle tre semplici parole che il sesso gli tornò duro, in un istante.
Mille e una idea gli si affollarono nella mente che seguivano quell’affermazione, una di queste gli fece scorrere il suo corpo fino a ossrvare tra le sue gambe, in zone più buie e inesplorate.
Non ptoeva muoversi. Non poteva… ribellarsi.
Quel pensiero lo infuocò come un fiamma fatua e sentì ogni molecola della sua pelle venire attratta di nuovo dal letto e ancor di più da quel corpo inerte.
Draco sostenne il suo sguardo mentre diceva ciò che meno si sarebbe aspettato – Non ti fermerai nemmeno se ti imploro. –
Un moto animale lo invase e si ritrovò sul letto, una mano aggrappata alla sua coscia, la seconda a reggerlo dal non cadergli addosso, i denti volenterosi di affondare nel primo pezzo di carne disponibile.
Era stato eccitato nella sua vita, era stato sedotto, era stato infuocato, ma non si era mai sentito così vorace per qualcuno. Mai.
Draco non sembrò né spaventato, né impressionato, ma tentato sì. Come se fosse soddisfatto che avesse capito.
Tra tutti gli istinti che aveva provato nell’ultima mezzora, quello di baciarlo fu quasi tenero quanto discordante.
Ma lo fece lo stesso. Anche se non ptoeva essere fdefinito un vero e prpprio bacio quello.
Divorò le sue labbra, dandogli appena il tempo di replicare. Probabilmente era un bacio orribile, ma l’istinto era diventato parte di lui a livello molecolare.
Tentò di recuperare un po di controllo, di mitigare la foga, mentre la mano lentamente abbandonava la presa sulla coscia per salire.
Si prese un po’ di tempo per sentire le rughette sulle dita, per assaporare davver ciò che stava per accadere. Indilò il polpastrello, solo per dargli un anticipazione di ciò che stava per succedere. Lo sentì trattenere il respiro ma sforzarsi di respirare. Fece più pressione e il dito gli entrò dentro a metà. Questa volta fu lui a smettere di respirare.
Era tornato duro nuovamente solo al pensiero di sentire presto quella pressione sul suo sesso.
Quella mattina si era limitato a fissarlo mezzo nudo nuotare nell’acqua del mare, cercando di immaginare quanto salata sarebbe stata la sua pelle da leccare, e ora era letteralmente con un dito dentro di lui e il sapore del suo seme che ancora perdurava nella sua bocca.
Tentò di calmare i battiti forsennati del suo cuore mentre provava a scoparlo con quell’unico dito, per testare quanto fosse pronto per il secondo.
Draco alzò la testa e cercò ancora le sue labbra. Fu una sorpresa, ma la accolse con piacere.
Questo bacio fu più dolce, concentrato com’era nell’avvrtire ogni mutamento del suo anello stretto per prepararlo decentemente non si era reso conto che il desiderio animalesco era mutato in una volontà di adorarlo.
Incredibile, perfino quando era completamente assoggettato al suo volere, riusciva a tenere il controllo su di lui.
Eccitato e impaziente, forzò un poco il secondo dito.
Draco alzò una mano, all’apparenza senza che gli causasse dolore il movimento, e le dita strinsero la stoffa della sua camicia con delicatezza.
- ti faccio male? –
Draco socchiuse gli occhi e lo guardò dal basso. Le pupille erano dilatate e ad ogni movimento delle dita dentro di lui le palpebre avevano un lieve fremito.
- Neance se ti imploro… - ripeté.
Non era importante se gli faceva male. Draco lo voleva dentro di sé, voleva essere preso, voleva essere consumato.
Si strappò da lui come un cerotto e si mise seduto sui talloni. Gli aprì le gambe maggiormente, e osservò il corpo dell’altro con una nuova prospettiva.
L’anello di carne si contraeva, come se accusasse l’assenza delle dita. Non avrebbe agonizzato ancora a lui.
Presto, quel corpo sarebbe stato soddisfatto.
Si prese il sesso e meditò sul come entrare. Non c’era grande possibilità di farlo, ora che lo aveva preparato a metà e senza alcun lubrificante.
Draco sembrò intuire i suoi pesieri e, senza la minima smorfia, si allungo a prendere cò che restava della pozione. Harry la prese senza esitazione.
Era chiaro che ormai la sua pelle stesse bene.
Era chiaro che voleva essere scopato.
Chi era lui per rimarcarlo, beffarsi di ciò e rischiare di non fottersi quel sedere sodo? Nemmeno essere Harry Potter lo avrebbe salvato da uel fato.
Spremette ogni più microscopico grammo di crema ancora nel tubetto sulla mano e si concesse un paio di generose carezze.
Nonostante non fosse ustionato come lo era stato il suo amante, un’ondata di freschezza gli invase le parti basse, piuttosto piacevole doveva dire.
S’umettò le labbra per non sorridere.
Quando sentì sulla punta del suo uccello il calore dell’ano entrmbi ebbenro un sussulto. Draco serrò gli occhi e Harry spinse.
Si aprì a lui con una gentilezza che non si aspettava. Era stretto senza dubbio, era bellissimo senza dubbio, ma era anche morbido e caldo, e stava perdendo di nuovo la testa.
Gli afferrò le coscie e si tirò il bacino dell’altro a sé, affondando in lui con più forza. Draco irrigirì le nocche sulle lenzuola e si lasciò andare in un gemito.
Era di dolore?
Non gli importava poi molto.
Avrebbe eseguito gli ordini: anche se imploraa non si sarebbe fermato.
Cercò comunque di ritarsi gentilmente e riaffondare in lui con più calma poteva. I suoi buoni propositi durarono la bellezza di quattro spinte.
Alla quindi, desiderò essere completamente dentro di lui e si spinse con quanta forza fu necessaria.
Draco gli si contorse attorno con così tanta forza da rischiare di farlo venire e il respiro era diventato corto.
Restò immobile, cercando di non venire, perché c’era la concreta possibilità di venirgli dentro ad una minima frazione. Il fatto che Draco si stringesse attorno a lui, pulsando, non aiutava affatto.
Prese un profondo respiro e iniziò a muoversi, lo fece dapprima lentamente, poi aumentò le spinte. Aprì gli occhi e si sforzò di guardarlo.
Si rese conto solo in quel momento che Draco era tornato di marmo e che le sue mani erano sul suo petto, con le dita strette sui capezzoli.
Chi l’avrebe mai detto che fossero davvero una sua zona erotica!
Forza, era iniziato tutto da lì.
Tentò di non ridere come uno scemo, mentre si chinava su di lui a cercare di nuovo le sue labbra, mentre faceva aderire i loro corpi e rendere quella scopata più intima che poteva.
Si rese conto di aver perso il controllo della situazione, mentre lo schiacciava sotto di lui per assecondare il suo più basico istinto: possederlo.
Facevano male perfino a lui i fianchi, per la foga di fotterlo, ma non gli importava. Doveva fotterlo. Doveva consumarlo, doveva….
Venne con un singhiozzo affondando il viso nella sua spalla e il piacere sembrò durare in eterno, soprattutto perché quel culo continuava a pulsare attorno a lui come se volesse strutorarlo.
Si aizò dopo un lungo minuto, non perché fosse pronto, ma solo per non continuare a schiacciarlo. Sentiva sotto la sua pancia il sesso di draco e un umidità sospetta tra di loro, quindi non fu sorpreso di vedere la schiazza di seme adagiato sul suo grembo allontanandosi. Ciò che lo soprese fu lo sguardo lontano di Draco, come se non fosse davvero nememno lì.
Chiuse a riaprì le palpebre lentamente prima di far scivolare gli occhi su di lui. Il petto si muoveva con i suoi ansiti, mentre lo guardava come se non riuscisse a metterlo a fuoco.
Uscì da lui, causandogli una smorgia di disappunto e gli si stese accanto con a fissare lo stesso punto del soffitto.
Cercò qualcosa da dire, solo perché seniva che doveva essere detto qualcosa, ma tutto ciò che il cervello riusc’ a suggerirgli fu “sei pronto per un altro roud?”
Non lo trovò molto indicato.
Draco si mosse dopo un po’, provando ad alzarsi ma ricadde con un imprecazione sulel labba.
- Fa ancora male? –
- tu che dici? –
- mi era sembrato… - lasciò che quella frase restasse inconclusa. Mentre Draco si portava le mani alla faccia, come se improvvisamente si vergognasse di tutto ciò che gli era successo.
Prese un profondo respiro e si girò a guardarlo come se ponderasse se ucciderlo ora o aspettare di potersi muovere per davvero.
- Puliscimi. – gli ordinò.
Harry avrebbe voluto protestare, ma era anche colui che si era divertito con il suo corpo e gli era venuto nel culo quindi decidette che tutto sommato dargli una pulita non era una cosa così sbagliata.
Andò in bagno, prese una spugna e magicamente la rese perennemente bagnata. La passò con dolcezza sul suo collo, e sulle braccia, sul petto….
Ancor auna volta era alle prese con l’accarezzare quel corpo.
Inghiottì a vuoto.
Non era possibile che sentisse già l’eccitazione tornare. Era già venuto due volte e non era più nemmeno tanto giovane!
Eppure nel momento in cui passò la spugna sui bottoncini di canre che avevano dato via alla magia proibita che si era consumata quella sera, il suo corpo gli ricordò che quella poteva essere la loro unica volta e che doveva sfuttarla più che poteva.
Spstò la spugna lungo tutto il corpo, pulì la macchia di sperma che si era ormai asciugata e poi iniziò a passare la spunga sul sesso rilassato, con la stessa intensità di un insistenza carezza.
Draco si rese conto di ciò che stava facendo Harry quasi subito, ma si limitò a piegare la testa di lato incuriosito.
Mentre lo masturbava con la spugna, sentendo quasi subito un certo irrigidimento, un rivolo di sperma fuoriuscì dall’ano e di istinto, ne prese un poco con le dita e glielo risponde dentro.
- lo sai che non posso rimanere incinta, vero? – quasi rise Draco sentendo quelle dita di nuovo dentro di sé seppur con una voce un po’ rauca.
- Sfida accettata. –
Quando gl tornò dentro fino alla base, Harry realizzò che quella notte non avrebbe dormito. Non importava se Draco lo avrebbe rifiutato ad un certo punto.
Aveva l suo permesso.
Non avrebbe accettato nessun “no”.

Il “no” avvenne dopo la quinta volta. Draco a quel punto era gattoni, i glutei arrossati dalle mani di Harry che li stringevano per dargli vedere meglio il punto in cui affondava in lui.
Peccato che non fosse nemmeno lentamente convincente.
Continuò a dirgli di “no”, ma lo fece emntre veniva, e lo fece mentre lo stringeva a sé e, ancora, mentre spingeva i fianchi contro i suoi per sentirlo più in profondità.
Harry non era nemmeno più tanto sicuro di quanto il proprio corpo avrebbe retto ancora. Ogni volta che venivano, raggiungere un altro orgasmo diventava sempre più difficile e il viaggio per arrivarsi sempre più lento e dolce.
L’ultimo orgasmo, lo raggiunsero a mala pena muovendosi, quasi solo baciandosi.

Non era corretto definirlo “il giorno dopo” dal momento che era ormai l’alba quando Harry realizzò che presto sarebbero arrivati in stanza i loro amici per sincerarsi delle condizioni del biondino o se erano ancora vivi.
Draco sembrava del tutto ristabilito ormai dalla bruciatura, ma non dalla nottata brava. Per arrivare al bagno arrancò.
Stette lì per oltre mezzora e quando ne uscì il suo visto era pallido e infastidito.
- Dovevi venirmi dentro tutte le volte?! – quasi urlò.
Harry gli sorrise innocentemente.
Draco provò a piegarsi per prendere dei vestiti nel cassetto, ma fitte di dolore lo attraversarono. Si massaggiò debolmente una spalla mentre bofonchiava qualcosa.
- Vuoi che ti aiuti? –
- Direi che ne ho abuto abbastanza del tuo aiuto. –
Harry si mise seduto e lo guardò affaccendarsi. C’era una strana, nuova atmosfera tra loro, non era un imbarazzante post scopate multple dove si vergongnavano di ciò che era accaduto. No… spaeva di quotidianità.
- No, non è vero. – si rittrovò a replicare.
Draco finì di mettersi i pantaloni e lo inchiosò con i suoi profondi occhi grigi.
Non disse nulla così, Harry continuò – Non ne hai avuto abbastanza. – sorrise, un sorriso divertito ma non derisorio – ti fotterò ancora e non smetterò di farlo. – si sistemò meglio gli oacchiali che era molto sorpreso fossero ancora addosso dopo quello che avevano fatto – Nemmeno se mi implori. –
Quel tipo di strafottenza solo il giorno prima avrebbe scatenato un crucio contro tutti i santi, ma c’era un enorme differenza quella volta. Draco aveva scoperto le sue carte, era stato costretto ad ammettere il suo punto debole: il piacere di essere dominato, forse perfino forzato.
Sapeva che ormai la sua perversione era allo scoperto, così non si disturbò nemmeno a negarlo. Finì di vestirsi, forse per prendere tempo. Poi tornò da Harry con i suoi stracci e glieli lanciò.
- fuori dal letto però comando io. – soffiò.
Harry sogghignò e raccolse ciò che Draco gli aveva lanciato. Non poteva andare meglio di così. Il fatto che Draco lo trattasse con tanta sufficienza lo aveva sempre eccitato, il fatto che si trasformasse in una puttana passiva tra le coperte, lo aveva letteralmente mandato alle stelle.
Era la relazione più incredibile che potesse mai desiderare.
- Ai tuoi ordini. –

La vacanza finì fin troppo in fretta. Scesero a fare colazione, e tutti si sincerarono di come stesse Draco, fecero commenti sulle sue occhiaie e sul fatto che entrambi non sembravano aver dormito tantissimo quella notte.
Non avevano tutti i torti.
Ciò che soprese Harry fu sentire Draco dire – Ma non mi sento ancora bene, non credo sia il caso di stare sotto il sole per me. –
I quattro amici annuirono pensierosi.
- Resto in albergo con te. – propose Pansy subito, cosa che sembrò rattristare Ron che magari stava pregustando una bella giornata con la sua ragazza.
- Tranquilla, penso io a lui. – intervenne subito Harry – Ormai è più o meno il mio compito. –
Dal sorriso che spuntò sul viso di Draco capì di aver colto la giusta palla al balzo.
- Sei… sicuro? – domandò lei, altalenando gli occhi tra i due.
- ehi, Herm. Hai ancora un po’ di quella pozione? Mi è stata molto utile. – soffiò Draco. Era una frase normale, ma alle orecchie di Harry parve la cosa più indecente che avesse mai sentito.
Hermione annuì e prese dalla sua borsa il flacone – Ne avevo preparata di più in caso. –
- Perfetto. – Draco si alzò – Potter. Ti aspetto in camera. –
Non dovette aspettare molto, perché scattò in piedi all’istante.
- Bhe allora buona giornata!- gli urlò correndo via.
I quatto amici si guardarono.
Hermione patté le mani – Era ora che si mettesero insieme! –
Concordarono tutti.






























macci: (Default)

Erano un po’ di anni che il Natale non aveva più alcuna attrattiva per Harry Potter. Dopo la fine della guerra e la sua disastrosa relazione con Ginevra finita poco dopo, aveva perso molto, compresa la sua famiglia surrogata che, sebbene non gliele facesse una colpa e continuava a invitarlo, non poteva scegliere che di stare da parte dell’unica figlia che avevano.
Così, si era iniziato a sommergere di lavoro e a accampare scuse, per evitare di andare.
Le feste alla fine erano solo giorno come altri, e poteva vedere Ron e Hermione tutti gli altri giorni della settimana.
Andava bene così.
Alzò gli occhi e osservò dall’altra parte della porta il suo segretario intento a scrivere con una penna d’oca su una pergamena spessa. Aveva provato in tutti i modi a convertirlo alle penne biro, ma non c’era stato verso. Probabilmente era solo un modo come un altro per restare aggrappato alle sue nobili origini. Per lo stesso motivo, si vestiva sempre così impeccabilmente che tra i due il vero capo sembrava lui.
Ma Draco Malfoy era sempre stato così, l’apparenza era tutto. L’emanare potere era tutto.
Erano passati ormai tre anni da quando lo aveva incontrato per strada per puro caso, appena uscito da un negozio di pozioni che lo aveva rifiutato. Uno dei tanti. Aveva sentito parlare di come le fortune delle famiglie coinvolte nella parte sbagliata della guerra fossero stata confiscate, aveva sentito parlare di come nessuno assumeva ex-mangiamorte, ma non aveva mai davvero visto le conseguenze della guerra su una persona che era stata parte della sua vita da quando aveva scoperto essere un mago.
Lo colpì, come un pugno ben assestato nello stomaco, e si ritrovò a camminare verso di lui e dire – ti serve un lavoro? – prima ancora di essersene accorto.
Era così disperato da non esitare nemmeno un secondo nell’accettare di diventare il suo segretario, e non aveva visto negli anni alcun risentimento nella sua posizione.
Lo aveva visto, invece, accettare tutto, affrontare tutto, rimettere il suo ufficio insieme e fare del suo meglio, giorno dopo giorno.
- Malfoy! – lo chiamò, appoggiandosi allo schienale della sedia. Questi si alzò con eleganza e lo raggiunse, sull’attenti come un soldatino.
- Che ti serve? –
- Puoi andare, qui finisco io. – spostò alcuni plichi per fare spazio – Buon Natale. –
Contrariamente a quanto si aspettava, Malfoy restò in piedi di fronte a lui, con le sopracciglia aggrottate.
- Ma abbiamo un sacco di lavoro arretrato. – protestò. Forse era la prima volta che protestava per qualcosa.
- E lo farò io. Tu va pure.-
- Non puoi farlo tutto tu.-
- Sì che posso.- scrollò le spalle e gli sorrise – Va pure. Divertiti. Ci vediamo il ventisette.-
Sperava che la conversazione fosse finita lì, ma Draco fece un passo avanti a lui.
- Ma è Natale, Potter. – protestò ancora – Non intendi festeggiarlo? -
Harry prese un profondo respiro – Va a casa, Malfoy. Salutami Zabini e la Parkinson. –
Abbassò la testa sui fogli, premeditanto di ubriacarsi anche solo per concepire l’idea di lavorare tanto, ma era la sua via di fuga: il lavoro invece che essere costretto a una festa dove tutti fingevano di volerlo, o peggio ancora, invece che stare a casa da solo.
Nella sua prospettiva, non c’era davvero molta scelta.
Almeno a qualcuno, voleva risparmiare le conseguenze delle sue scelte.
- ti perderai la festa.- sentì la voce di Draco raggiungerlo ancora.
Alzò gli occhi su di lui e gli sorrise dolcemente – Se ne faranno una ragione.-
A quel punto, era irremovibile e Draco lo comprese. Raccolse alcuni plichi e drizzò la schiena – Come proferisci.-
Harry buttò il viso tra le scartoffie e lasciò che la giornata gli scivolasse addosso. Solo ogni tanto si concedeva un sorso d’acqua e qualcosa da mangiare e di far scivolare lo sguardo sulla figura snella e slanciata del suo segretario. Si concentrò sulle labbra carnose sono un secondo, prima di spostare sul mento appuntito che aveva l’aria di essere perfetto da mordere e le mani affusolate erano…
Cazzo. Distolse lo sguardo. Doveva smetterla.
Ma se non era fatto in modo consistente, non c’era nulla di male nel apprezzare, no? Almeno era quello che si ripeteva.
La verità è che c’era un vero motivo per cui con la piccola di casa Weasley non aveva funzionato, e quel motivo era perché aveva smesso di fingere a sé stesso nel sentirsene attratto. O attratto dal genere femminile in generale.
Continuava a razionalizzare a sé stesso che se erano pochi attimi alla volta, non era inquietante apprezzare la figura del suo segretario. Ma sapeva che era molto più complicato di così.
Si sentiva in errore anche solo per quei pochi attimi in cui si concedeva di far scivolare lo sguardo su di lui. Si sforzava di abbassarlo sui documenti, sentendo i propri muscoli protestare.
Istinto, sentimento e ragione erano in costante lotta. Ne era attratto e su questo era innegabile, lo aveva accettato.
Quello che non era ancora pronto ad accettare era il motivo per cui il pensiero di passare le vacanze separati lo facesse sentire del tutto perduto.
No, si disse, era una cosa unicamente fisica.
Lui non ne era certo…
- potter.-
La voce di Malfoy gli giunse come una scure sul collo. Alzò gli occhi e li incrociò ai suoi, tuffandosi in un gelido sguardo indagatore.
- C’è il tuo prossimo appuntamento.-
Harry annuì, con il cuore che stava giocando con le sue costole.
- Va bene. Fallo entrare.-
Doveva lavorare. Sì, era l’unica cosa che doveva fare ora.

Quella notte era quasi mezzanotte quando realizzò che i suoi occhi erano così stanchi che stavano a stento aperti. Così accese la sua bacchetta e salì le scale per andare a dormire.
Quella casa era sempre stata spettrale, ma quella sera c’era un silenzio così denso che quasi lo soffocava.
Doveva essere il Natale. Nonostante fosse stata una sua idea cercare di evitarlo, nonostante continuasse a dirsi che era un giorno come un altro, quella sera quel silenzio era semplicemente più difficile da respirare.
Era quasi arrivato all’ultimo gradino quanto sentì il quadro di Sirius schiarirsi la gola. Lo aveva trovato in cantina, ricoperto di pezze e riposto con cura in un baule magico. Era un vecchio quadro di quanto era bambino, prima che la sua famiglia lo eliminasse dall’albero genealogico.
Di soltio non era molto chiacchierone, quella versione di Sirius ancora non lo conosceva, quindi era timido, ma quella sera la sua voce cristallina disse.
- Stanotte avremo ospiti.-
- Come?- si girò verso di lui, aggrottando le sopracciglia.
Il ragazzino fece un sorriso sghembo e agirò le dita con fare fintamente mistico – Ti appariranno tre fantasmiii – iniziò a recitare.
Oh. Di solito non era molto loquace ma evidentemente era in vena di scherzare.
- Okay, sì. Buona notte. – tagliò corto girando verso la sua stanza, ma il ragazzino gli urlò dietro.
- Veramente ne sarà solo uno, ma…-
Non sentì altro, era troppo stanco per gli scherzi di un quadro.
Si infilò a letto con movimenti stanchi e lenti, ma quando finalmente fu al sicuro tra le coperte con gli occhi chiusi, il suo corpo ebbe un momento di totale tranquillità. Aveva anche preso per caso una posizione assolutamente perfetta.
Si sarebbe addormentato in un baleno, ma quando si risvegliò per via di un forte rumore, gli sembrò di aver dormito solo cinque minuti.
Guardò l’ora e scoprì con rabbia che era effettivamente così.
- che diavolo…? – sbottò al buio.
- Diavolo no, ma fantasma sì. – gli rispode il buio.
Harry ebbe appena il tempo di scattare verso la sua bacchetta che un’altra si illuminò nell’oscurità e con un incantesimo l’intera stanza di illuminò di luci abbaglianti che la illuminarono a mo’ di giorno.
Quello che si ritrovò davanti lasciò Harry completamente senza parole.
Seduto alla sedia che di solito utilizzava come armadio improvvisato c’era Draco Malfoy. Un undicenne Draco Malfoy.
- Sto sognando.- realizzò con occhio critico.
Il bambino alzò un sopracciglio, e nonostante fossero passati anni, riconobbe perfettamene ogni millimetro di quel movimento come suo.
- Facciamo che sta sognando.- tirò le labbra in un sorriso mordace – Sogni i dodicenni, Potter. Fosse in te, un paio di domande me le fare.-
- Che? Cosa?! –
- Ti conviene quindi convenire che non sia un sogno, non trovi?-
- Che altro potrebbe essere? –
Draco si alzò di slancio dalla sedia e fece un piccolo inchino – Conosci la storia no? Tre fantasmi. Io sono il mio.-
Harry restò a fissarlo, con le labbra schiuse in un’espressione da pesce lesso e i neuroni che facevano a botte tra loro su quale dei due doveva soccombere a trovare una logica.
- E’… uno shcerzo pessimo. – convenì, tirando vua le coperte – Non sapevo che la pozione polisucco potesse replicare qualcuno ad un’altra età. Chi sei davvero? Ron? –
Il ragazzino alzò gli occhi al cielo – Va bene, tagliamo corto, va bene? Ecco.-
Prese la bacchetta e la roteé tre volte e prima che Harry potesse mettere piede sul pavimento il letto e la stanza scomparvero.
Si ritrovò in piedi in una stanza che erano anni che non vedeva.
A volte gli capitava ancora di pensarci, alla sua vera casa d’infanzia.
Qella stanza condivisa con i suoi amici era stata per anni la cosa più vicina a una vera casa per lui.
- Come ci siamo venuti ad Hogwatrs? – domandò.
Il piccolo draco alzò gli occhi al cielo – Forza, ragionaci. La storia la conosci.-
- Che storia? –
- E’ Natale, Potter.-
- E…-
- E io sono un maledetto fantasma. Arrivaci su.-
Harry si guardò attorno, ogni mattone, ogni stoffa, ogni cimelio era esattamente com’era allepoca, perfino l’aspetto del suo “fantasma”.
- … oh.- realzzò.
- “oh” per davvero. Alla buon ora. –
- Devo essere così messo male se mi sogno un’esperienza da Il canto di Natale, eh? –
Il piccolo alzò le mani e non riuscì a nascondere un sorriso divertito – Chi sono io per guidicare? –
- Sono il più bastardo giudice di sempre. – replicò harry, suo malgrado divertito.
Era strano, ma rivedere quella versione di un uomo che aveva imparato a conoscere era… strano. Quasi bello.
Quasi triste.
Quello era un tempo dove il natale era bello, era divertente…
Era magico.
Una igura gli sfrecciò di fianco e corse ad un angolo della stanza. Nonostante conoscesse in generale la storia de Il Canto di Natale, vedersi da bambino gli sembrò strano.
Il Harry potter bambino con gli occhiali tondi e costantemente rotti, non riusciva a nascondere la felicità mentre scartava il regalo che sul suo letto.
Era uno dei pochi mai ricevuti fino a quel giorno. I suoi zii non si erano mai scomodati da fargli un vero e proprio regalo.
Festeggiare il Natale lì, ricevere regali, rivecere una famiglia…
La felicità di quel bambino era così intensa che gli fece male.
- Passiamo oltre?- domandò, sviando lo sguardo avvertendo un groppo in gola che non provava da tanto – cosa ci aspetta ora? Il presente? Dai, portami a vedere come sono tutti felici mentre io resto a casa a piangermi addosso. –
Il giovane Draco osservava l’Harry del passato con uno sguardo intendo e serio, ma non gli impedì di sogghignare – Ne sei consapevole eh? –
Harry seguì quello sguardo e osservò il sé stesso aprire uno dei maglio della sua madre surrogata con una H sopra e Ron lamentarsi dell’ennesimo maglione grande tre tagli. L’harry bambino era stato zitto, ma ricrdava perfettamente la sensazione di volergli dire che era fortunato ad avere una madre che pensava a lui, che nonostante tutto, si impegnava per fargli avere un regalo.
Non l’aveva mai ammesso, ma li aveva ancora quei magliori. Erano uno dei suoi tesori più cari.
- Ti piaceva il Natale. –
- Certo che mi piaceva. Ero una bambino che finalmente riceveva regali.-
Il piccolo serpeverde si girò verso di lui con le mani sui fianchi – Devo farti la ramanzina sul fatto che non sono i regali la cosa più importante? –
Harry scrollò le spalle – Possiamo andare ora?- tagliò corto.
Sospirando, draco prese la bacchetta e fece un cerchio nell’aria. Tornanono nella sua camera e lui risentì la stanchezza invaderlo come un macigno.
Era tanto stanco anche se stava dormendo?
Si sedette sul materasso e sservò il ragazzino che se ne stava con le braccia conserte e in attesa.
- Allora? – domandò.
- allora cosa.-
Lui fece un gesto con la mano – Rivelazione mistica, forza.-
- Non c’è nessuna rivelazione mistica in arrivo. La realtà è che ormai sono grande e il natale non è più importante per me.-
Qualcosa nell’espressione arrogante del ragazzino si incrinò – Ti comporti come se fossi rimasto solo. – lo accusò.
Harry sentì lo stomaco contrarsi – sono solo.- confermò.
- Perché? –
Quella domanda caddé nel silenzio. Harry cercl nella sua testa le parole ma restava solo il silenzio. Provò a parlare, ci prov davvero. Ma tutto ciò che uscì dalle sue labbra su un assoluto silenzio.
Draco così scrollò le spalle – Ora devo andare. - gli lanciò un’occhiata veloce - Cerca solo di fare meno l’imbecille. –
Fece un passo indietro e svanì. Harry sbatté le palpebre e ebbe la sensazione di essersi appena svegliato. Si sentì un po’ disproentato dal fatto di essere effettivamente seduto, nell’oscurità.
Era stato un sogno talmente intendo da farlo addirittura seedere sul letto?
Il sonnambulismo era nuovo.
Fece per rimettersi a letto quando sentì un – Lumos!- e una lice comparve sul fonto della stanza.
Quando tornò a illuminarsi tutta e a rivelare sulla stessa sedia un odierno Draco Malfoy, capì che era uno di quei sogni.
- paralisi notturna eh? – soffiò, guardandosi attorno – Sto cercando di svegliarmi senza riuscirci davvero. –
Il suo draco Malfoy, la versione in cui era un segretario distinto e serio gli lanciò un’occhiata veloce prima di alzarsi e sistemarsi la giacca appena stropicciata.
- Beh almeno, non sogni più ragazzini. E’ un progresso.-
- Ma sogno sempre te. – replicò Hrry con un sospiro – Almeno questa versione posso effettivamente apprezzarla. –
Draco alzò un sopracciglio, così come aveva fatto il sé stesso ragazzino, e la trovò incredibilmente famigliare ancora così. Solo che i suoi occhi non erano più pieni di arroganza, non la stessa per lo meno, era un arroganza più sfumata, a tratti dolce.
Lo guardava così quando era distratto e toccava a lui risolvere i suoi casini.
Non lo aveva mai davvero biasimato.
Nonostante il loro passato, nonostante il suo carattere che conservava un pizzico di arroganza, Draco non era stato che gentile con lui.
Solo perché quando lo aveva visto in difficoltà gli aveva offerto un lavoro, aveva dimostrato una fedeltà a quel suo ruolo così al di sotto delle sue reali possibilità.
Se solo avesse saputo con che occhi lo guardava davvero, quella dolcezza sarebbe stata facilmente convertita in disgusto.
Ora però stava sognando, quindi si poteva permettere di ammettere di poter apprezzare questa versione.
Fu strano, quasi divertente.
Il fantasma fece un pezzo sorriso, poi gli indicò di seguirlo.
Aprì la porta della stanza che, invece di mostrare il corridoio, ora si apriva nella più totale oscurità.
- Forza.- lo esortò il biondino – vai prima tu.-
- Oppure posso semplicemente svegliarmi. –
- Non hai mai avuto paura del buio. –
- Non ho mai avuto in sogno così strano.- lo corresse.
Draco scrollò le spalle e si addentrò nell’oscurità, lasciandolo solo con una porta che si affacciava nel vuoto e una totale capacità di svegliarsi a quanto pareva.
Con un respiro profondo, finalmente si decise ad avanzare.
Si ritrovò a casa dei Weasley e il suo corpo attraversato da un moto di dolore. Quella, un tempo, la considerava casa sua.
C’era Molly che sferruzzava con un viso concentrato accanto a una cesta piena di gomitoli. Il maglione che stava creando portava sul petto quella che sembrava essere decisamente una H.
- Perché ne fai una anche per lui? Sai bene che non verrà. –
La voce della sua ex ragazza gli giunse come un accettata in piena faccia. Soprattutto la nota di fastidio con cui aveva pronunciato quelle parole.
- Dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui! –
- E di chi credi che sia la colpa? – gli rinfacciò uno dei gemelli divertito – Del postino? –
- Non è colpa mia.- replicò lei, amareggiata – E’ stata una sua decisione.-
La madre alzò gli occhi sulla figlia prima di darle una carezza veloce – Vedrai, riuscirete a parlare prima o poi.-
Il viso della ragazza divenne rosso, ma annuì, sembrava sul punto di mettersi a piangere. Si alzò e uscì dalla stanza senza dire nulla.
- Smettetela di prendervela con lei.- rimproverò il gemello colpevole.
Fred – almeno credeva fosse Fred – fece una smorfia. Era sempre stato raro vederlo serio, ma ora il suo viso era contrito in una smorfia infastidita – Harry non ci deve nulla, anzi. Siamo noi che dobbiamo molto a lui. – replicò scrollando le spalle – Vorrei solo che capisse che siamo la sua famiglia, che stia con Ginny o no. –
Molly abbassò gli occhi sul maglione e riprese a sferruzzare – Sì, siamo la sua famiglia, ed è per questo che continueremo a invitarlo, finché non capirà che è il benvenuto. –
Il cuore gli si strinse in una morsa. Quello era davvero un bellissimo e dolorosissimo sogno.
- Perché non la smetti di fare il cretino e vieni semplicemente a festeggiare il Natale qui? -
Harry non ebbe il coraggio di guardare negli occhi il fantasma. Non aveva mai dubitato che fosse ben accetto, nemmeno dopo la fine della relazione con la più giovane della casa, ma dubitava che potessero accettarne il motivo.
- Voglio bene ad ognuno di loro, davvero.- soffiò – Ma ci sono cose di me che potrebbero non accettare.-
Il fantasma alzò un sopracciglio – quindi semplicemente assumi che sia così e ti allontani? –
- è… più complicato di così.-
- A me pare semplice invece. –
- Vivo praticamente nel medioevo, Draco. Credi che potrebbero comprendere che amo un uomo?-
Nuovamente il suo cuore si strinse in una morsa. Il fantasma invece che accettare quella spiegazione, sbuffò una risata – Secondo me, Molly ti conbinerebbe qualcosa con i maschi. Ne ha sfornati tanti, uno ti dovrà pur piacere. – sogghignò – Nel caso dei gemelli, ti conviene accettare le cose a tre.-
Suo malgrado si ritrovò a sorridere – Sì, certo. –
Draco gli detta un colpettino sulla spalla e gli fece cenno di seguirlo.
Uscirono in veranda dove trovarono Hermione intenta a legare un pazzo alla zampetta di un gufo.
- Pensi che stia bene? –
- Da solo in santa pace invece che in una casa affollata? Dove firmo? Faccio volentieri a cambio! –
Lei gli dette una spallata, lui alzò gli occhi al cielo.
- E’ solo un giorno, Herm. Lovediamo tutti i santi giorni al ministero, di che ti preoccupi? –
Lei osservò il gufo prendere il volo prima di scrollare le spalle – Nessuno dovrebbe stare solo a Natale. –
Ron non sembrò essere davvero in disaccordo con lei, il suo chiarissimo intendo era solo di ridimensionare la sua preoccupazione.
Non era lo stare solo, era lo scegliere di farlo, e per una ragione che si ostinava a non dire.
Era questo a impensierirli e Harry lo sapeva bene.
- Capisco la sua famiglia, ma perché non hai detto nulla ai tuoi migliori amici? –
Questa domanda caddé come una scure sul suo collo – non erano d’accordo che dessi un lavoro a Malfoy, figuriamoci se capiscono cosa provo per lui.-
- Per me.- lo corresse, il fantasma.
- Tu non sei lui.-
Questi alzò gli occhi al cielo e gli indicò di seguirlo – E allora andiamo da lui.-
Aprì un’altra porta e nuovamente vi fu oscurità. Quando la luce tornò era in una casa che non aveva mai vsito, ma riconobbe i presenti.
C’era Zabini con un maglione natalizio di dubbio gusto e Pansy con un capellino che sembrava amalgamato in simbiosi con la sua acconciatura. Blaise aveva due boccali di zabaione e stava camminando verso una figura china su dei fogli.
- Ti fa lavorare anche a Natale?- sbottò il corvino esasperato.
Da una pila di fascicoli spuntò la testa di Malfoy. Aveva un po’ di occhiaie e i suoi capelli solitamente perfetti erano spettinati sul davanti.
- No. – rispose – Era sommerso di laboro così gli ho rubato un po di pratiche. –
- Come, scusa? –
Draco si grattò un accenno di barba che gli stava ricrescendo. Quando non lavorava era chiaramente un po’ più trasandato e Haryr dovette ammettere con un certo rammarico che lo trovasse ancora più sexy.
- Fnirò entro l’ora di cena. – tagliò corto, prima di rituffarsi nelle scartoffie.
Blaise restò un attimo lì in piedi prima di ringhiare – tu sei completamente matto!- e andare via.
Harry e il fantasma restarono soli a osservare Malfoy, quello vero, chino a lavorare, unicamente per aiutare lui. Il giorno di Natale.
- … i WEasley, perfino draco Malfoy. Tutti ti vogliono bene. – sussurrò il fantasma – Perché respingi tutti? –
Harry non poteva non notare le dita di Draco, così strette intorno alla penna d’oca da sbiancare. Di solito, era sempre così posato e sotto controllo a lavoro da non averlo mai davvero visto stressato.
- gurdarlo, si impegna tanto. Per me. – soffiò – perché cercava un lavoro e nessuno voleva darglielo. Ci siamo incontrati per caso. Ho voluto aiutarlo.- la sua voce sfumò – non è solo il fatto che sono un uomo e sono attratto da lui. Sono anche il suo capo. E’… sbagliato. -
- c’è una regola che lo vieta? –
- Sono l’unico lavoro che sia riuscito a trovare, se capisse cosa provo lo metterei così tanto a disagio da metterlo in difficoltà. Non può perdere questo lavoro e non voglio che detesti averlo.-
Il fantasma lo fissò per un lungo momento poi mormorò – Eccolo San Potter. Il mondo intero dipende dai suoi capricci. Nessun’altro può anche solo permettersi il lusso di scegliere, vero? –
Harry restò in silenzio,mentre il fasntasma lo biasimava con una piccola nota di rabbia.
- Voglio sbegliarmi ora.- dercretò.
- Ti manca ancora un fantama, lo sai.-
- so, come finisce. Ho letto il libro.-
- Dvvero? –
Harry arrossì – Beh, ho visto il film. Ora andiamo? –
Con un sopriso il fantasma svanì, così come il draco chino sulle scartoffie e il resto della stanza.
Restò solo, di nuovo nell’oscurità.
Conosceva la storia, ora spettava al futuro. Aveva allontanato tutti, letteralmente. Si chiese se almeno sarebbero venuti al funerale.
La tristezza aleggiò attorno a lui, diventando un tuttuno con quell’oscurità.
Si risvegliò nel suo letto.
Stavolta, era davvero sveglio.
Un raggio di sole gli finiva direttamente nella retina, cosa che lo costrinse a sedersi pur di sottrarsi a quella tortura. Si massaggiò il viso, ancora totalmente nel pallone.
- Che sogno assurdo! – bofonchiò.
Qualosa si mosse, lo perpecì prima ancora di vederlo. Le coperte ondeggiarono fino a che non fece capolino una testa bionda dalle lenzuola.
Draco si stiracchiò, ancora con gli occhi chiusi e bofonchiò un – Mh?-
- che ci fai qui?- domandò – non dirmi che…-
Stava ancora dormendo? SUL SERIO?
Il biondino socchiuse gli occhi e sembrò infastidito – Toccava a te incartare i regali.- replicò draco Malfoy
O era il terzo fantasma?
- che regali.-
- cielo, la mattina sei rincoglionito peggio che mai.-
Draco sbuffò e si alzò dal letto. Sotto gli occhi sempre più confusi di Harry la figura totalmente nuda del suo segretario si alzò per camminare per la stanza come se fosse la cosa più normale del mondo.
- No, niente bis. – disse Draco dopo aver notato la sua faccia da pesce lesso – Risciamo di svegliarlo. –
- sbegliarlo? –
Prima che Draco potesse dire alcunché dal corridoio si sentì u singhiozzo. Come per magia, il fantasma si mise la vestaglia addosso e si precipitò fuori dalla stanza.
Totalmente confuso, Harry si alzò dal letto e lo seguì lungo il corridoio, fino a una stanza che di solito teneva chiusa ma che ora aveva un coccarba blu attaccata sulla porta. Fece un passo nella stanza e si ritrovò davanti la scena più bella che avesse mai visto.
Draco Malfoy, con un bambino tra le braccia che tendeva le mani alla ricerca del suo viso. Uando il bambino si girò verso di lui, successe quella cosa strana nei sogni, dove una cosa totalmente irreale e assurda sembrava ovviia come un raggio di sole.
Lo riconobbe come loro figlio e riconobbe loro come la sua famiglia.
- Papà!- esclamò il bambino, tendndo le braccia verso Hrry con così tnta foga, che si ritrovò a correre per afferrarlo prima che cadesse.
Non che Draco avrebbe potuto davvero farlo cadere, ma l’istinto di proteggere quel frugoletto era improvvisamnte più forte di ogni altra cosa.
Draco sorrise – Preferisce te, non c’è verso .- replicò, prima di posare una mano sulle spalledi entrambi e sorridere - ma vuoi bene anche all’altro papà, vero James?-
Il bimbo sogghingò, birichino e si aggrappò più forte a Harry.
Era chiaramente una cosa tra loro. Draco fece finta di mettere l broncio finché il piccolo James non tornò più che volenieri tra le sue braccia.
Quel sogno era….Così bello che gli venne da piangere.
- Ti amo. – gli uscì, con una naturalezza disarmante. Draco alzò gli occhi al cielo – non te la caverai così. Fila impachettare il regali! Su! –
Harry non voleva andare da nesusn’altra parte, ma l’altro era categorico. Così si avviò verso il corridoio.
- Ti amo anche io, scemo.- gli sentì dire poco prima di attraversare la porta.
Ma il piede cadde nel vuoto e lui a seguire.
Con il nome del suo segretario che gli graffiava la gola, finalmente harry si svegliò.
Questa volta la sua stanza era di nuobvo buia e fredda… era la sua realtà.
Una relatà dove anche se fuori spelndeva il sole gelava il cuore.
Voleva tornare indietro, vleva quel futuro. Voleva…
Le solite voci, le solite scuse vennero a galla: non poteva amarlo, non poteva essere sincero, non poteva avere quella felicità.
Ma questa volta, senza unv ero motivo, non erano le urla che aveva sempre sentito rimbombare nella sua testa.
Non erano che lievi sussurri, sussurri a cui non serviva dare alcuna attenzione.
Si alzò e si vestì al volo.
Aveva una famiglia da recuperare… e una famiglia da creare.

