Feb. 23rd, 2019

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Titolo: La luce nei tuoi occhi
Cow-t 9, Seconda settimana, M1.
Prompt: Fantasy
Numero parole: 3378
Rating: Rosso
Fandom: Fantaghirò AU




«Cosa farai se scopri che il Conte di Valdoca è una donna?»
«La sposerò.»
«E se fosse un uomo?»
«Lo sfiderò a duello. Un duello all'ultimo sangue, senza esclusione di colpi. Lo ucciderò, senza alcuna pietà. E poi ucciderò me stesso.»

«Non potresti sopravvivere alla vergogna di amarlo?»
«Non potrei sopravvivere al dolore di perderlo.»



Fantaghirò sbuffò mentre Caterina avvolgeva attorno il suo esile corpo dentro un vestito pomposo con pizzi e merletti. Li detestava. Tentò con poca convinzione di toglierselo.
“Devi smetterla di far intravedere la tua vera natura! Qualcuno potrebbe capirlo!” lo rimproverò aspramente la sorella con un cipiglio seccato. Fantaghirò alzò gli occhi al cielo.
“Ma sono un uomo!” protestava.
“Ma la Dama bianca ha predetto che se la tua natura di uomo sarebbe stata rivelata la cattiva sorte di sarebbe abbattuta contro di te. Avresti sofferto.”
“Sono pronto a correre il rischio!” rispondeva caparbio “sono stanco di passare per ciò che non sono”
Caterina lo guardava sempre con un misto di comprensione e paura.
“Sta molto attento, Fantaghirò. Il mondo fuori dal castello è crudele, ci sono orrori che non riusciresti nemmeno ad immaginare”
“Sono un uomo, combatterò.”
“Ci sono cose che non puoi combattere, Fantaghirò”
Se solo avesse potuto far vedere alle sorelle quando era diventato forte grazie agli allenamenti del cavaliere misterioso. Era stato perfino facile maneggiare la spada, era un uomo del resto, ne era portato.
Se la sarebbe cavata nel mondo esterno, avrebbe combattuto e si sarebbe fatto onore. Avrebbe sconfitto il principe del paese vicino e poi avrebbe detto a tutti che colei che conoscevano come la ribelle principessa Fantaghirò non era altri che un principe. Si sarebbe tagliato i capelli, avrebbe indossati comodi abiti maschili ed avrebbe imparato a sputare e guardare le gonne delle donne con brama anziché disgusto. Aveva fantasticato mille volte sull’idea di togliersi quei fastidiosi abiti femminili ed indossare un benedetto pantalone! Di camminare con libertà e senza pudore. Agognava quel giorno come le donne agognavano un principe azzurro. Era lui stesso il suo principe azzurro, pensava sempre con una punta di orgoglio.
Poi accadde che il Re suo padre consultò nuovamente la Dama bianca. Quando Fantaghirò seppe che la predizione aveva previsto lui in abiti da uomo e finalmente pronto a combattere, quasi saltellò dalla gioia. Con fin troppa gioia sciolse i suoi capelli boccolosi e li recise, con maniacalità scelse la sua armatura.
Con attenzione divaricò le gambe sul cavallo anziché andare all’amazzone. Era una posizione disgustosamente scomoda!
Ed ora eccolo lì, nella tende ad attendere l’ultima sfida, le sorelle che avevano rinunciato ovviamente. Erano donne del resto.
Lui avrebbe vinto. Ne era certo. Si sarebbe riscattato, tutti avrebbero dimenticato i suoi anni passati ad indossare gonne anziché pantaloni e lo avrebbero portato in trionfo.
Guardò il proprio corpo nudo, il petto piatto e con un paio di peli appena spuntati. Si immaginò villoso e mascolino, si desiderò volgare.
In quel momento qualcuno scostò la tenda per entrare. Per un secondo pensò di coprirsi, per il pudore, perché così gli era stato insegnato. Ma poi ricordò a se stesso di essere finalmente un uomo, anche nell’aspetto esteriore.
Con orgoglio lasciò le mani lungo i fianchi e sorrise al nuovo venuto.
Il principe Romolaldo restò sulla soglia, la mano stretta alla tenda con forza e gli occhi vuoti.
I quel momento le parole della sorella sovvennero in mente al principino.
Ci sono cose che non puoi combattere, Fantaghirò


***

I suoi occhi.
Era questo che ripeteva Romoaldo come un mantra nella sua testa. L’aveva vista solo un istante, tra la boscaglia e di sfuggita, ma i suoi occhi si erano impressi a fuoco dentro di lui, come un marchio. Avrebbe ucciso pur di rivederli…
E poi era capitato. Un battaglia contro il campione del reame vicino ed un fendente. Valdoca a terra, l’elmo scoperto ed un fulmine al cielo sereno; quegli occhi su di lui.
Gli occhi di un uomo potevano essere belli quando quelli della fanciulla che amava?
“Cosa farai se scopri che il Conte di Valdoca è una donna?”gli aveva chiesto Cataldo, apprensivo.
“La sposerò.” Gli aveva risposto lui con orgoglio e desiderio.
“E se fosse un uomo?”
“Lo sfiderò a duello. Un duello all'ultimo sangue, senza esclusione di colpi. Lo ucciderò, senza alcuna pietà. E poi ucciderò me stesso.”fu pronto a rispondere.
“Non potresti sopravvivere alla vergogna di amarlo?”continuò Tebaldo.
“Non potrei sopravvivere al dolore di perderlo.”


Quella notte era gelida. O forse era l’oscurità che albergava nel suo cuore a gelarlo, come una morsa. In quell’abisso buio di disperazione, se chiudeva le palpebre, vedeva ancora la luminosità di quegli occhi; erano dappertutto, un’ossessione. Li cercava nelle persone attorno a lui, nelle donne che gli passavano accanto, nelle fanciulle che ballavano alla festa. Se chiudeva i suoi gli sembrava addirittura di potere allungare la mano e afferrare la testa a cui erano attaccati. L’avrebbe coperto di baci le labbra, le avrebbe morse, succhiate, rese rosse e lucide. Avrebbe goduto di sentire il suo respiro sulla pelle, forse perfino un gemito contrariato. Avrebbe significato che esisteva davvero, la sua piccola ossessione.
Quasi sentiva le dita strattonare i capelli, erano più corti di come li immaginava, ma li passò tra le dita e li strinse, li tirò. Guardò la donna che stava immaginando e l’immagine del cavaliere Valdoca gli vi soprappose. Fu con un brivido sconosciuto che comprese di essere realmente nella sua tenda e di aver appena assaggiato il frutto proibito delle sue labbra.
Un mostro dentro di lui ruggì, desideroso di rifarlo, avvertiva le proprie labbra esser calamitate da quello sguardo confuso.
“Cosa fate?!” la voce del cavaliere indignata, rabbiosa “Sono un uomo!”
Lo ucciderò. E poi morirò.
Strinse ancora la presa, sentendo il passo ventre fremere da un principio di eccitazione. Il potere di decidere di far vivere o morire la sua ossessione, la salvezza di poter porre fine poi alla sua vergogna. Era un piano perfetto. Averlo solo una volta, e poi morire.
Sarebbe morto comunque, no? Allora perché non lasciare libero il mostro di agire?
Il suo corpo intanto si era spinto in avanti, aveva riassaggiato nuovamente le labbra, aveva stretto il corpo a sé, nonostante cercasse di sfuggirgli come un pesciolino, di scivolare tra le sue dita. Lo strinse, più forte, per riflesso per volontà, per eccitazione.
Si sentiva preda di un incantesimo.
E’ un uomo, sentiva in lontananza la voce della sua coscienza, sei un uomo d’onore Romoaldo, smetti ora che sei in tempo, affronta la sfida e lasciati alle spalle questa storia.
Ma più tentava di smettere di toccarlo, di stringerlo, di baciarlo, più approfondiva i tocchi.
E’ un uomo, Romoaldo. Non si può amare un uomo.
“Lasciatemi!” un urlò strozzato eruttò dalle labbra morse “Lasciatemi o vi ammazzo!”
Il mostro era come veleno nelle vene e un sorriso folle ombreggiò il viso di Romoaldo.
“Moriremo insieme” gli fece, con voce carezzevole, lasciando scivolare la bocca lungo il collo “vi amerò con tanto ardore da rendermi indimenticabile”gli promise poi afferrandolo per i fianchi e trasportandolo fino al letto.
Era leggero Valdoca, quasi come carta.
“ Voi!” scattò il ragazzino girandosi ed allungandosi per prendere la spada. La mano di Romoaldo gli artigliò un gomito e glielo impedì. Le dita dell’altra mano accarezzarono gentilmente la conga della schiena.
“Siete poco più di un bambino” gli sussurrò sulla nuca, beandosi del suo profumo “Sono più forte di voi”
“Lasciatevi maledetto! Non sono una donna!” protestò nuovamente Fantaghirò dimenandosi con forza e terrore “Cosa volete farmi!Non possiedo nulla che possa piacervi! Sono un uomo! Un uomo!” c’era una disperazione profonda in quelle parole, come se finalmente si fosse reso conto delle intenzioni malvagie, come se ora ne fosse terrorizzato. Romoaldo non riuscì a reprimere un senso di eccitazione all’idea di spingere il suo viso sul cuscino per farlo tacere, o di morderlo per farlo urlare di più. Le labbra scivolarono lungo la clavicola mentre Fantaghirò cercava di venir via con sempre più paura. Senza volerlo urtò la nascente erezione del principe che inarco la schiena e gemette.
“Si siete un uomo” disse Romoaldo con un sospiro guardando la propria preda inerte tra le sue braccia, schiacciata contro il giaciglio, il viso arrossato ed i capelli scompigliati. Desiderò mordergli le guance, leccargli le lacrime, riprendere a lambire quelle labbra troppo rosse e carnose per essere di un uomo “Un bellissimo uomo”
Le mani di Romoaldo furono poi mosse dalla brama di accarezzare ogni angolo di quel corpo, di conoscerlo, di capire cosa poteva o meno dar piacere ad un uomo. Non che non lo sapesse, tante volte si era accarezzato da quella prima volta che aveva incrociato quegli occhi. Aveva immaginato di possedere la donna, di farle male. La figura della donna era stata poi sostituita dall’immagine del conte Valdoca e tale era rimasta fino a quella sera quando era entrato nella tenda per offrirgli di fare la sfida quanto prima e lo aveva visto semi nudo con l’aria di chi era stato appena scoperto a toccarsi.
Era stata l’espressione di eccitazione a spingerlo a quello, qualsiasi cosa fosse.
“Cosa pensate di farmi?” sentì la voce del conte lieve, quasi un pigolio, lo riportò alla realtà per un solo istante, rendendo fin troppo concreto lo stato delle sue azioni. Le sue volontà.
“Avervi” rispose piano “solo una volta..solo una”
Fantaghirò tentò senza troppa convinzione di ritirarsi dalla presa, era debole, inerme.
“Non capisco, principe” confessò “come pensate di poterlo fare..? Sono un uomo per Dio!”
Romoaldo sorrise, un sorriso senza allegria “Rilassatevi…” gli sussurrò all’orecchio prima di prendere il lobo delicatamente tra i denti “Rilassatevi e presto finirà, ve lo prometto. Potrebbe perfino piacervi”

Romoaldo non aveva ben chiaro come avrebbe dovuto agire. Seguì l’istinto, il desiderio.
Pensò che entrare in quel buco piccolo era difficile, gli venne in mente di allargarlo, provò con le dita asciutte incurante dei piagnucolii del conte. Vista la difficoltà cercò qualcosa con cui lubrificarlo. Usò l’acqua.
“Fa male” protestava Fantaghirò mentre Romoaldo lo teneva esposto con le ginocchia piegate e la guancia premuta contro il giaciglio.
“Respira” gli disse, senza sapere bene cosa dire. Contando i secondi che mancavano a scoparsi quel ano vergine. Oh si sarebbe presto spinto in lui, lo avrebbe scopato come una volgarissima puttana e l’avrebbe amato per una singola unica volta.
Infondo era colpa sua. Era lui che era nato uomo, se invece fosse stata una donna non si sarebbe dovuto abbassare a tanto, l’avrebbe perfino sposata.
Lo avrebbe punito per essere un uomo, lo avrebbe punito per averlo fatto innamorare così disperatamente di lui.
Era colpa sua.
“E’ ora”decretò senza più autocontrollo, si mise in ginocchio e puntò l’erezione ormai dolorosa contro l’anello di carne. Fantaghirò sussultò e fu colto dal panico. Tentò di dimenarsi per scappare, ma il principe lo agguantò e lo spinse con forza sulla paglia.
“Vi prego” si abbassò ad implorare il ragazzo “vi prego, lasciatemi andare..non lo dirò a nessuno!Vi prego..vi..vi darò il regno! Sarà vostro! Vi prego…non fatelo. “
Romoaldo allentò la presa sulla schiena e si chinò a baciargli la nuca, la sua mano scivolò lungo la schiena in un'unica carezza gentile.
“Vi amo”. Sussurrò poi, prima di entrare.

