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[personal profile] macci

Titolo: Il mostro della stanza buia
Cow-t 9, Seconda settimana, M2.
Prompt: Oscurità
Numero parole: 7178
Rating: Rosso
Fandom: Originale

 

Il mostro della stanza buia


Nathan era parte una parte integrante dell’oscurità. Dal momento che era nato, si era mosso nelle fessure della realtà, tra un’ombra e l’altra, tra una finestra coperta, tra porte chiuse e “no” alle sue richieste di uscire fuori a giocare.
Era nato diverso. Era nato difettoso.
La luce del sole poteva ucciderlo, per questo, rinchiuderlo e buttare via la chiave era stata la scelta più ovvia... e anche la più comoda.
I primi anni sua madre aveva fatto di tutto per aiutarlo, aveva coperto le finestre, gli permetteva di uscire a in giardino a giocare.
Ma era sempre solo. Sempre arrabbiato.
Così, gli avevano dato un fratellino, Pascal per tenerlo occupato e per un po’ aveva funzionato.
Quella strana piccola e paffuta novità dava alla sua giornata una nuova prospettiva. Non gli interessava nemmeno che piangesse ad ogni ora del giorno e della notte, perché quanto lo guardava con i suoi enormi occhi chiaro, il suo fratellino lo guardava, e lui non si sentiva un fantasma nella sua stessa vita.
Tuttavia, suo fratello non era portatore del gene e, per la prima volta in anni, suo padre Cecile aveva un pargoletto da mostrare in giro, di cui vantarsi.
A volte usciva con il passeggino e non li vedeva per ore e Nathan si sentiva come un cagnolino che restava chiuso nella sua stanza in attesa che i padroni tornassero.
Quell’amore che gli era stato sottratto, era incanalato nel fratellino, quella salute che gli era stata negata era una realtà schiacciante.
Lui era un aborto, un errore, qualcosa che sua madre cercava di dimenticare, mentre mostrava con orgoglio il suo secondogenito.
Quando aveva sette anni, Cecile decise che era stanca di vivere nell’oscurità. Relegò Nathan nella sua camera e tolse dalle finestre i tendaggi pesanti e i vetri oscuranti.
Non poté mai vederla godersi quella luce, ma la sentì ridere spesso con gli amici che tornarono a trovarla, mentre mostrava il suo piccolo Pascal e, nel contempo, veniva adorata per prendersi cura di un bambino così gravemente malato com’era lui.
Nathan crebbe così, non voluto, rifiutato, relegato e sostituito, riempito di regali solo per mettere a tacere un senso di colpa quasi inesistente.
Pascal era troppo piccolo per capire perché suo fratello lo odiasse così ardentemente, così spesso di presentava nella sua stanza e tentava di coinvolgerlo a giocare. Sospettava in realtà che fosse sua madre a costringerlo.
Perché avrebbe dovuto tentare di coinvolgerlo del resto? Quale attrattiva poteva mai avere un bambino della sua età nel tentare di giocare con un mostro del genere, un ombra di ciò che era un bambino.
Pascal era Peter pan… e lui era l’ombra che gli sfuggiva.
Non importava quanto Peter pan tentasse di cucirsela ai piedi, però. Nathan sbatteva sempre fuori suo fratello.
Aveva aspettato paziente che suo fratello si stancasse di essere mandato lì dalla loro madre, che si ribellasse, che iniziasse a risentirsi dei rifiuti, ma ogni pomeriggio, Pascal bussava alla sua porta, con un nuovo gioco tra le mani e la sua voce innocente che gli chiedeva di giocare.
A quel punto, Nathan era semplicemente troppo arrabbiato per sopportare ancora.
- Vuoi giocare?- gli aveva detto un giorno. Si era reso conto di non riconoscere nemmeno più la sua voce tanto era abituato a non parlare con nessuno – Giochiamo.-
La prima volta, lo costrinse a prendere del vetro rotto tra le mani. Gliele strinse con forza, fino a fargliele sanguinare.
Sua madre giunse non appena sentì il pianto incontrollato e quando gli chiede cosa fosse successo il primogenito si limitò a dire che si era rotto un vetro, e aveva detto a Pascal di non prenderlo, di chiamare lei, ma non gli aveva dato retta. Sua madre lo aveva fissato, con occhi vitri come se si ponesse la domanda più crudele che una madre avrebbe mai dovuto porsi: era davvero andata così?
Ma se fosse stato il contrario, se fosse stato Nathan a provocare i singhiozzi incontrollati del suo bimbo preferito, se lo avesse gridato, punito, scacciato, che razza di madre l’avrebbe creduto la gente?
Così si limitò ad annuire e portò via Pascal e il resto dei vetri.