Scrisse a Draco di non lavorare, che aveva la settimana libera. Poi bussò alla porta dei Weasley.
Chiese di parlare con Ginevra, e soli, in una stanza con quattro letti accatastati le disse la verità.
Attese la sua reazione, ma lei annuì solamente.
- Ci staranno aspettando.- soffiò dopo un po’.
Harry annuì e si alzò, lei però restò seduta. Passò un minuto in silenzio prima di dire.
- Mi servirà un po’ di tempo, ma alla fine andrà tutto bene.- promise.
Per Harry era più che sufficiente.
Fu un po’ imbarazzante all’inizio, ma poi fu perfetto.
Gran parte del disagio che provava era unicamente creato da lui, dai suoi pensieri.
Nessuno lo fece davvero sentire di troppo.
Tuttavia, non era finita. Aveva qualcun altro con cui essere totalmente sincero.
Quando Draco tornò a lavoro, era di nuovo impeccabile come sempre. Harry gli concesse un ultima occhiata lasciva, prima di chiamarlo in ufficio.
- dimmi tutto.-
- So che hai preso dei fascicoli per lavorare durante le vacanze.-
Dalla rigidità delle sue spalle poté notare la realtà di quelle parole – posso spiegare.-
Harry srollò le spalle – Il tuo impegno non è passato inosservato, non avrei potuto chiedere assistente migliore.-
- Harry? –
- Tuttavia…-
Quel “Tuttavia” aleggiò tra loro, lapidario. Draco serrò i pugni.
- Tuttavia, non posso nemmeno continure ad essere egoista. – finì Harry. Prese un foglio dalla sua tasca e glielo porse – Ho avuto un offerta di lavoro per te, grado superiore, paga migliore, più attinente alle tue reali capacità.- gli fece un largo sorriso – Buon Natale, Draco.-
Il giovane segretario fissò quel pezzo di carta con un’espressione indecifrabile - Non capisco. –
- ho fatto una magia e ti ho trovato un lavoro migliroe. – rassiunse per lui – garantisco per te, ma so che non mi deluderai. –
Gli occhi grigi di draco si alzarono dalla busta, fino a incrociarsi con i suoi. Poi rilassò le mani e disse solo – No, grazie. C’è altro? Ho da fare.-
- come?-
- Non mi interessa. –
- Ma è un lavoro migliore. –
- E io non lo voglio.-
- Perché mai non dovresti volerlo.-
Draco lo ignorò del tutto – Se non c’è altro, ho del lavoro da sbrigare.-
- Draco!- lo chiamò, e la sau voce fu talment lapidaria che il segretario si immobilità, colto come una bambino nel pieno di una marachella.
- Devi accettare il lavoro.-
L’espressione tranquilla del segretario vacillò – Perché dovrei? Sono perfettamente felice di quello che ho. –
- Non puoi essere felice di quello che hai! – esclamò piccato.
- Non pensavo di doverti cheidere il permesso.-
- Sai cosa intendo.-
Per un secondo si guardarono. Non avevano le bacchette sguainate ma quella era una battaglia.
- Dammi una sola buona ragione per accettarlo. Una sola. –
- Te ne ho date settantra tre.-
- Una ragione che per me valga qualcosa.- corresse allora – Perché sono perfettamente felice del lavoro che ho.-
Quella cocciutaggine lo stava innervosendo, Harry strinse le dita attorno alla lettera e si ritrovò a direcon rabbia – Perché sono innamorato di te e non voglio che questo mini in ogni modo il tuo futuro. –
Aspettò il disgusto, aspettò la rabbia, aspetto… qualcosa.
Ma Draco si limitò a guardarlo con un espressione quasi seccata.
- No, grazie. – ripeté – c’è altro? –
Come… cosa… perché…
Harry boccheggiò, completamente nella confusione. Draco accolse quel silenzio come un diniego. Tornò alla sua scrivania come se nulla fosse e Harry tornò alla sua con el game molli.
Aveva pensavo per tutto qel tempo alle sue possibili reazioni, ma quello… oh quello era del tutto inaspettato.
Dopo quache ora, Draco bussò alla porta e entrò per elencargl i suoi impegni. Lo fece con la salita fredda professionalità.
- Devi vedere il ministr nel pomeriggio. Per organizzare la tua entrata alla festa di caporanno.-
Harry soffiò – sì .- come un automa.
- Ho preparato un pensiero per lui e sua moglie. Sono una cravatta e una collana, cerca di fare dei complimenti a lei quando gliela darai.-
- sì.-
- In serata c’è il nostro appuntamento. Vestiti elegante, paghi tu. –
- sì – poi qualcosa stronò – spe, cosa? –
Dracotentava di non sogghignare mentre gli passava la lista scritta. Era lì, nero su bianco. Ore 21, appunamento romantico.
Con il cuore che gli batteva all’impazzata lesse.
Ora 23: Azioni ricreative. Usare le precauzioni.
Draco non disse altro, semplicemente uscì dalla stanza e tornò alla sua scrivania.
Harry restò cinque minuti buoni a fissare quel foglio, poi lo piegò e lo mise nel portafogli.
Fino a qualche giorno prima il mondo era buio e freddo.
Poi il rimpianto, la soluti dine e la speranza erano apparsi, mostrandogli la realtà.
Si ritrovò a sorridere, come un bambino che scarta il regalo di Natale, con ancora tutta la gioia di quel momento addosso.
Era tornata ad essere la sua festa preferita.



























La scelta

Apr. 1st, 2020 11:27 pm
macci: (Default)
Prompt: (immagine) castello, corvi, ragazza
Parole: 470


LA fabbrica della anime era circondata da corvi delle tenebre. Fissavano ogni angolo del castello, per trovare e attaccare ogni luccichio di anime raminghe. Non di rado, infatti, le nuove creazioni sfuggivano al controllo del creatore per tentare la fuga. Le oli dellโ€™oscuritร  piombavano allora su di loro, divorandole.
Era un posto spietato quello, eppure era anche la culla della vita.
La vita, era altrettanto spietata.
La ragazza non aveva un nome, non era ancora stata in grado di ottenerne uno. I demoni si rivolgevano a lei come โ€œlโ€™animaโ€.
Lei era lโ€™unica, lโ€™unica che i corvi dellโ€™oscuritร  avessero mancato, lโ€™unica che era riuscita a fuggire.
Ma da allora non aveva trovato che solitudine e desolazione: era, appunto, lโ€™unica.
Talmente rara che quando fu catturata, lโ€™asta era stata spietata. Per lei regni infernali si erano dissanguati, avevano perso armate e proprietร .
Riconsegnarla al creatore delle anime, sarebbe stato come ingraziarselo.
Lasciare finalmente che registrassero la sua licenza, sarebbe stata la vittoria sullโ€™ordine divino, sopra la volontร  di una singola anima.
La ragazza perรฒ aveva cercato un nome, ogni giorno si chiamava diversamente: quel giorno era Ayleen. Non avendo ancora un corpo vero, poteva anche modificare la pasta grezza di cui era fatta.
Quel giorno, aveva deciso che il seno grande non le piaceva, cosรฌ aveva ulitizzato parte di quella pasta per le maniglie dellโ€™amore.
Gli erano sempre stata simpatiche le maniglie dellโ€™amore. Credeva che avessero a che fare con lโ€™amore, anche se non sapeva bene cosa fosse.
Non avendo ancora alcun brevetto, il nuovo proprietario non poteva reclamarla ancora, ma poteva comprarla sottobanco.
Per lei, vendesse il suo primogenito al tribunale.
Lui non la marchiรฒ e nรฉ le dette un nome. E, nonostante le sue paure, la trattรฒ bene.
Era con lui da quello che gli umani avrebbero chiamato un anno quando si ritrovรฒ a leggere un libro e trovรฒ una lettera. Era del creatore delle anime: lo pregava di prendersi cura di lei.
Lei pianse, per la prima volta, e realizzรฒ per la prima volta che provava qualcosa, oltre alla curiositร  e alla sopravvivenza: era felicitร .
Quella mattina si guardรฒ allo specchio e si rese conto che non modificava piรน da tempo il suo corpo, che non era piรน indecisa su come dovesse essere: quello era il suo rifletto.
E lei era finalmente umana.
Il suo padrone entrรฒ in stanza dopo aver bussato e le disse che la cena era pronta, lei si ritrovรฒ a sorridere piรน apertamente di quanto la sua bocca potesse fare.
Quella sera mangiรฒ fino a scoppiare e non era mai stata piรน felice.
Era finalmente libera di essere sรฉ stessa.
Perchรฉ apparteneva a lei tutto: il suo corpo, il suo nome, la sua volontร , i suoi sentimenti.
- Il mio nome รจ Talisya. โ€“ disse.
Lui sorrise ad annuรฌ.
E quello divenne il suo nome.
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Prompt: cavallo alato nel tramonto (immagine)
Parole: 482

- Cosa dovrebbe essere? โ€“ domandรฒ Draco osservando il dipinto di un cavallo amato che correva al tramonto.
Harry alzรฒ un sopracciglio โ€“ Secondo te? โ€“
- Cioรจ so cosโ€™รจ. โ€“ disse โ€“ Ma non so cosa dovrebbe significare. โ€“
Harry osservรฒ il proprio dipinto. Ci aveva messo un intera settimana a farlo. Non era un suo dipinto originale, era una commissione che il ministero gli stava pagando profumatamente e lui stava facendo un sacco di quei lavori per potersi pagare una casa con il suo bel ragazzo.
Non voleva che Draco ci mettesse un soldo, non voleva fare il mantenuto e da quando si era appassionato alla pittura per esorcizzare i suoi demoni, si era riscoperto perfino bravo in essa.
Era strato strano quanto straordinario.
Sospettava che gran parte del suo successo fosse portato dal suo nome, del resto una volta usciti i primi lavori, ricollegarli a lui era stato quasi inevitabile, ma poteva consolarsi di essere riuscito a ottenere un certo numero di follower anche on-line.
Draco non lo sapeva, sapeva solo che cโ€™era gente a cui piacere e lo vedeva spesso davanti a quella scatoletta, ma non si era mai davvero interessato.
Lโ€™unica cosa che gli interessava quando era davanti al pc, era distrarlo, con bocca, mani, e il suo corpo nudo.
Per fortuna, non attivava mai la webcam.
Altrimenti, avrebbe offerto un altro tipo di opera dโ€™arte ai suoi seguaci.
- Ti piace? โ€“ domandรฒ alla fine di una lunga pausa.
Draco strizzรฒ gli occhi come se potesse leggere attraverso gli acrilici qualche messaggio segreto per fece quella cosa che faceva sempre quando si trattava della sua arte: mentire spudoratamente.
- Beh, รจ molto bello. Mi piace molto. โ€“
Harry sorrise, anche se era piuttosto consapevole della menzogna. Ma quella bugia bianca era adorabile, lui era adorabile.
Draco non era nuovo a commenti sarcastici, non era proprio capace di trattenersi, ma lo faceva per lui.
In Malfoyese era la piรน grande dimostrazione dโ€™amore che potesse dargli.
Gli rubรฒ un bacio sulla guancia e pulรฌ i pennelle nellโ€™acqua raggia prima di togliersi il grembiule e guardarlo.
- Bene ora che ho finito ho tanto da recuperare. โ€“ confermรฒ.
- Qualche show su Fesslfix? โ€“ domandรฒ.
Non era troppo sicuro che sbagliasse per prenderlo in giro.
- Oh, anche. โ€“ confermรฒ Harry โ€“ Ma piรน che altroโ€ฆ te. โ€“
Prese un pennello pulito e lo guardรฒ, come se pittore ammirava un bozzetto di cui ne vedeva giร  la completezza nella sua mente.
Era spettacolare.
Draco comprese il pennello a cosa sarebbe servito e sorrise, divertito.
- Ti ricordi la parola di sicurezza? โ€“
- Certo. โ€“
- Qual รจ? โ€“
- โ€œTi amoโ€. โ€“
Draco alzรฒ una spalla e iniziรฒ a spogliarsi โ€“ Del resto, quelle due parole me lo hanno sempre fatto ammosciare. โ€“ bofonchiรฒ.
Peccato che troppe volte lo aveva visto venire con quelle parole sussurrare nelle orecchie.
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Prompt: Hurt/confort
Parole: 437



Quel giorno si era ritrovato da solo, con il cuore a pezzi e un bicchiere di whisky in mano. Non era di ottima qualitร , non era abbastanza ricco da permettersi quello di buona qualitร , non certo come il suo ragazzoโ€ฆ
Il suo ex ragazzo. Doveva ricordarselo.
Una lacrima gli salcava il viso quando si rese conto di qualcuno che si sedeve accanto a lui. Un ragazzo biondo, con i capelli lunghi chiusi in una cosa gli sorride, ma non con il sorriso arrogante da damerino che tanto odiava.
Era un sorriso quasi dolce e i suoi occhi erano caldi.
Ma tanto non importava. Lโ€™importante รจ che fosse biondo, la lunghezza? Poteva credere che fosse passate tempo.
Nella sua mente, poteva essere un ritrovarsi.
- Ciao. โ€“ fece lui.
- Bagno o casa tua? โ€“ rispose invece Adam con bevendo un sorso.
- Stai piangendo. โ€“ puntualizzรฒ il ragazzo confuso dagli eventi. Come se fosse davvero lรฌ perโ€ฆ cosa? Consolarlo?
Ridicolo.
- Proprio per questo. โ€“ confermรฒ Adam con una scrollata di spalle โ€“ Bagno o casa tua? โ€“ ripetรฉ.
Scelse casa sua.
Non era mai consigliabile invitare a casa gente sconosciuta, ma forse era solo tanto stupido. Non che lui avesse stra intenzioni, lโ€™unica cosa che voleva era chiudersi nella sua fantasia e godersi un poco di sano sesso consolatorio.
Il ragazzo ci sapeva fare, non cโ€™era dubbio. E ce lโ€™aveva anche dicretamente grande.
Gli fu faciule socchiudere gli occhi e credere di essere con lui, il suo ex, lโ€™ex che tanto amava e che lo aveva lasciato perchรฉ non se la sentiva di convivere, o forse non voleva il cane, di certo non voleva impegnarsi.
Tutto ciรฒ che voleva era fotterlo, tanto valeva convincersi che fosse bravo solo in quello.
Il sesso, del resto, gli era sempre piaciuto.
Il mattino dopo Adam si svegliรฒ con gli occhi gonfi e la gola secca, il ragazzo gli portรฒ la colazione a letto e gli sorrise.
Alla luce del giorno, aveva un bel sorriso.
- Ora, parliamo? โ€“ propose.
- Perchรฉ? โ€“
Lui scosse le spalle e prese una ciambella per addentarla โ€“ Perchรฉ sรฌ. Parla con me. โ€“
Gli avrebbe lanciato il caffรจ addosso e sarebbe scappato se non fosse stato affamato, assetato e indolenzito.
Non insistette molto sul parlare, ma lo lasciรฒ aprirsi pian piano. Bastarono quattro semplici parole per far crollare la diga โ€œho il cuore spezzatoโ€
Parlarono molto, per molto tempo.
Lui lo consolรฒ, poi fecero di nuovo lโ€™amore.
Il suo sorriso, i suoi occhi e il suo corpo eranoโ€ฆ caldi.
Si innamorรฒ come uno scemo, di quel calore.
Questa volta perรฒ, fu per sempre.
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Prompt: differenza di età
Parole: 686

Eccolo che tornava.
Una volta scoperto un nuovo gioco, Peter Pan era una persona veramente facile da plagiare. E quel gioco, era molto, molto divertente.
Lo aveva scoperto una notte, spiandolo in compagnia con un uomo della sua ciurma. Lo aveva notato, sbirciare dall’oblò, si era persino messo in modo da fargli vedere esattamente cosa stava accadendo, di fargli vedere quanto il suo sottomesso stava godendo.
Si era spinto nel suo uomo e nella sua bocca, consapevole che Peter li stava guardando.
Il giorno dopo, vederlo tornare a sbirciare, gli aveva dato un senso di euforia. Aveva lanciato l’amo… e aveva pescato un ragazzino curioso.
Ci volle una settimana affinché Peter non entrò nella sua cabina, convinto che dormisse, e non volasse a un metro da lui.
Sentì il suo sguardo addosso poi sempre più in basso finché non sentì delle mani scivolare sulla cinta dei suoi calzoni.
Restò inerte mentre le mani di un ragazzino curioso lo spogliavano fino a scoprire il suo sesso a riposo.
- non è duro. – lo sentì sussurrare, sovrappensiero.
- Prova a leccarlo. – prose Hook con un sogghigno.
Peter volò via dall’altra parte della stanza, attaccato al soffitto, la mano al pugnale, gli occhi fissi sulla minaccia. Hook si alzò sui gomiti con un sorriso sempre più largo.
- Buona sera anche a te. – soffiò, divertito.
- Perché non è duro? – domandò Peter, nonostante fosse guardigo era per sempre incuriosito. Hook aprì di più le gambe per dargli una chiara visione.
- Perché non sono eccitato. – mormorò.
- che significa? –
- Nulla che un moccioso come te possa capire. – l’amo fece splash.
- Io posso capire? – la lenza veniva tirata.
- Nah, non sei in grado di capire il sesso. – Un po’ di resistenza – Torna a casa, Peter, questo è un gioco che non sei in grado di fare. –
Peter tornò su di lui, gli occhi brillanti per la sfida – Invece sì.-
Il pesce è fuori dall’acqua e si dimena tra le sue mani.
Aveva pescato un ragazzino da fottersi.

Hook ti tolse l’uncino e lo lanciò lontano, poi disse – Sono disarmato. –
Peter poggiò il suo coltello non troppo lontano da lui, sempre guardingo.
- Come si fa qeusto gioco? –
Hook si prese il sesso tra le mani e gli fece vedere come carezzarlo – Intanto devi fargli qualche carezza.- soffiò – Poi, stando attento ai denti, lo lecchi. –
- Perché dovrei farlo? –
- Così diventa duro. – soffiò – E una volta duro, posso insegnarti come giocare. –
Peter lo guardò per un lungo minuto, lentamente si avvicinò al sesso. LIl primo tocco fu titubante, poi divenne smpre più sicuro di sé e presto acquistò dimestichezza.
Era un po’ busco, ma ottenne l’effetto sperato. E la sua bocca calda era divina.
Hook gli insegnò esattamente come succharglielo, esattamente come masturbare sé stesso e prepararsi.
Peter divenne un esemplare di studente perfetto, tanto che quando volò sul suo cazzo per fottersi da solo, lo fece diligentemente.
Era coraggioso, era impavido, non lo spaventò nemmeno il dolore.
E se l’avesse fatto, Hook era pronto a sfidarlo anche in quello.
Poi il piacere prese il sopravvento, Hook iniziò seriamente a perdere il controllo. Afferrò Peter che stava rallentando per la stanchezza e lo spinse sul materasso, inziò a fotterlo senza tregua, senza pietà.
Quando vide le prime luci dell’alba capì di averlo fatto per ore.
Guardò in basso, peter aveva gli occhi assenti, le labbra schiuse. Il sesso duro, ma gocciolava sul seme che si era condensato sul suo grembo.
Hook usc da lui, avendo svuotato anche l’ultima energia che aveva dentro di lui e soffiò – Allora, Peter, ti piace qusto gioco? –
Peter sembrò quasi non udirlo ma due attimi dopo lo guardò. E sorride.
- non ho capito come si vince. – soffiò.
Hoook quasi rise, mentre i suoi occhi brillavano – Ho vinto io, ma puoi tornare domani per una rivincita. –
Torno il giorno dopo, e quello dopo ancora.
Il pesce ormai era suo e lo stava divorando con avidità.

Splash

Mar. 21st, 2020 10:53 pm
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Prompt: water
Parole: 339

Draco se ne stava nella vasca a sguazzare, i suoi occhi indugiavano sulla compagnia del suo inusuale compagno di bagno.
A quanto pare, era una cosa che poteva accadere.
Aveva trovato Harry Potter già intento a lavarsi quando era arrivato lui, mentre il moretto era arrossito pronto ad andare via, Draco si era limitato a spogliarsi e buttarsi in acqua.
Poi era rimasto lì a guardarlo, mentre Harry tentava di darsi un tono e non sembrava imbarazzato.
Ma erano due uomini nudi nella stessa vasca. Avrebbe dovuto essere imbarazzato, era del tutto normale.
Ancora di più se avesse avuto anche il più piccolo sentore di una verità innegabile: a lui piaceva la mazza. E quella di Harry potter era piuttosto a postata di mano.
- Quindi… ti va di scopare? –
Harry arrossì vistosamente e sembrò abbassare gli occhi sulla schima, precisamente sulla schiuma che copriva le sue grazie.
- … intendi. –
- Già. –
- … sei serio? –
Draco sogghignò – Che altro motivo avrei avuto per spogliarmi e immergermi in una vasca con te, razza di idiota? – disse – Per lavarmi davvero? –
- Magari eri uno che risparmiava acqua. –
- La mia paghetta può pagare acqua per un mese. Ma sì, diciamo che voglo risparmiare acqua. Tanto vale… sporcarla. –
Cion due dita fece per schizzare un po’ d’acqua a Harry colpedolo sugli occhiali già mezzi appannati.
Fece per toglierli, quando draco farfugliò – No quelli no. Lasciali. –
- Perché? –
- Perché voglio scopre con Harry Potter. - soghignò – e sono un po’ un mio sogno erotico. –
Harry li pulì malamente su un asciugamano e li infornò nuovamente.
Ora i suoi occhi, divennero sottili e brillanti.
- Beh, se è quello che vuoi. – mormorò – Non mi va di sprecare acqua. –
L’acqua della vasca finì tutta sul pavimento per via dei movimenti, così tanto che quando ebbero finito non era rimasta che un litro scarso.
Dopo, si fecero di nuovo un bagno per pulirsi dal bagno.

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Prompt: amore fraterno (sì, come no! *wink wink*)
parole: 3410
 

In vino veritas

 


Erano quasi le due quando Draco ricevette la telefonata. Si svegliò con il cuore a mille e l’ansia che pulsava nelle vene: Era hermione Granger.

Sbuffò sonoramente e domandò – Dove? –
- Al solito posto. –
- Cerca di non farlo morire intossiacato tempo che arrivo.-
Chiuse il telefono e si buttò dei vestiti addosso, aveva le palpebre così pesani che nn sapeva nemmeno più il suo nome.
Di certo, ricordava il nome della causa di ogni suo male: Harry Malfoy.
Merlino solo sapeva quando odiava che sua madre avesse sposato suo padre e si fosse ritrovato dall’oggi al domani con un fratellastro, per fi più un fratellastro famoso.
Era stato costretto a sentirsi in ombra ovunquq andassero, e a raccogliere i cocci di un fratello che non avrebbe mai voluto avere.
Un giorno lo avrebbe soffocato nel sonno, già lo sapeva, ma di certo non era quello il giorno.
Lo trovò nel solito locale, ubriaco marcio con i suoi due pessimi miglioni amici che tentavano di farlo riprndere. Hermione Granger era la più assennata tra loro, ma non era in grado da sola di fare ragionar i due ragazzi, poteva solo prendersi cura di uno e l’altro… beh l’altro toccava a lui.
Harry alzò gli occhi e soffiò – Il mio heeeore! –
“il mio eroe sto cazzo” pensò Draco con un sospiro, ma lo prede comunque sotto braccio e lo trascinò via.
Salirono le scale barcollando, Draco cercò di fare di tutto per evitare che i loro genitori si svegliassero, riuscì a portarlo in camera sua e buttarlo sul letto con poca grazia.
Poi lo guardò con un lungo sospiro.
Da quando era diventato così?
Prima di entrare ad Howatrs erano davvero fratelli, condividevano tutto, poi qualcosa era cmbiato. I genitori li avevano tenuto all’oscuro della fama del primo e Draco si era scontrato presto con la realtà che Harry era una specie di eroe e che lui sarebbe stato sempre un gradino sotto.
All’inizio, doveva ammetterlo, era stato lui a mettere un po’ le distanze, si era sentito umiliato, messo da parte, solo. Suo fratello era più importante, riceveva più attenzioni.
All’inizio era gelosia, pensava, ma col tempo aveva capito davvero cosa lo infastidisse: erano gli altri. Tutti gli altri al mondo che glielo stavano monopolizzando.
Era geloso non della sua fama… ma di lui.
Solo che a qual punto Harry si era fatto degli amici, erano in case diverse, e una distanza si era creata tra loro che era quasi impossibile colmare.
Erano fratelli, e non avevano più nulla in comune a parte il cognome.
Poi qualcosa era cambiato nel moretto, non sapeva nemmeno cosa, adal momento che erano ormai troppo distanti per parlarne.
Harry aveva iniziato a bere troppo spesso e la Granger a chiamare per portarlo a casa.
Nonostante fosse brutto raccogliere i cocci di suo fratello ubriaco, Draco non poteva nascondere la nostalgia che provava nel sorreggerlo, la voglia di continuare ad essre il uo sostegno, la voglia di…
Di toccarlo.
Harry aveva qualcosa di sbagliato, era innegabile, ma non era più sbagliato di quanto non lo fosse Draco.
Standogli lontano, era cresciuta in lui una nuova, profonda ossessione. La mancanza di Harry aveva iniziato a sentirla così pesantemente, da diventare concreta. Sentiva il bisogno di un contatto con lui, non solo a parole, non solo la presenza… ma anche fisico.
A volte, quaando lo buttava sul letto ubriaco, passava il tempo con le mani poggiate sul suo petto, o sul viso. Gli piaceva sentire il suo calore, gli piaceva sentire la consistenza della sua pelle.
Gli piaceva sentire le sue labbra screpolare sotto i polpastrelli.
Era purtroppo consaepevole che quell’ossessione aveva valicato nuovi limiti, limiti che nessun fratello avrebbe dovuto valicare.
Ma finché era solo quello… andava bene. Doveva andare bene.
Il bisogno di toccarlo, doveva limitarsi ad essere solo quello: un bisogno che non avrebbe mai dovuto essere soddisfatto più di così.
Solo che era così difficile… quando Harry era ubriaco perso, debole, fragile, indifeso.
Aveva immaginato spesso di valicare quel confine, baciarlo… dar sfogo al suo bisogno di toccarlo lasciando scivolare le mani ovunque sopra di lui, dentro i suoi vestiti…
L’ultima volta che l’aveva visto nudo avevano dieci anni. Ormai doeva avere svviluppato una folta chioma sul pude e… decisamene un più sviluppato organo.
Cavolo, pensò tornando alla realtà, doveva lasciare quella stanza prima che la sua ragione scivolasse via, permettendogli di valicare un confine che non era umanamente valicabile.
Harry mugugnò qualcosa, aprì gli occhi e lo guardò.
Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, si sentì guardato da lui davvero.
Per un attimo, sembrò che quello sguaro potesse vedere ciò che tnetava con tutte le sue forze di nascondere.
- Dormi. – gli disse – Buona notte. –
Harry socchiuse gli occhi, ma non li serrò, schiuse le labbra come se volesse dire qualcosa, ma non disse nulla.
Eppure si mosse, a fatica, come se non riuscisse ad essere coordinato nei momenti e, prima ancora che Draco potesse capire cosa stesse facendo, iniziò a sbottonarsi i pantaloni.
Per un secondo, il cuor di Draco perse un battito, il desiderio che cercava di reprimere fece un piccino saltello, un saltello che gli fece sinceramente male, poi realizzò che con tutta probabilità voleva solo provare a mettersi il pigiama.
Una cosa del tutto normale.
Era solo lui che era anormale a pensare certe cose.
Ma harry fece scivolare una mano nelle mutande e tutto ciò che Draco riuscì a vedere fu un mlto poco equivoco movimento che lo lasciò senza fiato.
Si stava masturbando senza distoglierelo lo sugardo da lui e draco non riusciva a distoglierlo dal fratello disteso, come se ogni fibra del suo essere fosse attratto da quella visione.
Si ricordò di respirare solo quando il suo petto inziò a fare male per mancanza di ossigeno, ma dimenticò subito come si faceva quando, insoddisfatto della costrizione, suo fratello non lasciò scivolare fuori il sesso ora duro per carezzarlo in tutta libertà. Guardando lui.
Il bisogno di toccarlo, divenne devastante.
Draco non ebbe nemmeno la concezione di star muovendosi, fu come se il suo corpo faceva una cosa mentre la mente era rimasta indietro, annebbiata. Aveva teso le mani e aveva stretto le dita attorno all’erezione e si scoprì sorpreso di sentirla bollente e così dura.
Anche se era normale che fosse così, ma toccare un erezione non sua era disorientante.
Ed era l’erezione del ragazzo che era cresicuto con lui, con cui aveva condiviso tutto, che era la sua famiglia che era…
Suo fratello.
Divenne inevitabilmente duro senza nemmeno essersi toccato, e quando iniziò a muovere la mano su quel sesso turgico, riuscì quasi a percepire ogni movimento sul proprio.
Harry sembrò un poì sorpreso, ma si rilassò, tirando via le proprie mani e rimanendo fermo a fissarlo.
Di improvviso, Draco realizzò di essere seduto accanto a Harry ubriaco, con le mani che accarezzavano una meta che non avrebbe mai creduto possibile.
L’adrenalina, l’eccitazione, l’inevitabilità divenne una seconda pelle. Sentì la salivazione aumentare, mentre il bisogno di andare oltre quelle carezze divenne inevitabile.
Si rese conto di aver abbassato il capo sol quanto sentì l’odore del sesso di Harry vicino, ma questo non lo fermò dall’assaggiarlo.
Né lo fermò da perdere il controllo.
Godette nel sentire la punta sbattere contro ogni angolo della sua bocca mentre la lingua assaporava la pelle tesa, giocava con lui.
Non osava alzare gli occhi, non osava fermarsi, osava solo continuare finché poteva.
Poi sentì una mano stringergli i capelli e il panico lo colse: era tornato lucido? Stava per spingerlo via? Stava per rovinare la sua vita?
Ma Harry spinse il suo capo giù con una forza tipica di chi voleva qualcosa, ma era troppo ubriaco per pretenderla.
Draco si sentì attraversato da un’eccitazione nuova e sentì le proprie mutande bagnarsi del suo seme.
Era venuto, solo un po’, ma quanto bastava per farlo sentire sporco, sbagliato… perverso.
Fu come un interruttore che spense ogni vocina, ogni ragione.
Rilassò la mascella e lasciò scivolare quel sesso più in fondo che poté, e dove non risucì da solo, finì Harry per lui alzando i fianchi.
Per pochi, vitali secondi, Draco si sentì la bocca scopata dasuo fratello, e quando sent il seme schizzargli nella gola, venne con un gemito soffuso.
Drizzò la schiena, bagnato, ansante e confuso e ebbe finalmente il coraggio di alzare gli occhi su suo fratello che insisteva nel non distogliere lo sguardo da lui.
Era ancora ubriaco, lo vedeva dall’opacità, ma c’era un’ombra lontana che gli dava quasi la sensazone che fosse lucido.
Ma andava bene così.
Lo avrebbe negato. Doveva. Era l’unico modo.
Quel gioco era ormai finito, ora Draco doveva solo uscire da quella stanza e tornare alla sua vita, dimenticarsi di quello che era successo e poteano tornare a essere due ragazzi cresciuti insieme, con lo stesso cognome, e che erano parte di una famiglia.
Era la cosa giusta da fare.
Perché fare alto era così sbagliato da rasentare la follia.
Harry si mosse piano piegò le dita sui lembi della sua maglietta e iniziò ad alzarla, scoprendo lentamente il suo grembo. Ogni centimetro di pelle che si faceva strada diventava un ultreiorre zona invitante per la sua bocca, come una portata gustosa di una prelibatezza nuova.
Bastò quello, per far sentire il proprio inguine essere pronto a eccitardi di nuovo. Poi bastò vedere Harry arrivare a tirarsi su la maglia poco sopra i capezzoli così da lasciarli esposti per poi tendere una mano verso di lui.
Draco non sapeva davvero le sue intenzioni, merlino, non sapeva nemmeno cosa stava davvero succedendo.
L’unica cosa che sapeva era che prendere la sua mano risultò naturale, asseoncare il movimento che lo tirava addosso a lui, sembrò ovvio, baciarlo… sembrò inevitabile.
Quello non era il suo primo bacio, ma fu come se lo fosse. Ogni molecola del suo corpo si sentì come se fosse stato baciato per la prima volta, forse perché questa volta voleva davvero baciare quella persona, perché tutta la sua vita era dedita a adorare quella persona così tanto intensamente da fare male.
Quando si staccarono, Draco guardò nei suoi occhi e ebbe la sensazione di vedere lucidità, ma a quel punto lui l’aveva persa tutta.
Ormai il suo intero corpo voleva buttarsi in quel precipizio e lasciarsi cadere, pur sapendo che alla fine di quell’oscurità c’era una morte inevitabile.
Assecondò i desideri di Harry, scivolò accanto a lui sul letto, per poi cercare di nuovo le sue labbra. Anche se era il secondo bacio, sentì di nuovo la sensazione che fosse il più importante della sua vita. Perché lo era.
Tutto di quel momento era importante e lo avrebbe agguantato, stretto e custodito per sempre. Anche se Harry non ne avrebbe avuto memoria.
Anche se invece avesse ricordato, e avrebbe fintito per odiarlo.
Si ritrovò talmente assorto nel bacio che si rese conto appena che Harry lo aveva sovrastato, schiacciandolo sul materasso, si rese anche apepna conto che aveva infilato una mano sul suo fianco e ora tentava in modo scoordinato di spoglarlo.
Decise di dargli una mano. Mentre si spogliava, un poco di senno tornò inevitabile, come se finalmente si fosse dato modo di pensare.
Ma non fu abbastanza, nulla era più abbastanza.
Questa volta, quadno cercò le sue labbra, lo fece consaepevolemtne.
Questa volta, fu una decisoone sua.
Harry boccheggiò, senza fiato. Essere ubriaco stava minando il suo controllo, baciarlo e ricordarsi di respirare era un problema comune.
Decise così di dedicarsi anche ad altro, e Draco si ritrovò a fissare il soffitto mentre il resto del suo corpo subiva i malfermi attacchi di suo fratello.
Se Draco non fosse stato cosnumato dal desiderio di farci l’amore, forse quei tocchi, quei baci e quei maldestri tentativi di preliminari non avrebbero sortito effetto. Ma era Harry, un Harry Malfoy eccitato e gli avrebbe concetto ogni cosa.
Si ritrovò sorpreso tuttavia, quando sentì le dita spingersi in lui. Non in modo negativo, ma solo… sorpreso.
Non credeva che Harry avrebbe perfino avuto la lucidità di prepararlo.
Beh, non credeva che sarebbero arrivati nemmeno così avanti, ma ormai c’erano e non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo.
Harry con due dita dentro di lui, una mano che lo accarezzava e la bocca che succhiava il suo capezzolo destro, era la cosa più eccitante che avesse mai vissuto. Ma voleva andare oltre.
Voleva sentirlo dentro di sé.
Chiamò il suo nome, disperatamente e sembrò sortire esattamente ciò ce voleva. Harry tornò in cima, cercò nuovamente le sue labbra e si adagiò tra le sue gambe.
Poi sentì la punta premere contro la sua apertura, e la realizzazione di qeullo che stava per cuccedere lo colpì come un pugno nella stomaco.
Se avesse permesso davvero a Harry di arrivare fino in fondo, nell’atto e dentro di lui, ogni cosa, ogni fottutissima cosa sarebbe cambiata per sempre.
Doveva impedirlo, doveva… fermarlo.
Non poteva perderlo.
Era suo fratello, non importava quando fosse pazzo di lui, non dovevano andare oltre di così.
Sì.
Lo sapeva.
Era lucido abbastanza da saperlo.
Ma non lo fermò comunque, trattenne il respiro, tentando di rilassarsi mentre lo sentiva entrare in lui.
Lo sapeva ma ormai era troppo tardi.
Quando lo sentì completamente dentro di sé, realizzò che era troppo tardi per tutto e che gli stava bene così.
Qeulla sarebbe stata la loro unica, preziosa, volta.
Dopo di che, avrebbe accettato di amare qualcuno che non poteva ricambiarlo, qualcuno con cui non poteva stae insieme.
Avrebbe smesso di respingere i suoi sentimenti semplicemente per accettarli, e accettarne l’impossibilità.
Harry si mosse in lui, e Draco fu sopraffatto dal piacere e dalla tristezza così tanto che premette il viso sul cuscino per nascondere le lacrime.
Harry nemmeno sembrò accorgersene, mentre aumentava il ritmo, sempre più lucido nell’entrargli dentro.
Per minuti, per attimi preziosi, i loro corpo sbatterono l’uno sull’altro, in preda al piacere e Draco cercò le sua labbra e il contatto con il suo corpo come un assetato nel deserto.
Il piacere, era una terza entità tra di loro.
Draco venne con un singhiozzo e il suo nome sussurrato sulla pelle.
E un ennesima lacrima che scorreva sulla guancia.