Quando Romoaldo uscì da lui soddisfatto e appagato, Fantaghirò non aveva nemmeno più la forza di piangere. C’era stato un momento, tra l’attimo in cui si era sentito spaccare in due da qualcosa di troppo grosso per la sua entrata, all’attimo in cui quel corpo estraneo lo inondava di sperma, che aveva desiderato non essere mai nato.
Era questo dunque il suo destino? Essere stuprato dal principe nemico era ciò che aveva predetto la dama bianca? Allora perché aveva anche predetto che sarebbe stato lui a vincere la guerra?
Era stato tutto un trucco…?
Romoaldo gli era crollato accanto, addormentato di botto e, solo allora, Fantaghirò trovò il coraggio di muoversi. Lo fece piano, per evitare di svegliarlo, per capacitarsi di essere ancora vivo, per riprendere a sentire il proprio corpo a pezzi. Sentì le lacrime nuovamente sovvenire, ma non di paura, bensì di rabbia. Trattenne i singhiozzi e si alzò il più piano possibile.
Le gambe gli tremarono non appena si alzò, tutto il resto semplicemente gli faceva male. Sicuramente avrebbe avuto dei lividi molto preso. Si guardò allo specchio e si trovò miserabile.
Era stato venduto, preparato da sempre al ruolo femminile dalla dama bianca. Quella puttana.
Strinse i pugni e agguantò malamente i suoi abiti e se li buttò addosso. Non sarebbe stato lì un attimo in più.

Un ora dopo il suo cammino si arrestò sotto un tiglio. I destriero che si era portato dietro, senza però poterlo cavalcare, si fermò con lui.
“Sta buono..” soffiò legandolo ad un ramo “ho solo…bisogno di un po’ di riposo”.
Si sedette con attenzione sulla radice di un ramo e prese diverse boccate d’aria. La lanterna che si era portato dietro non sarebbe durata ancora molto ed era saggio accendere un fuoco, ma come poteva se era ancora così vicino? L’avrebbero trovato subito. Sospirò e si strinse nelle spalle. Ora che era fermo il sudore gli si era asciugato addosso diventando un blando residuo della calura del passo veloce. Sospirò ancora e decise che era meglio accendere un fuoco che morire assiderato. Mezz’ora dopo se ne stava rannicchiato vicino alla fiamma scoppiettante.
La foresta non era mai silenziosa, ma per Fantaghirò non lo sarebbe stata nemmeno volendo. Ogni sasso, albero o foglia si sentiva il diritto di parlargli e consigliarla. Sussurri e mormorii costellarono i suoi sogni quando finalmente riuscì ad addormentarsi, ma pur ore dopo e con del sonno recuperato Fantaghirò continuava a sentire il respiro del principe Romoaldo su di sé.
Si svegliò di soprassalto, ansioso.
“Salve” avvertì una voce calda improvvisamente. Il principino scattò in piedi con la mano sulla spada e gli occhi sbarrati. Il cuore era in gola quando posò gli occhi sulla nuono arrivato. Questi sorrise apertamente e si inchinò “Fantaghirò, presumo.”
“Chi siete?” scattò il principino sfoderano la spada e alzandola verso il nuovo arrivato “come conoscete il mio vero nome?”
“Oh so molte cose di voi” sorrise lo sconosciuto.
Fantaghirò assottigliò lo sguardo “Sapere anche che potrei uccidervi in un secondo?” quasi urlò, in minaccia “sono abile con la spada!”
Lo straniero piegò le labbra all’insù prima di aprirle e far uscire una risata profonda, i suoi occhi però non avevano smesso un secondo di fissarlo.
“non lo metto in dubbio, principe” aggiunse l’uomo abbassando di poco la testa “Non mi vedrebbe mai in mente di battermi con voi, vorrei solo offrirvi il mio aiuto”.
“Aiuto?”
“Ho visto cosa è accaduto.” Soffiò ancora l’uomo con un espressione nuova, quasi sofferente “E me ne rammarico molto.”
Il giovanotto si sentì sopraffare da un senso di dolore “Non…non vi prendete gioco di me!” quasi urlò, alzando minacciosamente la spada.
“Non lo farei mai” continuò l’altro “Ma, perdonate l’ardire principe, dove andrete ora?”
La spada tremò nella sua mano e nello sguardo del principino vi fu un bagliore di paura “…Ho dove andare.” Mormorò.
“Non potete certo tornare a casa, saresti il disonore della vostra famiglia e il regno di…” esitò “non avete alcun posto dove andare”
Fantaghirò si sentì nuovamente sopraffare dallo sconforto, e il ricordo della sottomissione a cui era stato costretto gli bruciò nell’anima. Desiderò scappare via, lontano, lontano da tutto e tutti e svanire nella profondità della foresta.
“Io posso farlo” sentì gentile la voce del ragazzo invadere i suoi cupi pensieri “posso esaudire il tuo desiderio”.
“E perché dovresti?” replicò il principino non con la nota nervosa che avrebbe voluto. L’uomo si avvicinò lentamente, e oltrepassò senza problemi la spada che continuava ad essere ritta verso di lui “Vi dico come andrà” esordì ancora, calmo “Se tornate non riuscirete ad affrontare Re Romoaldo tranquillamente e perderete la guerra, è questo che volete? Essere lo zimbello del regno? E se lui confessasse cosa vi ha fatto? Riuscite a capire l’infamia che vi getterebbe addosso?” l’uomo di fermò vicino a lui, una mano si alzò lenta sul suo volto, ma il ragazzo, contro ogni logica, non si sentì minacciato.
“Come posso evitarlo?” soffiò sostenendo lo sguardo dello sconosciuto che scoprì essere di un nero profondo quanto la notte stessa.
“Oh voi non dovete fare nulla” soffiò lui “lo farò io. Lo ucciderò e farò in modo che a voi sia destinata la gloria. Sarete conosciuto come il Conte Valdoca che ha salvato il regno”
“cosa vuoi in cambio?” domandò allora Fantaghirò.
Lo straniero sorrise e il principino si sent’ sopraffatto da una strana sensazione di timore e attrazione. Per un secondo sentì lungo tutto il suo corpo una scarica elettrica e non riuscì a fare a meno di pensare al membro pulsate di Romoaldo dentro di lui.
Inghiottì a vuoto, confuso, e con un calore nel basso ventre, un calore sconosciuto.
“Vi renderò una legenda, e vi darò asilo presso la mia dimora. Non rivedrete più la vostra famiglia che vi ricorderò con calore e affetto anziché con ribrezzo e pena”
Fantaghirò trattenne il respiro “Devo solo..vivere con voi?”
Lo straniero lo guardò intensamente per un lungo attimo, poi alzò la testa di scatto, con l’attenzione a qualcosa di distante.
“Lui vi sta cercando. Dovete in fretta, principino”
“Lui?”
“ Re Romoaldo sta giungendo qui” continuò l’uomo “Ora o mai più, Fantaghirò. Venite con me nel mio regno o restare ad affrontare l’uomo che ha abusato di voi un intera notte?”
Prima ancora che lo sconosciuto finisse la frase Fantaghirò si era aggrappato a lui con forza.
“Portatemi via” lo implorò con terrore “Non voglio…non voglio più sentirmi così” e iniziò a piangere.
L’uomo gli prese il mento e lo alzò e gli sorrise ancora “Allora Piacere Fantaghirò, il mio nome è Tarabas, il mio regno è un oscurità calda ed accogliente…. Trattieni in respirò. Sarà un viaggio molto veloce”.


**

“non credevo che ne avrei mai sentito la mancanza” confessò Fantaghirò guardndosi i piedi.
“di cosa?” domandò Tarabas “Di casa? Di vostro padre? Le sorelle?”
“No, dei vestiti da donna”
Tarabas non riuscì a trattenere un risolino “Avete la mancanza di pizzi e merletti?” domandò “Se vuoi te ne faccio recapitare a volontà.”
Fantaghirò piegò la testa di lato lasciando cadere i capelli sciolti e mossi oltre il collo, sorrise vagamente “Siete sempre così acondiscendente con me.”
“Ho le mie ragioni”
L’altro editò “Siete nemico della strega bianca, vero?”
Il re del regno dell’oscurità alzò gli occhi e lo guardo come per studiarlo “Anche” confessò “Ma non è l’unica ragione”
“ E quali sono le altre?”
“ Ditemelo voi. Voi perché rimanete?”
“ Perché devo”
“Sul serio?” lo incalzò, con un sorriso nuovo.
Fantaghirò sospirò “No.” Soffiò “Siete anche l’unico amico che ho”
Tarabas si alzò e allungò una mano per scompigliargli i capelli “sono cresciuti. Ti stanno meglio”Fantaghirò non disse nulla mentre Tarabas ritraeva la mano, ma la afferrò non appena ne ebbe l’occasione. Il proprietario dell’arto restò a fissarlo immobile quasi aspettandosi una seconda mossa e il principino non riusciva a distogliere gli occhi da lui.
“Voi sapete, vero?” domandò, con la vergogna nella voce “Cosa…sento”
Tarabas non rispose, ma si avvicinò un po’ di più e usò l’altra mano per accarezzargli il collo.
“Perché mi sento così?” continuò in un sospiro il principino “Non dovrei..il mio corpo non dovrebbe…è stato orribile, come posso desiderarlo ancora?”
Sembrava volersi aspettare davvero una risposta, ma il Re del paese dell’ombra tacque limitandosi a sorridere esattamente come il giorno che si erano incontrati.
Fantaghirò socchiuse gli occhi e si portò la mano stretta alle labbra per posarvi su un bacio “vi prego….” Soffiò piano “vi prego, fate smettere tutto questo”
“Chiedimelo” proruppe la voce di Tarabas “chiedimi di prenderti, Fantaghirò.”
Il principe quasi tremò mentre con voce sottile ripeteva “Ti prego”.
Tarabas gli afferrò la nuca e si chinò a rubargli un bacio.
Il cuore di Fantaghirò minaccio semplicemente si spezzarsi.
La prima volta era stata rude, cruda, dolorosa.
La seconda volta, le mani di Tarabas gli infuocarono ogni angolo, anche il più remoto. Onde di piacere lo soffocarono, la sua mente si annebbiò, la gola su sopraffatta damuguni e sospiri.
Era diverso. Il membro di Tarabas era più grande di quello di Romoaldo, incuteva perfino timore e sconcerto nel pensare che gli scavasse dentro con forza, ma lo voleva.

 
 
 
 
 
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Titolo: Il mostro della stanza buia
Cow-t 9, Seconda settimana, M2.
Prompt: Oscurità
Numero parole: 7178
Rating: Rosso
Fandom: Originale

 

Il mostro della stanza buia


Nathan era parte una parte integrante dell’oscurità. Dal momento che era nato, si era mosso nelle fessure della realtà, tra un’ombra e l’altra, tra una finestra coperta, tra porte chiuse e “no” alle sue richieste di uscire fuori a giocare.
Era nato diverso. Era nato difettoso.
La luce del sole poteva ucciderlo, per questo, rinchiuderlo e buttare via la chiave era stata la scelta più ovvia... e anche la più comoda.
I primi anni sua madre aveva fatto di tutto per aiutarlo, aveva coperto le finestre, gli permetteva di uscire a in giardino a giocare.
Ma era sempre solo. Sempre arrabbiato.
Così, gli avevano dato un fratellino, Pascal per tenerlo occupato e per un po’ aveva funzionato.
Quella strana piccola e paffuta novità dava alla sua giornata una nuova prospettiva. Non gli interessava nemmeno che piangesse ad ogni ora del giorno e della notte, perché quanto lo guardava con i suoi enormi occhi chiaro, il suo fratellino lo guardava, e lui non si sentiva un fantasma nella sua stessa vita.
Tuttavia, suo fratello non era portatore del gene e, per la prima volta in anni, suo padre Cecile aveva un pargoletto da mostrare in giro, di cui vantarsi.
A volte usciva con il passeggino e non li vedeva per ore e Nathan si sentiva come un cagnolino che restava chiuso nella sua stanza in attesa che i padroni tornassero.
Quell’amore che gli era stato sottratto, era incanalato nel fratellino, quella salute che gli era stata negata era una realtà schiacciante.
Lui era un aborto, un errore, qualcosa che sua madre cercava di dimenticare, mentre mostrava con orgoglio il suo secondogenito.
Quando aveva sette anni, Cecile decise che era stanca di vivere nell’oscurità. Relegò Nathan nella sua camera e tolse dalle finestre i tendaggi pesanti e i vetri oscuranti.
Non poté mai vederla godersi quella luce, ma la sentì ridere spesso con gli amici che tornarono a trovarla, mentre mostrava il suo piccolo Pascal e, nel contempo, veniva adorata per prendersi cura di un bambino così gravemente malato com’era lui.
Nathan crebbe così, non voluto, rifiutato, relegato e sostituito, riempito di regali solo per mettere a tacere un senso di colpa quasi inesistente.
Pascal era troppo piccolo per capire perché suo fratello lo odiasse così ardentemente, così spesso di presentava nella sua stanza e tentava di coinvolgerlo a giocare. Sospettava in realtà che fosse sua madre a costringerlo.
Perché avrebbe dovuto tentare di coinvolgerlo del resto? Quale attrattiva poteva mai avere un bambino della sua età nel tentare di giocare con un mostro del genere, un ombra di ciò che era un bambino.
Pascal era Peter pan… e lui era l’ombra che gli sfuggiva.
Non importava quanto Peter pan tentasse di cucirsela ai piedi, però. Nathan sbatteva sempre fuori suo fratello.
Aveva aspettato paziente che suo fratello si stancasse di essere mandato lì dalla loro madre, che si ribellasse, che iniziasse a risentirsi dei rifiuti, ma ogni pomeriggio, Pascal bussava alla sua porta, con un nuovo gioco tra le mani e la sua voce innocente che gli chiedeva di giocare.
A quel punto, Nathan era semplicemente troppo arrabbiato per sopportare ancora.
- Vuoi giocare?- gli aveva detto un giorno. Si era reso conto di non riconoscere nemmeno più la sua voce tanto era abituato a non parlare con nessuno – Giochiamo.-
La prima volta, lo costrinse a prendere del vetro rotto tra le mani. Gliele strinse con forza, fino a fargliele sanguinare.
Sua madre giunse non appena sentì il pianto incontrollato e quando gli chiede cosa fosse successo il primogenito si limitò a dire che si era rotto un vetro, e aveva detto a Pascal di non prenderlo, di chiamare lei, ma non gli aveva dato retta. Sua madre lo aveva fissato, con occhi vitri come se si ponesse la domanda più crudele che una madre avrebbe mai dovuto porsi: era davvero andata così?
Ma se fosse stato il contrario, se fosse stato Nathan a provocare i singhiozzi incontrollati del suo bimbo preferito, se lo avesse gridato, punito, scacciato, che razza di madre l’avrebbe creduto la gente?
Così si limitò ad annuire e portò via Pascal e il resto dei vetri.