Nathan era convinto che sarebbe bastato. Pascal aveva imparato la lezione, sua madre sarebbe stata spaventata abbastanza da tenerlo lontano.
Così lui sarebbe rimasto finalmente solo, a vivere la sua vita steso in un letto al buio, sentendo solo di sottofondo la televisione come una fittizia compagnia.
Eppure, il giorno dopo, sentì nuovamente bussare alla porta e quella rabbia che aveva iniziato a scemare scoppiò in lui, più forte che mai.
Questa volta, quando aprì la porta e si ritrovò il suo fratellino con le mani fasciate ed un gioco in mano, pensò a come potergli fare male senza che sua madre accorresse.
- Vuoi giocare?- soffiò ancora e sent’ l’odio scaturirgli da ogni poro, vibrargli sotto la pelle.
Lo avrebbe punto per ogni attimo che lo costringeva a guardarlo, pensò mentre lo faceva entrare, lo avrebbe punto per ogni attimo che lo costringeva a odiarlo.
Prima o poi, avrebbe smesso di bussare alla sua porta.

Nel tempo, aveva trovato nuovi modi per torturarlo senza che sua madre lo venisse a sapere. Pascal si era riscoperto essere piuttosto stupido e presto fargli fisicamente aveva perso il suo fascino ed era passato a modi più subdoli. Questa volta, avrebbe rovinato Pascal a gli occhi di sua madre.
Voleva che il bambino di cui andava tanto fiera diventasse una nuova pecca, un nuovo orrore da nascondere.
Iniziò con i piccoli capricci, poi con l’andare male a scuola. Finì con il convincerlo a fare cose molto stupide, come sputare addosso ad un bullo della scuola.
Ogni giorno, Pascal travalicava un limite, come se Nathan segnasse un linea e lo sfidasse a superarla e il suo stupido fratellino lo facesse, passo dopo passo, ciecamente e senza batter ciglio.
- Perché lo fai?- gli chiese un giorno, dopo che era tornato con un occhio nero e un gioco tra le mani chiedendogli nuovamente di giocare.
Pascal rispose semplicemente – Perché me l’hai detto tu.-
Confuso più che mai, Nathan aveva osservato suo fratello, le sue cicatrici erano coperte dal vestiti ma nn per questo erano meno vere e gliele aveva fatte lui.
- Provi così tanta pietà per me?- gli aveva domandato, con nuovo astio – Ti faccio così pena che devi ubbidire a tutto quello che dico? –
Pascal lo aveva guardato senza risponde, come se non si aspettasse quelle domande.
La rabbia, che un tempo esplodeva, fino a farlo desiderare di fargli del male, all’improvviso iniziò a traboccare lentamente, più centellinata.
Lo odiava.
Lo odiava davvero tanto.
E non voleva più vederlo.