Non aveva chiuso occhio quella notte. Era semplicemente scivolaro nel suo letto quando Harry si era addormentato e dopo averlo sistemato un poco e aveva fissato il soffitto fino all’alba.
Eppure, quadno si era alato, gli era lo stesso sembrato un sogno.
L’unica cosa che gli era rimasta era il ricordo della sensazione di averlo dentro di sé.
Era decisamente cresciuto e se non fosse stato così smanioso di averlo, Draco era più che sicuro che avrebbe avuto difficoltà ad entragli dentro.
Scese per fare colazione e trovò Harry a tavolo, con del tea tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto.
Quando entrò in stanza, alzò gli occhi su di lui e sembrò non vederlo per un lungo sistante, per poi metterlo a fuoco.
Fa finta di nulla, gli suggerì la sua voce. Così, Draco sussurrò – Buogiorno – e si sdette al suo posto.
Da quando si erano allontanati non parlavano tantissmo. Presto sarebbero tornati as Hogwatrs e sarebbero diventati ancora più distanti.
Il solo pensiero gli faceva male al cuore, ma doveva ingoiare la sua disperazione e accettare che il loro rapporto non poteva cambiare.
Fecero colazione in silenzio. Harry aveva decisamente i postumi della sbornia ma doveva decisamente ricordare qualcosa eprché si uoi occhi verdi continuavano costantemente a tornare su di lui, come se non sapesse cosa era vero e cosa no.
Draco non poteva fare ltro che negare.
Negò per tutto il resto del giorno, in cui cercò di evitarlo senza sembrare troppo palese, finché non fu l’ora in cui Harry di solito usciva e lui di solito si rintanava in camera sua.
Ma quella sera Harry non uscì. Quando Draco fu in camera sua, lo sent’ bussare alla porta.
Draco aprì con una certa ritrosia.
- Che c’è? –
Harry lo guardò per un lungo momento, poi quasi lo scansò per netrare nella sua stanza. Una volta lì, si portò una mano nei capelli e soffiò – Dobbiamo parlare. –
Cazzo. Ricordava? Fino a che punto?
Calma.
Poteva essere solo… paranoico.
- Di cosa? –
Harry alzò gli occhi e per la prima volta sembrò… devastato.
- Farò la cosa giusta. – soffiò – Mi… costiturò. –
- Eh? –
- … ricordo cosa è successo.- mormorò – Cosa ti ho fatto. – si morse un labbro – Non ti chiederò di perdonarmi, voglio solo dirti che so di averti fatto del male e mi costituirò. –
Il cevello di Draco partì a mille, finché non colelgò i pezzi. Harry ricordava, ma era convinto di avr fatto quaclosa di male.
Hary pensava davvero che…
- Non mi hai fatto niente. –
- Mi ricordo. – insistette.
- Non mi hai fatto nente di male. – si corresse allora Draco.
Harry lo guardò, come se negare la verità non servisse a nulla.
- Io ti ho vio - - non riuscì a finire di dirlo perché Draco ece un salto per raggiungerlo e gli poggiò una mano sulla bocca.
Il contatto del palco contro quelle labbra gli fece ricordare il suo sapore,
Tentò dis cacciare il epsnerio.
- Ero consenziente. – disse, con una risolutezza che non creeva possibile.
Gli occhi verdi lo trafissero, Harry gli prese la mano per spostarle dalla sua vbocca – No che non lo eri. –
- lo ero. –
- Piangevi. –
Draco si sentì ora sul punto di tornare a farlo.
- Non per quello che credi. –
Harry ora non sapeva che pensare, si limitava a guardarlo, come se gli sfuggisse qualcosa.
Ma non era l’unico che non capiva cosa stava succedendo.
- Eri ubriaco, Harry. E’ successo. Non ci sono colpevoli, lasciamoci questa cosa alle spalle. – provò a fare un sorriso – Siamo fratelli, anche se non abbiamo legami di sangue. Possiamo solo… lasciare perdere. –
Questa volta gli occhi che lo fissavano era lucidi, erano consapevoli – Hai detto che eri consezente. – sembrò realizzarlo.
Cazzo.
Draco fece un passo indietro e scrollò le spalle – Ho detto che non ne dobbiamo parlare. Anzi, dobbiamo dimenticare. Esc da questa stanza Harry e impegniamoci a fingere che non sia mai successo. –
Harry restò fermò – Eri consenziente. – ripeté.
Draco strinse le labbra – Ti prego… va via. –
Harry non fece nemmeno finta di volerlo fare. Semplicemente restò lì, a pensare sulle implicazioni delle due semplice parole: eri consenziente.
Poi disse – Io ti amo. –
E null’altro aveva più importanza.
Draco alzò gli occhi e si limitò a guardarlo.
- io… ti amo. – insistette Harry – e se non provi qualcosa per me, quaslaisi cosa, andrò via da questa stanza e non ne parleremo mai più. – soffiò – Mi impegnerò ad essere un buon fratello, ingoierò i meii sentimenti e non li ripoterò più a galla. – la sua boce tremò come se fosse doloroso anche solo il pensiero – So che le possibitlià che tu privi quclsoa, quasilsiasi cosa, per me, sono molto remote. Ma se anche una picola parte di te, una piccolissima parte, la prova… - lo guardò – io ti…-
- amo. – finì per lui Draco. E quella parole ebbe un sapore stupendo sulla lingua.
Si guardarono, in attesa di capire come andare avanti, nella giornata, tra di loro.
- Quindi… - continuò Draco a disagio – Ora che si fa? –
- In che senso. –
- Non voglio continuare così Harry. – lo freddò – voglio che torniamo ad essere uniti come prima, voglio tornare ad essere tuo fratello, a essere parte della tua vita. – quelle parole non sembravono renderlo felice, così Draco rincarò – E voglio essere tuo. – disse – So che è impossibile, ma… è quello che voglio. –
Harry contò tre secondi prima di attraversare la stanza e baciarlo.
Dopo un lungo appasioannte baciao, si staccò da lui senza fiato.
- Ed è quello che avrai. –
- Ma non possiamo. –
Gli occhi verdi billarono di malizia e divertimento – No, non possiamo. Ma questo non ci fermerà. –
E non si fermarono.
Questa volta, mentre facevano l’amore sobri e consapevoli, capirono che quella relazione avea le carte in regola per essere un disatro e distruggere la loro famiglia.
Ma era anche la cosa più bella del mondo.
E che avrebbero fatto di tutto per farla funzionare.





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Prompt: Fallere nescio - non so sbagliare.
Parole: 477

Sbagliando non si impara

Stare insieme a Draco Malfoy aveva delle conseguenze, una di questi era avere a che fare con il suo essere un arrogante snob.
Se non avesse trovato arrapante questo suo aspetto, probabilmente non sarebbero finiti insieme nemmeno in un milione di anni.
Tutto era iniziato quando i loro battibecchi erano diventati non più tra due bambini, ma tra due ragazzi quasi adulti che venivano eccitati da ogni cosa solita, liquida o gassosa presente nel creato.
Litigare, li eccitava. Non che l’avrebbero mai ammesso, ma era diventato uno strano loro fetish loro. Quasi sempre finivano poi in un angolo privato a sfogare la frustrazione con una mano tra le mutande.
All’inizio era una cosa in solitaria, un giorno però il litifgio accorse in uno spazio trppo ristretto dove sappare era impossibile e si erano ritrovati così soli e eccitati e insieme.
Non ricordava esattamente com’erano finiti a farlo, ma era successo. Dapprima solo con le mani, poi con la bocca, poi con tutto il resto.
In breve, avevano smesso di litigare a voce, ora erano i loro corpi a scontrarsi e ogni giorno sembravano non averne mai abbastanza.
Lentamente, avevano finito col passare le giornate con i pantaloni abbassati e le erezioni in ogni buco che avevano a disposizione.
Ma l’arroganza, oh quella, non era mai scemata in malfoy. Nemmeno quando era piegato a novanta e lo prendeva da lui. Nemmeno quando era in ginocchio e si spingea nella sua gola.
Quasi sempre era lui il passivo, eppure risuciva a risultare sempre e inevitabilmente il coglione arrogante.
Ovviamente, nonostante tutto, si era innamorato piuttosto in fretta.
C’era una frase che Draco diceva sempre “Fallere nescio” che la prima volta che l’aveva sentita Harry aveva ribattuto – Fallo moscio? –
Draco aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva fatto sentire quanto il fatto di non saper sbaglaire coincidesse sul beccare la sua prostata in poche spinte.
Così, Draco non faceva che riterlo.
- Se lo dici ancora una volta – inveì un giorno Harry – giusto che te la ficco giuù per la gola.-
Draco aveva riso, e Harry aveva preso la baccehtta e si era scritto con la magia “fallare nescio” sul cazzo duro.
Poi glielo aveva spinto in gola.
Draco lo guardava con gli occhi spalancati, e lucidi mentre restava inerte e si lasciava scopare la bocca.
Fu il pompino in cui godette di più.
Ovviamente, poi glielo ficcò anche su per altri orifizi.
Da quel giorno, quella frase non fu più tolta dalla sua pelle. tanto che Harry se la tatuò per davvero.
Ora non ea più un modo per rimarcare la superiorità, ma era era un invito.
Draco la diceva tutte le votle ce voleva essee fottuto.
Quindi, non cambiaba nulla, continuava a ripeterla.
E Harry… continuava a ricacciargliela in gola con la forza.
E il altro orifizi.
Erano fatti per stare insieme.

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Prmpt:Nemo non formosus filius matrix. - 'Ogni figlio è bello per sua madre'
Parole: 2011

'Ogni figlio è bello per sua madre'

- Allora mi raccomando. Maniere.-
Harry alzò gli occhi al cielo – non serve che me lo ripeti, è la prima volta che i tuoi genitori mi invitano a cena da quanto stiamo insieme, so che devo fare il bravo. –
Draco stringeva le labbra così sottili che quasi svanivano.
- E’ molto importante. – insistette.
Harry annuì, anche se tutto quello che volva fare era sbuffare e allentarsi la cravatta. Stavano insieme da un anno ma i genitori non lo avevano mai davvero accolto in famiglia, quella era la primissima volta che lo invitavano a qualcosa del genere.
Ma per il suo ragazzo era importante quindi avrebbe accettato la cosa.
Si recarono al Manor tutti imbellettati, Draco era così nervoso che le dita tra le sue tremavano.
- Andrà tutto bene. – cercò di rassicurarlo.
Draco per la primissima volta gli fece un mezzo sorriso, che svanì presto dietro una smorfia tesa – Cerca di non dire o fare qualcosa di sbagliato. Meglio ancora se non dici o fai nulla. –
- Promesso. – annuì – Purché dopo a casa posso fare qualcosa… o farmi qualcosa. –
Draco arrossì vistosamente ma non si arrabbiò. Cosa strana, di solito era imbarazzato a parlare di quelle cose, o comuqneu avrebbe dovuto stando in piedi nell’altro dei suoi genitori nella casa della sua infanzia.
Con un ultimo sguardo, avanzarono epr la casa.
I gentiroi furono gentili oltre lo zuccheroso, offrirono ogni sorta di leccornia e complimenti, così tanto che Harry gli parve di essere finito in un'altra dimensione: per un anno a stento avevano preso coscienza di avere un figlio gay che stava con un uomo e ora sembrava che fossero entuasisti.
- Cosa c’è sotto? – domandò a Draco in un lasso di tempo brave in cui ebbero un po’ di solitudine, il ragazzo evitò il suo sguardo per un po’, cosa che fece accendere gli allarmi del moretto tutti insieme.
C’era qualcosa sotto.
Era in trappola.
Mentre tentava di non dare a vedere l’ansia cresciente cercava di fare mente locale su qualsiasi cosa potesse essere: forse stavano cercando di avvelenarlo? Forse volevano strappargli la promessa di una buona parola con ministero? Forse volevano convincerlo a lasciare Draco?
Col cavolo. Nemmeno morto.
Era suo. Se l’era guadagnato.
Non che potesse effettivamente essersi guadagnato il proprio ragazzo, era piuttosto consapevole che la vita era tutt’altro che giusta, ma si era guadagnato un pochettino di felicità e Draco lo rendeva dannatamente felice.
- “Nemo non formosus filius matrix” – soffiò Narcissa mentre passava una tazza di tea a Draco.
- eh? –
- “Ogni figlio è bello per sua madre” – tradusse Draco per lui.
Si era perso parte della conversazione quindi sorrise e fece finta di aver capito in che contesto era venuta fuori.
Di certo, non era esattamente la persona più indicata per capire citazioni latine.
Narcissa lo guardò. Come se riuscisse a capire il flusso dei suoi pensieri, poi fece una carezza al figlio e sorrise.
- Te ne stai prendendo cura? – domandò.
- Mamma! –
- non posso certo lasciarti a una persona che ti tratta male. –
Oh, era quella la conversazione?
Harry sorrise, stranamente di cuore – Ogni giorno. Giuro. –
Draco gli lanciò un’occhiata di traverso, imbarazzato più che mai. Lei annuì e si alzò uscendo poi dalla stanza.
Draco incrociò le braccia e alzò un sopracciglio – hai la più pallida idea di quello che hai fatto? – domandò
- Ehm… no? –
- Ecco. Sempre il solito.-
Nonostante sembrasse indispettito, c’era una luce strana nei suoi occhi. Una luce calda e amorevole.
La vedeva spesso, a volte Draco non si rendeva nemmeno conto di emanarla. Non ne conosceva la natura, ma sapeva che quando la vedeva, si sentiva amato.
Loro due… erano innamorati. Di questo ne era sicuro.
Ne avevano passate davvero troppe per stare insieme per abitudine o solo sesso.
Lui… lui sì, era follemente innamorato. Mai provato nulla del genere.
Draco si alzò e uscì dalla stanza, lui rimase solo con Lucius che gli lanciò un’occhiata complice.
- Mia figlio deve starti molto a cuore. - gli disse con voce calma.
Harry annuì.
Lucius gli offrì un bicchiere di Burbon magico invecchiato duecento anni, dicendo di averlo aperto per una ottima occasione. Poi si sedette e sembrò studiarlo da capo a piedi.
- Non pensavamo faceste così sul serio. – soffiò – Cioè, che Draco avesse sempre avuto un debole per te era pittustto evidente, ma non credevo possibile che ti conquistasse davvero. –
Harry si sentì arrossire – Perché no? E’ speciale, oltre ad essere bello.-
Oh, la frase.
Ogni persona è bello per sua madre.
Draco, per Narcissa (e in una certa misura per Lucius) era bellissimo.
Lucius si alzò e uscì anche lui dalla stanza, Harry si ritrovò stranamente solo e a disagio.
Poco dopo Draco fece capolino e si sedette vicino a lui.
- Ora possiamo andare. – decretò.
- eh? –
- Andiamo.-
Non aggiunse nulla per tutto il tragitto di ritorno. Come se fosse incredibilmente nervoso. Harry provò a indagare se ci fosse qualcosa che non andava, se gli avessero dtto quaclosa che lo aveva indispettito. Ma Draco scuoteva la testa e continuava a negare.
Anceh se era evidente che ci fosse qualcosa che non andasse.
Arrivati a casa, Harry poggiò il giaccone e lo affrontò.
- dimmi cosa è successo. – gli ordinò – Adesso. –
Draco teneva ancora addosso il giaccone con le mani in tasca. Avanzò per la casa e si ritrovò in soggiorno.
- Preparo la cena. –
- Oddio se vuoi preparare tu la cena deve essere grave. –
Draco alzò gli occhi al cielo – sto cercando di essere carino. – grugnì.
- Ma tu sei carino. Solo che non sei esattamente portato per la cucina. –
- dipende dai punti di vista. In una realtà alternativa potrei essere bravissimo. –
- Questa conversazione non ha senso. –
- Sono nervoso, okay? – quasi urlò esasperato.
- Non mi dire! Ma perché? –
Draco grugnì e tirò dal giaccole fuori la mano, una sctolina era tra le dita, gliela lanciò malamente.
- Per questo, idiota. – scattò – Volevo essere romantico e dartelo in modo giusto, ma sono enrvoso e tu sei un coglione quindi mettilo al dito e sta zitto per una volta. –
Harry sbatté le paplebre e guardò la scatolina. La realizzazione si fece strada in lui molto, molto, lentamente. Poi spalancò gli occhi e la aprì.
Era esattamente quello che credeva fosse?
- siamo andati a prndere l’anello di fmiglia oggi. – confermò con un grunito – E ad avee la benedizione. - continuò – Affinché tu lo sappia, visto quanto sei stato attento oggi, ce l’hanno data. –
- Mi stai cheidendo… quello che penso che tu mi stia chiedendo? –
Draco alzò un sopracciglio – mi hai sentito porre una domanda? –
- No. –
- Perché non te lo sto “chiedendo”. – confermò – Non è nemmeno messo in discussione che tu possa rifiutarti. –
Harry inghiottì a vuoto – Mi… mi pare giusto. –
- Ecco. -
- Bravo. -
Restarono in silenzio per un attimo, poi con un alzata di sopracciglia, Draco lo esortò a proseguire.
Harry infilò l’anello al dito con un’espressione sterile solo in apparenza. Il cuore gli batteva a mille.
- Quindi… oggi era per l’anello. –
- E la benedizione. –
- E la benedizione…- fece eco, pensieroso - … quindi ci sposiamo. –
Draco sorrise, non il sorriso sollevato e felice o innamorato, ma un sorrso predatorio, come un leone che aveva incastrato la sua preda al muro e stava per mangiarla.
- Ufficializziamo che sei mio. – confermò – E i matrimoni dei Malfoy sono per sempre. –

Harry divorò le sue labbra come se ne valesse la sua stessa vita. Non appena aveva attraversato la stanza per baciare il suo ragazzo…no, il suo fidandato, si corrette, la felciità era esplosa in lui.
E lo stava consumando.
All’improvviso, se non avesse baciarto, leccato, divorato ogni parte di lui, non avrebbe più avuto senso vivere.
Non lo fece nemmeno arrivare al divano. Draco si ritrovò piegato slla penisola in marmo, con i pantaloni alle caviglie e la lingua di Harry che gli scopava l’ano.
I suoi gemiti echeggiavano per la casa silenziosa senza alcuna remora.
Gli era sempre piaciuto essere scopato con la ligua, ma di solito cercava di evitare di essere così palese, quasi come se fosse una cosa he non ptoeva permettersi per non lasciargli il controllo, godere.
Ma ora che quell’anello era al sito, era come se avesse finalmente il permesso di lasciarsi andare.
Harry gli fu rpesto dietro, le labbra sulla guancia, le lingua sul lobo.
Draco tirò indietro il bacino, chiedendo di più, gli occhi lucidi per il piacere.
Non serviva nemmeno che parlasse.
Aveva il viso che urlava piacere da ogni poro.
Gli entrò dentro con un'unica spinta, Draco afferrò la penisola come una scialuppa in messo al mare.
Sentì il suo corpo stringersi attorno al suo sesso, come se avesse spasmi, come se cercasse di stringersi più intorno a lui per sentirlo meglio.
- Sei… appena venuto da dietro? – gli domand.
Draco non rispose, si limitò e fare un gesto con la mano come a sottolineare quanto fosse sgarbato averlo chiesto.
Harry decide che era un sì.
L’idea che stavano per sposarsi lo eccitava tanto? Beh, non che lui non fosse altrettanto eccitato.
L’adrenalina era un tutt’uno col suo flusso sanguigno, sentiva il batitto del cuore rimbombare nella cassa toracica come se volesse espldergli nel petto.
Non contemplò nemmeno l’idea di muoversi piano, non era possibile.
Voleva fottere Draco con tutte le sue forze, fino all’ultima goccia di adrenalina.
Draco si ritrovò in un attimo, l’ombra del ragazzo strafottottente che era due ore prima, era un’unica entità di piacere e orgasmi.
Credeva di averlo sentito venire altre due volte, senza versare una sola goccia di seme.
Gli afferrò il sesso e iniziò ad accarezzarlo, cosa che spinge un singhiozzò dalla gola dell’altro che si ritrovò quasi a respingere quella mossa.
- … non ce la faccio più. – soffi senza fiato - …sto impazzendo.-
- Perfetto. –
Era giusto così.
Dovev a essere così.
Inziiò a spingere e accarezzarlo. Ma era scomodo quindi uscì da lui con suo sommo disappunto, per prenderlo e metterlò seduto sulla penisola. Era così stanco e confuso che non si rese nemmeno conto di cosa stava succedendo, fu solo felice quando Harry tornò dentro di lui.
Così felice che cercò le sue labbra e le divorò andando incontro ad ogni singola spinta.
- Ti amo. – gli sussurrò Harry sulle labbra.
Draco si strinse a lui, cercò più contatto possibile tra i loro corpi prima di venire tremando come una foglia.
Harry si ritrovò colto dal suo stesso orgasmo come l’onda più alta e letale di un potente uragano.
Poi crollò, sulla sua spalla e il respiro corto.
Harry Tentò di sorreggerlo nonostante sentisse tutti i suoi muscoli far male.
- Ti amo anche io. – soffiò dRaco così sottovoce che sembrò averlo immaginato.
Era perfetto così.
Tutto era fottutamente perfetto così.
Harry alzò la mano e guardò l’anello. Doveva essere mlto antico, un cimelio di famiglia. Era decisamente la loro benedizione.
I matrimoni dei Malfoy durano per sempre, gli aveva detto Draco. Sarebbe stato con lui anche con tutti i problemi, perfino se un giorno sarebbero arrivati ad odiarsi.
Lo voleva.
Voleva stare con lui per sempre.
Restarono qualche minuto abbracciati, ansant a riprendere fiato, poi Draco si alzò e cercò le sue labbra brevemente.
- Ora mi prparai la cena? – domandò.
- Non dovevi prepararla tu? –
- Quando tentavo di fare il roamntico.- confermò – Ma ora sei mio, quindi ho smesso. Forza, preparavmi la cena. –
Harry sorrise, divertito – Ammetti che semplicemente ti ho fotutto così tanto da non reggerti in piedi. –
Draco non lo negò.
Gli preparò la cena, poi fecero di nuovo sesso.
Come lo avrebbero fatto per il resto dei loro giorni.

Caro amico

Mar. 7th, 2020 11:28 pm
macci: (Default)
 

Prompt: scrittura alternativa, m4

Come l’ho impiegato: Lettera ad un amico.

Parole: 250

 

Caro amico, ti scrivo.

Perché a quanto pare le chiamate sono bloccate tra le dimensioni. Chi l'avrebbe mai detto.

Sono ferma in un'altra dimensione e non so come uscirne. Ci sono finita unendo insieme il corallo azzurro con la magia del Fantàsia. Mi ritrovo a pensare a te, che guardi la televisione seduto sul divano.

Volevo dirti… Ma The whitcher è bello?
No perché ho visto la prima puntata e non è che mi abbia convinto tanto.

Cioè insomma, i personaggi si accoppiano perché devono mica perché ha senso, sia sceneggiaturamente che umanamente.

Il mago gli chiedere di ammazzare la tipa, lui dice no. La tipa gli chiede di amamazzare il mago, lui dice no.

Dovrebbe finire qui. Perché lui ha detto no, pace, finita. E invece no.

Sì, pensao a cosa strane, ma in questa dimensione il cielo è psichedelico, è pieno di colori e mi fa pensare.

Però, parliamone…

Cioè come funziona?

Lei che lo tormenta e nemmeno lo conosce, gli zompa addosso, e lui così a caso decide di tornare al villaggio. Ammazza tutti e la gente invece che scappare lo attacca per farsi squartare peggio e alla fine deve uccidere tutti perché … davvero non lo so. Cioè perché lo coinvolgono e perché si è lasciato coinvolgere?

Caro amico devo lasciarti. In questa dimensione il tempo passa più in fretta.

Ho iniziato a scrivere questa lettera che avevo venti anni, ora ne ho ottanta quattro.

Sto morendo. E volevo solo dirti addio.

Mi sei mancato.

 

macci: (Default)
 

Promop: Scrittura alternativa
Parole: 216

Come la uso: Ipotetica news di una disperata admin di un sito di scan.
 

 

 L'ultima News

 

07 Marzo 2020

Ciao a tutti, utenti del sito!

Sono la vostra admin super preferite di cui non sapere quasi nulla perché non gli da di pubblicare i cazzi suoi online.

I capitoli di oggi sono già sul sito, ma decisamente voglio parlare un po’ di me. Voglio lasciare il sito. E’ una cazzo di sanguisuga che mi prosciuga la vita. Quando ho iniziato ormai sedici anni fa, ero una persona totalmente diversa, a cui i manga piacevano ancora e che aveva ancora sogni e speranze.

Ora non li ho più, brucerei tutto e tutti, soprattutto voi utenti. Siete stupidi, stupidi come nessuno. Non riuscite nemmeno a seguire le più basiche forme di intelligenza: venite da noi per leggere ma NON SAPETE LEGGERE.

Sul serio.

No davvero, dovete dirmelo.

Due soli punti sono che dovese seguire: presentarvi (è buona fottuta educazione) e chiedere l’abilitazione.

Perché diavolo non ci riuscite? Il regolamento non è nemmeno nascosto in non so sezione del forum è esattamente in cima, davanti ai vostri stramaledetti occhi, quando entrate.

Sul serio. Che problemi avete?

Spiegatemelo, davvero. Dopo quasi vent’anni non ne sono venuta a caso!

Quindi, senza indugio, annuncio la mia dipartita come capo di questo sito che mi ha tenuto impegnata per fin troppo tempo.

Giuro.

Non mi mancherete affatto.

Addio.

 

macci: (Default)

 Promopt: indonesia

Parole: 242



 

- Ma tu sei proprio sicuro che sia qui? – domandò Harry affannando nella giungla incontaminata.

- Il raro fiori Cowt? Sì, da questa parte. Ha una magia potente, è quasi tutto spine e poco fiore, ma è un tuttuno con l’albero madre, ne succhia la linfa vitale e lo fa appassire. –

- Come mai ti piace tante una simile arbaccia? –

- Mi serve per far diventare mio marito più carino. –

- Sono già carino. –

- Un altro marito – gli fece l’occhiolino e sorrisero. Anche se Harry non era troppo sicuro che non fosse sincero.

Per quel che ne sapeva lui, era lì per  morire male nella giungla e dare la colpa alla natura.

Una zanzara lo succhiò vivo, e ne era sicuro perché era una zanzara magica che brillava quando mangiava, eppure pure così non era mai stato in grado di ammazzarla.

E che diamine no? Una cosa è catarifrangente, dovevi essere in grado di vederla! Eee invece no.

Il fatto che avesse due tappi di bottiglia per occhiali forse non aiutava.

Ma ci era affezionato, erano un sogno erotico di Draco, anche se aveva comprato un nuovo paio quando facevano sesso, preferiva che indossasse quello.

Era forse l’unico al mondo che come gioco di ruolo doveva interpretare una versione più giovane di sé stesso.

- Trovata? –

 - Trovata. –

- Tornaim a casa. Ho portato gli occhiali. –

Draco li smaterializzò direttamente nel letto dell’albergo.

 

macci: (Default)
 Promot: Grecia
parole: 211

Luna di miele

- Per la luna di mieile mi stai portando in Grecia?-

- yep –

- perché? –

- Perché è bella. Ci sono le rovine, i ricordi magici dei primi maghi. –

- Ma sono rovine, appunto. –

- Ci sono draghi più che mitologici. Ho sempre voluto vedere nello zoo magico il minotauro! La grecia è così affascinante! –

Harry sospirò gravemente, ma accettò di andarci.

Le rovine erano di una bellezza estasiante, bianche e celestiali, il tempo fu clemente ma ciò che davvero Harry odiava era la gente.

La gente che non se ne stava a casa durante una fottuta pandermia dove era chiesto loro vivacemente di starsene lontano dai coglioni.

Draco aeeva preso la mascherina come un oggetto forcloristico, anche se nessuno davvero la indossava, lui non aveva capito che era una cosa che doveva, in teoria, prevenire le malattie, invece che una bandana per le labbra.

Si divertitva tanto, pure a baciarlo con quella maschera bianca, cosa che a Harry dispiaceva fino a un certo punto.

Sapore di schifo? Okay.

Draco che vuole baciarlo? Super okay.

La luna di miele fu molto carine e colorata.

Fecero sesso in ogni posizione.

Tutti vissero felici e contenti.

Anche perché, non avevano altra scelta, essendo io l’autrice di questa favoletta.