Nathan era convinto che sarebbe bastato. Pascal aveva imparato la lezione, sua madre sarebbe stata spaventata abbastanza da tenerlo lontano.
Così lui sarebbe rimasto finalmente solo, a vivere la sua vita steso in un letto al buio, sentendo solo di sottofondo la televisione come una fittizia compagnia.
Eppure, il giorno dopo, sentì nuovamente bussare alla porta e quella rabbia che aveva iniziato a scemare scoppiò in lui, più forte che mai.
Questa volta, quando aprì la porta e si ritrovò il suo fratellino con le mani fasciate ed un gioco in mano, pensò a come potergli fare male senza che sua madre accorresse.
- Vuoi giocare?- soffiò ancora e sent’ l’odio scaturirgli da ogni poro, vibrargli sotto la pelle.
Lo avrebbe punto per ogni attimo che lo costringeva a guardarlo, pensò mentre lo faceva entrare, lo avrebbe punto per ogni attimo che lo costringeva a odiarlo.
Prima o poi, avrebbe smesso di bussare alla sua porta.

Nel tempo, aveva trovato nuovi modi per torturarlo senza che sua madre lo venisse a sapere. Pascal si era riscoperto essere piuttosto stupido e presto fargli fisicamente aveva perso il suo fascino ed era passato a modi più subdoli. Questa volta, avrebbe rovinato Pascal a gli occhi di sua madre.
Voleva che il bambino di cui andava tanto fiera diventasse una nuova pecca, un nuovo orrore da nascondere.
Iniziò con i piccoli capricci, poi con l’andare male a scuola. Finì con il convincerlo a fare cose molto stupide, come sputare addosso ad un bullo della scuola.
Ogni giorno, Pascal travalicava un limite, come se Nathan segnasse un linea e lo sfidasse a superarla e il suo stupido fratellino lo facesse, passo dopo passo, ciecamente e senza batter ciglio.
- Perché lo fai?- gli chiese un giorno, dopo che era tornato con un occhio nero e un gioco tra le mani chiedendogli nuovamente di giocare.
Pascal rispose semplicemente – Perché me l’hai detto tu.-
Confuso più che mai, Nathan aveva osservato suo fratello, le sue cicatrici erano coperte dal vestiti ma nn per questo erano meno vere e gliele aveva fatte lui.
- Provi così tanta pietà per me?- gli aveva domandato, con nuovo astio – Ti faccio così pena che devi ubbidire a tutto quello che dico? –
Pascal lo aveva guardato senza risponde, come se non si aspettasse quelle domande.
La rabbia, che un tempo esplodeva, fino a farlo desiderare di fargli del male, all’improvviso iniziò a traboccare lentamente, più centellinata.
Lo odiava.
Lo odiava davvero tanto.
E non voleva più vederlo.

Nathan iniziò a chiudersi sempre di più in sé stesso. Era sempre stato convinto di non esistere al di fuori di quelle mura, ma quando iniziò a rifiutare di vedere Pascal del tutto, si rese conto di quanto ormai non era più nemmeno un’ombra.
A volte il suo passatempo era semplicemente concentrarsi a respirare, per concentrarsi sull’essere vivo.
Andava bene così, però, Pascal poteva vivere la sua vita senza la sua influenza, sua madre poteva uscire e essere felice dimenticando la sua esistenza.
Tutti erano felici.
Ma sua madre, ancora una volta, dovette rovinare tutto.
Un giorno decise che doveva diventare una sarta, così cacciò Pascal dalla sua stanza per farne uno studio e, in una sola notte, quella che era la sua stanza divenne la loro stanza.
Ancora una volta, Nathan si vide sacrificato per i capricci della madre, e derubato da ogni sua aspirazione di solitudine.
- Non hai degli amici?- gli domandò un pomeriggio mentre se ne stava sul suo letto a studiare con la luce di un lume improvvisato.
Pascal aveva alzato gli occhi e lo aveva guardato come se fosse sorpreso che il fratello maggior che per anni lo aveva maltrattato gli rivolgesse di nuovo la parola. Fu strano vedere per la prima volta dopo anni, nei suoi profondi occhi blu, una sorta di indifferenza.
Per qualche strana ragione, gli dette il voltastomaco.
- Certo che ho amici.- rispose tornando a leggere il libro di testo.
- E allora perché non sei da loro?- replicò Nathan.
Pascal, si prese il tempo di finire di leggere una frase prima di rialzare gli occhi – Perché hanno da fare. Contrariamente a ciò che credi, non tutti restano chiusi nella propria stanza tutto il giorno.-
Las ua mano ebbe uno spasmo, ricordò quanto era bello stritolargli il braccio fino a portarlo alle lacrime. Desiderò farlo solo per la sua insolenza.
- Da quando sei così sarcastico?- disse, tentando di reprimere la rabbia.
Pascal scrollò le spalle, poi tornò a leggere. Ancora indifferenza, ancora fastidio, ancora rabbia.
- Potresti studiare in cucina. –
- Ci sono le stoffe di mamma in cucina.-
- Ovunque sarebbe meglio che qui.-
- Perché non ti annoieresti?- gli rinfacciò.
Nathan si strinse un labbro con i denti – Perché ci sarebbe più luce.- disse, e quella parola gli risultò al sapore di veleno sulla lingua.
Pascal alzò gli occhi e per un secondo gli parve di vedere quel bambino che ogni giorno bussava alla sua porta, quel fratellino bisognoso di attenzioni a cui aveva fatto del male perché era la causa di ogni suo male.
- Sto bene qui.- disse ancora.
Nathan sapeva che non era vero, sapeva oltre quella porta chiusa a chiave c’era una luce abbagliante che rispendeva dalle enormi finestra e, soprattutto, sapeva che gli occhi di Pascal faticavano a leggere con quella fioca luce. Guardò il soffitto dove una neon abbandonato ormai da tempo svettava impolverato. Da che ricordava, non l’aveva mai acceso. La poca luce che riempiva la stanza era di un lume e del pc che lo aiutava a tenersi occupato, per il resto se la vita aveva deciso per lui che avrebbe vissuto nella totale oscurità, tanto valeva assecondarla.
Quell’oscurità era la sua migliore amica, la sua vera casa, l’unica cosa che non lo avrebbe deluso mai.
L’unica cosa vera.
Il suo fratellino girò una pagina e si stropicciò un occhio chiaramente infastidito. Non era giusto che lui fosse succube della sua oscurità.
Si alzò e gli accese la luce per poi buttarsi di nuovo al letto e coprirsi con una coperta perché non c’era abituato.
- … non dovevi.- lo sentì dire.
Non gli rispose. Non avevano fatto pace. Dovevano solo convivere.

*

Pascal aveva davvero degli amici, li salutava quando lo accompagnava a casa. Tornava a casa sempre più tardi, così tanto che il sole era già tramontato all’orizzonte quando finalmente tornava a casa. Tra tutti era il più basso, pensò divertito guardandoli dalla finestra, perfino la ragazza che aveva chiaramente una cotta per lui era più alta di lui.
La guardò pensando vagamente se lui la troverebbe eccitante. Non aveva mai avuto modo di incontrare una ragazza, trovarla attraente. Perfino i porno aveva smesso di attrarlo dopo qualche mese, e non poteva comunque toccarsi con suo fratello sempre in stanza con lui.
Sarebbe morto giovane e pure vergine. Come se la sua sfiga non fosse già abbastanza dura da digerire.
Alzò gli occhi e osservò il cielo. Le uniche volte che usciva da casa era per andare a fare le visite di routine, non conosceva nulla del quartine o della città in cui viveva. Pure delle lampade alogene potevano fargli del male, ogni cosa poteva fargli del male.
Perché era nato?
Non avrebbe potuto semplicemente morire e risolvere la vita di tutti?
Pascal bussò alla porta e Nathan sospirò gravemente.
Se lui poteva andare ovunque, perché si ostinava a tornare in quell’inferno?
Aprì la porta e lo lasciò entrare, poi prese come di consueto posto sul suo letto al suo angolo della stanza. Afferrò il DS e iniziò a giocarci mentre con la goda dell’occhio vedere il fratellino mettere a posto i libri, poi prendere un blocco e una matita e sedersi a sua volta sul suo letto per iniziare a scrivere febbrilmente qualcosa.
Come sempre, tra loro regnò il silenzio, fu strano per Nathan sentire il bisogno di riempirlo – Piaci a quella ragazza, sai?-
Pascal alzò gli occhi e aggrottò le sopracciglia – Come?-
- La ragazza bionda. Le piaci.-
- Non è così.- replicò l’altro, tornando a guardare il foglio. Quella sua sicurezza lo infastidì, era come se stesse insinuando che visto che lui non aveva alcun tipo di esperienza non poteva affermare questo tipo di cose.
- Dì un po’, hai mai baciato una ragazza?-
Il fratello fermò il movimento della matita e non rispose. Nathan insistette – E invece ti sei mai masturbato?-
Questa volta, era riuscito a scalfire la superficie del suo sarcasmo e della sua calma. Alla luce del piccolo neon riuscì a vedere il lieve rossore che colorò le sue guance.
- Allora?- insistette, volendo cavalcare l’onda – Sai se quella ragazza ti si dichiarerà dovrei farci sesso prima o poi.-
- che ne sai tu?- replicò subito il fratello.
- I giovani di oggi sono precoci. Lo sanno tutti.-
- Luoghi comuni.- replicò subito – E poi guarda che hai solo un paio di anni in più.-
Oh, era indispettito. Divertente.
- Non sai che le difficoltà rendono più saggi?- lo prese in giro – A quest’età ho la saggezza di un centenario.-
Pascal alzò gli occhi e sembrò trafiggerlo, scuse le labbra e sembrò esitare nel rispondere, tentò più volte di trovare qualcosa da dire oppure… di trovare un modo di replicare che non lo ferisse troppo.
- Difficoltà?- soffiò – Vitto e alloggio gratis senza avere mezza preoccupazione?-
Nathan si ritrovò alla sua gola prima ancora di rendersene conto. Strinse le dita così strette che lo vide diventare paonazzo prima di capire cosa stava succedendo e lasciarlo andare.
Si allontanò di qualche passo, mentre Pascal tossiva disperatamente.
Ancora quell’istinto. Pensava di averlo messo a tacere.
Ma Pascal scatenava in lui… qualcosa. Voleva fargli male, punirlo, distruggerlo.
Torturarlo per anni non gli era bastato, né era bastato al caro fratellino per fargli abbassare la cresta. Tornò al suo letto, cercando di calmare i forsennati battiti del suo cuore, prese di nuovo il DS e infilò le cuffie.
Nonostante per un attimo aveva creduto che avrebbero potuto avere una conversazione normale, l’accaduto gli aveva fatto capire che non era così.
Non erano destinati ad avere alcun rapporto.