 

 


macci: (Default)
Note:
Prompr: Immagini (Napoli)
Come l’ho usato: Hanno il primo vero appuntamento in un vicolo con tante bancarelle piene di libri. Harry gli regala anche un libro!
Parole: 5137

Amarsi per caso


Era una giornata gelida a Londra. Così gelida che l’erba era ghiacciata e scivolosa.
Entrando nel locale babbano in cui aveva appuntamento con Blaise Zabini, Draco Malfoy si godette qualche attimo l’aria calda che gli aggredì il viso.
Si sfregò le mani, cercando il proprio amico tra la folla. Non vedeva Zabini da tre mesi, mesi in cui l’uomo era dovuto stare dietro al suo nuovo nato, cosa che lo aveva invecchiato di dieci anni in un solo colpo.
Le nottate in bianco erano così evidenti sul suo viso che per un secondo stentò a riconoscerlo, poi si avvicinò a lui.
- Ehi. -
Blaise sorrise – Ehi a te. -
- Il piccolo Alex non ti ha fatto dormire nemmeno stanotte? - domandò sedendosi al tavolo con lui.
- Ti prego non hai una pozione da dargli? - scherzò Blaise fingendosi disperato. Forse non era poi così tanto una finta.
- Nulla di così leggero da darlo ad un neonato. - decretò Draco prendendo il menù – Mi dispiace. -
- Almeno sono riuscito ad uscire un po’. Non ce la facevo più. - mormorò afferrando anche lui la lista delle cibarie.
- Pensy come sta? -
- Meglio, dopo che è tornata dalla SPA. - mormorò l’amico – io e Alex abbiamo passato un intensa settimana insieme, così da essere libero e potermi godere questa cena. Fa’ che ne valga la pena. -
Draco si fece una piccola croce sul cuore, condita da un sorriso divertito – Farò del mio meglio. -
Fu in quel momento che accadde.
La porta trillò e Blaise alzò gli occhi solo un secondo sulla persona che aveva varcato la soglia, salvo poi tornare su di lui con una nuova e accesa curiosità.
- Non ti girare. - soffiò.
- Ovviamente questo mi spingerà a farlo. - grugnì Draco – Come pensi che io non…-
- C’è Potter e non è da solo. -
Ovviamente, questo fece girare Draco all’istante.
Non appena vide il suo vecchio arcinemico sulla soglia del locale con il suo accompagnatore Draco si riscoprì interessato.
- Pensi che quello sia…-
- Una sua conquista? Probabile. Ho sentito che cambia ragazzo ogni sera. -
Draco studiò i due nuovi entrati con la stessa curiosità con cui guarderebbe un film babbano per la prima volta; così incuriosito da nemmeno addentare i popcorn gentilmente regalati dal suo amico.
Non si preoccupava nemmeno che lo scoprissero, era ovvio che quello fosse lo spettacolo della serata.
- Tu lo trovi carino? - sentì la voce di Blaise raggiungerlo – Non mi pare granché. -
- Mah, Potter ha sempre avuto gusti discutibili, te la ricordi la Chang? -
- E La Weasley? -
Ridacchiarono divertiti, tornando alla loro cena.
Ma pur continuando a parlare con il suo amico di sempre, parte dell’attenzione del biondino era rivolta alla sceneggiata che si stava consumando a tre tavoli di distanza.
Da quello che aveva potuto capire ascoltando di quanto in quanto e lanciando occhiate furtive, l’appuntamento era un disastro. Non era solo lui a pensarlo, era una cosa che chiunque avrebbe potuto dire guardandoli. Il ragazzo con cui era uscito non aveva smesso un secondo di parlare, mentre il salvatore si limitava ad annuire e giocare col cibo con un’espressione seccata e un po’ assente.
Era vero che il ragazzo non fosse nemmeno granché, pensò Draco mentre beveva un sorso di vino, era davvero quello il tipo che piaceva all’uomo che avrebbe potuto avere letteralmente chiunque?
- Lo stai fissando di nuovo. - la voce di Zabini lo riportò alla realtà.
Era vero. Era più forte di lui.
- Vorresti dire che c’è qualcosa di più interessante da fissare? - replicò Draco divertito.
- … la persona con cui sei uscito, magari? - replicò Blaise ma più per partito preso dal momento che i suoi occhi, come anche quelli di tutta la sala, erano puntati sul bel moretto alle prese con un appuntamento che si stava trasformando in qualcosa di veramente patetico.
Ora, non solo il ragazzo era convinto che l’appuntamento fosse andato alla grande, ma stava cercando di fare piedino al povero malcapitato che si sottraeva cercando di non essere scortese.
- Povero Potter. - mormorò Blaise suo malgrado divertito – Dici che dovremmo aiutarlo? -
Draco lanciò un’occhiata veloce al tavolo. Questa volta il ragazzo stava tentando di prendere la mano di Harry che invece si liberava gentilmente dalle sue avance ma non abbastanza in modo deciso da lasciarlo desistere.
Era uno spettacolo ridicolo. Salvarlo, non sembrava poi una cattiva idea.
Ma come?
Sorrise e finì di bere l’ultimo sorso di vino – Augurami buona fortuna. - disse.
Prima che Blaise potesse domandargli cosa intendesse, si alzò e raggiunse il tavolo dei due sfortunati pseudo amanti, guardò Harry ed esclamò ad alta voce.
- Non ci posso credere, è con lui che mi tradisci?! -
Tutti si girarono a guardarli, il ragazzo guardò Draco confuso.
Harry Potter per un secondo fece una faccia stupida come a chiedersi di cosa diavolo stesse parlando. Draco rincarò indicò il suo appuntamento – Tradisci ME con LUI? Questo è un vero oltraggio! Non ti azzardare a tornare a casa stasera! -
Lanciò un’occhiata esasperata al moretto per fargli cogliere l’occasione perché quella sera sembrava particolarmente lento a cogliere gli indizi, poi la lucidità si fece strada nel suo sguardo.
- Posso spiegare! - si alzò e prese le braccia di Draco come ad impedirgli di scappare – Non è come pensi lui… lui è solo un amico! -
- Un amico?! - gracchiò il ragazzo, offeso.
Harry alzò gli occhi al cielo – Non significa niente. Io amo solo te, lui è solo… un errore! - rincarò.
Il ragazzo prese il fazzoletto solo per buttarlo nel piatto con aria drammatica – Questo è troppo! - sbottò – Non sono mai stato così umiliato in vita mia! Addio! -
Prima che i due potessero aggiungere altro della loro sceneggiata, il ragazzo corse via.
I due attorno fissarono la porta dove era svanito con un’espressione trionfante, poi Draco scivolò via dalla presa di Harry con nonchalance.
- Beh… grazie Malfoy. - mormorò – mi hai salvato la vita. -
- Beh se non la vita, perlomeno la tua virtù. Sei così gentile che ti saresti fatto quello piuttosto che dirgli che non era il tuo tipo, o sbaglio? -
Harry arrossì – L’avrei rifiutato… alla prima occasione. -
- Spero che la prima occasione fosse prima di mettere su casa e famiglia. - lo prese in giro - poi Draco indicò il tavolo dove un divertito Blaise lo salutava.
- Devi avere una fame da lupi, ti unisci a noi? -
Non si aspettava davvero che il salvatore del mondo accettasse, ma lì per lì aveva solo pensato che non aveva mangiato nulla nell’ora buona che era rimasto seduto ad ascoltare la persona con cui aveva avuto la brillante idea di uscire.
Stava già per ribattere un saluto di circostanza quando, come se nulla fosse, Harry esclamò - Posso? -
Draco lo guardò qualche attimo, poi scrollò le spalle e si avviò fino al tavolo. Rubò una sedia da un tavolo vicino e la preparò. Poi si sedette come se tutta la parentesi di poco prima non fosse esistita, come se la conversazione con Blaise non fosse rimasta a metà e la cena non si fosse freddata.
Harry si sedette poco dopo, insolitamente incuriosito dalla situazione.
Blaise gli versò un bicchiere di vino e gli sorrise – Sul serio Potter. Hai dei gusti pessimi. - esordì e, probabilmente, concordò tutta la sala.
Prima di rendersene conto i tre stavano parlando e divertendosi insieme.
- No, per davvero. - insistette Blaise - Perché sei uscito con quello lì? -
Harry scrollò le spalle – App di incontri. -
- App? - rimbeccò Draco – Cos’è? -
Harry meditò, cercando le parole – E’ un modo babbano per incontrare gente, vedi la loro foto e, se ti piacciono, si organizza un appuntamento. -
Blaise lanciò un’occhiata a Draco – Perdona la domanda, ma perché usi questa “app” quando potresti decidere chiunque tra la folla indicarlo e si inginocchierebbe a succhiarti il cazzo in un istante? -
Draco rise e bevve un sorso di vino – Ottima osservazione. -
- Non posso avere chiunque. - replicò Harry sulla difensiva e a Draco parve che gli lanciasse un’occhiata veloce – E’ che…- esitò, l’aria divenne improvvisamente seria – Nel mondo magico mi vedono tutti come un eroe e non vedrebbero mai me davvero, io non gli piacerei in quanto me, capite? -
I due si lanciarono un’occhiata complice.
- Nel mondo babbano nessuno mi conosce. - continuò ancora Harry – Se mi scelgono è perché gli piaccio. Però, ovviamente, non vuol dire che riesco sempre a trovare qualcuno che mi piaccia davvero, ma almeno sono sicuro che non siano influenzati dalla mia fama. -
- Ma non ha senso. - replicò Blaise, un’espressione esageratamente esasperata sulla faccia per rendere la sua obiezione divertita – Stai veramente rifiutando l’idea di farti qualsiasi cosa che respiri semplicemente perché puoi?! -
- Parla quello che si è sposato. - ribatté Draco divertito.
- Proprio perché mi sono sposato e dovrò fare sesso con mia moglie per il resto della mia vita che non capisco perché non ne approfitti alla grande. - replicò Blaise annuendo solennemente – Non stai cercando nemmeno l’uomo della tua vita, si tratta di sesso, non dovresti essere così schizzinoso. -
Harry sorrise divertito – Lo so, ma è più forte di me. -
Draco finì di versare la bottiglia di vino a tutti e tre e poi alzò il calice – Alla morale di Potter. -
Tutte e tre alzarono i calici divertiti.
Prima di rendersene conto, la serata era finita e Harry pagò il conto per tutti per sdebitarsi.
Blaise si dileguò per tornare dalla sua famiglia, così Harry e Draco rimasero soli, fuori dal locale. Harry fece un mezzo sorriso al serpeverde.
- E’ stato bello. - mormorò – Grazie ancora per avermi salvato. -
- Ti ho fatto un favore enorme, effettivamente. - ridacchiò Draco divertito poi lanciò un’occhiata verso la fine della strada dove un angolo buio sembrava perfetto per smaterializzarsi.
- Magari posso trovare un altro modo per sdebitarmi. - proruppe la voce di Harry all’improvviso – Magari posso pagarti la cena anche la prossima volta. -
Draco si girò a guardarlo e soppesò la proposta. Avrebbe dovuto salutarlo e andare via, eppure per qualche strana ragione restò lì.
Sentì le labbra muoversi prima ancora di concepire di star per parlare – Domani? -
Una luce nelle profondità dello sguardo di Harry brillò vivida, una piccola vittoria come quella di un pescatore che aveva appena visto la lenza tirare.
- Domani. - ripeté e poi girò e tacchi e andò via, svanendo prima ancora che Draco potesse pentirsi.
**

L’indomani Draco aveva ricevuto un messaggio con un posto e un orario.
Mentre faceva colazione, rigirava il biglietto tra le mani meditabondo.
Harry Potter, pensò, e non pensò altro perché quelle due uniche parole parlavano da sé; tutta la loro storia, tutto il loro passato insieme era un susseguirsi di continui errori, dolori e recriminazioni.
E ora erano pronti ad uscire come due amici… o no?
Sviò i pensieri e decise che pensare male di qualcuno solo perché era attratto dallo stesso sesso era stupido e immaturo.
Così, mise il biglietto in tasca e andò a lavorare.

Il tempo passò veloce, prima di rendersene conto aveva alzato gli occhi e l’orologio lo aveva guardato in cagnesco. Letteralmente.
- Sì, ho capito. - mormorò all’apparecchio che si rilassò solo dopo che il padrone chiuse i fascicoli nel cassetto pronto a prepararsi per uscire.
Tirò il bigliettino dell’appuntamento fuori dalla tasca e ripassò ancora nella testa le indicazioni. Lo fece più volte, come se potesse perdersi una sillaba per strada ad ogni lettura e finire per andare chissà dove.
Si guardò allo specchio e tentò di scacciare la fastidiosa sensazione di non essere pronto, di non essersi cambiato, lavato, sistemato…imbellettato.
Non è un appuntamento romantico, si ripeté, erano solo due persone che riallacciavano i rapporti.
Quel incontro non era nulla di più e nulla di meno di una burrobirra con i colleghi di lavoro.
Ma non riuscì a scacciare quella sensazione, restò come un tarlo nella sua testa per tutto il tragitto. Divenne così insistente che si fermò in bagno in ufficio per tirare fuori dalla sua borsa magica qualche pozione per dare almeno l’idea di esser sistemato.
Solo una volta che i suoi capelli erano tornati lucidi e tonici, le occhiaie ridotte e i vestiti tornati stirati perfettamente, Draco si recò all’appuntamento.
Harry era già lì, in maglione a collo alto, e una giacca marrone che su chiunque altro sarebbe stata un crimine alla moda ma su di lui tutto sommato non era male.
Quando i loro occhi si incrociarono, Draco pensò che avrebbe dovuto sistemarsi meglio.
Se c’era una cosa che odiava era quell’agitazione. La sera prima tutto era stato così spontaneo e semplice che ora sentirsi nervosi per vedere un amico gli sembrava sbagliato.
- Ehi. Sei venuto. - esultò Harry.
- Non ci credevi? -
- Ron mi deve dei soldi ora. -
- Avevate scommesso? -
Harry rise e gli fece cenno di entrare. Il locale dove l’aveva portato non era male, tutto era decorato con legno scuro e nodoso, le panche erano imbottite, il tavolo recava segni di tagli e scritte incise che guastavano un po’ l’insieme ma nulla di drammatico.
- Questo posto è…- cercò una parola che non sembrasse offensiva.
Harry scrollò le spalle – Avrei dovuto portarti in un ristorante come quello di ieri, ma ci siamo già stati e ho pensato di cambiare. In più, qui si mangia divinamente.–
Draco scrollò le spalle e prese il menù – Cosa offre la casa? -
Harry consigliò un paio di piatti spiegandogli più o meno cosa c’era dentro.
Dopo aver ordinato, aspettarono il disagio in silenzio per qualche attimo.
Poi Harry sorrise e fece – Beh, è strano. -
- Non ci siamo mai parlati molto, è ovvio che sia strano. -
Gli occhi di Harry lo incatenarono – No… è strano che non mi sembri strano. - mormorò- Cioè certo, è strano, ma non come dovrebbe esserlo…- insistette, poi si morse un labbro – lascia perdere. –
- Penso di capire, invece. - intervenne allora Draco. Era vero. Era la stessa sensazione di stranezza che aveva provato la sera prima: mai stati amici, che parlavano come se lo fossero da una vita.
- Vediamo…- esordì Potter -ho fatto pratica con tanti disastrosi appuntamenti quindi so esattamente le domande da fare per non languir nella conversazione. Prima regola, informazioni di base: cosa fai nella vita? -
- Lo sai cosa faccio. - replicò Draco.
- Fa finta che non lo sappia, dimmi esattamente di cosa ti occupi. Prometto che fingerò di sorprendermi. - rise Harry.
Draco s’umettò le labbra tentando inutilmente di non sorridere – Sono un funambolo vagabondo con lo scopo nella vita di posizionare due scope che reggono una corda su Buckingham Palace e camminarci sopra. -
Non se lo aspettava, lo lesse nel suo sguardo, prima che scoppiasse a ridere.
- Fantastico. - esclamò dopo aver recuperato un po’ di fiato – come pensi di attuare questo piano? -
- Con due scope e una corda. - insistette Draco – Semplice. -
- Semplicissimo. -
Da lì a mettersi a tavolino per programmare come farlo, fu un attimo. Ad un certo punto la conversazione iniziò perfino a diventare seria, meditarono sul quando era meglio farlo, se usare o meno incantesimi di protezioni e perfino di controllare il clima per evitare vento.
Lavoro immaginario, piano immaginario… vera gradevole serata.
Harry indicò un punto sul foglio, uno sgorbio antropomorfo che sarebbe dovuto essere uno spettatore perplesso e Draco si ritrovò senza rendersene conto a sfiorare la sua mano. Un brivido lo attraversò e non volle svanire nemmeno quando gli occhi di Harry si alzarono e si incatenarono ai suoi.
D’un tratto, l’atmosfera era cambiata. Riusciva a sentire la tensione che si era condensata attorno a loro, come se fossero avvolti da una pesante coperta di ansia e aspettativa.
Harry ritrasse la mano con nonchalance ma non con la ritrosia che gli aveva visto usare al suo disastroso appuntamento della notte prima. La serata proseguì, senza particolari momenti intimi, ma quel tocco aveva cambiato le cose, Draco lo avvertiva sulla pelle.
Pagarono il conto, uscirono al gelo della Londra invernale e si guardarono.
Draco si chiese se, in un vero appuntamento, quello sarebbe stato il momento del bacio. Suo malgrado, si preparò psicologicamente, perfino chiedendosi se si ricordava come si faceva dal momento che era passato molto tempo dall’ultima volta.
Harry lasciò scivolare gli occhi sul suo viso, ma solo per un breve istante, poi li abbassò e sorrise, con una nota di tristezza – Sono stato bene. - disse.
- Anche io. -
- Allora… -
Draco sentì la necessità di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Pensò velocemente ai suoi impegni per la settimana dopo, ma non gli veniva in mente nulla.
- Ti va di rivederci martedì prossimo? – disse. Se avesse avuto un appuntamento altro quella sera era molto propenso a disdirlo senza ripensamenti.
Harry lo soppesò, in silenzio, poi si girò verso di lui e gli prese il viso tra le mani.
Due attimi dopo aveva premuto le labbra sulle sue e Draco ci mise qualche attimo a recepire di essere baciato. Ebbe appena il tempo di capirlo che Harry si allontanò e si chiese – Vale ancora l’invito? -
Beh, non era del tutto inaspettato. Allora perché si sentiva come se fosse stato un treno a prenderlo in pieno?
- Certo. - disse Draco – Martedì. -
Harry fece un largo sorriso, prima di salutarlo e allontanarsi per smaterializzarsi.
**
Si era precipitato nel salotto di Blaise due minuti dopo, e aveva iniziato a raccontagli tutto mentre faceva su e giù per la stanza, mentre lui tentava di dirgli di non fare rumore che il piccolo dormiva.
- Quindi… sei uscito con Potter. E allora? - replicò l’amico con poco entusiasmo.
Draco tergiversò prima di aggiungere – Mi ha baciato. -
Vide lo sguardo dell’amico diventare di pietra nel tentativo di non trasmettere emozioni diverse dall’interesse - … ti ha baciato. - gli fece eco.
- E martedì usciamo di nuovo insieme. - finì in ultimo Draco.
Attese la sua reazione, che fu di un assoluto e totale silenzio mentre amalgamava le informazioni. Poi Blaise si massaggiò le tempie – Disdici. - gli ordinò.
- Cosa? Perché dovrei? -
- Ah, non saprei, un motivo a caso? Forse perché sei etero? -
Draco subì il contraccolpo, strinse le labbra – Non mi pare un motivo valido. -
- Sì, se lui ci sta provando con te! - replicò Blaise esasperato – Smettila di alimentare le sue speranze. -
Il biondino sentì lo stomaco contrarsi – Ma…-
- Nessun “ma”. San Potter e la sua morale sono stati chiari: vuole qualcosa di vero e tu lo sai. -
Draco provò a dire qualcosa e Blaise lo ammonì con lo sguardo una, due, tre volte. Così mise il broncio.
- Ho capito. - si arrese.
- Bravo bambino. -
- Gli spezzerò il cuore. -
- Meglio ora che quando avrà perso la testa per te. -
Draco si alzò e Blaise lo accompagnò al camino. Dentro la brace, l’amico lo guardò con sospetto.
- Sono serio, D. Non lasciarti coinvolgere. - provò un’ultima volta.
L’altro annuì prima di andare via.

**

Okay, questo non era nei piani, pensò mentre varcava l’uscio della casa del Grifondoro, era semplicemente capitato.
Erano stati in un bellissimo vicolo dove c’erano stati ambulanti e bancarelle pieni di libri babbani. Era stato bellissimo, ed era stato molto intimo.
Non era un pretenzioso ristorante ma avevano preso una crepe al volo e avevano passeggiato.
Harry gli aveva regato perfino uno dei libri, era in Italiano, una lingua che aveva sempre segretamente voluto studiare.
Del resto, molti maghi potenti erano di stirpe italiana. Leonardo da Vinci, per esempio.
E poi era arrivata la fatidica domanda “vieni da me?” ed era lì che la situazione era precipitata.
Aveva avuto tutte le intenzioni di dire la verità a Harry, minuto dopo minuto aspettava il momento giusto, ma ben presto se ne era dimenticato, preso da altre conversazioni e dal quel misto di felicità e familiarità che provava quando era con lui.
Era stato così bene che quando Harry gli aveva chiesto come se nulla fosse se voleva andare a casa sua, Draco aveva risposto di sì. Non ci aveva nemmeno pensato su.
E sapeva benissimo cosa significava.
Harry stava parlando di qualcosa, non sapeva bene di cosa perché aveva smesso di ascoltarlo. Tanto valeva baciarlo.
Questo bacio, rispetto al primo, fu diverso: si presero il tempo per assaporarlo, Draco fece d’istinto il paragone su quanto fosse diverso dal baciare una donna; era meno delicato, decisamente.
Ma la sensazione di vuoto allo stomaco, era la stessa.
Quando si separarono e si rispecchiò negli occhi dell’altro, non riuscì a ricordare perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa.
Solo una volta, pensò, poteva provare ad andare con un uomo.
Harry non era uno che perdeva tempo, pensò, dopo che quel bacio aveva dato il via a una serie di avvenimenti che lo avevano portato a rimanesse in mutande disteso sul letto dell’altro. I baci si erano spostati dalla bocca al resto del corpo.
A Harry piacevano i preliminari, pensò distrattamente, come memorizzò altre piccole cose: gli piaceva dare piccoli morsi, esplorare il corpo del suo amante, gli piaceva vezzeggiarlo, stuzzicarlo carezzando la peluria prima di prenderlo finalmente tra le mani.
L’intera situazione era già abbastanza eccitante che per farselo venire duro non servì immaginare altro; Harry Potter che lo toccava glielo aveva fatto già diventare di pietra, ma Harry Potter che glielo leccava, era un altro paio di maniche.
Quando sentì la lingua calda scorrere lungo la sua erezione, gli mancò il respiro, quando lo vide ingoiarlo, rischiò di venire.
Poi sentì qualcosa di caldo sul suo ano e l’intero corpo si irrigidì, fu come una doccia ghiacciata.
Spalancò gli occhi al soffitto e sentì i campanelli d’allarme risuonare in tutto il corpo, cercò di non pensarci, di concentrarsi su altro, ma Harry si era accorto che qualcosa era cambiato.
Risalì il suo corpo per poterlo guardare negli occhi e Draco gli restituì un espressione colpevole.
- Non hai mai…? -
- No. -
Harry gli sorrise, in modo rassicurante – Vuoi che mi fermi? - domandò.
La sua erezione rispose per lui, con una fitta poco difficile da capire – No. - soffiò, frustrato.
Ancora una volta, Harry sorrise e gli baciò il petto con una serie di baci dolci e umidi che ebbero un effetto calmante – Vuoi venirmi in bocca? - propose allora.
Se avesse continuato a dire quelle cose, Draco era quasi sicuro che sarebbe venuto senza niente di niente.
Affondò una mano nei suoi capelli per tirarselo sul viso e rubargli un bacio lento e appassionato, un po’ per guadagnare tempo, un po’ perché baciarlo non gli dispiaceva e in quel momento sentiva il bisogno di trovare un contatto con lui che lo riportasse in vena.
Era così preso dal bacio, che si accorse solo in un secondo momento dell’erezione di Harry sulla sua coscia, e quando la guardò in basso, la pensò dentro di lui.
- Posso stare sotto io. - disse il padrone di casa credendo di seguire il filone dei suoi pensieri. Ma Draco stava pensando solo che Harry Potter voleva entrargli dentro, e quindi era quello che sarebbe accaduto. Che poteva farcela.
Così lo guardò e gli fece un’unica domanda – Vuoi fottermi, Potter? -
Gli bastò guardarlo negli occhi per riuscire a vedere quanto lo volesse, nonostante la gentilezza e gli accomodamenti, quello che Harry davvero voleva era affondare in lui. Quindi, era quello che sarebbe successo.
Draco tirò le labbra in un sorriso più mordace che riuscisse a fare – E allora, fallo. -

**

Da qualche parte nella sua testa ricordò la frase: il punto G di un uomo era nel suo ano. Eppure, non aveva mai provato a farci nulla, nemmeno quando sperimentava da ragazzino.
Nonostante il gel, il primo dito di Harry trovò molta resistenza, Draco si impegnò a rilassarsi, ma l’ansia era più forte di lui, era così densa che quando Harry passò la lingua umida e calda dalla base alla punta della sua erezione, probabilmente per distrarlo, Draco sobbalzò.
Eppure, quando Harry uscì da lui, si sentì sopraffatto da un vuoto nello stomaco.
- Non dobbiamo per forza. - disse con voce gentile, anche se poteva dire dalla tensione del suo corpo quanto fosse frustrato.
Draco abbandonò la testa sul cuscino, più disperato che mai. Poi si mise seduto e rovesciò le posizioni. L’altro lo fissò con confusione.
- Se non puoi scoparmi, posso sempre succhiartelo. - tagliò corto Draco, prima di spingerlo disteso e iniziare a scendere lungo il corpo.
Non l’aveva mai fatto, ma decise che non rifletterci tanto, fosse la soluzione a tutta quella frustrante situazione.
Harry afferrò i suoi capelli, nel vano tentativo di fermarlo, ma quando la lingua si posò sulla pelle tesa, lo sentì gemere frustrato.
Il sesso di Harry era caldo, fremeva nelle sue mani, scivolava nella sua bocca con facilità. Ora che stava assaporando e toccando e leccando da sé, d’un tratto non sembrava fare tanto paura.
Non è nemmeno piccolo, pensò prima di provare a avvolgere con le labbra il glande e roteare la punta della lingua sul sua prepuzio.
Guardò in alto e realizzò che Harry non solo lo stava guardando, ma che lo stava mangiando con gli occhi: lo voleva davvero.
Draco non sarebbe stato solo una botta e via per curiosità creata da una così detta app.
Harry provava qualcosa per lui.
Merlino, pensò mentre lasciava che una mano scivolasse tra le sue natiche, doveva dargli tutto ciò che poteva.
Non era mai stato attratto dal suo ano durante la masturbazione, ma quando il primo dito attraversò l’anello di carne, Draco si ritrovò a fare i conti con una bramosia che non lo aveva mai colto.
Succhiò il suo sesso, mentre si beava del desiderio dei suoi occhi e assecondava quello del suo ano che aveva scoperto essere più avido di quanto avesse mai creduto.
Quando sentì il seme caldo di Harry scivolargli sulla lingua, non ci fece nemmeno caso, troppo preso dall’orgasmo che si propagandò dentro di lui.
Abbandonò l’ano per toccarsi e finire di venire, ma sentiva di voler essere ancora penetrato e, al contempo, voleva essere toccato.
Fu un orgasmo frustrante e strano, come non ne aveva mai avuti.
Ma era venuto e aveva il sapore in bocca del suo compagno. Era tutto finito, pensò mentre si arrampicava di nuovo sul letto e tornava accanto all’altro che lo accolse con un enorme sorriso, poi si fece più vicino e gli baciò una spalla che era l’unica cosa che riusciva a raggiungere senza dover muovere troppi muscoli.
Restarono così per un po’, finché i loro corpi iniziarono ad avere freddo. Harry evocò una coperta e si fece vicino a Draco non così tanto da sembrare in cerca di coccole ma non così lontano da sembrare distaccato.
Si chiese quante volte, con l’amante di turno, avesse agito così, quanta pratica c’era voluta per trovare la giusta combinazione di atteggiamenti per essere l’equilibrio dell’amante perfetto.
Lui non aveva quell’allenamento, e una parte di lui non era del tutto soddisfatta da quell’unica volta, così attese un poco prima di provare a baciarlo ancora.
Fu come mettere le mani nella presa della corrente: e lui ne sapeva qualcosa, non avendo mai avuto a che fare con l’elettricità aveva fatto la triste scoperta della sensazione di prima mano. A differenza di quella volta, questa era come se la corrente gli scorresse addosso, risvegliando ogni suo nervo.
Harry sembrò rispecchiare il suo stato d’animo perché si fece vicino, più vicino che poté per baciarlo in modo quasi spasmodico, cercò la sua lingua, ci giocò e quando Draco dovette recuperare fiato, gli baciò il collo trovando ogni suo più piccolo angolo elettrificato.
Harry era su di lui, era caldo, era di nuovo duro e Draco adorò tutto ciò.
Gli fece spazio: voleva sentirlo completamente addosso a sé, voleva che ogni centimetro con cui poteva entrare in contatto, lo fosse.
Sentì le mani tremare nel tentativo di spingerselo addosso.
Questa volta, quando sentì qualcosa premere sul suo ano, un sospiro desideroso uscì dalla sua bocca.
Il primo dito scivolò dentro e Draco si ritrovò piacevolmente solleticato, quando sopraggiunse il secondo, non dovette sforzarsi di rilassarsi.
Era diverso da prima, ma non era più un rifiuto.
Non ci fu bisogno del terzo perché Harry era impaziente quanto lui. Quando lo sentì premere per entrare tutto ciò che riuscì a pensare era che solo così più centimetri possibili della loro pelle sarebbero stati vicini: sarebbero stati uniti…
Harry sarebbe stato suo.
Draco abbracciò l’altro che, nonostante trovasse difficoltà a muoversi come voleva, non si sottrasse al contatto. Anzi, trovò l’esatta posizione per stringerlo e a sua volta ma potersi immergere dentro di lui con frenesia.
Erano precipitati, pensò Draco, mentre il piacere montava e avanzava tra loro, erano saltati nel vuoto e stavano ancora cadendo.
Lo baciò, nella frenesia, lo sentì arrivare in punti che nessuno aveva mai toccato, si sentì parte di loro due, come unica entità.
Era questo fare l’amore con un uomo? Se era questo, allora non era male.
Non era male per niente.
Harry fece scivolare la mano tra loro e avvolse l’erezione di Draco per carezzarla energicamente.
Per un attimo, odiò quel contatto: lo avrebbe spinto a venire, e lui voleva prolungare il più possibile quella sensazione di piacere sconosciuto che lo avvolgeva.
Ma poi la voglia di venire ebbe la meglio e si lasciò andare al secondo e più potente orgasmo che gli tolse il respiro.
Harry si spinse in lui finché anche l’ultimo spasmo di piacere non si era consumato per poi scivolare via e lasciarlo.
Draco si sentiva come se fosse naufragato e avesse appena trovato terra ferma.
Questa volta Harry non ce la faceva a muoversi nemmeno per rubargli un bacio veloce, si limitò solo a cercare la sua mano, non per stringerla, solo per toccarla.
Le loro dita non erano intrecciate, erano solo nocche contro nocche, in un contatto quasi inesistente.
Ma per Draco fu tutto.
Fu in quel momento che si rese conto che Blaise aveva ragione: avrebbe dovuto rifiutarlo da subito, perché Harry voleva qualcosa di vero e lui non poteva darglielo, non come avrebbe meritato.
E ormai era troppo tardi, quello non era stato solo sesso.
Erano diventati una coppia.

macci: (Default)
Note
Prompt: Indonesia (foto foresta)
Come l’ho utilizzato: L’intera struttura dell’accademia è circondata dal verde, ma un posto di ritrovo è proprio in una vecchia zona lasciata incontaminata, dove l’unica costruzione è un antiteatro in legno ormai abbandonato.
Parole: 26098

Ivory White, Il confine d’ombra
(capitolo)


Ivory si svegliò di soprassalto, la mano tesa davanti a sé, il respiro che le si bloccava nella gola. Il calore delle coperte pesanti le dava fastidio sulla pelle quindi se le tolse di slancio e si alzò, con i sensi più all’erta che mai.
Era…viva? Come? Dov’era? Come ci era arrivata?
Mille e una domande si affollarono nella sua testa, ma tutto quello che riusciva ad avvertire era il cuore che martellava nel petto e il suono del suo stesso respiro. Una volta riconosciuta l’infermeria dell’ Accademia, sentì le forze abbandonarla e crollò seduta, con le mani sulle ginocchia e gli occhi al pavimento.
Dall’altra parte della stanza, sentì una voce bassa e rauca dire - Oh, ti sei svegliata. -
Sorpresa, alzò lo sguardo e lo incrociò con quello di una ragazza in pigiama che occupava l’altro letto. Non poteva avere più di vent’anni, ma il colore chiaro dei suoi capelli tradiva la sua natura: una cantante.
Era la prima volta che ne vedeva una così da vicino e si prese qualche attimo per studiarla con attenzione; I capelli bianchi erano abbelliti da una lunga treccia laterale, i decantati occhi rossi erano in realtà sul verdino spento, mentre la pelle era candida come si diceva. Nella società, quelle come lei erano viste come santi in terra, ma ora che la vedeva da vicino non gli sembrava poi così speciale.
- A quanto pare. - rispose mettendosi meglio sul letto e una fitta di dolore le attraversò il costato – Cosa è successo? -
- Un demone ha sconfinato. - rispose lei in un pigolio. Ora che ci faceva caso, c’era qualcosa di strano nella sua voce, c’era qualcosa di strano, come un ingranaggio poco oliato. Non era strettamente sgradevole, ma era diverso da quello che era abituata a sentire quando si trattava di cantanti.
Come se avesse intuito i suoi pensieri la ragazza si stringe alla gola uno scialle che Ivory notava solo ora, il che era strano dal momento che faceva a botte con la sua carnagione pallida.
- Stai bene? - le chiese.
- No. - rispose lei subito.
Seguì un pesante silenzio, interrotto solo dal momento di Ivory tra le coperte mentre se le sistemava di nuovo addosso. Ora che il cuore aveva riacquistato un normale battito, iniziava ad avere i brividi.
- Daniel sta bene? - soffiò - Cioè… l’altro ragazzo che era con me? -
La cantante non ebbe modo di rispondere perché qualcuno bussò alla porta e due attimi dopo un’altra testa innaturalmente bionda fece capolino.
Lindsey si illuminò non appena la vide sveglia e corse ad abbracciarla, la forza di quell’attacco le fece scricchiolare un paio di costole lese, ma non se ne poteva lamentare.
- Ehi, sto bene! -
- Non farlo mai più. -
- Bhe, non sono io ad aver permesso che un demone entrasse a scuola, ma se potrò evitarlo in futuro, volentieri! -
Lin si allontanò per sorriderle brevemente, poi le si sedette accanto. Alzò la mano e le sfiorò la fronte, Ivory intuì che lì ci fosse qualche livido o taglio dallo sguardo preoccupato che le si dipinse sul volte.
- Ti fa male? -
- Tantissimo. - rispose con un sorriso – Dovrai darmi più macaron del solito! -
- Se ne mangi troppi diventerai tu stessa un macaron. -
- Non prendere in giro i miei sogni. Mica t'ho presa in giro quando mi hai confessato che volevi diventare una dottoressa per pinguini. -
Lindsey alzò gli occhi ma le labbra si curvarono in un sorriso sollevato e felice, solo quando l’altra ragazza si alzò per andare a prendere un poco d’acqua, finalmente la notò.
Lei provò a salutarla, pur con un certo grado di esitazione, e la ragazza si limitò a tornare a letto, mettersi le coperte addosso e aprire poi un grosso libro.
Era strano che ora si comportasse così essendo stata abbastanza gentile con lei prima. Che si conoscessero?
- Ti serve qualcosa? Acqua? Cibo? -
- Mac…-
- Niente macaron. -
- Non vale. Sono stata attaccata. Non mi vuoi concedere proprio nulla? - si impegnò a fare i suoi più enormi occhi supplichevoli, e la maschera fintamente dura di Lindsey si sciolse in un’espressione addolcita.
- Va bene, vedrò cosa posso fare. Ma qualcosa di concreto? -
Ivory ci rifletté, tolta l’ilarità della giornata, c’era qualcosa di cui aveva estremamente bisogno – Sapere cosa è successo. -
Seguì una delle spiegazioni più assurde che avesse mai sentito, o meglio, l’ultima che si sarebbe aspettata.
- E lo hai sconfitto. - finì infatti la frase Lindsey con un sorriso sempre più largo.
- Lo ha sconfitto Daniel dici. Come sta? Sta bene? -
- No, lo hai sconfitto tu! Con la tua magia. -
- Lin capisco che vuoi che io resti a scuola, ma mentire su come è andata non credo sia proprio il caso. -
Lo lo scappellotto le arrivò dritto sulla nuca.
- Scema. - c’era un’accusa sincera nella profondità del suo sguardo – Con l’adrenalina, il pericolo e il tuo istinto di sopravvivenza hai superato il tuo blocco, hai scatenato una magia molto potente! - disse – L’abbiamo avvertita tutti. E’ stato… wow! -
Ivory aggrottò le sopracciglia poi si guardò attorno come se cercasse le telecamere. La ragazza nell’altro letto fece una piccola smorfia come se dovesse darle ragione e odiasse farlo.
- Ho… usato la maiga? -
- Già. -
- E ho ucciso un demone? -
- Esatto.
- Ma io…- la voce le venne a mancare – Io dovevo essere rimandata a casa. -
Stavolta il sorriso di Lindsey divenne talmente enorme che la stanza letteralmente si illuminò – Ho parlato con mamma e ha detto che sei più che la benvenuta a restare. Certo, visti i precedenti può darsi che ti affidino un tutor che ti aiuti a canalizzare bene la tua magia, ma ti verrà data un’altra possibilità. -
Ivory sentiva la testa quasi scoppiarle: aveva davvero sconfitto da sola un demone? E le era valida un’altra possibilità.
- Una possibilità? - fece eco la voce della sua improvvisata compagna di stanza – Perché invece non una statua? Se non fosse stato per lei, ora molti sarebbero già morti. -
Ivory sentì lo stomaco dargli una fitta d’ansia, ma Lindsey le strinse un braccio per tranquillizzarla.
- Non pretendo di capire i professori. Sono solo felice che la mia amica possa restare con me. - tentò di giustificarsi.
La ragazza fece una smorfia e girò un’altra pagina.
Ivory fece per alzarsi prontamente aiutata dalla sua amica. Una volta in piedi e senza l’adrenalina in circolo, si rese conto di quanto il suo corpo fosse stato messo a dura prova dalla lotta, i piedi faticavano a reggerla, aveva dolori lungo tutto la gamba sinistra e la fronte pulsava assieme al battito del suo cuore.
- Potrei suonarti qualcosa. - mormorò Lindsey in apprensione.
- Sto bene. -
- Ma potrebbe alleviarti il dolore. -
- Non serve. Sto bene. -
- ma…-
Lindsey fece per toccarla ma Ivory le scacciò la mano con un gesto veloce, salvo poi pentirsi e sorriderle. La sua amica accusò la cosa, ma lasciò perdere: se c’era una cosa che era risaputa era l’avversione di Ivory per la cosa più magica e divina che il mondo conoscesse: la musica.
Non ce l’aveva con i musicanti, ma Ivory non poteva nascondere che ogni volta che sentiva le note creare melodie, il mondo sembrava improvvisamente più enorme, e spaventoso, un dolore lancinante iniziava a scoppiargli nella testa e la coglieva un forte senso di nausea. Era chiaramente un problema psicosomatico, ma esserne affetta e vivere in una casa di musicanti esorcisti aveva messo a dura prova la sua conduzione.
La misteriosa ragazza che era in stanza con lei, notò con un certo interesse il suo gesto e le lanciò un’occhiata interessata, ma tornò presto al suo libro, fingendo di leggere.
Ivory decise di cambiare discorso - Daniel come sta? -
- Ha il raffreddore. - provo a riderci su Lindsey – E’ stato lui a ripescarti dal lago e portarti subito in infermeria. –
- Mi ha salvato la vita, allora. -
- Dopo che tu l’avevi salvata a lui. -
Ivory iniziava a odiare questa fama da salvatrice dell’accademia che sembrava dilagare nella mente della sua amica quindi decise di ignorare le sue parole.
Chiacchierarono per un altro po’ insieme, poi un'infermiera fece capolino nella stanza – Signorina White perché è ancora qui? Le visite sono finite da un pezzo. -
Lindsey annuì, poco felice, ma si alzò dal letto e le riservò un ultimo saluto – Se ti serve qualcosa.. -
- Si lo so, me l’ha detto già cinque volte. -
- Posso chiamare mia madre e farti mandare qualsiasi cosa. -
- Va, hai perso un intero pomeriggio di esercitazioni per colpa mia. -
Lin fece una smorfia e poi infermiera quasi la prese di peso per andare via, finalmente sola Ivory rivide le coperte con un certo senso di nostalgia.