**

Per una settimana Pascal indossò una sciarpa, alla mamma aveva detto di avere mal di gola. Quando erano in camera la toglieva e la forma delle sue dita era ancora così netta che Nathan non poteva fare null’altro che fissarle.
Ne era straordinariamente affascinato, a volte si era riscoperto a desiderare di sfiorarle con i polpastrelli, ma non si era avvicinato a lui più dei due metri che li separava. Solo una volta, ebbe modo di vederli da vicino. Si era addormentato e era stato Pascal a svegliarlo per la cena, per farlo si era seduto sul letto accanto a lui e si era sporto.
Il suo collo era sembrato particolarmente bello, con i suoi maschi addosso.
Pascal era bellissimo con i suoi marchi addosso.
Quel pensiero, sopraggiunto nel dormiveglia, lo lasciò per un attimo disorientato, ma si sforzò di ignorarlo.
*
C’era qualcosa dentro di lui. Qualcosa che andava oltre l’essere depresso, o malato, o stanco.
Lui era sbagliato su ogni livello, era marcio fino all’ultima fibra del suo essere e era messo, tutti i giorni, tutti gli attimi davanti a quella che era la perfezione: un fratello a cui non mancava nulla, che aveva ottimi voti, una madre che lo amava, amici, una ragazza che lo desiderava e… la luce.
Lui aveva la luce, e tra tutte le cose, questa non poteva perdonargliela.
Non aveva mai potuto perdonargliela, anche soli nell’oscurità della sua stanza, anche se Pascal faceva di tutto per non urlalo, o infastidirlo, anche se gli aveva voluto bene, l’aveva cercato, l’aveva rincorso, quella distanza tra loro, che fisicamente non era che poco più di due metri, li avrebbe sempre tenuti separati.
Questo pensiero, lo accompagnava un pomeriggio mentre suo fratello era nel loro bagno comuni a fare una doccia. Il cellulare, continuava a squillare e trillare, chiaramente per via di una chat di gruppo.
I suoi amici, penso alzandosi. Li aveva visti di sfuggita, ma non aveva mai avuto modo di sapere nulla di loro. Raggiunse il cellulare e lo fissò dall’altro, consapevole che se avesse aperto la conversazione Pascal si sarebbe potuto rendere conto della sua intromissioni.
Iniziò però a leggere alcuni dei messaggi che scorrevano sulle notifiche. “perché non esci mai con noi?” stavano dicendo “Dai! stasera esci?” “dai, andiamo al locale!” “Manda al diavolo tuo fratello e vieni con noi”
Manda al diavolo tuo fratello…
Lo usava come scusa per non uscire? Loro lo volevano fuori da quella stanza, lo volevano a divertirsi, a vivere e lui… sceglieva di restare?
Pascal uscì dal bagno e aggrottò le sopracciglia nel vedere il fratello sconfinare dalla sua parte.
- Che stai facendo?- domandò, mentre si asciugava i capelli con il cappuccio dell’asciugamano.
Nathan spostò lentamente gli occhi dallo schermo del cellulare su di lui. Non riconobbe la sua voce mentre chiedeva.
- …Perché non esci con i tuoi amici?-
La mano di Pascal esitò sulla nuca – Ho molto da studiare.- disse, e sembrò una patetica scusa perfino a lui che non si era sentito ripetere menzogne.
- Perché non esci mai con i tuoi amici?- riformulò – loro voglio stare con te e tu… rifiuti. Perché? –
Riusciva a sentire il tono d’accusa stonare in quella che poteva essere solo in apparenza una domanda innocente, quel tono riempiva l’aria, la intossicava. L’ossigeno era sempre stato così poco?
Pascal lo guardò per un lungo minuto, poi rispose semplicemente – Perché non voglio uscire.-
Quella cosa che era sbagliata in Nathan esplose, distruggendo tutto ciò che incontrava. Lui era perfetto, lui poteva uscire, lui poteva avere tutto… e lo rifiutava? Restava lì, in quella stanza, con lui, per semplice noia?
Lo odiava.
Lo odiava.
Lo odiava!
Lo odiava!
Fu come un esperienza extra corporea. Sapeva che gli avrebbe fatto del male prima ancora di farglielo, sapeva che questa volta non si sarebbe fermato e sapeva che questa volta non ci sarebbe stato più ritorno.
Lo avrebbe ferito, ferito più di quanto avesse mai fatto prima, più di quanto lo avesse mai desiderato.
Prima era un gioco. Ora voleva distruggerlo.
Picchiarlo, minacciarlo, ferirlo, nulla sarebbe bastato, nulla gli avrebbe fatto capire quella realtà che aveva tentato in tutti i modi di fargli vedere: scappare via, allontanarsi da lui, lasciarlo solo.
Pascal si dimenò, scappò, ma Nathan lo raggiunse, lo sovrastò. Nella colluttazione che seguì, l’accappatoio di Pascal si era aperto lasciando vedere un corpo pieno di vecchie cicatrici e vecchi rancori.
Era ovunque sul suo corpo, quel corpo gli apparteneva.
Pascal era suo.
Quel pensiero vorticò così impietoso nella sua anima che si rese conto di essere dentro di lui solo mentre veniva. Si rese conto di quello che aveva fatto, solo dopo esce uscito e aver visto il suo seme colare dal corpo nudo di suo fratello.
Si rese conto che non c’era più nulla per loro, solo sofferenza.

*


Pascal faticava a muoversi, ma si sforzava di non darlo a vedere. Quando loro madre gli chiese cosa avesse, mentì, come le aveva sempre mentito.
Non era la prima volta che taceva, non importava fino a che punto il fratello maggiore lo ferisse, non aveva mai detto nulla a loro madre.
Sospettava perché volesse esser ben voluto, visto che era l’unico figlio a cui lei dava una qualche attenzione.
Si aspettava che evitasse di tornare in stanza, si aspettava che uscisse con i suoi amici anche solo per evitarlo, ma nulla era cambiata nella loro routine.
Tornava da scuola, si sedeva sul letto davanti al suo e studiava.
Come. Ogni. Fottuto. Giorno. Normale.
Perché faceva così? Perché doveva fargli saltare i nervi a quel modo?
- Sembra quasi che tu voglia farmi incazzare.- gli disse, un pomeriggio.
- Non sto facendo niente.- replicò l’altro con voce atona.
Appunto.
Cosa doveva fare per liberarlo da quell’oscurità?
Aveva fatto la cosa peggiore che chiunque avrebbe mai potuto sopportare e lui se ne restava ancora lì, dall’altra parte della stanza, a imporgli la sua presenza.
Ma la cosa davvero peggiore era che Nathan iniziasse a desiderarla.
Aveva violato il suo corpo, non c’era stato nulla di sensuale in quel momento, era stato veloce, doloroso e animale e la scarica di adrenalina lo aveva sopraffatto come una potente droga.
Non gli era piaciuto nel senso classico del termine, era stato molto diverso dal toccarsi, ma sotto la pelle vibrava la sensazione di essere stretto ancora nel suo corpo.
- Vieni a succhiarmi l’uccello.- gli ordinò d’un tratto.
Pascal s’irrigidì e faticò ad alzare il capo.
- Come?-
- Mi annoio.- replicò l’altro fingendo indifferenza – succhiamelo.-
Vide gli occhi del fratello cercare la porta, forse meditando se avrebbe avuto modo di scappare, o forse pensato alla madre che era nella stanza accanto intenta a fingere di sapere cucire insieme due stracci.
- Io… non… - mormorò.
Nathan capì di aver tirato troppo la corda, scollò le spalle e fece per alzarsi solo per andare in bagno, ma quel movimento fece sobbalzare Pascal che disse solo – Va bene.- in risposta.
Incuriosito dagli eventi, e ormai ben più che consapevole che non ci sarebbe stato nessun paradiso ad attenderlo Nathan si risedette sul letto e aprì le gambe.
Lo guardò scendere dal suo letto e raggiungerlo, con meno timore di quanto si sarebbe aspettato.
Un guizzo di anticipazione si fece strada in lui mentre lo vedeva inginocchiarsi impacciato, provò un po’ di pietà nel vederlo trafficare con i suoi pantaloni del pigiama, come se cercasse di capire come abbassarglieli senza chiedergli di alzare il bacino.
Quasi gli venne da sorridere beffardo, quando lo alzò per andargli incontro.
Quando Pascal posò gli occhi sul membro rilassato del fratello, qualcosa nei suoi occhi brillò, forse era paura. Per un lungo minuto, sembrò cercare di capire come procede, poi posò delicatamente le dita sulla punta.
- Prova a accarezzarlo.- suggerì Nathan. Pascal non rispose, ma seguì l’indicazione. Nonostante l’evidente esitazione e la ovvia paura che ormai doveva provare nei suoi confronti, le sua mano iniziò a muoversi con fermezza lungo il membro molle e, dopo un po’, quella nuova frizione iniziò a dare i suoi frutti.
Vedersi diventare duro tra le sue mani, fu soddisfacente ad un livello che non credeva possibile. Ormai era sul punto di non ritorno.
Nathan sapeva di essere del tutto impazzito, di non avere più freni o morale.
Lo aveva violentato e ora sarebbe venuto nella sua bocca.
Pascal si chinò sul sesso all’improvivso e regalò con gli occhi serrali una lunga e profonda leccata dalla base alla punta. Rifece l’azione, avvolgendo come poteva il sesso co le labbra. Era scoordinato, un po’ esitante, ma la lingua calda e quella frizione lo stavano eccitando come mai nessun porno aveva fatto.
- Ingoialo.- gli ordinò e fu estasiato dalla pronta azione, quasi avesse aspettato quell’comando dalla prima leccata.
Appena sentì la bocca stringersi attorno a lui, realizzò di aver violato ogni entrata del fratello, di aver posto una bandierina. Primo, ancora prima di chiunque altro, ancora prima della ragazza che era innamorata di lui.
Divertito, pensò, quella ragazza un giorno avrebbe potuto baciare quella bocca che si stava scopando.
Fu divertente e, afferrare la sua testa e costringerlo ad un ritmo più intenso, fu totalizzante.
Venirgli in gola, lo condanno ad una sorte peggiore dell’essere condannato all’inferno; Il cambiamento totale della sua realtà.

**

Nel giro di un mese, divenne una routine.
Pascal non solo aveva imparato a succhiarglielo in maniera magistrale, ma affondava in quella bocca con una naturalezza che rasentava l’intimità.
Non c’era più alcune esitazione, né paura, non aspettava nemmeno che glielo ordinasse, dal momento che si alzava la mattina, lo raggiungeva nel suo letto per iniziare a succhiargli via ogni briciolo di autocontrollo.
Lo faceva per fare in fretta e non fare tardi a scuola.
Quella bocca era divina e il solo pensarla lo rendeva duro come pietra.
Mentre Pascal era a scuola non faceva che toccarsi, immaginando quelle labbra chiudersi attorno al suo sesso duro, succhiarlo, i suoi occhi brillare di una luce indefinibile, ma altre immagini si affollavano nella sua testa, immagini della loro prima volta. D’un tratto si ritrovò a fantasticare al suo odiato fratellino aggrappato alle coperte mentre si spingeva in lui.
Oh, scoparlo, sarebbe stato grandioso. Il suo sesso ormai ricordava a stento com’era stato essere stretto in quell’anello di carne.
Aveva fatto delle ricerche, nei ritagli di tempo, aveva ordinato perfino del lubrificante.
Così, un giorno, dopo che Pascal aveva finito di fare i compiti Nathan soffiò.
- Vieni qui.-
Con totale tranquillità Pascal mise i testi a posto e si alzò per raggiungerlo.
- Facciamo in fretta, mi fa male la mascella.- disse.
- Stavolta non voglio la tua bocca.- gli sorrise Nathan divertito.
Un milione e mezzo di emozioni passarono nello sguardo del fratellino. Quasi fu piacevole vederlo esitare. Poterlo mettere in difficoltà era sempre stato un suoi piccolo vezzo.
- Spogliati – gli disse- e stenditi con me.-
La prima volta che gli aveva dato l’ordine di fare sesso con lui, anche se solo orale, Pascal aveva guardato la porta, dilaniato dalla scelta di scappare e la paura. Questa volta il suo viso era solo pensieroso mentre si spogliava lentamente. Mentre si stendeva era tanto irrigidito tanto delizioso.
Se Nathan fosse stato gay avrebbe di sicuro trovato eccitante il suo fratellino, pensò posizionandosi in ginocchio davanti a lui, era magno, ben proporzionato, i capelli mossi e biondi, gli occhi azzurri. Un vero angelo da sporcare.
Le cicatrici erano come il sale, davano gusto a quella esotica pietanza.
Si tese per prendere il lubrificante nel cassetto. Con la coda dell’occhio vide Pascal fissare il muro, quasi cercasse di non vederlo da così vicino.
- Hai paura?- domandò, seduto sui talloni e guardandolo dall’alto.
Pascal restò in silenzio, rimase solo a guardarlo, così Nathan non ebbe più alcuna esitazione.
Seguì le istruzioni, fu preciso e clinico. Iniziò a scoparlo con le dita, a prepararlo più minuziosamente possibile. Lo vide perfino chiudere gli occhi, mentre le labbra si schiudevano in un piccolo gemito.
Con sua sorpresa, scoprì che, nonostante le rimostranze, Pascal stava provando un certo tipo di piacere. Così spinse più in profondità e, questa volta, un singhiozzo scoppiò nella sua gola.
Sorrise, più divertito che mai, e gli afferrò il sesso. Era la prima volta pensò, distrattamente, per quante volte era stato dentro di lui, ma l’aveva toccato e fu stranamente inebriante sentirlo indurirsi insieme all’intensificarsi delle dita sempre più audaci.
Pascal si coprì la faccia, imbarazzato dal fatto che stava per essere scopato per ricatto e capriccio e fossi diventato duro e smanioso.
Se gli piaceva, pensò con aspettativa Nathan, quel gioco era ancora più crudele… e divertente.
Lasciò il suo sesso per dedicarci al proprio, lo massaggiò, spargendo più lubrificante possibile, scoparlo già con le dita si stava rivelando assolutamente fantastico, così scoparlo davvero divenne impellente.
Quando si posizionò sulla sua entrata, Pascal tranne il respiro.
Entrare fu come essere risucchiato dentro, boccheggiò, colto alla provvista dalla pressione e dal calore. Annaspò, in preda al piacere.
Cazzo, pensò affondando completamente in lui, aprendo gli occhi e ritrovandosi davanti a qualcosa di divino, ogni attimo che Pascal si fosse ostinato a restare in quella stanza… lo avrebbe passato dentro di lui.
Non c’era più alcun modo di fermarlo.
Iniziò a muoversi quasi subito, sbatté l’erezione con forza dentro di lui, assecondando ogni suo più basso insisto.
Sentì le mani esitanti di Pascal posarsi sulla sua schiena, aprì gli occhi e lo vide inarcare la propria, in preda al piacere.
Le sue labbra socchiuse, gemevano senza alcun controllo.
Non c’era controllo, pensò, a quel punto, non c’era più alcun controllo.
Lo baciò, con prepotenza, si scoprì sorpreso nel sentire le sue labbra replicare ai suoi movimenti, cercare nuovi baci quando si staccavano per respirare, assecondare la lingue, nei suoi giochi perversi.
Lo sentì stringersi con forza attorno a lui, mentre si staccava dalle sue labbra per sospirare un ultimo intenso gemito, poi crollò, esausto.
Era appena venuto. Era venuto perché lo stava scopando lui.
Nathan gli passò una mano nei capelli, in una carezza che voleva essere gentile, ma gli fece aprire gli occhi e guardarlo.
I suoi bellissimi occhi azzurri erano offuscati da ciò che restava del piacere, il suo corpo si stringeva ancora attorno a lui, ma si era fermato.
Voleva dargli un attimo di respiro.
Pascal inghiottì a vuoto, poi aprì le gambe e posò una mano sul suo fianco – continua.- disse, e non sembrò del tutto una concessione.
Nathan non se lo sarebbe fatto ripeter due volte.
Riprese a spingere, riprese a baciarlo, riprese a perdersi completamente in lui…
Mentre si scioglieva dentro quel corpo bollente, per la prima volta in tutta la sua vita, Nathan si sentì parte della luce che suo fratello emanava e che aveva sempre tentato di spegnere. E la amò, avidamente.

**

La prima volta era diventata una routine, la seconda era diventata un’ossessione.
Complici del fatto che la loro madre non entrasse mai in quella stanza, restare nudi e consumarsi divenne una necessità.
Pascal non faceva nemmeno più i compiti, sapeva che una volta tornato a casa, il suo malato fratello avrebbe voluto scoparlo in ogni angolo del loro piccolo mondo.
In un giorno, passava più tempo dentro di lui, che fuori. In un giorno, aveva più orgasmi di quanti ne avesse avuti in tutta la sua vita.
Finché tutto cambiò.
Iniziò con uno spasmo alla spalla. Sembrò un attimo del tutto casuale, ma la seconda cosa che notò fu la scoordinazione delle dita della mano mentre tentava di passare il tempo a giocare al Ds.
Aveva letto abbastanza della sua malattia per riconoscere la progressione dei sintomi. Stava peggiorando, nella peggiore delle ipotesi, stava morendo.
Magari non quel giorno, magari non domani… ma presto.
Per anni quel pensiero era stata una benedizione; niente più restrizioni, niente più paura, niente più analisi, niente più odio, o dolore o risentimento. Nulla era meglio di quello che aveva avuto per il resto della sua vita.
Ma ora… ora all’improvviso faceva male.
Ora che aveva qualcosa che era sua, che non importava quanto la respingesse, non lasciava il suo fianco, ora che si svegliava la mattina con la consapevolezza che avrebbe trovato un attimo di felicità nelle tue tenebrose giornate…
Tutto. Era. Orribile.

*

Pascal sembrò confuso dal cambio d’umore del fratello. Nathan tornò silenzioso, inerte, di cattivo umore.
- Stai bene?- gli chiese un giorno, con premura.
- Lasciami in pace.- replicò subito l’altro.
- Se ho fatto qualcosa…-
- Il mio mondo non gira certo intorno a te.- replicò prima di girarsi e dargli le spalle.
Era vero, del resto, il suo intero mondo non girava attorno al suo fratello, ma attorno ad una malattia invalidante che gli aveva messo un timer sul cuore.
Attorno al fratellino, girava solo la sua felicità.
Pascal sembrò arrendersi, accettare il nuovo cambio di rotta. E perché non avrebbe dovuto?
Quello che erano diventati era solo il risultato di violenze, paure e raggiri.
Non che si amassero, non che si rendessero felici.
Beh, pensò sentendo le lacrime scorrergli lungo le guance… lui era stato felice. Almeno epr un po’.
Se non avesse saputo che era impossibile, sbagliato sotto ogni punto di vista, avrebbe potuto perfino affermare ad alta voce di essere innamorato.
Ma non poteva dirlo, non poteva nemmeno pensarlo.
Quando doveva essere malato per poter pensare una cosa simile?
Ma le lacrime continuavano a scorrere.
E quel pensiero, non andava via.

**

Pascal tornava sempre tardi da scuola e passava sempre meno tempo in camera. Nathan si ripeteva che non avrebbe dovuto pensarci, che finalmente si stava comportando come avrebbe dovuto: si stava allontanando da lui, si stava proteggendo da quello che sarebbe arrivato.
Quella sera stava facendo più tardi del previsto tanto che il buio era ormai inoltrato. Confuso, passava il tempo sbirciando dalla finestra, cercando di scorgere ogni persona che attraversava il vialetto.
Quando finalmente lo vide il suo cuore saltò in gola, ma quando lo vide con lei, si fermò.
Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, per evitarsi quel dolore, ma non riusciva a evitare di osservare lei sorridere, ammiccare.
Lei passo una mano sulla sua fronte, togliendogli una ciocca dal viso e un’ondata di possessività lo invase, ma la mise a tacere quasi subito.
Era normale che Pascal avesse una ragazza del resto.
Forse, tutto sommato, non l’aveva del tutto rovinato, forse per c’era ancora speranza di vivere nella luce.
Poi vide il bacio, e ogni suoi pensiero si spense.
Lo vide entrare in casa, sentì la porta aprirsi, sentì i passi sulle scale, poi lo sentì fermarmi dall’altra parte della porta, come se cercasse il coraggio di entrare o forse di dirgli che aveva trovato una ragazza e che non era più suo.
La porta cigolò mentre veniva aperta e, quando Pascal lo vide alla finestra, capì immediatamente.
- Non è come pensi.-
Non c’era nulla da pensare; era giusto così, era naturale, era ovvio.
Se doveva lasciarlo andare, doveva accettarlo, del resto lui non ci sarebbe stato per sempre. Lui…
- E’ solo un amica. – soffiò Pascal, e sembrò sincero.
Odiò desiderare di credergli.
- Lo sa che fino alla settimana scorsa venivi no n appena ti entravo dentro?- gli domandò con di nuovo quella fastidiosa sensazione di rabbia r rancore che vibrava sotto la pelle. Si avvicinò e lo fronteggiò, tirando in un sorriso senza allegria – Lo sa che con quella bocca al succhiato il mio cazzo?-
- Vuoi che vada a dirglielo?- domandò, con una naturalezza così spontanea che ebbe l’impressione che se glielo avesse ordinato sarebbe corsa da lei a confessare.
- Una ragazza dovrebbe sapere se al ragazzo che vuole gli piace l’uccello.- replicò accentuando il sorriso.
Pascal guadò l’orologio – ormai è lontana penso. Va bene se la chiamo?-
Nathan congelò il suo sorriso – Perché devi sempre fare così?-
- Così come? -
- Così! Come se lo faresti davvero! –
Pascal incrociò i suoi occhi e sembrò essere leggermente esasperato, come se fosse faticoso avere a che fare con qualcuno che sembrava parlare un’altra lingua.
- Lo farai.- rispose.
- Lo so.- replicò Nathan sincero - Lo so! Cos’hai che non va? Perché non riesci a dirmi di no? Ti faccio così pena?- la sua voce si stava spezzando, quella familiare sensazione di disagio e dolore lo stava divorando da così tanto tempo che il suo cuore non ne poteva più.
- No.- rispose Pascal e sembrò sincero.
- Allora perché?- lo aggredì afferrandogli la felpa e strattonandolo – Ti ho violentato, cazzo! Perché me lo hai permesso?!-
Pascal non smetteva di guardarlo negli occhi e il peso di quello sguardo lo fece sentire più vulnerabile che mai. La sua pelle era sensibile alla luce del sole, poteva letteralmente ucciderlo, ma la luce che c’era in quegli occhi poteva distruggerlo.
Pascal non rispose. Non c’era davvero bisogno. Fece un passo in avanti e lo abbracciò, lasciando che il viso ottenesse un posto speciale nella sua spalla.
Solo allora Nathan scoppiò a piangere. Pianse così tanto che i singhiozzi non gli permettevano di respirare, così tanto che si sentì morire dalla tristezza prima ancore del suo poco tempo.
Poi il vortice di sensazioni iniziò a scemare, ma non quell’abbraccio. Pascal restò stretto a lui con così tanta forza che sembrava reggerli in piedi entrambi.
Quando fu troppo stancante stare in piedi. Pascal lo aiutò a sedersi sul letto e si sedette al suo fianco.
- Da che ho memoria ci sei sempre stato tu.- confessò con voce bassa – Nella mia vita, da che io ricordi, volevo stare con te.-
Nathan non riusciva a guardarlo – Ma io…- ti ho fatto del male.
- Non importava. Non è mai importato.- continuò – Non sono mai riuscito ad odiarti, nemmeno le volte che lo volevo davvero. Anzi, più tu mi facevi male, più tu mi guardavi, e allora accettavo ogni cosa purché tu posassi i tuoi occhi su di me.-
Nathan era senza fiato, Pascal, cercò le sue mani con una vulnerabilità nuova.
- Poi hai smesso di guardarmi.- riprese – E allora ho dovuto convincere mamma a metterci in stanza insieme.-
- L’hai voluto tu?-
- Tutto quello che credi di avermi fatto, l’ho voluto io.-
Nathan lasciò scivolare gli occhi sul punto in cui l’aveva preso la prima volta contro la sua volontà, per un secondo le iridi restarono vacue e perse in quel ricordo.
- beh, non quello.- sentì il fratellino continuare e fu strano sentire quasi ironia della sua voce nonostante stessero parlando davvero per la prima volta – Non in quel modo, almeno.- specificò, poi strinse le dita – Ma non avevo più un modo davvero per farmi guardare da te, quindi quello che è successo, mi ha aperto una nuova possibilità di avere un rapporto con te.-
Nathan guardò il fratello e si ritrovò per la prima volta a vederlo per come era davvero; negli anni lo aveva visto un burattino di una madre manipolatrice che lo aveva costretto a inseguirlo nonostante tutto. Lo aveva visto come una vittima, come uno stupido che accettava di farsi fare di tutto in nome della paura.
Ora però vedeva la persona che aveva fatto di tutto, pur di stare con lui.
- Se dici così, sembra quasi che tu sia ossessionato da me.-
- No, Nath, - replicò - te lo sto proprio dicendo.-
Il silenzio si dilatò tra loro, Nathan non poteva fare a meno di guardarlo. Non avrebbe mai più smesso ora che sapeva di averne il permesso.
- Io sono un mostro. Perché mai vorresti stare con me?-
- Io sono tuo fratello, - replicò Pascal - Perché mai vorresti stare come?-
I sue si guardarono, un mostro e un fratello ossessionato. Due lati di un amore malato che aveva travalicato decadi.
- … io sto morendo.- disse allora Nathan.
Pascal, calcolò la distanza tra loro mentre si avvicinava per un bacio. Premette piano le labbra sulle sue e aspettò di ricevere una risposta. Nathan si sciolse presto e si lasciò coinvolgere.
Quando si separarono, il peso di una settimana senza toccarsi si condensò nelle loro vene in un spasmodico desiderio.
Lo sospinse steso e lo sovrastò.
- Sei mio?- gli domandò staccandosi dalle sue labbra. Sapeva la risposta, ma nessuno gli avrebbe più impedito di avere ciò che davvero voleva: essere egoista, pretenderlo, averlo, amarlo.
Pascal gli afferrò la maglia del pigiama per tirargliela via con urgenza, poi gli afferrò i fianchi per spingerselo addosso.
- Sempre stato.- confermò.
Come aveva fatto ad essere così cieco?
Fece scivolare le mani sotto la sua divina e iniziò a scoprire più pelle che poteva. Aveva da farsi perdonare, così iniziò a baciare tutte le cicatrici che riusciva a vedere, a leccare ogni angolo di pelle più sensibile.
Sentì il suo nome sussurrato con un nuova frustrazione e gli venne da sorridere. Ora che non doveva più nascondere di adorarlo, Pascal non tratteneva più i sospiri, e non aveva remore a cercare più contatto, ad implorarlo.
Ma era allo stremo anche lui. Se non gli fosse entrato dentro presto, sarebbe impazzito.
Lo preparò pazientemente nonostante il fremere del suo fratellino sotto di lui.
- Nath…- soffiò, in una chiara supplica.
Come il canto di una sirena, Nathan non riuscì più a resistere. Entrò dentro di lui in un'unica, continua, spinta e presto si ritrovò senza fiato e senza pudore.
Pascan non era l’unico ad aver mandato al diavolo l’autocontrollo, Nathan faticava a concepire il mondo oltre quel corpo caldo e stretto attorno a lui.
Iniziò a spingere con sempre più frenesia, non appena sentiva il fratello più rilassato dall’eccitazione aumentava il ritmo. Faticava a rallentarlo quando rischiava di venire, ma ci provò lo stesso. Se poteva durare anche solo un attimo in più dentro di lui, lo avrebbe fatto.
Pascal iniziò a toccarsi, assecondando col il bacino quelle spinte, andandogli incontro. Di istinto, Nathan gli tirò via la mano e gliela inchiodò sul cuscino.
- Ti ho dato il permesso di venire?- soffiò, divertito e austero.
Gli occhi azzurri del fratello erano completamente lucidi e sembravano più lucenti che mai - … ti prego.- soffiò.
- Verrai quando te lo dico io. - soffiò prima di baciarlo.
Questa volta, rallentare il ritmo fu una necessità. Più temporeggiava, più sentirlo contrarsi e gemere in preda alla smania di venire, diventava inebriante.
Quel corpo era suo, quel fratellino era suo.
Solo suo.
- Ora.- gli ordinò, stremato dall’attesa egli stesso, e iniziò a spingere i fianchi contro di suoi cercando di trovare i punti giusti per portarlo al piacere.
Vennero insieme, soffocando i gemiti come potevano.
Per un lungo minuto, il mondo di Nathan fu meraviglioso e eterno.
Crollò di lato nel letto, stanco e affaticato, lo sguardo perso nel vuoto.
Pascal aveva gli occhi chiusi, il respiro pesante e l’aria di qualcuno che non avrebbe camminato per un paio di giorni.
Se ancora non era così, si sarebbe impegnato a fare in modo che lo fosse.
Qualcuno bussò alla porta.
I due s’irrigidirono mentre il panico li agguantava. Il più vestito era Nathan, quindi si rassettò al volo e corse ad aprire la porta solo quel poco che bastava per parlare con loro madre ma senza lasciargli veder lo staso sfatto del suo figlioletto preferito.
- Che c’è?-
Cecile avevo un espressione confusa – Vi ho sentiti lottare. – disse e sembrò davvero completamente ignara di cosa fosse appena successo. Effettivamente nessuno sano di mente avrebbe potuto pensare alla realtà – Sai che non devi sforzarti.-
- Stavamo solo giocando.- rispose Nathan prima di sorriderle felice.
Cecille sembrò sorpresa da quella sua nuova espressione, come se non fosse l’aver appena sentito i figli gemere, ma vederlo sorridere la cosa più strana.
Forse era così.
- Se vi serve qualcosa… fatemelo sapere.-
- Certo.-
Dall’altra parte della porta si sentì Pascal gridare – Patatine!-
E i tre si ritrovarono a sorridere insieme, forse per la prima volta nella loro vita.
Quando la madre andò via, Nathan affrontò il fratello, ancora nudo e del tutto al suo agio nel restarlo.
- Ho fame.- si giustificò.
- Se fosse entrata?-
Lui fece spallucce e si mise più comodo nel letto.
- Dovremmo unirli e farne uno grande.- meditò. Non aveva tutti i torti, sarebbe stato più comodo.
Era… così strano. Tutto era semplicemente strano.
Pascal tese la mano e lo guardò con i suoi profondi oggi lucenti e finalmente riuscì a intravedere la sua stessa oscurità.
Non erano un mostro ed un angelo, erano due mostri, solo che lui era il più ovvio.
Pascal aprì le gambe e sussurrò solo - …Vuoi giocare?-
Per anni quella domanda era stata il preludio di una lunga tortura.
Per tutti gli anni che gli restavano, sarebbero stati il preludio della loro lunga, stupenda, tortura.