- Sei stata molto fortunata a sopravvivere. - disse la ragazza d’un tratto dopo aver chiuso il libro.
Ivory si sistemò le coperte e meditò bene su cosa dire – Fortunata è la parola giusta. - mormorò - non sono nemmeno sicura che sia andata come dicono, non mi ricordo niente. -
- Sono stata tra le persone che hanno visitato il luogo, c’erano ancora residui di magia. Una magia davvero potente. -
- Ecco vedi? allora non sono stata io, l’unica cosa che so fare è questo…-
Alzò la mano e dalle sue dita uscirono le sue preziose e innocue scintille - E’ tutta la magia che sono in grado di evocare. -
Gli occhi rossi della compagna di stanza studiarono quelle scintille come se potesse leggerci dentro qualcosa, ma qualunque cosa fosse, sembrava non riuscire a interpretarla.
Ivory decide di cambiare discorso - Io sono Ivory White, molto piacere. -
L’alta fece eco - … White? -
Sapeva bene cosa significasse quella esitazione - La famiglia di Lindsey mi ha adottata quando ero bambina. Col tempo, seppur strano e ridondante, ha iniziato a diventare anche mio. -
- Quindi la ragazza di prima…-
- In pratica, è mia sorella. -
Ivory si aspettava le classiche domande di rito: e la tua vera famiglia? Cosa è successo?
Tuttavia, tutto ciò che l’altra fece fu presentarsi - Noel Skyler. -
- Sei nuova? Non ti avevo mai visto al campus. -
I suoi occhi si rabbuiarono, ma sorrise – Diciamo che sono nuova. - annuì – Inizio dalla settimana prossima. -
Ivory non poté fare a mano di abbassare gli occhi sullo scialle e lei se lo sistetemò in un gesto nervoso.
- Sono stata attaccata da un demone. - rispose alla domanda silenziosa.
- Mi dispiace. -
Scrollò le spalle - Siamo entrambe fortunate ad essere vive. -
c’era qualcosa di triste in quella frase, come se la fortuna fosse mal riposta, come se non fosse altro che una frase che si ripeteva, per non urlare.
- Secondo te come è entrato un demone a scuola? - cambiò discorso.
Noel si guardò attorno, cercando di scorgere il possibile arrivo di orecchi indiscreti, dopodiché replicò - Gli attacchi stanno aumentando, le difese dell’Accademia andavano intensificate da molto tempo ormai, ma come sempre, si corre ai ripari solo dopo questo tipo di incidenti. - le lanciò un’occhiata veloce - Almeno, sono contenta che non si sia fatto male nessuno, prima di decidere di intervenire. -
Ivory quasi rise - Dillo alle mie costole incrinate, i lividi e… al mio amor proprio. -
Per una volta, anche Noel riuscì a sorridere e per un secondo sembrò andare tutto bene.
Nessuna delle due era lì perché stava bene ma, perlomeno, lo sarebbe andato in futuro.


**

Il mattino dopo si svegliò ancora più stanca di quanto lo fosse quando era andata a dormire, ma con il corpo guarito il più possibile le sue vecchia abitudini iniziarono a reclamare la routine. Si mise in piedi e iniziò a fare un po’ di stretching. Non poteva materialmente andare a correre ma, a maggior ragione se le era stato concesso di restare all’accademia, doveva restare in forma. Così, si mise a camminare per i corridoi.
Mancava ancora molto alla colazione, ma il suo stomaco iniziò a reclamare quasi immediatamente cibo, così cercò la caffetteria del centro. Doveva essersi sparsa la voce perché la commessa gentile le offrì una brioches.
- Grazie. - soffiò grata, seppur in soggezione per il gesto.
Quando si girò, ad un tavolo con la mani in mano vide Daniel e sobbalzò.
- Ivy? -
- Dan! Ciao! Che ci fai qui a quest’ora? -
- Secondo te? Sono contento che tu stia bene! - rispose, raggiungendola in poche falcate, non la abbracciò forte solo perché non avevano così tanta confidenza, ma era chiaro quanto fosse felice di vederla – Non mi permettevano di venirti a trovare! Ero preoccupatissimo! -
- Non si è sparsa la voce che stavo bene? -
- Certo- ammise – Ma loro non erano lì e non sanno cosa hai passato. -
Ivory si sedette al tavolo e si aggiornarono. Come aveva già spiegato Noel, pareva che ci fosse una falla nel confine, che la stessero sistemando, ma che non era così semplice. Che erano state ingaggiate delle cantanti di alto livello, per questo compito.
- Sì, una è in stanza con me. Verrà con noi a scuola dalla prossima settimana. -
Il viso di Daniel divenne di gesso - oh, allora è vero quello che si dice. - replicò.
- Cosa? -
Il corvino strinse le labbra inconsapevole se parlare o meno, ma il gossip era troppo succulento per tacere - Non so quanto ci sia del vero, ma pare che una cantante sia stata attaccata e le sia stata colpita la gola. Da allora, pare abbia perso la capacità di cantare…-
- Come? - Nella sua testa, l'immagine di Noel che si sistemava lo scialle all’altezza della gola acquistò tutt’altro senso - Ma per i cantanti la voce è… tutto. -
- Io sono solo un musicante, ma l’idea di perdere la capacità di suonare… - la sua voce si spense - Per noi la musica è tutto. -
Ivory gli prese le mani e sorride il più teneramente possibile – Tranquillo, proteggerò queste mani a costo della mia vita. - sogghignò - beh, s ben, vedere l’ho già fatto! -
Ridacchiarono con un certo nervosismo, poi Daniel rilassò le spalle – Ero davvero preoccupato. - ammise – Ho chiesto a tua sorella come stessi, ma avevo bisogno di vederlo. - i suoi occhi esitarono sul librido sulla fronte – se hai bisogno di qualcosa... -
Ivory ritrasse la mani - Una cosa ci sarebbe. - confessò.
- Cosa? cosa? -
- Mi paghi un caffè? - rispose - Non ho soldi con me. -
Daniel non sapeva se ridere o alzare gli occhi al cielo, nel dubbio, rise.
- Sia chiaro, ormai ti considero a tutti gli effetti mia amica. Direi che salvare la vita sia una di quelle cose che avvicinano la gente. -
- Come minimo! - confermò Ivory - Tranne se non mi compri il caffé, in quel caso abbiamo un enorme problema. -
Con un ultimo sorriso, Daniel si alzò e corse al banco.
Ivory attese la bevanda come si attendono i regali di Natale.

__

La visita del preside fu una naturale conseguenza della situazione. Ivory si ritrovò a stringere mani, fare sorrisi alle foto e odiare ogni attimo di quella mirata celebrità. Sì, la notizia che un Demone fosse riuscito a passare i cancelli era una pubblicità negativa, ma una matricola in grado di sconfiggerlo era un fiore all’occhiello per l’educazione dell'istituto.
Quasi quasi la statua non era poi una così cattiva idea.
Fu dimessa e tornò nella stanza che condivideva con Evelyn Tylor che non perse tempo per chiederle ogni attimo e non fece mistero della sua delusione quando le disse di non ricordare assolutamente nulla a parte la fuga e i goffi tentativi di prendere tempo.
Non aveva potuto salutare Noel poiché era già stata assegnata ad una stanza del dormitorio dei musicanti.
Doveva essere orribile, dover ricominciare daccapo e dover imparare uno strumento invece che usare la propria voce. Così tanto, che credeva di non essere in grado di concepire quanto dovesse essere duro per lei, non nella totalità.
Un’altra cosa per cui la minaccia demoniaca andava debellata. La sua determinazione crebbe un antichietta in più, così tanto che l’odio per quelle creatura a volte sembrava non essere in grado di restare contenuto in quel piccolo involucro di carne e sangue.
Se anche non fosse stata in grado di usare la magia, era più che certa che avrebbe trovato un modo per contribuire alla causa e sperava che anche Noel si concentrasse su questo.

Le lezioni non sarebbero riprese fino al giorno dopo per via dei lavori di ripristino della barriera quindi Ivory ne approfittò per fare una passeggiata dal momento che sentiva i suoi muscoli agognare un po’ di moto.
D’istinto fece il solito giro che faceva di mattina con Daniel e si ritrovò ben presto al laghetto dove si erano svolti gli ultimi attimi di una battaglia.
Era vero che non ricordava cosa fosse successo esattamente dopo essere caduta in acqua, ma tutto il resto era impresso nella sua mente a fuoco: la fuga, l’ansia, la paura, i tentativi di proteggere Daniel fino alla sua decisione di deviare verso il lago.
Ricordava i polmoni bruciare dalla mancanza di ossigeno e la viscosità del demone che la trascinava giù.
Era lì, che il suoi ricordi mancavano.
Stava soffocando, non c’era verso che fosse stata lei a sconfiggerlo.
- Tu devi essere Ivory White. - sentì una voce arrivare a interrompere i suoi pensieri. Sviò lo sguardo dall’acqua e li incrociò con un uomo sulla quarantina, i capelli corvini con un paio di ciocche di un normale grigio da avanzata età, alto e elegante, con un lungo cappotto marrone.
Sembrava un professore, ma non lo aveva mai visto.
Annuì, e tese la mano con educazione. L’uomo gliela strinse brevemente.
- Sei qui per contemplare il tuo successo? -
Ivory provò fastidio a quella domanda, ma replicò gentilmente - Solo per cercare di capire com’è andata. -
- Mi avevano detto che non ricordavi. Allora è vero. -
Il fastidio aumentò, era stanca che i fatti suoi ormai lo sapessero anche i sassi. Poteva capire studenti e professori, ma sconosciuti apparsi dal nulla era davvero troppo.
- Sì, è vero. - rispose acidamente - Perdonate se non mi ricordo cosa è successo dopo che sono svenuta in fondo a un lago! -
L’uomo non sembrò colpito dalla sua risposta, anzi la studiò - Com’è andata esattamente? -
- Non gliene l’hanno già raccontato in ventisei? - lo freddò - Chieda a tutti. Sanno più gli altri come è andata che non io. -
Una volta fattosi più vicino l’uomo tese la mano - Sono Xander Finch, il tuo nuovo istruttore. -
Ivory si girò verso di lui, sbiancando - C-cosa? -
- Credevo sapessi che avresti avuto un aiuto in più. -
Il pallore le si accentuò mentre boccheggiava alla ricerca di scuse - Io… non... -
- Oh, non ti preoccupare. - fece lui gentilmente - Ho visto il circo mediatico, in tutta sincerità non lo avrei sopportato neanche io. -
Crollò il silenzio tra loro. Ivory cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa, ma non gli venne in mente nulla che non sembrava una patetica scusa.
- Posso sapere com'è andata? - domandò allora il signor Finch - Stavo cercando di seguire le tracce della battaglia per capirne la dinamica, ma hanno inquinato la scena. Ti dispiace mostrarmi tutto? -
Ivory ingoiò a vuoto e lo portò dove aveva sentito per la prima volta la presenza del demone, poi gli raccontò passo passo, cosa era accaduto, perfino le sue idee balzane, i ragionamenti, fino ad arrivare al lago. Lì, si fermò e soffiò solo.
- E qui dove ho evidentemente deciso di suicidarmi. Senza successo, a quanto pare. - fece una risatina sarcastica.
Il signor Finch osservò con attenzione i dintorni con le mani nella tasche per un lungo momento, poi domandò.
- Cosa sai della guerra? -
Quella domanda colse la giovane alla sprovvista, ma si sforzò di rispondere il più sinceramente possibile. Aveva visto gente esaltata che puntava a sterminare orde di demoni ad occhi chiusi, aveva visto altri essere lì solo per pressioni altrui, altri ancora, erano come lei; volevano combattere perché li prendeva sul personale.
Tutti volevano partecipare alla lotta, ma nessuno di loro sapeva ancora in cosa consistesse, non davvero.
- Che mette in pericolo le persone a cui tengo. - rispose - E posso solo fare del mio meglio per proteggerle. -
L’uomo soppesò la domanda, poi abbassò lo sguardo – La guerra è l’essenza stessa della nostra natura: conflitto, odio, rabbia. - fece una pausa – I demoni si nutrono del conflitto, lo esaltano. Affrontare la battaglia con il solo scopo di mietere più vittime possibili non è la soluzione. - Dobbiamo appellarci all’istinto più nobile che si possa usare per combattere, ovvero quello di proteggere noi stessi e chi amiamo. E’ solo così che manteniamo la nostra umanità. -
La ragazza restò in silenzio a riflettere su quelle parole, l’istruttore prese un profondo respiro - Una ragazza che stava per essere espulsa, non avrebbe dovuto avere il coraggio per fare quello che hai fatto, non solo per mancanza magica in sé, ma perché non te ne saresti dovuta sentire capace. Eppure hai messo da parte tutto, per il tuo musicante e hai salvato la scuola. -
- Ho solo pensato che un musicante era un’arma più importante di me e se qualcuno doveva morire dovevo essere io. - quasi rise - Ma è logico. Non ero utile dal momento che non ero magica, non sono nemmeno particolarmente abile fisicamente. Messi su un piatto di una bilancia io e Daniel avevamo due pesi diversi. C’era la possibilità che morissi? Certo, ne ero quasi certa. Ma non potevo fare altro che usare ogni briciolo di potere che avevo per provare a usare le mie stupide scintille. -
Fece un gesto con la mano e dalle dita non uscì che un piccolo scintillio.
- Ho pensato che l’acqua avesse potuto aumentare la portata. Non pensavo di ucciderlo, ma almeno di fargli il solletico e distrarlo. -
L’uomo la soppesò attentamente – Sei analitica. Bene. -
- Pensa di potermi aiutare? -
- Posso provarci. - disse – Ma voglio il totale impegno da parte tuo. -
- Ci può contare. - annuì - Ma crede di potermi aiutare a usare la magia? -
- Dentro di te ne hai, dobbiamo solo capire cosa te la fa usare. Adrenalina? Paura? Rabbia? Non è la paura di morire direi, più un…- ci rifletté – un assenza di sentimento. - la indicò dall’altro in basso – Devi imparare a smettere di pensare e buttarti nelle cose. Hai agito sì con pensiero logico,ma senza preoccuparti del resto. Avevi un obiettivo e quello hai seguito. -
Ivory annuì. Era strano che quella persona la stesse psicanalizzando in un attimo, come se lei fosse semplice e ovvia.
Un po’ di sentì ferita, ma tentò di ingoiare il rospo. Per diventare un mago esperto avrebbe dato qualsiasi cosa.
Drizzò le spalle e tirò su la testa - Quando iniziamo? -


A pranzo Lindsey le si sedette con il vassoio accanto e le dette un dolcetto che aveva appena comprato. Lo faceva spesso, era consapevole che Ivory non avrebbe mai speso di sua iniziativa dei soldi per cose futili come dolcetti.
Non che non ne andasse pazza, ma dal momento che i soldi non erano suoi, non gli era mai parso il caso di spenderli in cose che non riguardavano strettamente beni di prima necessità.
- Macaron! - esclamò radiosa, prendendone uno e adattandolo.
- Prima o poi dovrai mangiare anche altro. In tiramisù, magari. -
- O le meringhe. - si sedette Daniela al tavolo con loro – Quelle sono ottime. -
- O i sospiri. Vuoi mettere i sospiri? -
- Bigné? -
- Cannoli! -
- D’un tratto questa cotoletta non mi sembra più tanto allettante. - mormorò Ivory guardando il suo misero pasto – La smettete? -
- Millefoglie. - continuò Lindsey, divertita.
- Cheesecake. - rincarò Daniel.
- Vi odio. - concluse Ivory esasperata.
I due ridacchiarono, poi iniziarono tutti e tre a mangiare.
Ivory raccontò dello strano incontro con il suo nuovo insegnante privato.
- Domani inizierò. Non so davvero cosa mi aspetterà. -
- Vedrai andrà be…-
Lindsey si interruppe e il suo sguardo si spostò verso il fondo della sala, la sue pelle già candida divenne ancora più pallida.
- Non ti girare. - soffiò.
- Oddio cos’altro c’è? - si girò e si ritrovò di fronte il suo incubo peggiore: la madre adottiva era in piedi all’ingresso della caffetteria, i capelli raccolti in uno chignon alto, un maglione lungo che in qualche modo le fasciava i fianchi in modo elegante, una ciocca sul viso, il rossetto aranciato e lo sguardo affilato.
- Ivory Cornelia White. - tuonò.
- Io non c’entro. - si alzò con le mani aperte in un chiaro segno di resa.
La signora Alisia White spostò lo sguardo verso sua figlia che le fece uno sguardo innocente – Devo essere chiamata dal preside per sapere che sei stata attaccata da un demone?! - la sua voce fece girare metà della scuola, così Ivory fu costretta a correre ai ripari, si alzò e la invitò ad allontanarsi da occhi indiscreti. Lindsey la seguì a ruota, pronta a farle da sostegno morale, ma si ritrovò rimproverata per mezz'ora anche lei. Alisia fece una lunga ramanzina ad entrambe e solo dopo aver perso la sua preziosa voce, si calmò e rubò ad entrambe un fortissimo abbraccio.
- Mi avete fatta morire di paura! - esclamò prima di scioglierlo – Andrò dritta da chi di dovere e chiederò come un demone abbia potuto passare il confine. Questa cosa non è assolutamente ammissibile! -
- Ti prego, non fare scenate. - la implorò Ivory con un espressione contrita – Ho già abbastanza occhi su di me, in questo momento! -
Alisia fece una smorfia offesa – Ma è il mio dovere. Ho firmato per sgridare chi vi da noia. E un demone in una scuola che si dice essere sicura la dice lunga sulla sicurezza. Magari dovrei pensare di spostarvi in un’altro istituto. -
Ivory prese le mani della madre adottiva con un'espressione decisa – Andrà tutto bene, stiamo bene e stanno sistemando la situazione. Se non eravamo totalmente al sicuro prima, ora non ci potrà fare più male nessuno! - la rassicurò – Ora stanno aumentando le difese fino all’estremo, non esiste nessuna scuola più sicura di questa! -
La signora White incrociò il suo sguardo con rabbia, pietà e determinazione – Ma devo comunque fargli una lavata di capo. - soffiò – Hanno aspettato perfino a chiamarmi, qui si sfiora il ridicolo! -
Lindsey intervenne, abbracciando la madre dolcemente – Dai andrà tutto bene, stiamo bene. E poi lo sai anche tu che Miss Tonya è la migliore musicante da cui potrò mai imparare! -
Le labbra rosse e imbronciate si aprirono per fare un lungo sbuffo – Se succede qualsiasi altra cosa, vi ritiro. - si arrese.
Ivory colse l’occasione al balzo per cambiare discorso – Sai che mi hanno assegnato un insegnante privato? Mi aiuteranno a sviluppare la mia magia anche perché i metodi convenzionali finora non hanno funzionato molto. -
Alisia esitò solo un attimo prima di accarezzarle il viso in un gesto materno. Non era la sua vera madre, ma entrambe condividevano un sentimento che era molto simile ad un vero legame familiare. Era diverso da quello con Lindsey, tra loro ci sarebbe sempre stato qualcosa di unico e speciale, ma con Ivory il suo atteggiamento era intenso e caldo. Non era pietà, anche se per anni lo aveva pensato, non aveva biologicamente necessità di amarla, ma aveva scelto di farlo.
- L’hai già incontrato? Come ti è parso? -
Ivory cercò le parole – Criptico, direi. Filosofico. -
La madre fece una smorfia confusa, ma poi scosse la testa – Devo comunque parlare col vostro preside, promettere di non mettervi nei guai mentre sono via? -
- Oddio, per tutto il tempo? - rise Lindsey – Ci possiamo provare! -
Con un ultimo sorriso esasperato Alisia scivolò via, seguendo la segretaria del preside che l’aveva convocata.
Una volta sole, Lindsey prese Ivory per mano e la trascinò via.
Daniel le vide arrivare e concesse a Ivory anche il suo dolce – Allora? Com’è andata? Ancora vive? -
Le due scoppiarono a ridere.

__

Il giorno dopo era una mattina uggiosa, uscire dal letto fu come scalare una montagna, ogni angolo del suo corpo scricchiolava e tirava. Il livido sulla gamba di stava riducendo pian piano grazie alle cure magiche che accellerava il processo ma le era stato consigliato di riposare.
Purtroppo, era più forte di lei.
Daniel fu sorpreso nel vederla, ma le sorrise con piacere.
- Ehi. -
- Ehi a te. -
- Sei sicura di farcela? Zippichi. -
Ivory fece un po’ di stacking, il freddo era pungente e se non iniziavano a correre rischiava di iniziare a tremare come una figlia.
- Devo mantenermi in forma. - fece un piegamento per toccarsi le punta dei piedi - Non sia mai un demone attacchi e sono fuori uno no? Sono il difensore della scuola! -
Il ragazzo ridacchiò e fece qualche allungamento di simpatia alle spalle - Andrò piano. -
- Non serve, corri pure. -
- Scherzi? - soffiò - Al tuo fianco è il posto più sicuro ora come ora. Meglio non rischiare. -
Ivory gli spinse una spalla con fare esasperato, ma tranquillo. Se c’era qualcuno che poteva scherzare sull’accaduto era lui.
Iniziarono a correre, o almeno, a camminare molto velocemente. Ivory sentiva il proprio corpo chiedere pietà già a metà tragitto, mentre Daniel aveva tutto il fiato in corpo per chiacchierare.
- Stai bene? - rallentò ulteriormente quando comprese che i passi della ragazza diventavano sempre più strascicati.
Ivory si appoggiò ad un albero prendendo diverse boccate d’aria, strinse i denti e mugugnò in esasperazione.
- Devo tornare in fretta in forma! - quasi ringhiò.
- Non puoi tornare del tutto in forma per magia, Ivy, lo sai. -
- Sì, lo so. - bofonchiò - Il mio corpo ha bisogno di guarire ma è… frustrante. Non ho la magia, speravo di avere almeno la prestanza fisica e ora nemmeno quella! - dette un pugno all’albero e Daniel prese un profondo respiro.
- Riavrai la tua prestanza fisica,- le disse dolcemente - E possiedi la magia, dobbiamo solo capire come farla uscire fuori. -
- Non posso farmi quasi ammazzare da un demone ogni volta. - disse, capricciosamente.
- Beh, non è quello che fanno tutti gli Chiavi? - sogghignò - Mettersi in pericolo e poi usare la magia per salvarsi? -
Ivory fece un gesto con la mano che voleva allontanare tutta la conversazione, e ancora di più quella gentilezza.
No, magari la gentilezza no.
La compassione, magari.
- Dai, ora sto meglio, corriamo. -
Daniel non sembrava soddisfatto della chiacchierata ma annuì.
Il resto del tragitto fu una intensa passeggiata.

**

Dopo le lezioni, Ivory si recò nell’aula del professore Finch con l’ansia che gli scavava nel petto.
Bussò, entrò e si sedette al primo banco poi attese con pazienza che il professore alzasse gli occhi dal fascicolo che stava leggendo.
- Buona sera, signorina White. -
- Salve. - tirò le labbra in un sorriso ancora più a disagio. Lui si alzò e circumnavigò la cattedra per poggiarsi. Ora che lo vedeva in piedi era più alto di quello che credeva, il suo maglione color cachi faceva non si adattava con la sua carnagione olivastra e i capelli scuri.
– Come sai, insegno solitamente a studenti più avanzati, quindi ho bisogno di fare un po’ il punto della tua istruzione. - disse, nella sua voce c’era un leggero accento che non sapeva decifrare, ma era così flebile che si notava solo in alcune parole - Parlami delle categorie di demoni che conosci. -
Ivory prese un lungo e profondo respiro prima di iniziare.
- Ci sono un incalcolabile numero di categoria, ma possiamo raggrupparle in quattro macro-categoria: Corposi, Umanoidi, Mentali e Insidiosi. Il primo gruppo, sono demoni appena arrivati sulla terra, hanno più forme e dimensioni e sono impacciati nei movimenti e lenti, si sospetta siano usati come sentinelle, vittime sacrificali per spiare il nemico. -
- Come si battono? -
- Il loro corpo è un ammasso unico, sono i più vulnerabili. Magia elementale, combattimento corpo a corpo. - risposte.
Il professore non sembrò particolarmente entusiasta dell’inizio ma la spinse a continuare.
- I secondi…- riprese lei - sono più simili a noi come forma e di conseguenza hanno più modalità, sono letali, spietati. Veri assassini. -
- Come si uccidono? -
Ivory strinse le labbra - Il loro corpo hanno un catalizzatore, bisogna trovare quello e distruggerlo. -
Il professore annuì e Ivory si sentì sempre più sicura di star andando bene.
- i Mentali sono una categoria superiore- continuò - ti leggono il pensiero, trovano le tue debolezze e ti distruggono mentalmente prima di ucciderti. - e lo anticipò con - La musica è l’unica arma veramente utile. Interrompono il collegamento, li indebolisce, elimina la presa che hanno sulla vittima. Si uccidono con molto allenamento e molta, molta fortuna. -
Il professore si fece più attento, l’ultima categoria era quella più importante. Soprattutto per lei.
- Gli incorporei non hanno fisico. - disse - Usano il tuo. Ti entrano dentro, si impossessano di tutto ciò che sei, che ti appartiene e che ti rende umano e lo distruggono. - sentì il battito del proprio cuore essere arrivato fino in gola. Prese diversi respiri profondi prima di dire - La musica e le Cantanti sono le uniche armi che possiamo usare, e anche così, se il demone ha fatto radici troppo profonde, la sopravvivenza è quasi impossibile. -
Fu fiera di lei, per essere riuscita a dirlo senza che la voce le tremasse, peccato che il suo sforzo di restare impassibile fu vanificato da due lacrime che scivolarono senza permesso lungo le guance. Cercò di tirarle via, senza sembrare troppo ovvia, mentre l’umiliazione diventava la sua seconda pelle.
Il professore non sembrò sorpreso dalla cosa, ma sciolse le braccia incrociate e disse solo, con voce sentita - Mi dispiace per tua madre. -
- Non c’era nulla che potessero fare ormai. - replicò e odiò doverlo ammettere ad alta voce. Una parte di lei, inconscia, irrazionale e infantile, rivisitava ogni attimo della sua infanzia come se potesse trovare qualcosa, un qualsiasi appiglio che poteva significare la sua salvezza.
Non importa quanto avesse studiato quelle creature e ne avesse compreso le capacità, la parte infantile di lei avrebbe solo voluto salvare sua madre.
- Possiamo…- odiò il groppo in gola - possiamo passare alla parte in cui mi insegna a far uscire la mia magia? -
Il professore ci rifletté qualche attimo, poi si alzò.
- Perfetto. Iniziamo. -

***

Il professore la mise davanti a un manichino e le disse in parole povere di colpirlo, senza usare pugni o calci.
Ivory strinse le labbra - Finora ho fatto solo scintille non credo di riuscire. -
- Hai dimostrato più che chiaramente che la tua magia sia di attacco. - le prese le spalle e la drizzò - Magari non impari con le basi, impari sul campo. Ora guarda quel manichino, incazzati e colpiscilo. -
- Dovrei… incazzarmi? - fece eco Ivory - Ma nn dovrei invece concentrarmi? -
- Per far uscire la magia sì, per canalizzarla anche, per renderla potente servono le emozioni. - si allontanò da lei - Proviamo a vedere se le emozioni sono il punto di partenza da cui iniziare. -
Ivory non sembrava molto convinta, ma non aveva altra scelta. Guardò il manichino e cercò di pensare ai modi in cui quel manichino poteva averla offesa.
Essere inanimato, effettivamente poteva essere molto offensivo.
E non voler ma aprire un dialogo.
S’umettò le labbra per non ridere di quei pensieri stupidi, quindi tentò di pensare a qualcosa che la facesse davvero arrabbiare.
Decise di non arrabbiarsi verso il manichino ma di sfruttare la rabbia che aveva dentro di sé.
Non era certo poca.
Il suo respiro divenne via via più intenso, man mano che le cose che odiava le balenavano il pensiero, aprì le dita, alcune scintille apparvero. Si aggrappò ai ricordi, le pressò nel pugno e li lanciò verso il manichino.
Non accadde nulla.
- Ci riprovo. - si affrettò a dire chiudendo nuovamente gli occhi.
Questa volta, si concentrò davvero, eliminò ogni altri pensiero, non fece un miscuglio dei suoi sentimenti, ma cercò specifici ricordi, quelli a cui evitava di pensare, che scacciava quando andava a dormire.
Scavò in profondità per non trovare solo la rabbia impulsiva, superficiale, ma cercò la vera rabbia, la vera disperazione.
Si rese conto di aver serrato la mascella solo in un secondo momento.
alzò la mano, evocò non semplici scintille, odiava anche loro.
Invocò il fuoco: una magia elementare.
Se doveva fallire, tanto valeva fallire in grande.
Ciò che non si aspettò fu sentire il corpo attraversato da un'ondata di qualcosa che quasi la stordì tanto da faticare a restare in piedi.
Alzò gli occhi, sperando di esserci riuscita, di aver colpito il manichino, ma scoprì con disappunto che era ancora lì, statico e arrogante nella sua immobilità.
- Ci riprovo. - disse, sentendosi sfinita.
- No. - le ordinò il professore.
- Ma posso farcela! - si girò ad affrontarlo - Posso…! -
Il professore le prese un braccio e le alzò la manica. Nonostante la stoffa fosse integra sulla sua pelle ci erano delle vesciche.
- Da dove…- farfugliò. Non facevano nemmeno male.
Fino a quel momento.
Represse un urlo quando, come un rinculo, il dolore le si irradiò per tutte le sinapsi. Il professore evocò alla svelta della magia curativa che le tolsero gran parte delle ustioni.
- passa in infermeria. - le ordinò - O resterà la cicatrice. -
Ivory annuì e riprese il possesso del suo braccio - Quindi… ho speranze dottore? - tentò di scherzare.
Il professore sembrò guardarla come se dovesse decifrare un enigma, poi tentò di rilassarsi.
- Qualcuna. - fece un cenno al braccio - Mal indirizzato e decisamente fuori dalla tua portata, ma era magia. Abbiamo qualcosa da cui partire. -
Se non fosse stato del tutto inappropriato, lo avrebbe abbracciato.
Si limitò quindi a annuire e andare via dall’aula.
Per una volta, con il sorriso.

__

La sua vita divenne una nuova routine. Si alzava di mattina, andava a correre con Daniel, faceva le lezioni. Il pomeriggio incontrava il suo tutore e tentavano nuovi modi per affrontare la sua magia.
Sembrava, tuttavia, che il suo corpo rigettasse la magia, ogni volta che riusciva a far scorrere nelle vene vampate di essenza, si ritrovava lividi o bruciature.
Era fragile. Troppo fragile. Ormai in Infermeria era diventata un habitué.
Per lo stress, aveva iniziato a mancargli l’appetito anche se si sforzava a mangiare lo stesso, e nemmeno il sonno sembrava riposare a dovere.
Ogni giorno si sentiva sempre peggio.
Spesso passava a trovare Noel, pare che volessere farle accertamente e tenerla sotto osservazione prima di farle frequentare qualche classe.
Se se ne ricordava, le portava i suoi vecchi appunti delle lezioni.
Nel tempo libero pranzava con Lindsey o ne approfittava per riposare.
A volte, Ivory era semplicemente così stanca e stressata che si metteva a correre anche solo per sciogliere i nervi e ogni volta i suoi passi la portavano sempre più lontano, nelle profondità della foresta che circordava l’accademia, ma non abbastanza inoltrata da uscire dal cammino protetto. Su quello aveva ben chiaro di non dover andare oltre, anche se avevano sistemato le difese, una parte di lei ora vedeva la fitta vegetazione come un possibile pericolo.
Quel pomeriggio corse lungo il viottolo alberato che arrivava fino all’anfiteatro dei musicanti.
C’era così tanto sole quel giorno che le foglie decorazioni sul terreno, come onde di un mare invisibile di cui si poteva vedere solo la schiuma. Nonostante fosse ormai quasi autunno, erano poche le foglie che erano cadute dagli alberi che quasi stonavano nel verde che ancora permaneva.
C’era una cosa che non aveva mai compreso di tutto il quadro che rappresentava l’accademia ed era la bellezza che essa emanava.
Al di fuori di quelle mura c’era una guerra, la gente correva ogni giorno il rischio di affrontare un nemico che nel migliore dei casi ti uccideva solo, nel peggiore, ti distruggeva. Un nemico non gli faceva nemmeno il piacere di essere concreto, tangibile e paritario nella lotta. Stavano perdendo.
Non era solo una sua supposizione, era qualcosa che la gente faceva di tutto per ignorare, seppur impossibile. Adolescenti venivano addestrati a combattere, un adulto per famiglia era al fronte, mentre l’altro si occupava della famiglia che restava a casa.
Le famiglie erano divide, spezzate.
Le persone che combattevano affrontavano la battaglia già rotti in piccoli pezzi: solitudine, paura, pressione, erano solo pezzi di un enorme puzzle.
Erano tutte crepe di cui un demone poteva approfittare, in un potevano insinuarsi.
Come si poteva sconfiggere qualcosa che si nutriva delle tue stesse paura? Erano inevitabili, erano reali ed erano umane.
Come poteva allora quel posto, la cui utilità era addestrare ad una lotta impari, essere semplicemente così bello?
Sin dal primo ingresso, con l'enorme fontana in un angelo che si copriva il volto come se piangesse e l’acqua cristallina, il primo impatto era quasi abbagliante.
Viali alberati, siepi perfette, palazzi verniciati che non accettavano nessuna crepa nell’intonaco. Perfino la netta differenza tra l’ala delle chiavi e l’ala dei musicanti non permetteva agli occhi umani di non essere affascinato dalla bellezza.
Perfino nei posti meno curati, come quel sentiero lasciato alla balia dei mutamente del clima, c’era un senso di pace, la vegetazione era sempre rigogliosa, sempre colorata in ogni stagione e alla fine c’era un anfiteatro, quasi del tutto inutilizzato, che veniva costantemente rinnovato e abbellito.
Sospettava ci fosse della magia a sorreggerlo.
La cosa che però lo rendeva così unico era che fosse completamente immerso nel verde, non ne era un intruso, ne era compagno. Non veniva quasi mai usato se non per saggi e concerti sporadici, e non era poi troppo male.
Ivory camminava sul sentiero, godendosi il suono delle sporadiche foglie scrocchiare sotto i suoi passi, respirando l’aria pulita.
Se ci faceva caso, poteva quasi sentire gli interventi alla barriera magica, era un poco come una stanza appena imbiancata. Sapeva di nuovo, sapeva di pulito.

Era quello a non capire; la bellezza.
Perché esisteva un posto con una tale magnificenza ad addestrare persone che sarebbero quasi sicuramente morte in una battaglia cruenta?
Ci aveva pensato nel tempo, ma l’unica risposta che aveva trovato era che fosse un’illusione, la più crudele. L’illusione che la guerra poteva essere vinta, che potevano affrontare tutto col giusto addestramento.
Ivory si fermò, senza fiato, la testa che non faceva altro che vorticargli attorno. si asciugò il sudore dalla fronte e scoprì di essere arrivata all’anfiteatro.
Osservò il legno del palco che, nonostante le intemperie, restava stabile e solido, osservò le gradinate in marmo bianco linde se non per qualche foglia caduta dagli alberi vicini.
Le piaceva quella bellezza, era bello, ma era anche triste e decadente. Nessuno visitava mai quel posto, nessuno aveva il tempo o la voglia di arrivare fin lì.