Fine.






















 
 
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Titolo:  Non sapevo di essere maledetto
Cow-t 9, Seconda settimana, M3.
Prompt: Nobili Origini
Numero parole: 5748
Rating: Rosso
Fandom: Harry Potter


Non sapevo di essere maledetto




Harry Potter si guardava attorno, completamente disorientato. Era stato invitato a quella festa solo perché era l'eroe del mondo magico e non perché avesse davvero senso la sua presenza lì. Sospirò gravemente; non era la prima volta, non sarebbe stata nemmeno l'ultima. Questa volta, tuttavia, rispetto alle altre, al suo fianco mancava la sua amica di sempre e unica in grado di riconoscere tutti i partecipanti, quindi molto spesso si ritrovava a stringere mani, sorridere e fingere di riconoscere gente che, mano sul fuoco, era sicuro di non aver mai visto in vita sua.
- Salve signor Potter! - esclamò una donna sulla cinquantina, alta con un abito blu che le metteva in mostra più pelle di quanto gliene fosse rimasta dopo i vari lifting – E’ un piacere rivederla! Come sta?-
Harry le sorrisi in modo più naturale possibile e le tese la mano – Il piacere è tutto mio, la trovo bene!-
- Oh, trova?- cinguettò lei – Ma mi dica, perché non ci ha più chiamato per la cena?-
Quale cena? Pensò disperatamente Harry. Il panico doveva essere chiaro nei suoi occhi visto che la donna sembrò intuirlo.
- Oh, non mi dica che non lo ricordate signor Potter!-
Harry non aveva la minima idea nemmeno di chi fosse lei, figurarsi di una possibile cena.
Era intento a inventare una qualsiasi patetica scusa quando la voce melliflua e che avrebbe riconosciuto tra mille giunse nella loro conversazione.
- Miss Pellegrin, non siate avida, in molti aspettano di poter salutare Harry Potter.-
Draco Malfoy spuntò tra loro, vestito di un color grigio chiaro che esaltava il suo pallore naturale. I suoi occhi brillavano nel vedere la donna.
- Oh, Signor Malfoy. Elegante come sempre.-
- Mai quanto lei Miss. – il rampollo della famiglia Malfoy le fece un piccolo baciamano e le sorrise cordialmente, poi lanciò un’occhiata al Salvatore e aggiunse – Il signor Potter è stato impegnato con delle indagini di natura riservata, immagino che si rammarichi molto di non averla avvisata, non è vero?-
- Assolutamente.- confermò di rimando Harry assecondando la scusa – Sono stato oberato di lavoro. La prossima volta non mancherò.-
Lei si illuminò e cinguettò – Ma certo, è normale!- prima di dargli un piccolo buffetto con la mano – Ma rinnovo l’invito, e anche per lei Malfoy. Siete entrambi invitati! –
Malfoy accentuò il sorriso e rispose semplicemente – Non mancheremo.- cosa che permise alla donna di passare al prossimo ospite.
Improvvisamente soli, Malfoy guardò il suo ex compagno di scuola con un sopracciglio alzato.
- Non è colpa mia.- si difese subito Harry – Hai idea di quanta gente incontri a questi eventi?-
- Infatti, non sei tipo da questi eventi. Conosci almeno qualcuno?-
Harry si guardò attorno e la risposta gli parve più ovvia che mai. Li conosceva? Non era sicuro. Forse li aveva visti ad altre feste a cui il Ministero l’aveva costretto di partecipare, ma non aveva idea dei volti, dei nomi o di qualsiasi avvenimento della loro vita.
Guardò l’ex compagno di classe, colpevole.
Draco Malfoy finì quello che restava nel suo bicchiere e fece spallucce – Resta con me, farò in modo di farti fare bella figura.-
- Davvero?- soffiò l’altro – Come mai?-
- Potrei dirti per bontà d’animo, ma sarebbe una bugia. La realtà è troverò divertente la faccia che fai quando qualcuno che non conosci ti chiede qualcosa.- ammiccò – voglio il posto in prima fila.-
Probabilmente quello era il suo modo per giustificare quell’evidente gentilezza, perché un Malfoy non poteva semplicemente essere gentile, doveva sempre nascondere una sorta di secondo fine.
Iniziarono così a girare la sala, Draco intercettava ogni persona, e nella conversazione che seguiva riusciva a metterci nomi, occupazione e qualche nozione base della famiglia del suo interlocutore, agevolando la conversazione in un secondo momento per lui. Per due ore strinsero mani, chiesero come stessero parenti, accettarono e fecero farlocchi inviti a fantomatiche cene.
Durante le pause, bevevano qualche sorso di vino bianco per riuscire a bagnare la gola secca per le troppe chiacchiere.
Quando ogni invitato finalmente ebbe la sua buona dose del salvatore del mondo i due finalmente poterono iniziare a raccapezzarsi su cosa fosse divenuta la loro vita dopo Hogwarts.
Harry gli raccontò che diventare Auror era stato più sulla carta che sul campo. Quasi mai partecipava attivamente alle missioni, ma anzi sembrava che il suo compito fosse presentarsi a queste feste e attirare investitori dal momento che nessuno voleva mettere davvero a rischio la vita dell’eroe del mondo.
- Cos’è quella faccia?- soffiò Malfoy con un sorrisetto divertito – Direi che hai rischiato la vita abbastanza per una vita intera.-
Harry aveva sorriso – Forse non hai tutti i torti.-
Poi fu il turno di Malfoy di raccontare. Con i genitori rinchiusi, aveva preso le redini degli affari di famiglia. Confessò che non era facile, che si era ritrovato con tutto addosso, con tutti che si aspettavano che fosse esattamente come Lucius ma che invece all’inizio non aveva quasi idea di cosa avrebbe dovuto fare.
- Ora però va meglio. – disse – e a differenza di qualcuno, so tutti i nomi dei miei possibili finanziatori.- gli fece l’occhiolino e Harry si ritrovò ad arrossire, imbarazzato.
- E’ che non mi piacciono queste cose.-
- Queste cose ti pagano lo stipendio.-
- E allora?- replicò Harry – Non vuol dire che debba piacermi.-
Il tono tra loro era cambiato. Draco restò in silenzio per un lungo minuto, poi gli fece cenno di seguirlo. Dopo un secondo di esitazione, Harry lo raggiunse in una stanzetta adiacente; rispetto alla sala da ballo in cui erano stati finora, questo sembrava un piano bar. C’erano tavolini da una parte e un bancone pieno di liquori dall’altro. Draco entrò nel bancone e prese una bottiglia e due bicchieri.
- Ma possiamo stare qui?-
- Certo che no.- rispose, con un sorrisetto beffardo – Io non dirò nulla, se non lo farai neanche tu.-
Dopo un attimo di esitazione, si avvicinò al bancone e prese uno dei bicchieri riempiti. Bevve un sorso e la potenza del liquore lo fece tossire.
- Avrei dovuto avvisarti che è forte.- disse, dopo un sorsetto. Per lui sembrava acqua fresca. L’altro gli lanciò un’occhiata moralmente ferita.
Restarono ancora in silenzio, ma l’atmosfera tra loro era di nuovo leggera, quasi intima.
- Quando mio padre era costretto a partecipare a queste feste io e Zabini trovavamo sempre una via di fuga. Abbiamo trovato questo posto un giorno e da allora ogni volta che venivano in questa villa era il nostro posto.-
- Come sta Zabini?-
- Sposato.- replicò divertito – Non può più accompagnarmi nelle scorribande e bevute in case altrui purtroppo.-
- Quindi posso fare domanda per il posto?- ridacchiò Harry alzando il bicchiere – Suppongo che ti vedrò ad altre feste e potrebbe servirmi ancora una spalla.-
Di tutta risposta il serpeverde ridacchiò e prese il bicchiere per spingerlo contro il suo – Periodo di prova. Se risulti essere una chiavica, ti licenzio.-
- Farò del mio meglio.-
Lontano dalla folla e dalla musica del grammofono magico, i due ripresero a parlare e, questa volta, uscirono dalle loro bocche confessioni che non avevano mai avuto il coraggio di dirsi; come si erano sentiti durate la guerra, come si erano ritrovati sperduti e spaventati.
Draco ammise perfino, con voce bassa come se faticasse a parlare, che quando Harry lo aveva colpito quel fatidico giorno in quel bagno in disuso con un incantesimo mai sentito, si era sentito quasi sollevato. Morire, sarebbe stata una liberazione dalla paura, dall’ansia e dalla missione che era così terrorizzato da svolgere.
- Però ora sono contento.- ammise – Di essere vivo, che sia finita. Perfino di stare parlando con te.-
Mentre parlava, le labbra di Draco si muovevano piano, i suoi profondi occhi grigi restavano bassi per molto tempo per poi alzarsi solo per trafiggerlo. Era strano che Harry si sentisse trascinato nella profondità dei suoi occhi ogni volta che li incrociava? Era strano che quando lo guardava, non riusciva letteralmente a vedere altro al mondo?
Qualcuno bussò alla porta e domandò- Signor Potter?-
Harry fece in tempo ad imprecare sotto voce, prima che Malfoy lo afferrasse per trascinarlo dietro la bancone e poi in basso, per nasconderlo.
Restarono seduti per terra, più vicini di quanto non lo fossero mai stati, in attesa che il visitatore andasse via.
La porta fu aperta, il suo nome fu ancora chiamato, poi fu richiusa.
Draco sbucò con la testa dal bancone per essere sicuro che fossero di nuovo soli e Harry non poté fare a meno di notare quanto sembrasse morbida e candida le pelle del suo collo.
In un angolo della sua testa, decise di registrare quell’osservazione, così come tante piccole altre cose, e far finta di nulla.
Ma Draco Malfoy si girò verso di lui ed erano così vicini che gli sembrò che avrebbe potuto baciarlo semplicemente chiudendo gli occhi e spingendosi in avanti. Gli sembrò un eventualità così concreta che si rese conto delle sue azioni solo quando Malfoy gemette per aver sbattuto la schiena per terra dopo che Harry ce lo aveva spinto per sovrastarlo.
Non solo lo aveva solo baciato, ma quella poteva essere a tutti gli effetti considerata un aggressione.
Lo guardò, dall’alto e cercò di capire cosa dire per giustificarsi, per fargli capire che era stato un idiota…
Ma Draco alzò un sopracciglio e come se essere baciato e atterrato da lui fosse la cosa più naturale del mondo, semplicemente chiede - Perché ti sei fermato?-
Così, Harry decise che non c’era un perché.
E che non si sarebbe fermato.