Ivory salì sul palco al centro della gradinate, con i piedi lanciò via alcune foglie creandosi una piccola nicchia immacolata, poi chiuse gli occhi e si concentrò nel sentire il silenzio.
Era bello, il silenzio. Quel posto era forse l’unico in tutta l’accademia dove non ci fosse una nota, un canto, diapason e metronomi.
Ora che il respiro stava lentamente tornando normale, anche il battito del suo cuore si stava calmando. Il suono del suo respiro sembrava assordante in quel silenzio, ma le sue orecchie lo trovavano rilassante; nessun’altro suono all’infuori del battito del suo cuore, del suo respiro e del vento che gentilmente scuoteva le foglie.
Era estenuante, vivere all’accademia.
Era estenuante… tutto.
- Che stai facendo? -
Ivory sobbalzò e si mise d’istinto in una posizione d’attacco, salvo poi scioglierla quando vide che, in piedi, ad un lato del palco, c’era un ragazzo che aveva visto qualche volta in giro per scuola. Non ricordava il suo nome, ma ricordava di averlo notato passeggiare per i corridoi. Non era il tipo di guardare i ragazzi, ma lui era impossibile da ignorare dal momento che, invece che uno strumento classico come un violino, o un clarinetto o il pianoforte, portava sempre sulle spalle la custodia di una chitarra.
La chitarra non era uno strumento capace di canalizzare la magia, non raggiungeva delle note così alte da far male i demoni, per questo lo aveva trovato strano.
Ivory fece un mezzo sorriso, poi alzò le braccia e iniziò ad urlare alla platea vuota – Signore e signori… il chitarrista della scuola! Fate un applauso! -
Iniziò a battere le mani, prima di farsi da parte per farlo salire.
Lui alzò un sopracciglio, chiaramente sorpreso da questa mossa, ma salì sul palco sostenendo il suo sguardo per poi girarsi verso le gradinato e fare un piccolo inchino, poi si tolse dalle spalle la custodia e la poggiò per terra.
La curiosità prese il sopravvento quando lo vide aprirla. Con sua grande sorpresa, vi era una vecchia chitarra dentro, era di un marrone, un po’ usurata, le corde erano chiaramente nuove, ma il corpo aveva graffi e segni di usura sul manico.
- Oh. - esclamò, sorpresa.
- E’ una custodia di chitarra, cosa ti aspettavi? - fece lui, divertito.
Ivory fece spallucce – E’ che non avevo mai sentito voci su qualcuno che suonasse una chitarra a scuola. -
Lui fece una smorfia – Perché non posso farlo. - indicò l’anfiteatro – Secondo te perché sono venuto qui lontano dal mondo? -
Ivory osservò lo strumento con sospetto. Di solito la musica le dava fastidio, quindi se il ragazzo aveva intenzione di mettersi a suonare era decisamente arrivato il momento della sua uscita di scena.
- Io sono Seth, comunque. -
- Io sono…-
- Beh, credo che solo i sassi possano non sapere chi tu sia, Ivory White. - fece lui, prima di sogghignare.
Ivory strinse le labbra – Sicuro? Credo di aver sentito un paio di sassi spettegolare mentre passavo. -
Seth scosse la testa, divertito – Ah, allora lo sanno anche loro. Sei spacciata. -
- Già. -
Seth prese la chitarra e si mise la cintura sulle spalle, Ivory si chiese quanto sarebbe stato scortese andarsene in quel momento.
- Allora… ti lascio suonare. - tentò.
- Ma come, la mia presentatrice non resta al concerto? - prese il plettro e suonò una singola nota per poi girare una delle chiavi sulla cima.
- Non capita tutti i giorni di avere pubblico. Dal momento che i professori si rifiutano di insegnarmi, mi piacerebbe avere un'opinione una volta tanto. -
- Non me ne intendo di musica. - si difese.
- Non è necessario. - le fece l’occhiolino - Basta solo che ti piaccia. -
Ivory non sapeva cosa fare, come scrollarsi di dosso quella situazione, quindi si limitò a scendere dal palco e andare a sedersi sulla gradinata più vicina. Magari se guardava sempre dritto o concentrava la sua attenzione su altro, poteva sopravvivere a qualche minuto di musica.
Lui fece un sorriso grato, poi suonò un paio di note ancora per prendere il ritmo, qualche accordo per riscaldare le dita.
Ivory nemmeno si accorse che aveva iniziato a suonare per davvero dal momento che il passaggio fu del tutto naturale. Ma d’un tratto si ritrovò avvolta dalla musica e non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
La musica aumentò il ritmo, lui sorrise sovrappensiero, come se suonare gli piacesse davvero, e cambiò poi in una ballata nuova, allegra.
Ivory aveva l’impressione che la musica vibrasse dentro di lei. Era la prima volta che si sentiva così.
Allora era anche questa… musica? Era così diversa da quella che conosceva!
Seth provò un altro paio di arrangiamenti, poi rilassò le spalle e la guardò - Ti è piaciuto? -
Non ne era sicura, ma di sicuro era qualcosa di diverso dal solito.
- Era… musica. -
- Certo che era musica. - fece Seth – Che altro pensavi fosse? -
Ivory strinse le labbra – E’ che di solito… - esitò, gli era sempre sembrato sbagliato odiare una cosa che salvava la vita di molte persone, ma per una volta riuscì a dirlo – La musica mi dà la nausea. -
Seth la guardò per un lungo momento, poi sospirò – A chi lo dici! - mormorò – Studiare musica solo per esorcizzare è… uno spreco. - si tolse la chitarra e la rimise nella custodia – La musica non è magia e di certo non è solo un arma! – dette un colpetto alla custodia – Studio la musica per aiutare ma suono questa per divertirmi. -
Ivory si alzò e lo raggiunse, tirò le labbra in un sorriso nuovo e sollevato – La tua musica mi piace. - confermò – E se mai vorrai un altro po’ di pubblico, fammi sapere. -
Seth restò un attimo a guardarla, prima di stringere le labbra – Lo so. Perdonami. Te lo chiederanno tutti e non vorrai più saperne di raccontarlo, ma…-
- Vuoi sapere com’è andata. - lo anticipò.
Lui annuì, con un'espressione innocente e mortificata.
Ivory allora sospirò e lo invitò a sedersi – Tu mi hai intrattenuto con la tua musica e ora io ti incanterò con la mia appassionante narrazione. -

**
Seth ascoltò il resoconto guardando davanti a sé. Non fece commenti o altro, si limitò ad ascoltare. Dopo di ché, ci fu silenzio per un lungo minuto.
- Riesci a percepirlo? - domandò d’un tratto concentrandosi su qualcosa attorno a loro – La barriera ricostruita. -
- Sì. -
- Prima era sopportabile. - soffiò ora mi sembra che l’aria mi manchi. So che è puramente magica, che non è una vera cupola che circonda la scuola ma…- si sistemò il colletto – Ora che è più presente, che riesco a percepirla così tanto…-
Ivory guardò dritta davanti a sé, cercando di immaginare di essere rinchiusa in una gabbia di vetro – Per questo vieni qui? - domandò – Non è solo per suonare. -
Seth scrollò le spalle e per un poco ci fu silenzio. Ivory lasciò vagare lo sguardo sulla custodia e le sfuggì un sorriso.
- Sai… a me non piace la musica. - confessò.
Seth si girò verso di lei come se avesse appena detto che le piaceva mangiare rane. Era una reazione piuttosto modesta, rispetto a quella che aveva visto per tutta la vita.
“La musica ci tiene al sicuro” le avevano detto, come se questo dovesse fargliela automaticamente piacere.
- Ho le mie ragioni. - disse, abbassando lo sguardo – Non so nemmeno se posso definirle “ragioni”, non è che abbia deciso arbitrariamente che non mi piace. – si affrettò a rispondere, arrampicandosi sugli specchi.
Seth ora si aspettava una spiegazione, lo capiva dalla mano che continuava a vorticare in un gesto che universalmente significava “continua”.
Ivory odiava ripensarci, odiava raccontarlo, ma una parte di lei odiava pure non raccontarlo, come se non fosse che un aneddoto che andava nascosto, o ignorato, quando per lei aveva definito il resto della sua vita.
- Mia madre ha subito un esorcismo. - confessò – Vorrei dire che ero piccola e di non ricordare nulla, ma ricordo tutto. C’era la musica, rimbombava per tutte le pareti. Non avrei dovuto essere nei paraggi, ma quando ho iniziato a sentire le sue urla sono riuscita a sgattaiolare via. – la sua voce si spense – La magia sembra innocua, sono solo note. no? Anche se ci dicono che un’arma non ci fai caso, non finché nn lo vedi davvero. La magia, quella nenia, quelle note erano lame, ferivano mia madre. Le urla, venivano coperte solo in parte dalle melodie e, nonostante tutto…-
- Per me - continuò - la musica è sempre e solo stata questo: musica che copriva le urla di mia madre mentre soffriva. -
Seth incrociò le dita e le gambe, in un gesto solo apparentemente noncurante. Era sicuro di averlo messo a disagio, ma non disse nulla per cambiare discorso o per scappare. Restò lì, fermo, in ascolto.
- Da allora, non importa che tipo di strumento sia, non importa che autore o che tipo di melodia, ho sempre provato un dolore fisico nell’ascoltarla. I dottori dicono che è psicosomatico. -
- E ora sei qui. - si guardò attorno – Sei circondata dalla musica qui. -
- Non c’era altro modo per imparare la magia, no? -
Quella osservazione cadde nel silenzio, le sembrava di vedere le rotelle del giovane girare nel tentativo di trovare qualcosa da dire. Qualsiasi cosa.
- Tua madre… - la curiosità prese il sopravvento.
Ivory, si grattò a disagio un braccio – Non è sopravvissuta. - confermò.
Il silenzio divenne parlabile tra loro, e Ivory decise che aveva anche solo conosciuto quel ragazzo quel giorno, doveva essere veramente fastidioso trovare una ragazza che come prima cosa gli raccontava la propria storia lacrimevole.
Invece, Seth, si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia e disse – Se hai bisogno di parlare ci sono. -
- Nemmeno mi conosci. - gli rinfacciò – Anzi, non avrei dovuto dirti nulla. Immagino che non sia un’ottima seconda impressione. -
Seth sorrise e scosse la testa – A volte si ha solo bisogno di dire ad alta voce le cose. - disse - per non dimenticarle, per non sentire che perdono importanza. - gi girò verso di lei - Per te deve è una parte importante di te, giusto? -
Ivory si strinse nelle spalle – A volte, vorrei solo dirlo a tutti. - mormorò – So che c’è gente che soffre molto di più, che ha perso molto più in questa guerra ma…- esitò – Non rende quello che ho perso meno importante. –
- Non lo è, infatti. -
- Nemmeno mi manca. - confidò - Non so nemmeno se mi manchi lei o l’idea di lei. Ero troppo piccola. -
Seh si girò e una folata di vento le spostò i capelli davanti agli occhi, gentilmente gli prese una manciata di ciocche e glieli tirò indietro in un goffo tentativo di essere gentile. Ma uno degli anelli che teneva alle dita le tirò i capelli.
- Ouch! -
- Scusa! -
Risero, divertiti dalla situazione.
- Se mai vorrai sentire la musica di nuovo senza dover soffrire, sono sempre disponibile. - concluse Seth con una scrollata di spalle.
Lei sorrise di cuore e annuì. Si stava facendo buio, da quante ore erano lì? Ivory si alzò e aiutò anche l’altro ad alzarsi
- E’ stato bello conoscerti. - disse.
- Anche per me. -
- Ci vediamo in giro. -
- Sicuro. -
Iniziarono a camminare verso l'accademia in silenzio, con il respiro del mondo che faceva la contorno a quel loro nuovo modo di approcciarsi.

__

Noel comparve il giorno dopo, con i capelli lunghi e biondi lasciati sciolti e uno scialle color bianco a decorarle il collo.
I cantanti erano una cosa rara, così rara che nella loro vita capitava di vederne solo se c’era un esorcismo veramente difficile da fare.
Per tutta la sua vita si era chiesta se con l’ausilio di una Cantante avrebbero potuto salvare sua madre, ma non aveva mai osato chiederlo.
Lo scialle bianco che le decorava il collo era legato stretto, così stretto che si chiedeva come potesse respirare, si chiese se il suo ricovero iniziare fosse per qualsiasi cosa nascondesse sotto quella stoffa.
La cantante aveva gli occhi assenti, ma non appena la vide un barlume di sollievo scintillò nelle iridi rosse. Ivory le indicò di raggiungerla con entusiasmo.
Per tutta la lezione si scrissero messaggi sul quaderno, molto brevi, giusto per riacquistare un po’ il tempo perduto.
Noel la ringraziò per gli appunti e le chiese se aveva tempo per alcune delucidazioni su alcune pratiche e Ivory le chiese dove alloggiava e se voleva conoscere i suoi amici.
Ci sarà anche la musicante?
scrisse, con un'esitazione evidente tra le dita.
Ivory annì e Noel sembrò molto sulle sue prima di scrivere finalmente un “sì”, anche se poco convinto.
Dopo le lezioni, la accompagnò per un tour dell’accademia. Partirono dalla fontana, poi la portò nell’ala delle chiavi mostrandole cose di assoluta importanza come il distributore automatico, la sala ricreativa con giochi da tavolo e la lavanderia.
- Vi lavate voi le cose? -
- Certo, chi mai dovrebbe sennò? -
Noel sembrò presa in contropiede, Ivory scrollò le spalle - Se ti serve, ti insegno. -
- Questo posto… è così diverso da dove stavo prima. -
Ivory esitò nei suoi passi - com’era? -
Noel si strinse nelle spalle, diventando più minuta, la mano scattò verso lo scialle, ma ritrasse la mano.
- Una gabbia dorata. - rispose.
Ivory non sapeva cosa replicare così decise saggiamente di restare zitta.
A rompere il silenzio, fu la cantante - Perché mi hai aiutato? -
- Solo perché ti faccio vedere l’accademia? per così poco! -
- No. - la voce le divenne gracidante, se schiarì la gola prima di continuare - Anche prima, passandomi gli appunti. -
La giovane chiave scrollò le spalle - Devo avere un motivo? -
- No, ma…- esitò - Sei gentile. -
- Mi sono appena fatta la nomea di sterminatrice di Demoni, ti prego non dirlo in giro che mi rovini la reputazione! -
Noel tirò le labbra in un sorriso prima di iniziare a ridacchiare. Parve risplendere letteralmente di luce propria.
Per un lungo attimo, ne restò affascinata.
- Posso chiederti una cosa? - le fece, e l’ilarità sul suo volto si acquietò, diventando esitante. Annuì a disagio, e stavolta, non poté fare a meno di toccarsi lo scialle, come se temesse si fosse spostato.
- No, non quello. - si affrettò a dire - Mi chiedevo perché sei così restia a incontrare Lindsey. -
- La musicante? -
- Sì. -
Noel unì le mani, meditabonda, iniziò a giocare nervosamente con le dita - Non mi hanno mandata qui per imparare. - soffiò - Mi hanno abbandonata qui. -
- Cosa? perchè? -
Bastò uno sguardo per la risposta, qualsiasi cosa ci fosse sotto lo scialle era la risposta.
- Non posso più cantare, non davvero. Per questo… non servivo più a loro, ma non volevano nemmeno buttare via il mio duro allenamento. - i suoi occhi divennero tristi e lontani - non ce l’ho con la tua amica, ce l’ho… con la musica. - incrociò le braccia, ancora più a disagio - E’ letteralmente la mia vita… - la sua voce si spinse - Lo era, almeno. -
Ivory non conosceva bene Noel, era la sua compagna mentre era ricoverata, le aveva passato degli appunti e le aveva fatto un tour dell’accademia. Tutto qui.
Ma se c’era qualcuno che poteva capire cosa significava essere traditi dalla musica, era lei.
così, senza pensarci oltre, la abbracciò.
La sentì rigida, ma non sembrò rifiutare quell’attenzione così, dopo un po’ di tempo, la lasciò andare.
- E ora...Caffetteria! - annuncio.

**

Dopo aver presentato Noel, Ivory ebbe per la prima volta l’impressione di aver creato uno strano gruppo di amici. Il fatto che odiasse la musica ma i suoi amici erano tutti musicanti e una addirittura una Cantante la diceva lunga sulle sue scelte di vita, ma di certo non se ne poteva lamentare.
In caso di demone, chiamare aiuto.
Pareva essere la persona più al sicuro dell’universo.
Daniel e Lindsey tentarono di far sentire Noel più a proprio agio possibile, erano chiaramente consapevoli della sua condizione quindi tentavano di non parlare di musica tutto il tempo, ma era anche la cosa che avevano più in comune.
Dopo un po’ Noel si scusò per alzarsi e andare via, era evidentemente molto stanca.
- Io non so come farei. - soffiò Lindsey amareggiata - Perdere la musica dopo che è stata tutta la mia vita. -
Un moto di nervosismo attraversò Ivory, ma tentò di sopprimerlo con un sorriso tirato - Troverà qualcos’altro per cui essere felice. Magari può darsi alla pittura. -
Daniel strinse le labbra - Ma le cantanti vengono allevate a pane e musica, vivono persino isolare dal resto della società per mantenere la purezza della voce il più concreta possibile. -
Ivory si passò una mano tra i capelli - E quindi? - disse, trattenendo a stento un ruggito - Ora non può essere più felice? Non può trovare nessun’altro modo di vivere? E’ senza speranza? -
I due musicanti si guardarono - Non stiamo dicendo questo. - provò Lindsey - Ma la musica, la magia che rappresenta, non è solo la cosa su cui si basano le nostre difese, ma è anche parte di quello che siamo. -
Ivory strinse i denti - Se lo fosse, io e te non saremmo amiche. - sbottò.
- Ivory, ma che ti prende? -
La ragazza si alzò, un moto di rabbia l’aveva agguantata nel profondo, fino a risalire alle superficie della coscienza, le dita erano rigide tanto i nervi tesi.
Sapeva che dovevano cambiare discorso, che stava esagerando, obbiettivamente lo sapeva, ma sentiva che se avesse sentito la parola musica anche solo una volta, avrebbe probabilmente urlato.
- Ivee. - soffiò Lindsey, facendosi pià vicina e toccandole la mano - Ti senti bene? -
No.
Non stava bene. Nulla andava bene.
Quante volte quella mano che accarezzava era stata piena di vesciche? Lei era una chiave che non sapeva usare la magia. Noel una cantante priva di voce.
E quello che più di ogni altra cosa che le dava fastidio era che fossero solo quello, che tolta la preziosa magia, la loro vita fosse inutile, che dovevano battersi il petto e pentirsi per cose che non potevano controllare.
Erano persone difettose. Lo sarebbero state per sempre.
La rabbia divenne tristezza. Una profonda, paralizzante, tristezza.
- Sì…- soffiò piano - Sì sto bene. Sono solo stanca. -
Non aspettò nemmeno dieci minuti prima di alzarsi e tornare in camera sua.
Per quella mattina, non ne voleva sapere più nulla.

*

Quando tornò in camera, lo fece trascinando i piedi e ponderando di fare solo una bella doccia e andare a dormire, ma il destino aveva altri piani.
Appena aprì la porta, si ritrovò nel bel mezzo di un pigiama party.
La sua compagna di stanza vestiva di rosa e aveva ai piedi babbucce a coniglietto, mentre sue due amici vestivano di blu e verde.
- Cosa…? - soffiò.
Una delle ragazze, quella vestita di Blu prese un vassoio e glielo allungò - Bentornata! Muffin? -
- Ma…-
La sua compagna di stanza alzò la mano - Tanti auguri a me, unisciti a noi! -
- E’... il tuo compleanno? -
Lei alzò le mani in un gesto di vittoria.
- Tanti… Tanti auguri. - si sforzò di sorridere - Mi faccio una doccia al volo, poi mi levo tra i piedi. -
- Oh, non osare! - esclamò la ragazza con pigiama blu che reggeva ancora il vassoio dei Muffin - Più siamo e meglio è! Su, metti il pigiama e raggiungici! -

Ivory si era ritrovata quindi invitata ad una festicciola improvvisata senza un vero motivo nel peggiore dei suoi momenti.
si infilò in bagno, mettendo una barriera tra la follia e la sua sanità mentale.
Dall’altra parte della porta provenivano risate e squittii.
Nonostante quella porta che la separava da quelle persone, Ivory si sentiva come se fosse di vetro e tutti potessero vedere che cosa fosse davvero.
Smise di guardarsi allo specchio e si infilò in doccia. Mentre si lavava, cercò di far scivolare via ogni suo pensiero negativo.
Cosa le era successo prima? Non era nemmeno la prima volta, purtroppo.
A volte, erano più forti di lei, apparivano come un'ondata, le toglievano il respiro e ogni forma di felicità, ma poi piano piano passava e si sentiva stupida ad aver provato quelle sensazioni.
Era colpa dell'adolescenza di sicuro, ma a volte gli sembrava che in lei ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.
Come se non importava quanto si impegnasse, non c’era niente che potesse fare.
Uscì dalla doccia e indossò degli abiti comodi.
Le altre avevano fatto un cerchio e stavano giocando una una bottiglia che usavano come puntatore.
- Vuoi giocare con noi? -
Ivory cercò nella sua testa qualsiasi scusa possibile immaginabile, ma a sua salvezza arrivò un knock knock alla porta.
Tirò un sospiro di sollievo e si affrettò ad aprire. Si ritrovò davanti Linny con le mani sui fianchi e un cipiglio guerrafondaio.
- Ora io e te parliamo. - decretò.
- Ciao anche a te. - fece Ivory. Dalla stanza ci fu uno squittire che la spinse a indicarle il corridoio. Uscì dalla stanza a Linny la seguì.
- Allora? - disse dopo un po’ – Che hai? -
- Io? Niente! -
Il sopracciglio biondo di Linny rischiò di arrivare al soffitto per quanto s’era alzato.
Ivory accusò il colpo e prese un profondo respiro. Iniziò a camminare, e portò Linny fino alla stanza dei giochi e si avvicinò all’hokey da tavolo.
Quando le propose di giocare, Linny accettò non perché avesse deciso che andava bene non parlare, ma perché sapeva che per lei era difficile affrontare i suoi sentimenti.
Ivory prese il dischetto e lo colpì, Linny lo parò al volo facendo subito gol e la sfidò con lo sguardo.
- E’ chiaro che qualcosa ti bolle nella testa, forza, spara. -
Ivory strinse le labbra e si preparò a tirare un altro colpo – Ho avuto un momento. Sai che li ho. -
- So che hai crisi. - replicò Linny subito – E lo capisco, davvero, sei sotto un enorme pressione, sarebbe strano il contrario. Ma non ne parli, ti tieni tutto dentro e non è salutare. -
Ivory tirò il colpo solo per fare qualcosa, ma lo fece poco convinta. I suoi occhi seguirono una traiettoria che non superò nemmeno la metà del campo. Linny si dovette quasi stendere sul tavolo da hokey per poter ritirare indietro. Facendo un altro gol.
- Allora? - insistette – Vuoi parlare o devo continuare a stracciarti? -
Aveva stretto il dischetto così forte che ormai le dita si erano quasi del tutto sbiancate – Tanto. - mormorò – Sarebbe l’ennesima cosa su cui tutti sono più bravi di me. -
Dirlo, le fece male. Tutta la tristezza la colpì come un pugno nello stomaco. Distolse lo sguardo per non farle vedere gli occhi rossi, ma non bastò. Linny aveva abbandonato la partita per correre da lei e stringerla in un abbraccio così forte che distrusse il resto delle sue difese.
Pianse per un poco affondando il viso sulla sua spalla finché non divenne improvvisamente stupido e infantile.
Tirò sul col naso e Linny prese un fazzoletto dalla sua tasca come se si fosse aspettata quel crollo e fosse venuta preparata. Probabilmente era così.
Dopo essersi ricomposta Linny di dipinse di nuovo in faccia l’espressione di rabbia.
- E ora vediamo come posso farti togliere queste stupide idee. -
- Non sono stupide idee. - si difese lei in un lamento molto poco maturo.
- Vuoi che ti picchi. - realizzò Linny cono una scrollata di spalle – Non posso farlo con le mani, ma posso prenderti a calci. -
Ivory strinse le labbra – Tu non puoi capire, tu riesci sempre in tutto. -
Linny le lanciò un’occhiata raggelante – Sai che non è così. -
- Oh, andiamo! – soffiò Ivory sulla difensiva – Ami la musica, la suoni divinamente, sei la migliore della tua classe. -
- Perché faccio più pratica. - si difese – Le cose che ho non mi piovono dal cielo, me le guadagno. -
- E io non me lo sono guadagnato? - quasi soffi, senza fiato – Non dormo per allenarmi e tenermi in forma, ho passato notti a studiare la teoria e comunque mi ustiono ogni volta che provo anche solo a fare una stupida magia. - si guardò le mani – per tutti è sempre così… facile. -
- Non è facile. Ivory-
- Più facile, però sì. - mormorò – Perché io non ci riesco? -
Quella frase le era vorticata nella testa ancora, ancora, ancora e ancora. Senza fine, senza sosta e senza pietà.
Linny si sedette vicino a lei e rifletté bene su cosa dire – Ognuno ha il suoi tempi, ma ti è mai venuto in mente che non ci riesci perché ti metti troppa pressione addosso? Quando hai usato la magia per salvarti la vita hai pensato solo a quello, non aveva tutte le tue insicurezze e la pressioni. Dovevi usare la magia e l’hai usata. -
Ivory si sentì colpita in pieno petto – E come…- la voce le calò di un tono – Come faccio a spegnere il cervello? Non è esattamente il mio forte. -
- A me aiuta la musica. – soffiò – potresti provare…-
- No. - quasi ringhiò.
- Dovresti darle una possibilità. -
Ivory sviò lo sguardo e poté percepire il risentimento di Linny anche se non poteva vederla, la sentì prendere un profondo respiro.
- Possiamo fare una ricerca e vedere se ci sono dei modi raccomandati, li proveremo tutti finché non troviamo quello giusto per te. -
- La fai così semplice. -
- Perché deve essere semplice. - soffiò – E’ esattamente quello il punto. Devi smetterla di preoccuparti, devi smetterla di farti pressioni assurde. Devi pensare che puoi farcela, altrimenti è come mettersi a correre con dei pesi alle caviglie: stupido e inutile anche se ti sforzi più degli altri. -
Ivory annuì, lentamente, poi cercò il braccio di Linny solo per avvolgerlo con le sue e poggiare la testa sulla sua spalla.
- Sei la migliore amica-sorella che qualcuno potrebbe mai avere. - sentenziò.
- Sono centocinquanta dollari, li voglio entro la fine del mese. -
Scoppiarono a ridere e Ivory intensificò la presa fino a che Linny non iniziò a non sentire il sangue fluire al suo braccio.
- Ti voglio bene. - le disse prima di lasciarlo.
Linny annuì, poi le sorrise – Purtroppo anche io. E, ricorda, che ti posso prendere a calci quando voglio. -
- Croce sul cuore –


__


Si sentiva meglio, odiò ammetterlo. Il fatto che Lindsey avesse insistito affinché parlasse ad alta voce dei suoi problemi, il fatto che li avesse ridimensionati a una dimensione non così insormontabile e risolvibile aveva dato alla sua mente un po’ di sana prospettiva.
Quel giorno, dopo le lezioni, si presentò dal professore con una nuova mentalità.
- Ho pensato a un modo. - disse senza manco salutarla. Ivory avanzò nella stanza e poggiò la porsa pi si apprestò al manichino.
- Cosa? -
Il professore prese dalla tasca un piccolo rettangolo dorato con delle incisioni sopra con segni che non aveva mai visto.
- cos’è? -
- Un talismano. - rispose – Voglio che quando senti la magia credere, ti concentri a stringere questo in pugno. -
Ivory guardò quel piccolo oggetto dorato con esitazione.
- cos’hai da perdere? - le disse, con un sorriso innocente.
Ivory lo prese e lo rigirò tra le mani. Doveva provarci, del resto lo aveva promesso a Lindsey.
Annuì e si preparò mentalmente, cercò nella sua memoria le immagini che più la facevano arrabbiare, ma per qualche ragione non riscivapiù ad alimentare il suo rancore.
Stava meglio, ecco perché. Aveva passato la settimana prima a alimentare la rabbia, diventando sempre più depressa e frustrata e ora che stava meglio, era difficile tornae in quello stato d’animo.
Prese un profondo respiro, e tese un braccio mentre teneva il talismano con l’altra mano.
Cercò la scintilla dentro di sé. Mentre si sforzava di concentrarsi sui contorni levigati della pietra.
Un altro respiro, più profondo, cercò nella sua memoria ricordi a cui odiava ripensare.
Accadde all’improvviso, come un flash.
Per un secondo, nel buio della sua menta, era apparsa sua madre, scheletrica, con i capelli lunghi e annodati, le labbra tirare in un macabro sorriso, gli occhi sbarrati e bianchi.
Apparve e scomparve così brevemente nella sua mente che le parve un immagine in negativo restata nella sua retina, ma il suo istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.
Tutto il suo corpo cercò di scacciarla, di difendersi, di dare fuoco al mostro che sono per sbaglio aveva l’immagine di sua madre.
Sentì la scarica di adrenalina scivolare lungo tutto il suo corpo e si ritrovò a riversarlo contro quell’immagine. Solo per pura coincidenza, contro il manichino.
Per un secondo, le parla la cosa più nromale del mondo che il manichino stesse andando a fuoco scaraventao dall’altraparte dlela stanza. Mosse le dita e su come confortata dall’avere in mao quel talismano, come fosse un’ancora nella giugla delle sue emozioni.
Si girò verso il professore pronta ad esultare, ma questi guardava il manichino come un intensità assoluta.
- Non dirmi che c’era qualcosa tra lei e quel manichino. - provò a sdrammatizzare.
L’uomo per un lungo attimo parve non sentirla, poi tornò lentamente su di lei.
- Puoi andare. - disse.
- come? -
- Per oggi abbiamo finito. -
Il manichino ancora si scioglieva dall’altra parte dalla stanza, ma il professore non si curò nemmeno di spegnere le fiamme.
Si curò invece di metterle in spalla la borsa e dirle di nuovo che per oggi avevano finito.
Ivory si ritrovò fuori dalla stanza con lo zaino tra le braccia, nessuna idea di cosa fosse successo e il pomeriggio libero dopo un sacco di tempo.
Mentre camminava, si rese finalmente conto che aveva usato finalmente la magia.
Un’ondata di felicità la colse come un vuoto d’aria. Il sorriso le spuntò sulle labbra fino alle orecchie. Mentre camminava si sentì quasi si star saltellando.
Era così distratta dalla sua riuscita che non si rese nemmeno conto che ci fosse qualcuno davanti a lei e che fosse in rotta di collisione.
Quando la sua faccia finì schiacciata su un petto solido come la roccia, si fce indietro chiedendosi se le si fosse rotto il naso.
Seth soffiò – Caspita non mi avevi proprio visto! -
Ivory si sciolse in un sorriso più divertito – Ho usato la magia!_ quasi saltellò – Vera magia. -
Seth si illuminò – Lo sapevo che ne eri capace!_
- Lo so! - esclamò stavolta facendo un piccolo saltello.
- Dobbiamo festeggiare. - decretò – Che ne dici stasera a cena? -
Ivory annuì energicamente – Lo dico anche a Lindsey, Daniel e Noel! Oh, ne saranno felicissimi! -
Il sorriso di Seth sembrò insolitamente tirato quando annuì – Certo, sì… anche loro. -
- Dove andiamo? - domandò ancora Ivory – Ho sempre voluto giocare a Bowling, ci andiamo? -
- Certo. -
- Ottimo! Allora ci vediamo stasera! -
Questa volta, mentre andava via, nemmeno fece finta di camminare normalmente.

**

Seth arrivò con una chiodo di pelle, jeans che gli fasciavano bene le gambe e i capelli tirati all’indietro.
Quando Ivory lo vide, quasi scoppiò a ridere – Come ti sei conciato? -
- Sto bene. - si difese scrollando le spalle.
- Sì, cioè, stai benissimo. Un po’ fuori moda, però. -
- Le giacche di pelle non passeranno mai di moda. - si difese.
Lindsey apparve come un angelo in terra, aveva i capelli sciolti e mossi che cadevano fino dietro la schiena un vestito rosa antico con un ampia gonna e un gioco e una borsetta color perla.
- Cielo, ma vi siete messi d’accordo per vestirvi in modo strano? - protestò Ivory che poteva ribattere solo con una giacca il cui unico scopo era tenerla al caldo, un jeans nero e una T-shirt con tre stelline di diversa dimensione a decorarla. Aveva lasciato i capelli sciolti, senza acconciarli minimamente quindi cadevano appena sulle spalle in modo disordinato.
Se Lindsey non avesse insistito, non si sarebbe messa nemmeno il velo trucco.
L’ultimo ad arrivare fu Daniel che apparve con un maglione a collo alto e una giacca che gli fasciava la vita in modo da slanciarlo.
- Cielo, torno a casa, siete tutti troppo tirarti a lucido! - si lamentò.
- Dai! E’ un’occasione da festeggiare! - Lindsey la prese sotto braccio – Forza, andiamo! -

**

Presero un Taxi. C’era una città piccina vicino l’accademia che potevano visitare nei weekend. I ragazzi più grandi, una volta raggiunta l’età, ottenevano la macchina per poterci andare ogni volta che potevano.
Durante il viaggio Ivory raccontò com’era andata e spiegò in parte come ci era riuscita. L’immagine di sua madre era l’ennesima cosa che teneva per sé, ma avere una madre demoniaca morta non era esattamente il tipo di cose che teneva allegra la compagnia.
Daniel intrattenne tutti con alcuni gossip che aveva sentito, tutti appartenente alla dei musicanti, quindi Ivory per un po’ restò tagliata fuori dalla conversazione. Lindsey provava a spiegargli di quanto in quanto chi fossero le persone coinvolte nello scandalo, Seth si limitava ogni tanto a farle domande random come se cercasse di attaccare discorso, uno qualsiasi.
Il bowling era la cosa più patetica che la cittadina offrisse ma era anche l’unica cosa da fare. Con grande rammarico dovettero rinunciare alle proprie scarpe per quelle a noleggio.
Ivory decretò che le donavano di sicuro meglio di quelle con cui era arrivata e si precipitò lungo la corsa.
Saggiò con le dita diverse palle da bowling prima di decidere quale le andasse più a genio, quindi optò per la più leggerla e si arrogò il diritto di fare il primo turno.
Il primo colpo finì completamente di lato e tutti le fecero un applauso consolatorio.
- Dai, ce la puoi fare! – tifò Lindsey – Hai altri due tiri! -
Prese la sua seconda occasione rotonda e si concentrò, questa volta, decise che avrebbe messo più forza nel tiro così che la forza cinetica non avrebbe permesso alla palla di deviare ma, come se la palla l’avesse udita e avesse deciso di protestare, nonostante il lancio perfetto arrivata alla fine del corridoio, girò all’ultimo.
A Ivory sembrò perfino che le avesse fatto la linguaccia.
La terza palla, la lanciò con noia. Becco un birillo. Uno.
- Sono chiaramente truccate. - decretò.
La seconda volta fu il turno di Noel. Si approcciò alla palla come se non ne avesse mai vista una, forse era così. La prese e imitò Ivory e, per qualche strana ragione, lei riuscì a buttare giù quattro birilli.
- Ma no! - quasi urlò – Protesto! -
Fu il turno di Daniel che fece strike al primo turno, ma poi scrollò le spalle come se non fosse nulla di ché.
Ivory mise il broncio e Seth si offrì si andare a prenderle qualcosa da bere.
- Oh, assolutamente! - esclamò seguendolo.
Seth scattò subito al suo inseguimento per poi sorpassarla e raggiungere il bancone.
- Cosa vuoi? -
- Una coca. -
- Due coche! - fece al barista del piccolo banchetto che gliele prese e aprì per metterle in due bicchieri.
Ivory fece per prendere il portafogli ma Seth scosse la testa.
- Offro io. -
- No, non serve. Davvero. -
- Pensala come un modo per farti le congratulazioni. -
Ivory sorrise e prese il bicchiere per berne un sorso – Grazie. Davvero. -
- Non c’è di ché. -
Ivory bevve un altro sorso, sovrappensiero.
- A cosa pensi? -
Lei esitò – Sono felice per esserci riuscita ma poi il professore è andato completamente fuori di testa. -
- Forse non ci credeva nemmeno lui! -
Gli dette un piccolo schiaffetto sulla spalla – Che crudele! -
Seth sorrise e Ivory si ritrovò a pensare d’un tratto che fosse carino.
Fu strano notarlo così all’improvviso.
Lindsey esultò avendo tirato giù metà della fila dei birilli, poi fece cenno loro di tornare.
- E’ il mio turno. - soffiò Seth guardando il tabellone, ma nonostante questo non si mosse quasi aspettasse che fosse Ivory a dargli il permesso.
Lei alzò un sopracciglio e soffiò – Beh, tanto mi straccerai anche tu, che speranze ho? -
Tornarono da gli altri e Seth prese la palla e fece subito Strike. Poi alzò le braccia come a dire “ops”.
– Guarda che ora so dare fuoco alla gente! - replicò lei prima di prendere la palla e puntare a quel maledetti cilindri bianchi.
Impresse tutto l’odio che aveva per quel gioco nel colpo che lanciò troppo in alto tanto da fare un ben botto sul corridoio che rimbombò per tutta la sera. Alcuni degli altri gruppi si girarono a guardare, e Ivory avrebbe voluto sotterrarsi. Inoltre, finì nel corridoio.
- Odio questo gioco. - sentenziò.









La terza sfiorò uno, come a darle l’illusione.
La quarta… oh la guarda fu devastante.
Finalmente fece strike e quando si girò verso i suoi amici, la rabbia accumulate nei suoi occhi spinse gli altri a temere per la propria vita.
Sorrise e ebbero ulteriore paura.
Giocarono per oltre un’ora, con tentativi grossolani e strike riusciti.
La gara era Seth e Daniel che si sfidarono fino all’ultimo birillo finché quest’ultimo non la ebbe vinta.
Seth lanciò un’occhiata a Ivory come a vedere la sua reazione e lei gli dette due pacche sulla spalla.
- Se ti consola, mi hai battuta. -
- Anche il cassiere che non gioca ti ha battuta. -
- Vuoi morire, per caso? -
Risero tutti mentre ripresero le loro scarpe per andare finalmente a mangiare.

**

Si recarono alla tavola calda della cittadina. Non era il massimo, ma almeno i panini erano molto più commestibili di quelli dell’accademia.
Lo stomaco le bruciava a altezza della bocca ma si sforzò di mangiare.
Addentò uno, due bocconi, poi lo mise da parte, avvertendo un senso di nausea diventare più accentuato.
- Ultimamente non stai mangiando molto. - soffiò Lindsey – Ti senti bene? -
- Sì, certo. - mentì.
Daniel e Seth avevano iniziato a parlare fittamente di musica, sentì di sfuggita che Seth suonava il pianoforte.
- Due violinisti, un pianoforte e una cantante. Potreste avviare una band! - scherzò – Io vi faccio da menager. -
- C’è qualcuno a scuola che lo fa. Ai professori non piace molto, ma ci incentiva a fare pratica. - confermò Lindsey – Ma che tipo di musica potremmo suonare? -
- Tutto tranne la musica classica, vi scongiuro. Quella la suoniamo già per lavoro. - bofonchiò.
Ivory soffiò, dal nulla – Ci pensate che c’è stato un periodo in cui la musica era solo… la musica? -
- Molto tempo fa. -
Si strinse nelle spalle come se quel pensiero le avesse fatto venire i brividi, ma l’idea di non associare delle note messe insieme in un armonia a ricordi crudeli ora come ora gli sembrava così… assurdo.
- Come sarebbe il mondo se non fossero mai tornati i demoni? -
- Oggi ti va di fare conversazioni profonde? - domandò Daniel con un sorriso indulgente.
- Scusate. – scrollò le spalle – Avete ragione. Cambiamo discorso. -
Per un secondo regnò il silenzio, Ivory meditò a come riportare la conversazione leggera e sbarazzina, ma con sua grande sorpresa a parlare fu Noel.
- Mia nonna aveva dei dischi. - soffiò – Quando ero piccola li metteva in un apposito strumento e la musica riempiva la casa. – disse con gli occhi lontani in un ricordo – Prima che diventasse la mia vita, prima che diventasse un’arma, la musica era… bellissima. -
La voce si spense, e tutti si guardarono.
- Mio padre aveva una band. - confessò Seth – Suonavano perlopiù musica County, era allegra, era quel tipo di musica che ti fa ballare. -
- Ora perfino la danza è un arma. - guardarono tutti Ivory.
- Viviamo in un mondo dove le cose più belle che esistono sono diventate armi. - realizzò Lindsey – In che razza di mondo viviamo? -
- Cerchiamo solo di sopravvivere. - rispose Daniel.
- Cerchiamo solo di difenderci. - replicò Ivory – Cosa si sta facendo attivamente per chiudere le crepe e isolare i due mondi? Qualcuno lo sa? -
Si guardarono l’un l’altro.
- Sono sicura che ci si stiano impegnando. - provò Noel – Il primo ministro ogni mese era nell’Abbazia per coordinare le Voci. –
- Cosa ne sai a riguardo? - domandò Ivory subito interessata – Pensi che abbiano un piano? -
- Se lo avessero, lo avrebbero già messo in moto. - provò Daniel, poco convinto.
Il macigno al posto dello stomaco che Ivory aveva in qeusti giorni si contrasse. Quel tipo di conversazioni aumentavano chiaramente il suo più che evidente stress.
Guardò il panino e fu certa che se avesse anche solo provato ad addentarlo, avrebbe vomitato tutto.
Si alzò, con le vertigini – Io… torno subito. - soffiò prima di recarsi al bagno.
Una volta lì si aggrappò al rubinetto e si guardò alo specchio. Di solito il suo pallore era già cadaverico, ma ora sembrava ancora più accentuato.
Per un secondo, le parve di vedere una sconosciuta.
- Ti senti bene? - la raggiunse la voce di Lindsey che le era corsa dietro.
- Non molto. - ammise piano – Dammi cinque minuti. -
Lindsey la guardò, attraverso lo specchio e riconobbe la preoccupazione negli occhi. Odiò vederla così, lo stava facendo di nuovo.
- Ivy, meglio tornare. - le tese la mano – andiamo, ti aiuto io. -
Era… buona.
Era… troppo buona.
- Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace? - si rese conto di averlo detto troppo tardi, non seppe nemmeno lei da dove le era venuto. Serrò le labbra, con più forza che poté di rimando.
Lindsey sbatté le palpebre due volte prima di balbettare – I-io… ecco…-
- No, scusa. Non so che mi sia preso! - replicò Ivory – Devo stare più male di quello che credevo…-
Non sembrava offesa, ma la preoccupazione nei suoi occhi si accentò – Da quando siamo all’accademia non sembri più tu. -
- Deve essere solo un po’ di stress. -
Giusto un po’. Un po’… immenso.
La nausea stava lentamente passando, ma non abbastanza da farla allontanare da uno scarico con la coscienza pulita.
- Dammi cinque minuti, arrivo subito. -
Lindsey annuì quasi a rallentatore, poi uscì dal bagno.
Quando tornò a guardarsi, odiò la epersona che vedeva.
Cosa le stava succedendo? Non era da lei. Ultimamente… non si sentiva più lei.

**
Il tragitto di ritorno fu silenzioso, ma non senza alcun sollievo. Una leggera pioggia bagno il tettuccio della macchina e, quel suono rilassante, la provocò un senso di quiete e sollievo così profonda che si ritrovò a chiudere gli occhi, assonnata.
La pioggia le era sempre piaciuta.
Tornò in camera praticamente dormendo, ricordava vagamente di essersi scusata ancora con sua sorella mentre la metteva a letto.
Per poi finire in una profonda oscurità.
Era sveglia o no? No lo sapeva nemmeno, in quell’oscurità così fitta non riusciva a vedersi nemmeno le mani. Era così densa se si chiese se esistesse davvero.
Si addentrò nell’oscurità senza capire dove andare, chiamò i suoi amici.
Li cercò, con sempre più energia, sempre con più smania e paura.
Non trovò nessuno, c’era solo il buio solo un eterno e silenzioso buio
Ma non era sola. Questo lo poteva percepire chiaramente. Passi, sussurri, voci indistinte strisciavano nell’ombra.
Qualcosa cresceva attorno a lei e per un attimo le parve di averlo vicino, così vicino da poterne sentire il gelo sulla pelle.
Si svegliò con cuore in gola e i sudore freddo che le colava sulla schiena.
L’adrenalina che le scorreva nelle vene come tanti piccoli maratoneti.
Prese un profondo e lungo respiro, prima di ristendersi ormai senza alcuna più ombra di sonno.
Il soffitto le parve abbassarsi su di lei, ma sapeva che era solo una sua impressione.
Chiuse gli occhi, e cercò di portare la sua mente al suono della pioggia.


__

Dopo le lezioni si recò dal professor Finch. Aveva provato da sola un paio di incantesimi, e con l’ausilio dell’amuleto le cose andavano meglio.
Non che riuscisse a padroneggiarli, ma già lanciarli era un passo avanti.
Da qualche giorno non dormiva benissimo, e arrivò lì con in mano due caffè nella segreta speranza che il professore non lo accettasse e quindi aveva la ovvia scusa di doverli bere lei entrambi.
Il professore era in piedi davanti la finestra e guardava fuori con sguardo assorto così tanto che nemmeno si rese conto che era entrata lei.
Si schiarì la gola e gli occhi neri del professore saettarono verso di lei.
- Ivory White. - mormorò.
- Presente. - drizzò la schiena – Caffè? -
Il professore la guardò per un lungo attim poi si avvicinò a lei e prese uno dei due caffè e, mentre Ivory tentava di nascondere la delusone, lui prese una fiaschetta e ci verso dentro qualcosa. Poi lo passò a lei.
- Bevi. -
Ivory guardò prima il caffè poi lui, con un espressione confusa – Prego? -
- Non è un alcolico. - tentò di rassicurarla, ma i suoi occhi la studiavano come se cercassero di trovare in lei ogni dettaglio che non andasse. Come un critico d’arte pignolo.
Ivory si sentì in soggezione, ma prese quel caffè e gli dette una veloce annusata prima di prenderne un sorso.
Sentì subito la sua acidità di stomaco risvegliarsi, ma era caffè, era creato apposta per non essere bevuto da persone come lei.
Peccato che fosse anche una maledetta droga per chi non riusciva a dormire bene la notte.
- Ottimo. - sorrise – cos’era? Un dolcificante? -
Le spalle del professore si rilassarono impercettibilmente, come se un pericolo fosse appena scampato.
Tornò a sedersi alla sua scrivania – Oggi faremo una cosa diversa. - disse.
- Un incantesimo d’acqua una volta tanto? Sono sicura di poter creare uno o due mulinelli…- li aveva già creati da sola, era convinta che lo avrebbe impressionato, ma il professore aprì un tacquino e glielo girò.
Sulla pagina aperta, c’era un incantesimo in latino, con alcuni movimenti delle mani che Ivory non aveva mai visto.
- A cosa serve? -
- Puoi provare a farlo? - domandò.
- non l’ho mai visto sui libri. -
- Questo perché non è nei libri scolastici. -
Ivory guardò ancora quelle pagine. Non aveva motivo di essere spaventata per un incantesimo, ma per qualche ragione sentiva il cuore in gola.
Si alzò e fece per girarsi verso il nuovo manichino appena comprato, ma il professore le disse – Verso di me. -
- Come? -
- Scaglialo contro di me. -
- Ma…-
Per la prima volta da che era arrivata, il professore sorrise, ma era un sorriso strano, inquieto – E’ innocuo. - la rassicurò.
Annuendo, si girò verso di lui e abbassò gli occhi per leggere. Solitamente solo incantesimi più avanzati avevano bisogno dell’ausilio delle parole. Molto degli incantesimi di attacco era istintivi, creati per la battaglia, in battaglia non c’era possibilità di fermarsi a recitare inni o altro.
Non era nemmeno troppo sicura che il suo latino fosse adatto.
Lesse ad alta voce, cercando di seguire le istruzioni disegnate. Due dita unite che puntavano in alto, disegnare un cerchio, chiudere il pugno.
- Immobile. - soffiò.
Gli sembrò che il proprio pugno fosse avvolto da una catena, essa era invisibile ma reale, riusciva perfino a sentirne i bozzi attorno il polso.
Il professore sembrò essere stretto in una morsa. Iovry ebbe anche la sensazione, o l’impulso, di stringere ulteriormente quella catena, ma invece rilasciò il pugno. Fich crollò sulla sedia, come se la costrizione invisibile fosse venuta via.
Ora era lì, respirava a fatina.
Si mise seduto composto e si passò una mano tra i capelli.
- Come pensavo. - soffiò.
- Cosa. - replicò Ivory.
- Questo incantesimo è più antico di quelli che insegnano, per certi versi, più oscuro. - mormorò. Si alzò e la raggiunse per metterle le mani sulle spalle.
- La maggior parte degli studenti non ha mai davvero visto un vero demone, per loro la teoria va di pari passo con la pratica. Ma tu hai imparato a difenderti sin da bambina, probabilmente sei viva perché ti sei difesa. Hai già una tua importazione magica e per questo siamo dovuti andare a tentativi, ma ciò non di meno, per una bambina della tua età che sopravvive a un demone sviluppando precocemente la magia, deve essere una magia potente. - le spiegò – Quella che hai appena scagliato, è una magia dei terzo anno. -
Ivory schiuse le labbra ma non trovò nulla da ribattere. Finch sorrise ancora – Se te la senti, vorrei intensificare il tuo allentamento. Vorrei che provassi a saltare un anno. -
- C-come? - mormorò – Cosa? Io…-
- non devi pensarci ora. - annuì il professore – Parlarne con la tua madre adottiva, ma tu hai il potenziale per essere una formidabile guerriera. -
- Non so cosa dire. - ammise infine.
Il professore annuì e la lasciò andare – Pensaci. Poi torna da me con una risposta. -

**

Cosa era appena successo?
Si era ritrovata a camminare senza meta fino ad arrivare fuori dall’accademia. C’era una nebbia leggera che donava all’apparente perfezione dell’accademia un alone di malinconia.
Come un ricordo, cristallizzato nel tempo.
Con la coda dell’occhio le sembrò di vedere delle ombre attraversare la nebbia, ma non vedeva nessuno in giro.
Si sedette al primo scalino che trovò e si prese la testa tra le mani.
Okay.
Doveva ragionarci su.
Lei era… forte? Tipo davvero forte?
Non aveva avuto bisogno nemmeno dell’amuleto per scagliare quell’incantesimo, questo era vero.
Ma aveva ancora difficoltà a creare gli incantesimi basici. Come poteva pensare di avere la presunzione di imparare cose più complesse se le semplici le risultavano così difficili?
Beh, non proprio difficili, ammise. Con l’amuleto era riuscita a concentrare quel lato del cervello che bloccava tutta la sicurezza nel palco della sua mano lasciando libero il lato dell’agire indisturbato.
Era sempre stato quello, realizzò, a frenarla. La sua stessa insicurezza.
Lei era il suo peggior nemico.
Ma come poteva nemmeno pensare che quel lato poteva scomparire o essere sotto controllo? Era presuntuoso pensarlo.
Come poteva combatterlo? Come poteva… migliorare?
Oh, pensò distrattamente, non stava pensando nemmeno se accettare o meno, ma stava pensando solo a come accettare. Aveva già deciso.
Se poteva fare meglio, se le davano quella possibilità, non aveva alcun diritto di rifiutarlo.
Ma la sua insicurezza non era qualcosa su cui poteva sorvolare. Doveva essere in grado di mantenere la calma, di essere costante e produttiva, perché quella che sarebbe in futuro diventata la sua squadra avrebbe dovuto contare su di lei.
Una parte di lei non aveva mai davvero pensato a come sarebbe stato poi far parte di una squadra attiva, certo, il pensiero l’aveva accarezzata, ma era sempre stato qualcosa di lontano e astratto, ma saltare un anno, recuperare l’intero secondo anno per entrare direttamente al terzo l’anno dopo, l’avrebbe catapultata in una realtà totalmente nuova.
E non era più lontana e astratta ma era concreta e imminente.
Doveva vedere Lindsey.
Scattò in piedi e attraversò il parco che separava le due ali.
In quel momento, era sicuramente a fare esercizio, si intrufolò dalla porta di servizio e scivolò per le aule.
Nonostante le aule fossero insonorizzate note di vari strumenti echeggiavano nelle mura alte. Un brivido lungo il collo le ricordò che odiava la musica, e un altro pensiero si affacciò a minare la sua già complicata decisione: stare in una squadra attiva significava essere in squadra con musicanti. Loro avrebbero suonato per indebolire i dannati mentre loro combattevano fisicamente.
Quindi, sulla bilancia del “no”, c’era l’insicurezza, l’incapacità di autogestirsi e la sua avversione per la musica. Erano tutte cose che sperava di superare col tempo, ma non c’era tempo.
Passò davanti ad un aula da dove proveniva il suono di un pianoforte e quelle note la distrassero da tutte le altre.
Erano come un suono melodioso in mento a mille assordandi campane.
La curiosità fermò i suoi passi, giusto in tempo perché la musica smettesse.
Con una punta di disappunto, si apprestò a tornare al suo primario intento, ma fu allora che la porta si aprì e Seth ne uscì con un espressione concentrata. Tanto che quando vide Ivory ferma sulla porta, per un lungo attimo, non sembrò riconoscerla.
- Tu non dovresti stare qui. - soffiò, come se fosse una cosa ovvia.
- Farai la spia? -
Lui le afferrò gentilmente il braccio e la tirò dentro – sai che è proibito per una Chiave disturbare i musicanti. -
- Sì, sì, lo so. Ma dovevo parlare con Lindsey. -
Il tono della sua voce era così bisognoso che Seth si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
- Che è successo? -
- Niente. -
- Ivory. - quasi la rimproverò – Parla. -
Lei strinse le labbra, passando il peso da un piede e l’altro – E’… complicato. - soffiò.
Seth si appoggiò alla porta come a voler simboleggiare che non si sarebbe spostato di lì se prima non parlava.
Non glielo stava imponendo però, Ivory sapeva che se gli avesse fatto realmente capire di non volerne parlare con lui, l’avrebbe lasciata passare.
Il suo era un tentativo di sorpassare le difese.
- Il professor Finch mi ha fatto una proposta che non so se accettare. -
- Che tipo di proposta? -
- Una.. che non posso rifiutare. -
Seth la studiò attentamente prima di indicarle di sedersi allo gabellino dei pianoforte e soffiò un categorico – Racconta-

**

Seth non la interruppe nemmeno quando iniziò a spiegarli i motivi che la spingevano a non sentirsi in grado di accettare. La ascoltò attentamente, facendo su e giù per la stanza con le mani in tasca.
- E’… una bella occasione. - mormorò, poco convinto – Ma se non ti senti pronta non dovresti accettarla. -
- Dici? -
Seth si sedette vicino a lei sullo sgabello – E’ un po’ come se… se io avessi la mobilità nelle dita per suonare un pezzo veloce e complesso, e con il giusto allenamento potrei essere in grado di suonare a livelli stellari. Ma che senso avrebbe se resto un bambino che non regge la pressione? L’abilità non è nulla senza la giusta maturità. -
- Mi stai dando della bambina? -
- No. Certo che no. - si affrettò a rispondere Seth – Anzi, è molto maturo rendersi conto dei propri limiti. -
Ivory abbassò gli occhi sulle mani – Ma se non ci provi… non sprechi il tuo talento? -
- Che senso ha suonare fino a farsi sanguinare le mani se poi, durante, il concerto non riesci nemmeno a muoverti? - mormorò – Un concerto è un conto, ovviamente, ma una battaglia è un altro. Durante la battaglia è la tua vita ad essere in pericolo e affrontarla impreparata è solo un suicidio. -
- Non sarei impreparata. Sarei addestrata. -
Seth scosse la testa – non ci si può davvero preparare a una cosa come la guerra, Ivy. Potresti veder morire la tua squadra, potresti arrivare a domandarti se è colpa tua…-
Ivory si alzò, indispettita – Devo parlare con Lindsey. - sentenziò.
- Credi che ti dirà cosa diverse? - insistette – Tu non hai idea di come sia la guerra e, perdonami, ma avere la madre morta non conta. -
Era come se non lo avesse mai conosciuto. Guardava Seth dall’altro, senza capire chi aveva davanti.
Aveva senso quello che diceva, faceva male per quanto lo avesse, ma non era il solito. Lui era dolce… era gentile.
Colpiscilo.
Sentì come un sussurro nella tua testa. Non era concreto come una voce vera, era più una sensazione improvvisa e insistente.
Colpiscilo, distruggilo, disintegralo.
- E solo perché tuo fratello è morto come un codardo, non ti giustifica a sminuire me. - replicò – E’ quello a cui pensavi, no? - soffiò – A come tuo fratello sia scappato dalla guerra, e abbia lasciato la sua squadra a morire! Pensi davvero che io sarei così vile? –
La rabbia l’aveva oltrepassata come un ondata, Ivory si sentì senza fiato e con la testa che girava. Seth strinse la labbra fino a sbiancarle, si alzò e si mise la custodia di chitarra in spalla.
- Fa come vuoi,- quasi le ringhiò prima di sorpassarla e uscire, sbattendo la porta.
Ivory strinse i pugni e fece un piccolo urletto di frustrazione. Era pentita di quello che aveva detto, non sapeva nemmeno perché l’aveva detto.
Ma non era stato nemmeno giusto colpirla così intimamente.
Uscì dalla stanza e decise che non voleva più vedere nessuno, specialmente Lindsey e se ne tornò in camera sua.
**

Il professore non le aveva dato una data precisa per avere una risposta, ma immaginò di non poterla tirare troppo per le lunghe.
Nonostante il litigio che ne era conseguito, Ivory rifletté molto sulle parole di Seth, giorno e notte tanto che iniziarono ad avere senso.
Magari aveva sbagliato i toni e parlare di sua madre era stato un colpo basso, ma la sua logica aveva centrava un punto.
Ivory non era abbastanza matura per affrontare una cosa del genere e di certo non avrebbe sviluppato sicurezza dall’oggi al domani o in un solo anno.
C’era un solo, vero, nemico che le metteva i bastoni tra le ruote: la sua mente. Ed era quella su cui doveva concentrarsi.
Si presentò quindi in infermeria con mille dubbi e mille maledizioni, era anche vero che era una scelta piuttosto obbligata, ma non era nemmeno facile essere lì.
La capo infermiera la adocchiò da lontano e la raggiunse – Ivory Cornelia White, cosa ti sei fatta ora? - il tono era bonario ma Ivory le sorrise solo brevemente.
- posso… parlarle? -
Il tono serio fece subito impensierire la caposala che la prese e la scortò in una saletta. Una volta Lì, ivory ebbe un ripensamento ma si sforzò di parlare.
- C’è la possibilità… di avere aiuto psicologico? - domandò in fine.

**

La donna non aveva fatto domande, le aveva solo messo tra le mani diversi opuscoli e poi avevano preso appuntamento per uno dei pochi giorni liberi di Ivory. Se anche non fosse andato il porto il fatto di saltare un anno, perlomeno ne avrebbe giocato la sua stessa mente.
Forse, avrebbe trovato un modo di fare decentemente anche gli incantesimi più semplici.
Non sarebbe stato facile, e di certo non significava necessariamente che avrebbe accettato. Ma solo che si sarebbe messa nella posizione di poterlo fare, facendo del suo meglio. C’era tuttavia un ultimo scoglio.
Si approcciò al telefono con ansia, prese la cornetta e compose il numero.
Elisea era la sua madre adottiva ed era anche colei che stava pagando la sua retta in accademia. Questo, era stato una fonte di enorme pressione dovuta ai suoi primi fallimenti e al quasi allentamento dalla struttura.
Le doveva tutto, e deluderla, deludere Lindsey era l’ultima cosa che voleva.
Sebbene la telefonasse per comunicarle una buona notizia, la voce le tremò mentre parlava, e non faceva che chiedersi se era il caso di dirle anche della sua seconda decisione.
Non ce ne fu necessita perché lei rispose semplicmente:
- E’ quello che vuoi fare? -
Ivory ci pensò. Nonostante tutto, nonostante i dubbi e le preoccupazioni… era quello che voleva fare.
Non bruciare le tappe, non buttarsi necessariamente senza pensare in una battaglia, ma se poteva fare meglio, se poteva sviluppare a pieno le sue potenzialità, non aveva alcun motivo di tarparsi le ali.
- Sì. - rispose.
La perpecì sorridere, anche se non provenne alcun suono oltre la cornetta – Non importa come andrà, chiaro? - si premunì di dirle – Qualsiasi sia il risoltato di questo cambio del piano di studi, tu sarai sempre parte della nostra famiglia. -
Ivory sentì gli occhi bruciarle, si rese conto di star tenendo la cornetta più stretta del necessario.
- ho paura. - confessò.
- E’ normale. -
- Se non ci riesco…-
Elisia replicò – Se non ci riesci torni indietro. Non c’è nulla di male nel tentare, ma ti prego, se non ci riesci, dimmelo. Non forzarti più di quanto puoi sopportare. Ti conosco. –
Ivory si asciugò le guance e cercò di regolare la voce per non far capire alla sua madre adottiva che stava piangendo – Grazie. - soffiò.
- Sono fiera di te. -
-… grazie. -
Chiuse la chiamata e restò per un attimo a fissare la cornetta.
Bene, pensò tirando su col naso, era ora di dirlo a Lindsey.
E magari, chiarirsi con Seth.
__

- Sapevo di trovarti qui. - disse ivory spuntando sul palco dell’anfiteatro. Seth distelo supono su una delle gradinate e guardava il cielo. Non si girò nemmeno a guardarla, le fece solo un cenno con la mano.
- Allora…- fece Ivory a disagio – Facciamo la pace? -
Il ragazzo restò fermo per un lungo momento, poi si mise seduto con agilità. La guardò dall’alto delle gradinate.
- Dipende. Non ho sentito scuse. -
- nemmeno io da te. -
- E’ diverso, io avevo ragione. - replicò.
Ivory sentì le dita irrigidirsi. Sarebbe stato bellissimo bloccarlo con quella nuova magia imparata, solo per il gusto di farlo stare zitto.
- Nemmeno tu ci sei andato per il sottile. -
Seth si alzò, solo per imporre la sua altezza alla conversazione – come facevi a saperlo? - domandò – Tutta la storia di mio fratello. Chi te l’ha detta? -
- Io…- Ivory ci rifletté – Non me lo ricordo. - ammise.
Seth non sembrò convinto della risposta – E’ stata Lindsey? -
- Certo che no. -
- Lei come l’ha scoperto? -
- Ti ho detto che non mi ha detto niente nessuno. -
- E allora come facevi a saperlo? -
- Lo sapevo e basta, va bene? -
Questa conversazione la stava esaperando di già, e nemmeno avevano inziiato a fare pace – Non mi ricordo chi me l’ha dtto, né quanto. Può capitare! -
Seth sciò lo sguardo e sembrò mordersi una guancia – Non avrei dovuto nominare tua madre. - ammise, in fine – Ma resto sulla mia posizione per il resto della faccenda. -
Ivory si mise le mani nelle tasche e scrllò le spalle – Fatto divertente? Non cambia nulla. Risletto che t abbua un opinione, ma… non posso basare la mia vita su questo. Puou semplicmente accettare che sono fantastica e super potente e essere semplicemente felice per me? -
Seth tornò a guardarla per un lungo sitante, inghiottì a vuoto, poi scese dalle grafinate raggiungendola sotto il palco.
- Ad una condizione. - replicò.
- Spara. -
- Che esci con me. -
Ivory aggrottò le sopracciglia – Una rivincita a bowling? Vuoi infierire? -
- No. - Seth fece un ulteriore passo fino a salire sul palco – Non con gli altri. Io e te. -
Io e te.
Ivory sbatté le palpebre tre volte prima di afferrare il senso.
- Oh. - soffiò.
- Esatto. -
- Serio? -
- A-ah. -
- perché? -
Seth alzò gli occhi al cielo – Perché sei strana. Cioè odi la cosa che più amo, fai tutto l’opposto di quello che approvo e, quando sei provocata, colpisci veramente duro. Ma…- sorrise – Sei anche interessante e molto più profonda di quanto vuoi dare a vedere. Mi incuriosisci e voglio conoscerti meglio. -
Ivory sentì le guance andarle a vuoco e la gola diventare secca. Se la schierì, inutilmente - Mi piace il rapporto che abbiamo ora. - si giustificò.
- Non deve cambiare. -
- Certo che cambierà. -
- Una sola uscita. - propose – Se poi le cose non evolvono, restiamo amici. Affare fatto? -
Era… logico.
Seth tese la mano, come a suggellare quello strano patto. Ivory si ritrovò a stringerla senza nemmeno rendersene conto.
- Signorina White, la passo a prendere stasera alle otto. -
- La aspetterò con ansia, Signor Morgan. -

*

Lindsey aveva bloccato l’espressione facciale per non dimostrarne una assolutamente impanicata. S’umettò le labbra, e annuì due, tre volte.
Poi disse solo – No! -
- ho già parlato con Elisia. -
- E quindi? Non puoi! -
- Perché no? -
- Perché io non sono brava abbastanza. Non ancora. - strinse le labbra Ivory alzò un sopracciglio – Mi stai dicendo che non posso saltare un anno perché non puoi farlo nemmeno tu? -
Lo scalpellotto le arrivò sulla nuca, pieno e bel sonoro.
- Perché non posso essere l con te, e tenerti al sicuro! - quasi urlò – Credi che io mi alleni tanto perché mi piace l’idea di combattere? Scherzi? Suono per proteggere le persone a cui tengo e, per puro caso, sei una di loro! -
Ivory si sentì avvampare – Non è detto che ci riesca, il mio è un tentativo. -
Lindsey incrociò le braccia – E’ fuori discussione. - sentenziò – Non ti lascerò uscire là fuori senza di me. Nemmeno tra un milione di anni! -
- Però Lin…- mormorò Ivory – Questa decisone non dipende da te. -
Gli occhi verdi della ragazza di puntarono su di lei, feriti.
- Sei cattiva. -
- E tu irragionevole. Ho un opportunità unica e vuoi che non la accetti perché non puoi tenermi sotto controllo. - scosse la testa – Se mai fossimo in squadra insieme, notizia flash, sarei io quella che deve proteggere te mentre suoni! -
Lindsey strinse le labbra, sviando lo sguardo. L’aveva ferita, ivory ne era consapevole.
Ultimamente stava diventando davvero brava a ferire la gente.
- Lin…- le tese la mano – Proverò solo un allenamento più intensivo, non mi impachetteranno e invieranno al confine d’ombra così a caso. –
- Avremo anche meno occasione di vederci. - insistette, come un capriccio.
Ivory, le prese la mano, aveva le dita fredde, le sctrinse anche per scaldarle.
- Troverò sempre tempo per te. -
Lindsey annuì, ma Ivory aveva un’altra notizia.
- E ancora una cosa…- soffiò.
- cosa? Cos’altro potrebbe mai esserci? Lasciami indovinare, sei segretamente una musicante… no anzi, una Voce! – alzò un sopracciglio – Aspetta non dirmi che sei Dio in persona! -
Le due scoppiarono a ridere, poi Ivory fece del suo meglio per tornare seria.
- Seth mi ha chiesto di uscire. Solo io e lui. -
L’ilarità scemò sul viso di Lindsey, ma persistette il sorriso congelato – Oh. -
- che ne pensi? - soffiò – Cioè… è simpatico e carino, ma… che ne pensi? -
Lindsey lasciò che lo sguardo scivolasse lungo la stanza solo per guadagnare tempo – E’… carino. - concordò – Sembra un bravo ragazzo. -
- Vero? - soffiò Ivory.
- Ma lo conosci ancora poco. Non… partire in quarta. -
- Chi? Io? Che mi faccio paranoia su ogni cosa? -
Ridacchiò e Lindsey provò a imitarla, con poco successo.
- Meglio andare. - tagliò corto – Devo imparare un pezzo entro domani, quindi…-
- Oh. Sì. Certo! -
Si alzò e scivolò via, pronta a prepararsi per un appuntamento vero.

**

Si guardò allo specchio e odiò vedere le profonde occhiaie che ancora spiccavano sotto gli occhi nonostante il correttore. Di solito non aveva molto tempo per truccarsi, aveva decisamente altre priorità, ma le piaceva ogni tanto farsi bella.
In fin dei conti, anche lei tutto sommato apparteneva al genere femminile.
La verità era che Lindsey aveva passato la fase trucco quando erano più giovani e lei aveva voluto imparare per stare al suo passo.
Aveva fatto un sacco di cose che non erano molto da lei, pur di trovare punti di incontro con la sua migliore amica.
Ma era stato divertente,cercarsi gli occhi con rimmel che sfuggivano al controllo.
Si dette un ultima occhiata: capelli acconciati quel poco che basta per creare delle onde slla punte, occhi delineati da aylaner e rimmel, poco ombretto, rossetto rosso scuro, una delle poche magliette eleganti di un verde speraldo con un semplice pantalone nero che le metteva in mostra il risultato di corse continue.
- Non sei male quando ti curi! - esclamò la caounquilina una volta che la vide.
Ivory si mise la gialla di pelle e la borsetta a tracolla.
- Esci con quella borsa? -
- Sì. -
- Ma è orrenda! -
Ivory fece un sorriso di circostanza –A me piace. - ed era anche l’unica che aveva.
Prima che potesse aggiungere altro, la salutò al volo ed uscì.

Seth era in piedi sulla porta, era vestito più o meno come la sera scorsa, con la sola differenza che aveva un sorriso radioso sulle labbra.
- Sei venuta. - fece – E da sola! -
Vory alzò un sopracciglio con arroganza – Chi ti dice che sia da sola? -
- Hai Lindsey nella borsa? -
- No no, è qui! - si indicò una tasca della giacca – Telecamera nascosta. Vedrà ogni cosa e se oserai fare cose che non le piacciono ti suonerà gli organi interni. - annuì sonoramente. Seth ridacchiò, divertito e forse non proprio trnquillo che non fosse una minaccia velata.
Si avviarono verso la città, Ivory si chiede dove la stesse portanto.
- Tu e Lidsey siete… molto unite. - esordì.
Ivory fece qualche passo ponderando bene su cosa rispondere.
- Siamo come sorelle. E in un certo senso, siamo sorelle. -
Seth non sembrò soddisfatto della risposta e Ivory si sistemò nervosamente la borsa sulla spalla prima di continuare – Le devo la mia vita. -
- In che senso? -
Per qualche altro passo Ivory raccolse i pensieri. Seth aveva una piccola idea di cosa aveva passato, c’erano già state confessioni tra loro.
A dire il vero, era strano riuscire a parlare così facilmente con qualcuno, forse troppo facilmente, che ora che aveva capito il suo interesse era arrivata a chiedersi quanto poteva davvero dirgli senza fargli perdere interesse.
Guardò Seth, che anche se guardava davanti a sé stanto ben attento a dove mettere i piedi, non sembrava fingere il suo interesse.
Si chiese quanto poteva dire, senza spaventarlo.
Decise quindi, per una versione leggera degli eventi. Era una censura dovuta.
- E’ stata lei a rendersi conto che mia madre era stata posseduta. - soffiò – Grazie a lei hanno tentato di esorcizzarla, e anche se è andata com’è andata, ha preteso che sua madre si occupasse di me. -
Seth camminò per qualche attimo in silenzio, poi domandò solo – “ha preteso”? -
- Credo che abbia fatto lo sciopero della fame. - quasi rise – Per bene due minuti, perché mentre stava protestando, Alysa stava già firmando le carte per adottarmi. -
Non era andata proprio così, ma voleva divertirsi quella sera, e non pensare al momento più brutto della sua vita e alla vita a metà che ne era seguita.
Lei era lì, all’accademia, aveva la possibilità di aiutare, di combattere, di vendicare la sua e tutte le persone che avevano subito la sua stessa sorte.
E, nonostante tutto, c’era gente che teneva a lei…
Erano queste le cose su cui voleva concentrarsi.
- Mi dispiace. - disse Seth dopo un po’ – Vorrei sapere tutto di te, ma non vorrei nemmeno costringerti a parlarne. - ammise.
Salirono in macchina e dopo un po’ che fu partita ivory domandò:
- Parlami di te. -
- Che vuoi sapere? -
- Una storia lacrimevole. - rispose.
Seth incrociò le braccia e ci rifletté sopra – Una volta, pur di non farmi suonare la chitarra, mi hanno tagliato tutte le corde. -
- Cosa? -
- Non sono strumenti adatti per gli esorcismi, quindi non se ne trovano molte in giro. Fu una tragedia. - annuì.
Ivory alzò un sopracciglio e Seth le sorrise colpevole.
- Ne vuoi una lacrimevole davvero. -
- Ci puoi giurare. -
- Okay. -
Aggrottò le sopracciglia, rabbuiandosi – Beh, sai della storia di mio fratello. -
Era vero, anche se non ricordava dove l’avesse sentita.
Mentre rifletteva, a Seth veniva una rughetta sul lato della fronte, solo lì, era una cosa… carina.
Mentre pensava alla storia che poteva dirgli, Ivory intuì fosse ualcosa che riguadava la sua infanzia. Doveva essere qualcosa che riguardava…
Suo padre. Sì, solo lui poteva causargli quello sguardo così cupo.
Qualcosa a cui teneva, era stato messo in pericolo dal padre.
La chitarra.
La chitarra doveva essere appartenuta a qualcuno della sua famiglia, ma suo padre non era dell’avviso e…
- Mio padre ha tentato di bruciare la mia chitarra. - confessò d’un tratto.
- Apparteneva a tuo nonno, no? Perché avrebbe dovuto farlo? -
Seth si girò e la guardò, per un attimo come se non la riconoscesse – Come fai a sapere che apparteneva a tuo nonno? -
Quella domanda la colse alla sprovvista - … è vecchia. - mormroò – Ho solo pensato…-
Le iridi del ragazzo si assottigliarono, come un gatto che fiutava il pericolo – Tu… come fai a sapere così tantod i me? -
Quella domanda la mise a disagio, con le dita, cercò gli angoli della giacca per concentrare la sua attenzione altrove – Forse me l’ha detto Lindsey. - provò – La tua chitarra è famosa, è normale che la gente si sia incuriosita. -
Seth non sembrò per nulla convinto ma per fortuna, la macchina arrivò presto a destinazione. Quando scese e si accorse dov’era Ivory sentì le gambe pesarle il quadruplo.
- Il… museo della musica? - domandò piano.
Seth annuì, poi le fece un largo sorriso – Vedrai, un’ora dentro e la tua avversione per la musica sarà curata! - esclmaò.
- Io davvero non…- la voce le si interruppe – Io non posso. -
Seth s’umettò le labbra – Non c’è vera musica dentro. - promise – Però, vedi, quella che ci insegnano, quella che tu non sopporti è solo una piccola percentuale della vera musica che è esistitia. Credo che tu possa superare le tue paruse se conosci il tuo nemico. -
Il suo nemico.
La voce di Lindsey le volò nella testa: come poteva odiare la musica e sperare di far parte di una squadra?
Era un vero problema, ed era anche con le spalle al muso; se accettava di saltare un anno, non poteva evitarla.
Doveva accettarla.
La nausea le tornò, più forte che mai, ma annuì e seguì Seth lungo la scalinata. Le sembrò che ogni passo che faceva, la gravità aumentasse di un pochetti in più, cos tanto che quando arrivò in cima, si sentì come se qualcuno la stesse tirarndo dalla parte opporta.
Scappa.
Corri via.
Fuggi.
Tuttavia, prese la mano di seth e entrò.