**
Harry non era mai stato con un uomo, ma non l’avrebbe mai ammesso con colui che si stava fidando che sapesse cosa stava facendo mentre due dita cercavano di abituarlo a quello che sarebbe giunto dopo. Dal canto suo, il biondino se ne stava steso, gli occhi chiusi e era sicuro che stesse cercando di regolare il suo respiro.
- Ti faccio male?- domandò, temendo fosse così.
Draco aprì gli occhi e le sue iridi sembravano brillare di una luce nuova, le labbra si tirarono in un sorriso nuovo, un po’ affaticato – Potter, se mi disonori, dovrai poi sposarmi.- lo prese in giro.
In qualche modo il fatto che scherzasse fece sentire Harry più tranquillo. Approfittò ancora delle sue labbra, coinvolgendolo in un nuovo bacio, più profondo dei precedenti, mentre con le dita, si spingeva dentro di lui.
Si accorse del cambiamento quasi subito, un attimo prima c’era resistenza, l’attimo dopo c’era avidità in quell’anello di carne.
L’idea che sarebbe presto affondato in lui, lo eccitò come non mai.
Tolse le dita, adorando il gemito di disapprovazione che giunse del suo amante, poi guidò il proprio sesso puntato su quella porta del paradiso.
Mentre spingeva per entrare, i due trattennero il respiro. Draco strinse le dita sul suo collo, teso come una corda di violino.
- Stai bene?- sussurrò Harry senza fiato, sopraffatto dal piacere, ma disperato che fosse reciproco.
Draco di morse un labbro, prima di annuire.
Entro ancora un poco, alla gola del serpeverde sfuggì un delizioso gemito che lo fece quasi venire.
Ancora una spinta, ancora un respiro profondo e… fu sepolto in lui.
All’inizio di quella serata se qualcuno gli avesse detto che sarebbe stato biblicamente insieme a Draco Malfoy lo avrebbe minacciato di diffamazione, per l’assurdità della cosa.
E invece ora era dentro di lui e non voleva essere da nessun’altra parte.
Merlino, non voleva mai più essere da nessun’altra parte.
Si mosse piano all’indietro per poi rientrare, lo fece per qualche spinta finché farlo con lentezza e controllo divenne semplicemente impossibile.
Quando Draco alzò il bacino per andare incontro alle sue spinte, fu la fine di ogni suo barlume di autocontrollo.
Da lento e intimo, divenne animale. Se la musica non avesse coperto i loro gemiti sarebbero stati uditi anche nell’altra stanza. C’era qualcosa di osceno nel suono della loro pelle che sbatteva, nel suono del suo sesso affondava in lui fino alla base solo per provocare in Draco uno spasmo di piacere.
- Sì, lì…- lo sentì sussurrare mentre chiudeva gli occhi. E lì, sarebbe stato ad ogni spinta.
Non aveva mai provato tanto piacere, non aveva mai voluto fottere qualcuno così tanto, così forte, così disperatamente.
Esplose in lui con così tanta forza, che il suo intero corpo fu paralizzato dall’estesi, le dita affondate nella sua coscia, un urlo bloccato nella gola.
Per quel secondo di paradiso, nulla a parte quel piacere ebbe importanza. Poi aprì gli occhi e le suo priorità cambiarono; Draco era steso, gli occhi socchiusi, il suo seme sull’addome, mentre altro colava dalla punta del suo sesso mentre le dita continuavano a sfiorare la pelle tesa alla ricerca di ogni briciolo ulteriore di estasi.
Draco era venuto con lui e vederlo completamente abbandonato e in cerca di ogni briciolo di ulteriore piacere, lo fece impazzire.
Cercò le sue labbra per rubargli un bacio a fatica, per via del respiro corto, poi gli tolse la mano dal sesso e la sostituì con la propria.
Complice del fatto che fosse ancora duro, iniziò a spingere e Draco soffiò sorpreso – …Che fai?-
Harry appoggiò la fronte alla sua e rispose semplicemente – Ti scopo per il resto della sera.-
Draco fu colto da una nuova piccola ondata di piacere, e chiuse gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprì c’era un nuovo rinnovato desiderio nei suoi occhi.
- Sei assunto.- sussurrò con un sorriso divertito – sei decisamente assunto.-

**

Un paio di giorni dopo, Harry aveva la testa completamente nel pallone. Riviveva quei momenti, li analizzava, li studiava per comprendere tutte le più complesse implicazioni. Purtroppo, capire le cose, non era mai stato il suo forte.
- Se…- soffiò verso Hermione una mattina mentre lei era passata a consegnargli dei fascicoli nell’ufficio privato che gli avevano assegnato - Se fai sesso con qualcuno. Dopo quanto tempo devi chiamare?-
Lei si girò, con un espressione incuriosita – Harry, cos’è questa novità?-
- Nessuno novità.- disse – E’ solo in via ipotetica.-
Gli occhi svegli della ragazza brillarono di curiosità – Questa via ipotetica, ha un nome?-
L’altro affondò il viso nelle cartelle per non guardarla in faccia – Che io sappia, tutti al mondo hanno un nome.-
- Quindi Via Ipotetica, ti piace?-
Harry avvampò e la ragazza non mancò di notarlo.
- Quindi ti piace tanto!- esclamò – Che aspetti allora? Chiamala!-
- Cosa? Ora?- replicò in preda al panico.
- Avete fatto sesso, lei ti piace, la vuoi chiamare.- affermò divertita – E non saprai mai se è reciproco se non la chiami, non trovi?-
- E’ complicato.-
- E’ semplice, invece.- fece lei – Vuoi rischiare di non fare nulla e non rivederla mai più?-
Si sarebbero rivisti, era quello il problema. Si sarebbero incontrati tra i corridoi del ministero, tra la gente alle feste. I loro destini sembravano sfiorarsi, anche se raramente riuscivano a incrociarsi.
- Va bene.- disse arreso – Manderò un gufo.-
- Allora è una strega?- esclamò lei, felice – Chi è? La conosco?-
Harry si alzò e la sospinse gentilmente alla porta – Ora lasciami solo, devo pensare bene a cosa scrivere quindi…-
Aprì la porta e ci ritrovò Draco Malfoy con la mano sospesa bloccato nell’intento di bussare.
- Malfoy?- fece Hermione sorpresa – E’ raro vederti da queste parti come mai sei qui?-
Draco spostò lo sguardo da Harry a lei e le sorrise cordialmente – Devo parlare a Potter, ma è un piacere rivederti.-
- Allora vi lascio soli.- disse nuovamente ricomposta, poi fece l’occhiolino al suo migliore amico – Fammi sapere che ti risponde, okay?-
Harry la odiò, mentre avvampava.
Una volta soli, Draco entrò nell’ufficio e si chiuse la porta alle spalle.
- Cosa devi farle sapere?- domandò, incuriosito.
Harry prese un profondo respiro – Cosa risponderà la persona con cui ho fatto sesso ad una festa quando l’avrò contattata.-
Draco alzò un sopracciglio – Ah, quindi mi avresti contattato, alla fine.-
L’altro arrossì, prima di annuire – Stavo per farlo.-
- Beh, sono qui.- fece Draco attraversando la stanza fino alla scrivania dell’Auror per appoggiarsi con nonchalance. Sembrava così rilassato che non pareva proprio essere lì per affrontare una conversazione imbarazzante.
Ma forse l’unico in imbarazzo era solo lui. Mentre Draco afferrava cose sulla sua scrivania per giudicarle e nel frattempo si riempiva la bocca di cose simile a “facciamo finta di nulla”, “è stato un momento di una notte”, “siamo adulti e vaccinati”, Harry non poteva fare a meno di vedere davanti ai suoi occhi l’immagine dell’altro sconvolto dall’orgasmo.
Se fino a quella mattina quella notte stava quasi svanendo per via del tempo e delle sue fantasia, ora che ce l’aveva davanti, che poteva vedere il suo corpo fasciato in un vestito che esaltava la figura esile e slanciata, che il suo collo era ancora desiderabile, e le sue labbra erano ancora invitanti…
- Mi stai ascoltando?- la voce di Draco lo portò alla realtà.
Harry sospirò gravemente – Sinceramente no.- ammise, poi scrollò le spalle – Vedi è difficile ascoltarti se non mi piace cosa stai dicendo.-
L’altro sembrò incuriosito – E cosa vorresti sentirmi dire?-
Harry piegò mezzo labbro in un sorriso – Di chiudere la porta. –
Sul viso dell’altro passarono una serie di emozioni tutte più o meno evidenti. Curiosità, esitazione, aspettativa, desiderio e, infine, decisione.
- E allora chiudila.- gli ordinò, mentre si portava una mano al collo per sbottonare il primo bottone della camicia.
**

Avevano avuto più privacy ad una festa con le loro voci nascoste da note coordinate, che nel suo ufficio, ma questa volta si presero il tempo necessario per assaporarsi.
Harry non si limitò a baciare le sue labbra, ma osò anche collo, e sfiorò con curiosità i capezzoli scoprendo con piacere che erano una sua zona erotica.
- Sembra che voglia essere succhiato.- mormorò sulla pelle mentre con l’indice giocava con uno dei capezzoli.
- Non è l’unico.- replicò Draco, divertito.
Harry alzò la testa – Vorrei avere più di una bocca.- confessò – C’è troppo di te da baciare, leccare e succhiare…-
Draco piegò la testa di lato e sogghignò – Beh, allora inizia.-
Lo fece, meticolosamente. Cercò sul suo petto e sull’addome ogni angolo che provocasse nell’altro più eccitazione possibile.
Quando arrivò all’ombelico sentì la presenza del suo sesso ormai completamente duro sulla gola. Arpionò il pantalone sbottonato e aprì maggiormente l’entrata scoprendo un boxer verde smeraldo che faticava a contenere quella che sembrava essere una magnifica erezione.
- Vuoi che te lo succhi?- domandò, alzando gli occhi su Draco che gli restituì un sopracciglio alzato in risposta.
- Non è ovvio?-
- Mi piacerebbe sentirtelo dire.- replicò l’altro – Vorrei sentirti dire ciò che vuoi che ti faccia esattamente.-
- Ah, vuoi che ti dica cose zozze, eh Potter?- replicò l’altro mettendosi comodo sulla scrivania – O vuoi che ti comandi?-
Entrambe le opzioni sembravano allettanti. Harry premette le labbra sul rigonfiamento e concesse un guizzo di lingua che fece attraversare un universo di frustrazione nelle iridi dell’altro.
- Voglio che mi dici esattamente quanto vuoi che te lo succhi.- disse, sulla stoffa – E poi voglio che mi dici esattamente…- mormorò mentre spingeva delicatamente giù il boxer lasciando libero il sesso turgido – Quanto vuoi che ti fotta.-
Vide Draco mordersi il labbro così forte che lasciarsi un segno.
Alzò una mano e la affondò nei suoi capelli, con il pollice sembrò quasi accarezzargli la nuca – Voglio che tu mi faccia di tutto, Potter.- disse, riuscendo a mascherare solo parzialmente la realtà di quelle parole. Gli bastava.
Era la prima volta che Harry succhiava un uccello. Prima di Malfoy non erano mai stati così invitanti. Probabilmente, l’uccello di chiunque altro, non sarebbe stato tanto invitante.
Ma quello di Malfoy sembrava perfetto per la sua bocca, sembrava aver scritto solo ed esclusivamente il suo nome.
Iniziò a torturare la pelle tesa senza nessuna esitazione, si riscoprì a farlo con una certa abilità a giudicare dal fuoco che ora leggeva negli occhi dell’altro che non lo lasciavano solo nemmeno un minuto. Succhio, lecco, massaggiò con più naturalezza possibile poi Draco gli tirò via la testa, con una certa urgenza.
Sentì il liquido caldo finirgli sul viso e invece che sentirsi disgustato, si sentì marchiato. Aprì gli occhi e trovò le lenti appannate da parte del seme.
Vide una mano dell’altro tentare di toglierne il grosso con le dita e, quando di nuovo riuscì a intravederlo nonostante tutto, si ritrovano a ridere.
Harry drizzò la schiena cercò il suo viso, smaniò per le sue labbra. Si baciarono con naturalezza disarmante ma soprattutto un intimità nuova.
Continuare, venne più che naturale.
Mentre parlavano prima, Draco aveva preso degli oggetti a caso con l’apparente intento di giudicarli, ma ora che si ritrovò a stenderlo si rese conto che erano stati posizionati in modo da non finire sotto la sua schiena.
- Sei venuti qui apposta, non è vero?- soffiò divertito prima di toglierli con poca grazia il pantalone.
- Per qualche altro motivo sarei dovuto scendere quaggiù?- replicò Draco con un espressione innocente.
Harry si posizionò in mezzo alle sua gambe e infilò una mano tra loro, pronto a prepararlo.
- Lo sai vero che questo significa che non puoi più tirarti indietro?- domandò Harry mentre affondava gentilmente il primo dito - Che significa che ci stiamo frequentando?-
L’altro mise una braccio sotto la testa, per mettersi più comodo, mentre con l’altro iniziò ad accarezzarsi il membro che si stava rilassando per tenerlo sull’attenti – Voi grifondoro.- mormorò – Non riuscite a scopare senza restare coinvolti eh?-
- Chiamalo deformazione professionale.- replicò Harry, infilando anche il secondo dito.
Draco chiuse gli occhi lentamente, come se volesse godersi meglio quella intrusione, poi tirò le labbra in un sorriso – Se questo significa orgasmi…- disse, con il respiro leggermente affaticato – Frequentiamoci.-
Una scarica di adrenalina attraversò Harry.
Draco Malfoy era suo, pensò prima di iniziare a fotterlo, solo suo.