**

Il museo era strutturato storicamente. Non c’era molta gente e in sottofondo c’era solo un vago coretto che non aveva mai sentito e che non le scaternò nessuna reazione allergica.
Dopo le prime due Sale, dopo non vi erano che qualche strumento creato con legna e poco più, il suo cuore riprese a battere ad un livello normale.
Tutto sommato non sembrava una cosa così terribile.
Seth doveva essere stato lì talmente spesso da sentire la guida a memoria, iniziò a raccontarle ogni cosa, curiosità su periodo storici e strumenti.
Le mise in testa almeno cieni cuffie diverse che mandavano registrazione di come facevano quello oq eull’altro strumento e Ivory si ritrovò stranamente affascinata.
Era diverso da quello a cui era sopravvissuta.
La msusica che Sth le raccontava apparteneva a una realtà diversa, un mondo alternativo dove veniva usata per allietare, per intrattenere e, in molte occasioni, per raccontare storie e emozioni.
Seth aveva una luca negli occhi da cui Ivory si ritrovò affascinata. Amare qualcosa, avere una tale passione, tanto da volerla trasmettere.
Era una passione che trascendeva lui, irradiava tutti attorno a lui, come se non riuscisse a travalicare i limiti del suo stesso corpo.
A lei la musica, così come l’aveva conoscuta, non le piaceva.
Ma le piaceva la musica che sEth le raccontava.
Passò il classico, passò il boemien, passò il rock, perfino il metal…
Non provò nemmeno ad ascoltare i mille sottogermeri in cui si era ramificata.
Quando la musica era una passione e non la necessità, era … spendente.
Entrarono in una sala nuova, e Seth qui si acquietò. La sala era buia, c’erano solo poche luci che illuminavano pochi strimenti. Su ogni targhetta, vi era una croce di lato e un incisione unica numerica.
- Sono quanti demoni hanno sconfitto. - confidò sottovoce – Quando tornarono, quando si scaternò la guerra e scoprimmo che la musica era la nostra unica arma, fu difficile poi fare altro. - ammise – La vita umana su un piatto della bilancia, valeva di più che qualunque emozione raccontata. -
Ivory si girò con nostalgia verso le sale più lucenti, più allegre e più passionali, tornò alla sala buia con la morte nel cuore.
L’era buia della musica era quella, quando la suonare era diventata questione di vita o di morte.
Gli prese la mano. In quel momento, condividevano un rammarico: i demoni che rovinavano l’ennesima bella cosa.
- Perché sei venuto all’accademia se non ami suonare per combattere? -
Seth si strinse nelle spalle – Perché vorrei suonare per altro e per tornare a farlo, devo suonare per combattere. -
- Deve essere bello amare qualcosa come tu ami la musica. - soffiò – Non ho mai avuto nulla del genere. -
Seth scrllò le spalle e strinse la mano, per poi trascinarla in un'altra sala, Qyesta volta c’erano strumenti musicali lasciati liberi, per essere suonati.
Seth si sedette sul panoforte e domandò – Posso offriti una canzone? -
Ivory sorrise e si sedette vicino a lui, dando le spalle ai pianoforte, così da non dargli disturbo con le braccia e le gambe.
Seth prese una lunga pausa per concentrarsi e poi iniziò a suonare.
La riconobbe subito, era la musica che l’aveva catturata quel pomeriggio. Ora che la scoltava davvero, che rimbombava in tutta la sala, sentiva come se vibrasse nalls au testa, fino a attraversarle ogni angolo del corpo.
Era bella.
Fu strano epr lei trovarla bella.
Seth suonò e le dita si muvoevano con abilità e maestria, erano lunghe e affusolare, e veloci. Erano belle.
Ivory si sentì sempre più rilassata, come se il peso del mondo che aveva avvertito quando era entrata fosse scivolato via, dandole finalmente sollievo.
Si sentiva leggera, si setniva come se nel mondo ci fosse solo lei e null’altro.
Dentro di sé, il mondo era magico ed era fantastico e per un secondo le parve che fosse bellissimo.
Era questo il potere della muscia? Era questo che poteva creare il mondo?
Erano queste magnifiche note che potevano salvaro?
Alzò gli occhi e le parve di capire per un singolo, importante attimo, cosa fosse Set e tutti i musicanti per il mondo.
Erano un canto soave in una battaglia cruenta.
E quel canto era l’unica cosa che li rendeva umani.
Seth smise di suonare e si girò a guardarla, un po’ timoroso della sua reazione e non le parve mai così bello.
Desiderò baciarlo e si spinse in avani per fare quel piccolo primo passo che portò alle loro labbra unite insieme.
Fu un bacio dolce, intimo, ivory sentì le classiche farfalle nello stomaco e il cuore non ne voleva sapere di calmarsi.
Si separarono e aprì gli occhi e le parve di perdersi in quel COLORE dei suoi.
Era questo innamorarsi?
Seth le sorrise, un po’ arrossito, poi le prese la mano.
- Allora, sono riuscito a farti piacere la musica almeno un poco? -
Ivory fece finta di rifletterci – Non la musica, almeno non quella magica, ma la tua musica… sì. E’ diversa, è speciale. -
Seth sembrò illuminarsi, e poi restarono per un po’ lì, in silenzio, con le mani unite insieme.
Le mani di seth erano lunghe e affusolate, calde e un po’ dure sui polpastrelli per via dela chitarra. Dovevano avergli fatto male all’inizio.
Quanti sacrifici ci voleva per imparare?
- mi sono sempre chiesa…- sofffiò – Tu suoni il pianforte. Come può essere utile in battagla? -
- Non sai parlare di altro che di demoni? -
- La chiratta non è sacra e il pianoforte non puoi portar gelo in giro. -
Lui fece un sorriso obliquo, come se non volesse risponderle. Forse era così.
- Non puoi nemmeno portartelo nelle case delle persone possedute. - soffiò lei, cercando di trasmettergli che poteva parlarne tranquillamente – Cioè, magari sì, ma pensa alla difficoltà. -
Lui rifletté su cosa dirle, riusciva quasi a vedere gli ignranaggi che si muovevano nella sua testa attraverso gli occhi.
- Il pianoforte, è uno strumento potete. Non a caso, violino e pianoforte sono gli strumenti più imparati. Il vialino è più da battaglia attiva, mentre il pianoforte è per curera. - soffiò – Molte persone una volta che il demone è andato via, non ne escono davvero fuori, molte persone restano irrimediabilmente cambiate dall’esperienza. Loro più di tutte, devono sentire la voce di dio per trarne giovamento. -
La guardò, coem a testare le sue emozioni, Ivory annuì solennemente – Tu suoni il pianoforte per curare la gente. -
- Non so se possano essre curare. - ammise – Ma possono essere almeno aiutare. -
- E’…- cercò le parole – Gentile da parte tua. -
Seth lasciò scivolare lo sguardo su le pareti dove vi erano manifesti con piccoli anedoti speciali sulla musica.
Si sofferò su quello di Paganini, che diceva che il primo combattente magico venne additato erroneamente come un demone, quasi bonariamente.
La verità è uscita dopo secoli.
Stava scoprendo sempre nuove cose su Seth e gli si sentiva vicina più che mai, strinse la sua mano e sorrise dolcemente – Andiamo? Ho fame. -
- ottimo. -
Si avviarono verso l’uscita e Ivory si sentiva bene, forse come non lo era da tempo. Da quando era arrivata all’accademia tutto qeullo che aveva fatto era preoccuparsi di quello o di quellaltro: la magia, i demoni, la sospensione, la pressione.
Ma ora, in qeul momento, si sentiva leggera e spensierata, come sarebbe dovuto esserlo una ragazzina ce viveva in un mondo dove c’erano mostri annidati nell’ombra e dove una delle cose che rendeva la vita più bella non era una delle armi più potente per batterli.
Era bello, quel mondo, forse per questa sensazione, per anelarla, per ricercarla…
Per questo combattevano.
Per un mondo, dove la maggiore preoccupazione era se piaceva o meno ad un ragazzo.
Camminarono piano, anche se faceva freddo e delle nuvolette di vapore scivolavano fuori dalle sue labbra.
Stavano prendendo la via verso il ristorante quando accadde.
Ivory si rese conto solo dello strattone, dapprima, poi si ritrovò scaraventata indietro. Sbatté le palpebre due, tre volte, senza capire.
Poi sentì la voce:
- Prendete solo il ragazzo. -

__


Un’ondata di adrenalina la spinse subito e dimenarsi, ma mani la tenevano ferma.
Una le coprì la bocca, coprendole anche il naso. Stavano cercando di sofficarla.
Sentiva Seth dimenarsi, sferrare fendenti, sentì dei colpi e poi geminiti, ma non riusciva a muoversi, due uomini la stavano tenendo ferma.
Ma doveva muoversi, lei era quella più allenata e di certo l’unia che poteva affrontare quegli uomini.
Schiacciò il piede a uno e con la testa tentò di colpire un altro.
Risucì a liberarsi ma non perché fosse stata abile,s olo perché fu veloce e non se lo aspettavano, tanto che per un attimo la guardarono con le mani tese senza sapere cosa fare.
Lei non poteva pensare a loro, Seth aveva la priorità.
Si avviò per correre verso di lui, mentre due lo tenevano ferma a terra, uno di loro prese un martello e lo alzò.
Ivory capì cosa dovevano fare: rompergli le mani.
Non poteva permetterlo.
Raccolse tutto le sue energie, non aveva il talismano, ma non era quello il mondo di essere selettiva. Sent’ la magia crescere dentro di lei, tentò di concentrarla sulle mani, poi sui palmi e infine provò a farla uscire.
Ma i due uomini, ripresosi dallo scalpore, erano tornati ad afferrarla e Ivyr si ritrovò catapultata in terra, il mento che batteva sull’asfalto.
Sentì il prmo fendente e Seth urlare.
Fu anche troppo.
Ivory sentì la rabbia, invaderla, sentì il dolore avvolgerla come un guanto e sembrò che tutto rallentasse.
Contrasse le dita, come se fosse per la prima volta in grado di percepirle come sue, le mosse, e si mosse.
Si alzò, come se non ci fosse alcun impedimento a tenerla a terra, si rese conto solo una volta in piedi che gli uomini erano stati scaraventati due metri più in là.
Non le parve strano.
Si girò verso gli altri due, Seth era sudato e aveva gli occhi serrati dal dolore.
Loro facevano parte del problema: quella sensazione che il mondo potesse essere bello era svanita solo perché esistevano persone come loro.
Sarebbe un peccato, tenerle ancora in vita, pensò.
Tanto valeva…
Fuoco.
Uno dei due fece un urlo gutturale e crollò a terra, dalle narici fuoriuscì uno sbuffo di fumo e i suoi occhi furono attraversati da un colore vi fiamma viva.
L’altro osservò il suo compare poi lei, e fece solo due passi nella sua direzione prima di voltarsi e correre a gambe levate.
Ivory ebbe l’impulso di inseguirlo e ucciderlo, ma poi Seth gemette e si ritrovò di nuovo in sé, disorientata come se avesse appena fatto un gro sulle montagne russe e fosse finito.
Le forze le mancarono e crollò sulle ginocchia, senza fiato.
- C-cosa…- farfugliò.
Seth si tirò su seduto, una mano strette al petto, il viso ancora dolorante, ma la sau attenzione ora era per l’uomo senza vita accanto a lui.
- Ivy…- soffiò – Coem hai fatto? -
Non lo spaeva. Ivory lo guardò, con le labbra socchiuse in una risposta che non venne mai.
Fu allora che qualcuno vide la scena e urlò, presto giusero i soccorsi.
Ivory fu avvolta in una coperta da un paramedico e Seth portato via in ambulanza.
Mentre stavano viaggiando verso l’ospedale, Seth continuava a fissarla come se non la riconoscesse.
Come poteva dargli torto? Nemmeno lei sapeva di cosa era stata capace.
Aveva ucciso un uomo.
Le era sembrato… facile, quasi insignificante.
Seth tese lamano ancora sana per raggiunsere la sua – andrà tutto bene. - soffiò, ma c’era un timore profondo e oscuro nei suoi occhi.
Ivory annuì, solo per non farlo preoccupare ulteriormente.
- Beh…- mormorò con la gola secca e per nulla in vena di fare battute – Direi che è il peggior primo appuntamento della storia. -

**


Seth Morgan non aveva paura di nulla. Ma c’era qualcosa che non aveva mai potuto controllare era la paura di affrontare la verit.
C’era qualcosa che non aveva mai considerato parte della sua vita una parte di lui che non aveva mai potuto pensare di perdere: la sua musica.
Si guardò la mano e gli parve che il mondo non avesse più alcun senso, il mondo non lo aveva più, non aveva più alcun futuro e nessun posto dove stare.
Bon aveva senso per lui restare in accademia, non aveva senso per lui continuare a studiare ma il mondo era un posto nuovo, pi spaventoso e cera bisogno di persone come lui al mondo
Se anche non avesse potuto suonare in modo magnifico poteva almeno riuscre a farlo in modo aggressivo così da combattere.
Doveva penare questo mentre il mondo gli stava crollando addossoe tuttto stava finendo.
Quell’accademia era un falso paradico, non c’era veramente così tanta bellezza nel mondo, era un ideale idilliaco senza nessuno scopo se non quello di indurare la pillola prima che il mondo com era glielavrebbe ucciso la passione.
Era così che sarebbe dovutoa andare?
Er asolo al secondo anno, aveva visto suo fratello tornare dalla guerra con gli occhi in lacrime e sbarrti era normale che fosse così, il mondo era crdele e non solo per i demoni, quelli che li avevano aggrediti era uuomini. Normale come loro due.
Erano assolutamente folle che gli avrebbero sfatto quello, aveva sentito parlare di uomini che si rano rivolti a demoni per potere e successo, ma non aveva mai creduto che potesse essere una cosa reale.
Loro erano dei mostri e questo mondo era oltre ogni riparazione.
Ma c’era un altro pensero che lo stava tormentando, un pensiero così profondo e preoccupante che non aveva mai pensato di pensarlo: ivory.
I suoi occhi mentre bruciava vivo quella persona era…
Qualcuno busso alla porta e per un attimo ebbe paura fosse lei, ma un ragazzo che aveva visto spesso con rovy entrò con un sorriso mordace e gioviale.
- Daniela. - soffiò.
- Seth. Che bello vederti—
Lui avaznao e si sedette sul letto, per un secondo restò in silenzio come se non sarebbe bene cosa dire.
- Cosa ci fai qui? -
- Ho una domanda. - soffiò, poi tacquue perché non sapeva bene come continuare. I guoi occhi grigi si perderso in un mondo lontano, in un ricordo molto simile al suo.
Riconobebbe quell’ombra, quel dubbio, quella prua.
- Ivory. - soffiò e avrebbe dobuto essere tutto lì – Hai… isto qualcosa in lei? -
Non serviva chiedere in che senso lo intendesse, non c’era altro modo di affrontare quella discussione.
Ora che ci pensava, forse Daniel era l’unico altra persona che avrebbe pitito capire il perché avesse quella nuovo ancestrale paura, perché erano lì, vivo, e allo stesso tempo timoroso di rivederla.
Lui l’aveva vista affrontare un demone e aveva avuto anche i nervi di ripescarla dalle acquae.
- Le… cos’è-. - domandò.
Daniel alzò gli occhi e lo guardò come se non potesse dargli una rispsota, forse era così. Scrollò le spalle e soffiò – Non lo so, ma una persona del genere la voglio coem amica e non vome nemica. - confidò.
- Come fa ad essere così forte? -
- Nn lo so. -
- I suoi occhi…-
- Non ho avuto modo di vederla davvero in azione. - soffiò – Ma ho visto la forza con cui l’espeosione ha smosso l’acqua mentre era sotto e ho visto poi il suo sguardo quando l’ho tirata via. Non era incosciente, non del tutto, ma era… sembrava un’altra persona. -
I due restarono in silenzio – Ma è sempre lei. - provò subito daniela – non è cambiata, è solo diversa quando usa la magia-
- F apaura. -
- Non è necessariamente un male. Dobbiamo aiutarla a capire come usare consciamente i suoi poteri. E sarà un ottima arma contr i demoni. -
I due si sentirono in fidetto ma annuirono – Ma… lei è solo una ragazza. - mormorò.
- Lei è un arma. Noi siamo armi. Ttti i ragazzi vengono allevati e nutrici come armi. Sono solo chi è più potente di altri. -
Il silenzio calò di nuovo tra loro e il mondo parve di nuovo cupoe buoo.
- Che brutto vederlo così, non trovi-
- questo mondo fa schifo. -
I due si annuirono tra loro come se non ci fosse null’altro da aggiungere, Daniel tese la mano e i usoi occhi cercarono ancora comprensione.
- Lei non lo sa. - mormorò – Di cosa è capace. -
Seth tese la mano e soffiò piano – Nmemmeno noi. -
Ed era così,
La paura era più forte e più intensa chemai, il mondo era in perisolo e non ernao al sicuro nemmeno dai loro migliori amici.
- Ci ci ha aggredito… erano uomini. - soffiò – Tremo al pensiero che una persona come ivory possa cambiare fazione. -
- Non lo farebbe mai. -
- Non dico che lo potrebbe fare, ma dico che se è così potente e trovano il modo di arrivare a lei potrebbe essere un problema e non perché penso possa accadere ma perché penso che i professri possano pensarlo. – esitò – Credo che sia per questo che hanno deciso di promuoverla. Non vogliono aiutarla… vogliono tenerla sotto controllo. -
- Non sarà prima di un anno. -
- Non sarà prima di quest’anno. - soffiò – Quest’anno in cui l’attenzione sarà solo du si lei, mentchenno ora che ha sveentato un altro attacco uccidendo une ssere umano. E’ in pericolo, Dan. -
Daniel annuì lentamente – Come pensi che pssiamo aiutarla? -
- non sono sicuro che possiamo. - ammise. -
- Ma dobbiamo provarci. - morormo – Noi siamo musicanti, siamo le armi più affilate. Possiamo imporci di tenerla lontano dai demoni il più posibbile di tenerla al sicuro e di non permetterle di usare ulterieomnete la magia in quel mood. -
- Non è che possiamo evitade rel tutto di sucire. I demoni ci entrano anche a scuola. -
Daniel annuì – Dobbiamo trovare un modo. -

**

Ivory non si era alzata dal letto, Lindsey si era stesa accanto a lei e aveva fissato il soffitto come se fosse una loro cosa.
Ricordava vagamente che quando eravano piccole lo era, dopo la morte della madre e che Alysa per ovvare alla cosa aveva pensato bene di mettere sul sfofutto delle stelle così da dargli efettivamente qulcocsa da guardare.
Era bello, il suo soffitto l’aveva aiutata per qualche nott a essere altrove e non nelal sua vita.
Lindsey aveva penifino ivnentato delle finte costellazion, scimmiottando il modo in cui la madre aveva messo le stelle alla rinfusa: c’era la costellazione della maggia di caffè, c’era la costellazione del ragnetto, c’era la costellazione di Ivory e accanto quella di Lindsey la grande violinista.
Quella era la sua preferita, era una combinazione di quattro stelle che gli sembrava che danzassero insieme.
- Sai che le stesse sono vicine ma sono cos lontane tra lroo- le aveva detto una volta Lindsey solo per riempire il silenzio e far smettere le lacrime – Ora io sono vicino a te, ma sono anche lontana da te.. - aveva sussurrato – Ma non dimenticare che per quanto tu possa sentirti lontana da me… io sono qui. Accanto. -
Era la sua migliore amica. Era sua sorella.
Era la persona che contava di più al mondo.
Aveva il suo modo distarle vicino, anche se a distanza, anche se a un metro, era il modo perfetto e giusto perché il mondo le poteva parere ancora degno di essere vissutto.
Ma non era sempre così e non in quel momento.
Ivory non aveva davanti altro che l’immagine del corpo esanime, di quello sfubbo di fumo dal naso, dei suoi occhi che erano attraversati dalle fiamme.
Non gli aeva semplicemente dato furoo. Aveva arso quell’uomo dall’interno e gli era sembrata la cosa più facile del mondo.
Era orribile. Il suo potere era orribile.
Cosa c’era in lei di sbagliato? Come poteva essere così imbranata eppure così potente?
Le prorue mani gli sembravano così diverse, così distanti, eppure erano attaccate al suo corpo.
Per quell momento si era dissociata dal mondo, non el era parso nemmeno di essere lei.
Cosa… c’era in lei?
Si mise seduta e un senso di freddo le attraverò la spina dorsale.
Il curoe le era saltato in gola, mentre iun surore freddo le colava sulle fronte.
No. Pensò disepraemnte, no no no no
Si alzò e Lindsey domandò apprensiva- Cosa c’è? Che hai? -
- No. - disse, senza fiato, pii cerò i suoi vestiti.
Inziiò a metterli, una maglietta al contrario, ma non importava, la verità e che doveva muoversi.
- DCosa… dove… Ivy! -
- Lisney devo sapere! - uasi urlò, poi si avviò lungo il corridoio. Corse a perdifiato dino all’infermeria e lì si fermò solo per non stramazzare in terra.
Una volta l, trovò il capo della scuola e l’ifermeera che stavano èarlando fittamente fortse di lei datto sguardo che fecero quanco la video.
- Cosa c’è in me?! - quasi urlà seppure sena fiato.
L’ifnermera si avvicnò con aria grave e la portò sul lettono, poi si fece attenta. Prese uno stetoscopio e le musitò la pressione.
Opo un po’ il professor Linch apparve come un angeolo custode.
- Profeittose. - soffiò il capo d’isttot – Ivory è di nuovo. -
- Lo so. -
- Ma lei aveva setto. -
- Lo so. -
Ivoryu omandò ancora – Cosac’è in me? -
Il professore si fece teso in volto e si sedett accanto a lei, gli altri fecero un passo indeito con attenzione come a fargli prvaryc.
Dal’altra parte della stanz aLindsey se ne stava in piedi attenta e in po’ procucpata di quello che stava succcednendo.
- VIry? - domandò.
Ivory le tese la mano per poi ritrarla – Non toccarmi, io… non soc soa non vada. -
Lei attraverò la stanza peché nn c’era verso che le desse ragione. Tpo mai.
La prese la mano e si impuòt in n unico imperativo: sarebbero rimaste insieme.
- Ivy. Soffiò il professor finch – Avevoa il sospetto, ma le prove che ho provato a fare non avevano fato risultati. – mormro – Ero confidente che non fosse così, ma dopo stasera la situazione è cambiata. -Ivry restò in sielnzio ma il cuore cuore sapeve già la risposta.
Un senso di calma e spossatezza la stava attraversando come un fiume che aveva finito di essere in piena e non restavano che destriti e disastri.
- C’è un demone non è vero? - disse, quasi senza voce – C’è un demone edentro di me. -
Lindsey strinse la sua mano come se avesse avuto uno sparmo, ma non la lasciò andare.
Finch provò a dire – Non ne siamo sicuri. -
Ma lo erano. E Ivory era la prima a eserene certa.
- …-come. - mormroò – Come c’è finito? Quando? -
- I demoni si annudan nelle crepe della nostra anima. Le persone cono grafigi vengono costantemente ferite, non c’è modo di sapere quando. -
- Ma c’è. - mormroò Ivory – C’è un mood… - mormroò.
I demoni ti attaccano e ti entrano dentro quanso sei più debole, quadno sei al minimo dell eut forse, a pezzi, distrutto come un coccio caduto in terra.
Ti entrano dentro dopo averti spinto e spinto ancora fino a disintegrare tutto di te e poi metterti comodo nello spazio vuole che hai lasciato.
Parassiti dell’anima.
- E’… mia madre. - mromrorò – cioè il suo demone. -
- Ivyr. - mormroò Lindsey vicino a lei con la sua voce suoava – Noneosnare che sia così. Sono ciura che ci sia un’altra spiegaizone, non avrebbe avuto senso sennò. - si adirò – Ha vissuto in una casa di muscianti per anni, non avrebbe potuto sopravvivere un demone con noi! –
Ma l’aveva fatto.
Aveva anche passato i pcoontrolli dell’accademia, era entrata come n cavallo di troia.
- Com’è stato possibile? - domandò ancora Lindsey – E’ chiaro che non lo è. -
- come lo levo? - domandò infine tagliando la testa al toro.
- Quanti anni avevi quando ti ha pres? -
- Sei. -
Gli adulti si guardarono con sospetto, l’infermiera si avvicinò gentilmente e le carezzò il viso – Vorrei farti qualche analisi, va bene? -

Ivry la guarò con la morte nel core. Il suo mondo stava crollando a pezz non si sentiva bene nemmeno nelal sia stessa pelle.
Sembrava come se formicolasse tutta, come se ci vosse addosso un cosa orticante che non ne voleva sapere di andare via.
Provava l’impulto i strapparsela strato per strato e nemmeno tolta tutta aveva las ensazione che si sarebbe sentita più la stessa.
La sua anima era impura, contaminata, distrutta.
Quando poteva avela mai conquistata?
Immagini della madre che l’aveva maltrattata per mesi prima che fos scoperta le formicavano nella testa, ma mai sarebbe potuto essere lì, mai.
Non c’era possibilità che fosse in quei momento percé ivor era troppo giovane e mai la sua fede incrollabile sarebbe venuta meneo per la madre, anche se non poteva esere felice dei suoi comportamenti era sempre sua madre e bastava che per un attimo fosse lucida o fingesse di esserlo, che per un attimo le sue mani calde la trattavano cone gentlezza e allora tutto era possibile, tornare felici era possobile, amare era possibile.
Poi il giorno dopo era di novo tutto un incubo, sbagliato e orrendo, ma si aggrappava costantemente a quei ricord, a quei momenti, come se fossero la cosa più importante del mondo.
No, non era in uel momento che la sua anima era andata cpsì tanto in pezzi da pover essere vulnerabile, non era l che qualcosa poteva essersi annidato nella sua pelle
Ma allora quando?
Che buffo, saperlo anche se non ne aveva la certezza.
Era il momento che la tormentava di più, era il momento in cui si era rivista tormentarla notte dopo notte, che la tenva sveglia a guardare le stelle finte di un sofftto bianco.
Era il momento in cui aveva capito che sua madre era stata presa daun demone, il momento in cui si era accoarta che l’anima di sua madre non c’erapiù, che era stata distrutta, scavata, eliminata.
Che quella dolcezza non sarebbe più stata presente.
Perché era stata colpa sua.
Aveva chiesto una cosa, non ricordava nemmeno cosa, aveva fatto una domanda sbagliata, un attimo.
E la madre era crollata a pezzi
Era iniziato con uno schiaffo.
Un singolo, unico schiaffo, fto per rispondere ad un capriccio.
La madre poi aveva pianto, stringendola, pendentendosi fino a quel momento, ma quando aveva sciolto l’abbraccio, quando l’aveva vista negli occh, aveva visto l’oscurità.
Aveva fatto radici, aveva fatto germogliare qualcosa nella profondità del suo sguardo.
Da bimbe, Ivory non aveva mai pttouo collegare le cose, non era possibile che una bimba di sei anni con i demoni che le venivano raccontati come l’uomo nero potesse capire l’entità di un tale disastro, ma da quantre mentre li studiava aveva capito esattamente cosa era successo: sua madre era distrutta e lei l’aveva fistruta ancora con i suoi capricci.
Quello shciaffo, era stato l’attimo in cui aeva ceduto ai suoi peggiori istinti.
L’attimo in cui finalmente il demone aveva preso il sopravvento e l’aveva disintegrata.
La debolezza per la noia che l’aveva esasperata era stata la scintilla che daveva dato il viaa tutto.
Sua madre era stata posseduta per colpa sua, non dall’inziio, ma lei le aveva dto il corpo di grazia e poi quando non era stata in grado di coprire i lividi e trattnere le lacrime con la sua migliore amica allora era stata anche colei che le aveva tolto la vita.
Iory non poteva essere una persona felice, non poteva con quella storia che le pesava adosso come un macigno.
Era buffo, realizzarlo ora che aveva potuto assaggiare un attimo di felicità: unbacio con un ragazzo che le piaceva, un attimo in cui la musica l’aveva trasportata in un altro universo dove non c’era mostri e lei non era una di questi.
Era facile capire come il demone si fosse annidato in lei.
La mare aveva fatto a pezzi la sua anima, realizzare di esserne stata la consonna, la aveva fatto fare radici.
- Io…- mormroò senza fiato – io…- e non seppe cos’altro dire.
Le lacrime iniziarono a scorrerle come lava sulle guance, faceva male tutto d’improvviso, tutto era doloroso e faceva male e non poteva respirare ed era troppo.
Le mancava l’aria e la testa iniziò a girarle. Lindsey la prese tra le braccia, e la sorresse mentre ogni molecola del corpo le stava facendo male.
Era troppo.
Tutto era troppo.
Non poteva farcela.
Non poteva più gestire una cosa simile. Non lei. Non lei cher a così fragile e così distrutta da poter vivere così.
Non sarebbe mai più potuta essere felice.
- Insisto che non è possibile. - continuava Lindsey – Un demone si sarebbe ovviato prima. -
- Lo so. -
- Ma che altra spiegazione ci po’ essere? - disse Finch.
L’infermiera intervenne – Lasciatele spazio. Dopo le analisi sapremo dire di più. -
Tutti furono invitati a lasciare la stanza, tranne Lindsey che restò stoica accanto a lei senza possibilità di muoversi.
Perfino quando l’infermiera la sgridò pesantemente le disse di andare via ma Lindsey non si mosse.
Non l’avrebbe lasciata sola nemmeno un minuto e lo sapevano tutti.
Ivory non osò chiederle di andare, non ce l’avrebbe fatta ad affrontare tutto senza di lei e ne era penosamente consapevole.
Aspettò che tutto andassero via poi l’infermiera le disse di spagliassi.
La fece sedere sul un lettino e alzò un risonante davanti a lei, per poi farlo vibrare. Cantò e quel canto sembrò risuonare come un’onda attraverso gli apparecchi e le sembrò che quel canto vibrasse attraverso i pori della sua stessa pelle.
Aspettò il dolore, i demoni provavano dolore con la musica, ciò che ottenne fu solo un giramento di testa per via dell’occhio interno sensibile.
Ebbe la nausea, come l’aveva avuto per settimane ormai.
Ma beuta volta, divenne più che ingestibile.
Si fece avanti per non vomitarsi addosso e rigettò ogni cosa che aveva mangiato negli ultimi giorni. Non era poi nemmeno molto.
Senti lo stomaco decidere di lasciare il suo corpo e senti come se l’acido le graffiasse la gola.
Lindsey le tirò indietro i capelli e per un attimo le parve di non poter respirare.
Forse mai più.
Sarebbe stato bene morire così, sarebbe stato sicuramente più dignitoso.
Scoppiò ancora a piangere e si aggrappò a Lindsey solo dopo che lo stomaco aveva deciso che forse era meglio restare sul suo corpo. Quello stomaco ormai era così vuoto ma la nausea non ne voleva sapere di andare via.
L’Infermiera non sembrava molto convinta, così provò ancora.
Un’altra nota.
Questa volta fu Lindsey a sentirsi come se l’avessero colpita in faccia. La musica era uno strumento potente che perfino i musicanti più esperiti a livelli più elevati potevano sentirsene sopraffatti.
Lindsey alzò gli occhi e sentì la pelle scottare, ma non fece altro che sentirsi così.
Respirava a fatica ma il dolore non era ancora sopraggiunto,
Aveva solo un fastidio e si sentiva intontita.
Stava… bene?
- Non capisco. - ammise l’infermiera con un sospiro – Se ci fosse un demone dentro di te, l’avremmo trovato. Ma quello che hai avuto è solo una vaga reazione alla magia. - si fece vicino e le guardò negli occhi – Magari è solo una contaminazione casuale, forse non ha ancora preso possesso del tuo corpo. -
- Non sono ancora… distrutta? -
- Sei ancora in tempo. - le fece, con un sorriso – Dobbiamo chiamare le cantanti e dobbiamo farlo prima possibile. -
Ivory annuì – Quante speranze ho di sopravvivere? - domandò.
- Vedrai andrò tutto bene. - soffiò Lindsey e per un attimo le parve di avere sei anni, con le urla della madre che riempivano casa e la sua amica più piccina con capelli corti e delle treccine le diceva le stesse cose.
“andrà tutto bene” “starà bene”
Non era andato tutto bene. Non era mai più andato nulla bene.
Certo la sua vita non era da buttare: non era mai stata senza mangiare, nessuno aveva alzato più una sola mano su di lei, ma non era quello l’importante.
Si era sforzata di concentrarsi sulle cose belle, ma dentro di sé sapeva che c’era qualcosa che non sarebbe mai stato più bene.
Lei era oltre ogni danno. Lei era… irrecuperabile.
Sentì una fitta, nel suo petto, sentì di nuovo l’aria mancargli e poi sentì le lebbra tirarsi un in sorriso largo che non le apparteneva.
- Bene…? - soffiò e la voce le uscì dalla gola come se la graffiasse.
Non era nemmeno sicura che fosse stata lei a parlare.
- Certo ti fai bene a dirlo con la tua vita perfetta. - ringhiò – La tua vita ottima, ti piace così tanto prenderti cura di me, che razza di problemi hai a sentirmi così tanto superire a me. -
- io… non… - Lindsey la guardava senza capire.
- Tu miss perfettina sei sempre stata più felice, che diavolo vuoi da me? Perché vuoi costantemente salvarmi? Sei patetica. -
- Non è lei a parlare. - soffiò l’infermiera attenta – Identificati. -
Ma Ivory non la sentiva, guardava la sua amica e tutto quello che riusciva a vedere era una fragile anima. Che doveva distruggere.
- Io so perché sei tanto issata con me. - sorrise, sentì effettivamente i nervi tenere le labbra all’insù, fu così strano sentirli come se non appartenessero a lei – Io so perché vuoi sempre starmi dietro, sempre appresso, so perché vuoi sempre essere la mia ombra. Sei tanto perfetta, ma proprio di me dovevi innamorati? -
Cosa?
La sua voce sfumò, ma poi qualcosa di più profondo e rutturael avvenne – Io non ti amerò mai, lo sai vero? Io non sono mai stata una stupida che credeva che stando vicino mi sarebbe bastato. Mai ricambierò il tuo amore, mai ti ho nemmeno voluto nemmeno bene! Doveva avere un posto in cui stare e allora ho scelto te! Come ci si sente eh? -
Verde il suoi occhi guardarla come se non riuscisse a riconoscerla, vide la rabbia, il rancore e le ferite farsi più marcate sulla pelle.
Le parve quasi di vederle, essere lì, fondersi con le molecole.
Farsi più profonde, sanguinare.
Ma lei non sapeva di cosa diavolo stesse parlando. Lindsey non era mai stata….
Una singola lacrime scorse lungo la sua guardia, ma Lindsey non si mosse. Le prese invece le mani – Non mi importa. - soffiò – La mia migliore amica sei tu e ti aiuterò. -
- Non c’è modo. - disse ancora Ivory, o quella voce che le usciva dal petto, rimbombava anche nella sua testa – Io sto per morire e perderai anche l’unica persona a cui tieni. -
- Io… ti salverò. -
- io morirò, invece. - fece Ivory e si ritrovò a sentire ancor i muscolosi facciali sfociare in un sorriso doloroso – Presto, se provate a togliermi. Lei… non può sopravvivere. - una risata sfuggì dalle gola, come un rimbombo – Era solo una bambina quando l’ho presa, sapere cosa significa? Che lei è mia. -
Lindsey la abbracciò così forte da togliergli il respiro e per un lungo istante, Ivory vide le sue mani afferrarle la gola e stringere forte.
Sarebbe bastato così poco per spezzarle il collo… così poco.
Sarebbe stato facile, era gracile come un ramoscello, un semplice piccolo umano fragile.
Aveva provato a distruggerla ma non c’era riuscita, l’amore che nutriva era stato sempre senza speranza e quindi non era facile affrontare.
Quelli non erano pensieri suoi, capì Ivory, non lo erano mai stati
Ma quali erano i suoi e quali del demone? Come poteva distinguerli?
Raccolse tutte le sue forze per non muovere le mani, le sembrò un’impresa talmente titanica che il cuore faceva lo sforzo come se corresse da ore.
Non poteva aggredirla, doveva salvarla.
Una sola mano si alzò e Lindsey non ebbe paura.
E non c’era bisogno.
D’un tratto andava tutto bene. Ivory sentì di nuovo la propria voce essere sua, le mani essere sue, i pensieri… quelli non sarebbero mai più stati solo suoi.
- Il demone ha provato a entrare in te.— le disse l’infermiera - Ha usato le tue debolezze, ma non eri abbastanza fragile perché ci riuscisse. -
Lindsey annuì, c’era un senso di sollievo ma tristezza sul suo volto.
Non osava guardarla perché lui aveva trovato un nervo scoperto.
Lindsey davvero provava… quello che il demone l’aveva accusata di provate?
Sul serio?
- Io… vorrei restare sola. - ammise Ivory dopo un po’ – C’è un posto dove posso riposare? -
L’infermiera annuì e Lindsey non osò guardarla ma sembrò volere chiedere se era sicuro che andasse via o era meglio che restasse.
Ivory le disse – Va a riposare. Domani sarò ancora solo io. -
Lindsey era provata quindi accettò di andare e Ivroy si ritrovò sola, con l’infermera che stava pulendo il vomito.
- Mi dispiace. - soffiò.
Lei le fece un sorriso gentile ma c’era qualcosa in lei che sembrava teso, guardingo.
Ora aveva paura di lei?




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