**

Non era mai stato più in torto, pensò dopo aver mandato il quattordicesimo gufo. Sarebbe stato l’ultimo.
Dopo quel giorno nel suo ufficio, Draco Malfoy era sparito del tutto. A nulla erano valsi i messaggi, le richieste, perfino i piccoli agguati quando lo vedeva nei corridoi per riuscire ad ottenere un qualsiasi tipo di risposta.
Era scappato, invece che avere le palle di dirgli che aveva mentito, che non c’era nulla tra loro, che aveva ottenuto quello che voleva e non voleva più nulla da lui.
La rabbia lo aveva consumato per cinque mesi, mentre passava dall’odiarlo a chiedersi cosa aveva fatto di male. Aveva passato tutti gli stadi della perdita, e ora, cinque mesi dopo, era arrivato finalmente al punto dell’accettazione.
“mi piacevi davvero” aveva scritto nella sua lettera, prima di scrivergli addio.
Quattro mesi dopo tuttavia il ministro si presentò nel suo ufficio con un espressone grave – Signor Potter, posso parlarle un secondo?-
- Certo.-
Il ministro avanzò nella stanza - Mi pare di ricordare che lei sia un amico di del Signor Malfoy, è vero?-
Harry fu colpo alla sprovvista, mettersi a ribattere che non erano amici, avrebbe fatto molto male ora come ora, quando anche solo pronunciare il suo nome gli causava una piccola stretta al cuore.
- Che le serve?-
- Non si presenta a lavoro da mesi ormai.- spiegò il ministero.
- Cosa?-
- Si è preso un tempo indefinito di aspettativa.- continuò – Ma il suo contributo è strettamente vitale e volevo sapere se conosci un modo per convincerlo a tornare a lavoro.-
Harry sentì il cuore stringersi in una morsa – Ha…- esitò – Ha detto perché non sarebbe venuto a lavorare?-
- Questioni di salute, pare.- il ministro scrollò le spalle – Ma se non è questione di vita o di morto, mi serve qui. Potresti convincerlo a tornare?-
- Non credo di essere la persona adatta.- replicò amaramente.
- Può comunque fare un tentativo? Non lo chiederei se non fosse necessario.-
Harry strinse le labbra con disappunto, ma annuì. Mentre il ministro finiva i convenevoli nella sua mente si affollarono solo domande su domande: possibile che era arrivato a tanto per evitarlo?
Ma una domanda si insinuò ancora più crudelmente nel suo animo: e se, invece, lui non c’entrasse nulla? Se tutto ciò che Harry provata nella scala di valori dell’altro non fosse altro che un semplice fastidio o ancora peggio, i suoi sentimenti cadevano nella totale indifferenza?
Quel pensiero, gli gelò il cuore. Pensarlo codardo era gran lunga meglio di pensarlo indifferente.
Ci mise qualche giorno a trovare il coraggio di andare da lui. Quando lo fece, preparò nella sua testa parole precise da dire, in qualche modo, mirate a salvargli la faccia; avrebbe detto lui che non gli moriva certo dietro, che se era per questo che non si presentava a lavoro, poteva benissimo tornare visto non provava più nulla per lui.
Mentire non gli risultava poi così difficile del resto, non a caso aveva solo scelto di essere un grifondoro.
Quando picchiò il batacchio per bussare, un elfo aprì la porta immediatamente e gli fece una profonda reverenza.
- Sono un emissario del primo Ministro, sono qui per suo conto.-
Immaginò che non l’avrebbe mai ricevuto se avesse detto il suo nome e cognome. Il piccolo elfo si prostrò nuovamente e lo fece accomodare. Lo lasciò in una studio ben arredato e svanì dopo alcuni attimi.
Una volta solo, Harry si guardò attorno. Tutto era talmente in ordine che sembrava essere tutto finto. Sulla scrivania non c’erano scartoffie, né segni di inchiostro. Sembrava letteralmente non esserci alcuna residue presenza di qualcuno.
Sentì uno scricchiolio, si girò e, per la prima volta dopo mesi, si ritrovò davanti al suo sogno proibito. Si aspettò fastidio, perfino un poco di odio nei suoi confronti, ma Draco sembrò guardarlo come se non riuscisse a riconoscerlo, ebbe il tempo di notare le profonde occhiaie e la vestaglia comoda che lo copriva come se cercasse di proteggerlo dal mondo.
- Stai bene?- domandò preoccupato.
Draco sembrò riscuotersi, si chiuse meglio la vestaglia, quasi fosse un armatura - Che ci fai qui?-
Il salvatore strinse le labbra - Mi manda il ministro. Servi a lavoro.-
Il padrone di casa aggrottò le sopracciglia, pensieroso – Non posso tornare.- disse.
- Sembrava urgente e non puoi restare in aspettativa così a lungo. -
- Digli che mi licenzio, allora.- replicò pratico l’altro.
Cosa? Ma che diavolo stava succedendo?
Fece un passo verso di lui e Draco indietreggiò, sulla difensiva.
- Non voglio farti del male.- si difese Harry confuso.
L’altro sembrò chiudersi meglio nella vestaglia, come se volesse nascondere qualcosa. Le spalle sembravano così tese che pareva fargli mare il semplice atto di respirare.
- Merlino, Malfoy, cos’hai?- domandò, sinceramente preoccupato – Ti porto al San Mungo? Se hai bisogno di qualcosa…-
- Sto bene.- lo freddò di rimando – Manderò le mie dimissioni al ministro non appena te ne vai. Grazie di essere passato.-
Fece per girarsi, ma Harry gli afferrò un braccio e lo costrinse e guardarlo.
Le labbra di Draco si contrassero in una smorfia senza allegria prima di dire – Non ti è chiaro il rifiuto, Potter?- disse, cercando di imprimerci più acidità che poteva – Non mi piaci, ti ho solo usato. E ora vattene da casa mia…-
Erano esattamente le parole che aveva temuto di sentire, ma ora che avevano preso forma, che le sue orecchie le aveva ascoltate, c’era qualcosa che non quadrava. Dentro di lui, la semplice verità che fossero state dette solo per spaventarlo divenne una certezza.
Dentro di sé, sapeva che lasciarlo solo, andarsene, o semplicemente rimanere ferito da quelle parole, erano le cose più sbagliate da fare.
- Draco…- soffiò, per la prima volta pronunciando il suo nome – Non vado da nessuna parte.-
- Devo cacciarti?- insistette Draco, cercando di mantenere quella maschera di indifferenza.
- Ti sfido a provarci.-
Per un intero minuti i due restarono fermi, cercando di capire cosa fare. Poi il padrone di casa si arrese, le spalle crollarono così come anche ogni sua indifferenza.
- Va bene, non sto… benissimo.- ammise.
- Cos’hai?
- E’… complicato.- mormorò – Ma starò meglio, te lo prometto.-
Come se lui avesse il diritto di ricevere quella promessa.
- Posso fare qualcosa per te?- si ritrovò a domandare.
L’altro scosse la testa, poi si riappropriò del suo braccio – Vai a casa, Harry.- ci fu famigliarità nella pronuncia del suo nome.
Draco provò a fare un passo indietro, ma qualcosa andrò storto. Sembrò che perdesse per un attimo l’orientamento, rischiando si cadere, così Harry lo prese al volo per reggerlo in piedi. Tuttavia, la vestaglia si aprì rivelando qualcosa che Harry non realizzò di vedere all’inizio, poi quando concretizzò cosa fosse, non riuscì a capirlo.
- Sei ingrassato?- domandò a Draco che, ripresosi, si affrettò a richiudere la vestaglia con fare frettoloso.
- Non sono affari tuoi.-
- Certo, non volevo dire nulla ma…- lo guardò – solo sulla pancia? Non sembri essere ingrassato altrove, è…strano.-
Draco si portò una mano alla testa come se gli fosse venuto mal di testa - … lascia perdere, okay?-
Harry lo studiò, come se cercasse di risolvere un puzzle, ma aveva la sensazione di riuscire a vederlo nella sua interezza senza però capirne il significato, poi qualcosa si risvegliò da qualche parte nella sua testa: cinque mesi che non lo vedeva, una malattia, sarebbe mancato a lavoro per tempo indefinito, addome gonfio…
- E’ impossibile.- soffiò senza fiato – Sei un maschio.-
Draco lanciò un’occhiata veloce all’altro, poi distolse lo sguardo – Non è come pensi.- replicò, senza però essere minimamente convincente.
Harry aprì le mani e se le guardò come se mettesse in dubbio interamente la sua biologia – Cioè non può essere, giusto? Non puoi aspettare un figlio!-
Il padrone di casa alzò gli occhi e non disse nulla, incapace di ribattere.
Questa volta, a rischiare di cadere in terra fu Harry.
**

Draco gli mise tra le mani un bicchiere del liquore forte che gli aveva fatto assaggiare la loro prima volta insieme. Questa volta gli sembrò acqua.
- Spiegami.- disse solo.
Pensieroso, si mise apparentemente senza rendersene conto una mano sulla pancia – Ha qualcosa a che fare con le mie nobili origini.- confessò piano – Nella mia famiglia ci deve essere un erede maschio a tutti i costi, non importa quali siano i tuoi problemi o… le tue inclinazioni.-
- Ma come puoi…cioè …-
- E’ una maledizione.- continuò - in mancanza di eredi maschi e in caso di inclinazioni omosessuali, pare che la mia famiglia sia in grado di riprodursi comunque. – si morse un labbro – Cioè non è che lo faccia a prescindere, devono esserci delle condizioni: un partner di sangue forte, una certo tipo di compatibilità…- la voce sfumò – Un certo tipo di sentimento.-
Harry sbatté le palpebre e fece scivolare lo sguardo sul suo grembo gonfio. Per la prima volta, realizzò qualcosa di ancora più sconvolgente dello scoprire che il ragazzo per cui era invaghito fosse incinto… quel figlio con tutta probabilità era suo.
- Sì.- Draco intercettò i suoi pensieri.
Harry era senza fiato mentre chiedeva – Avevi intenzione di dirmelo?-
Lo sguardo colpevole dell’altro lo fece sentire sinceramente male.
- Quindi…- riprese cercando di capire. Ma erano troppe informazioni, troppe emozioni tutte insieme – Sei sparito perché sei incinto ed è mio figlio. – sintetizzò.
- Puoi smettere di ripeterlo? Sto ancora cercando di metabolizzare e sono passati cinque mesi.-
- Beh, dammi almeno cinque minuti.- replicò Harry – Cioè non capita certo tutti i giorni. Cioè… aspettiamo un bambino. Un bambino!-
Lo guardò e notò nuovamente le occhiaie e l’aria trasandata - … e deve essere stato spaventono per te.- realizzò – Non sapevi come dirmelo, non è vero? Per questo sei sparito.-
Seduto nella sua poltrona, Draco sembrava studiare ogni sua mossa – Non voglio niente da te.- esordì serio in volto – Non vorrò mai un soldo o che tu lo riconosca. Non pretendo che tu gli faccia da padre, se non è quello che vuoi. –
Se non è quello che vuoi, quelle parole risuonarono nella sua testa come un eco.
- Quindi, se lo voglio, mi permetterai di essere suo padre?-
- Beh, lo sei.- confermò Draco.
- E se volessi anche te?- replicò senza nemmeno rendersene conto.
Draco alzò il viso e si incrociò il suo sguardo. La mano si contrasse sulla pancia, come se si fosse fermata da stringerla.
- Mi vuoi ancora… dopo quello che ti ho fatto?- domandò e Harry non poté fare a meno di notare la vulnerabilità nella sua voce.
Cinque mesi senza di lui ed era letteralmente impazzito. Erano stati a letto solo in due occasioni e nessuno delle due comprendeva un vero letto, ma la quello che aveva provato era stato travolgente…e inevitabile.
- Quale sentimento? – domandò d’un tratto – Hai detto che un figlio viene concepito solo con alcune condizioni, tra le quali un sentimento. Di quale si tratta? Basta che lo provi solo uno o… è reciproco? -
L’altro lo guardò a lungo, dietro i suoi occhi si accumularono i pro e i contro del rispondere seriamente a quella domanda, ma poi chiuse gli occhi e sembrò voler allontanare le insicurezze e le paura.
- Deve essere reciproco.- confessò.
Fu perfettamente chiaro.
Harry scattò in piedi, attraversò la stanza e cercò le sue mani prima ancora delle sue labbra. Le baciò dolcemente, adorando il modo esitante ma desideroso con cui rispose l’altro.
- Che sia chiaro.- soffiò, ansante dopo un lungo bacio – Ho intenzione di sposarti.-
- Tu sei pazzo.- replicò Draco alzando gli occhi al cielo.
Harry annuì solennemente – Non intendo ora, ma un giorno, di sicuro. – continuò - Non voglio solo frequentarti, voglio stare con te, voglio che pensare al futuro e voglio che questo bambino abbia una famiglia che si ama.-
- Sei cocciuto abbastanza da rendere queste cose esattamente ciò che avrà.- replicò l’altro.
Si baciarono ancora, poi Draco si staccò a disagio. Divertito dalla confusione di Harry, gli prese una mano e se la poggiò sulla pancia per sentire il calcio.
- Ciao papà.- tradusse per lui.
Harry si ritrovò con le lacrime che gli colavano lungo le guance.
- Non ti lascerò andare mai più.- disse e sembrò una potente minaccia.
Draco gli accarezzò il viso e lo corresse con dolcezza – “Vi” –

 
 
 
 
 
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