Nathan iniziò a chiudersi sempre di più in sé stesso. Era sempre stato convinto di non esistere al di fuori di quelle mura, ma quando iniziò a rifiutare di vedere Pascal del tutto, si rese conto di quanto ormai non era più nemmeno un’ombra.
A volte il suo passatempo era semplicemente concentrarsi a respirare, per concentrarsi sull’essere vivo.
Andava bene così, però, Pascal poteva vivere la sua vita senza la sua influenza, sua madre poteva uscire e essere felice dimenticando la sua esistenza.
Tutti erano felici.
Ma sua madre, ancora una volta, dovette rovinare tutto.
Un giorno decise che doveva diventare una sarta, così cacciò Pascal dalla sua stanza per farne uno studio e, in una sola notte, quella che era la sua stanza divenne la loro stanza.
Ancora una volta, Nathan si vide sacrificato per i capricci della madre, e derubato da ogni sua aspirazione di solitudine.
- Non hai degli amici?- gli domandò un pomeriggio mentre se ne stava sul suo letto a studiare con la luce di un lume improvvisato.
Pascal aveva alzato gli occhi e lo aveva guardato come se fosse sorpreso che il fratello maggior che per anni lo aveva maltrattato gli rivolgesse di nuovo la parola. Fu strano vedere per la prima volta dopo anni, nei suoi profondi occhi blu, una sorta di indifferenza.
Per qualche strana ragione, gli dette il voltastomaco.
- Certo che ho amici.- rispose tornando a leggere il libro di testo.
- E allora perché non sei da loro?- replicò Nathan.
Pascal, si prese il tempo di finire di leggere una frase prima di rialzare gli occhi – Perché hanno da fare. Contrariamente a ciò che credi, non tutti restano chiusi nella propria stanza tutto il giorno.-
Las ua mano ebbe uno spasmo, ricordò quanto era bello stritolargli il braccio fino a portarlo alle lacrime. Desiderò farlo solo per la sua insolenza.
- Da quando sei così sarcastico?- disse, tentando di reprimere la rabbia.
Pascal scrollò le spalle, poi tornò a leggere. Ancora indifferenza, ancora fastidio, ancora rabbia.
- Potresti studiare in cucina. –
- Ci sono le stoffe di mamma in cucina.-
- Ovunque sarebbe meglio che qui.-
- Perché non ti annoieresti?- gli rinfacciò.
Nathan si strinse un labbro con i denti – Perché ci sarebbe più luce.- disse, e quella parola gli risultò al sapore di veleno sulla lingua.
Pascal alzò gli occhi e per un secondo gli parve di vedere quel bambino che ogni giorno bussava alla sua porta, quel fratellino bisognoso di attenzioni a cui aveva fatto del male perché era la causa di ogni suo male.
- Sto bene qui.- disse ancora.
Nathan sapeva che non era vero, sapeva oltre quella porta chiusa a chiave c’era una luce abbagliante che rispendeva dalle enormi finestra e, soprattutto, sapeva che gli occhi di Pascal faticavano a leggere con quella fioca luce. Guardò il soffitto dove una neon abbandonato ormai da tempo svettava impolverato. Da che ricordava, non l’aveva mai acceso. La poca luce che riempiva la stanza era di un lume e del pc che lo aiutava a tenersi occupato, per il resto se la vita aveva deciso per lui che avrebbe vissuto nella totale oscurità, tanto valeva assecondarla.
Quell’oscurità era la sua migliore amica, la sua vera casa, l’unica cosa che non lo avrebbe deluso mai.
L’unica cosa vera.
Il suo fratellino girò una pagina e si stropicciò un occhio chiaramente infastidito. Non era giusto che lui fosse succube della sua oscurità.
Si alzò e gli accese la luce per poi buttarsi di nuovo al letto e coprirsi con una coperta perché non c’era abituato.
- … non dovevi.- lo sentì dire.
Non gli rispose. Non avevano fatto pace. Dovevano solo convivere.

*

Pascal aveva davvero degli amici, li salutava quando lo accompagnava a casa. Tornava a casa sempre più tardi, così tanto che il sole era già tramontato all’orizzonte quando finalmente tornava a casa. Tra tutti era il più basso, pensò divertito guardandoli dalla finestra, perfino la ragazza che aveva chiaramente una cotta per lui era più alta di lui.
La guardò pensando vagamente se lui la troverebbe eccitante. Non aveva mai avuto modo di incontrare una ragazza, trovarla attraente. Perfino i porno aveva smesso di attrarlo dopo qualche mese, e non poteva comunque toccarsi con suo fratello sempre in stanza con lui.
Sarebbe morto giovane e pure vergine. Come se la sua sfiga non fosse già abbastanza dura da digerire.
Alzò gli occhi e osservò il cielo. Le uniche volte che usciva da casa era per andare a fare le visite di routine, non conosceva nulla del quartine o della città in cui viveva. Pure delle lampade alogene potevano fargli del male, ogni cosa poteva fargli del male.
Perché era nato?
Non avrebbe potuto semplicemente morire e risolvere la vita di tutti?
Pascal bussò alla porta e Nathan sospirò gravemente.
Se lui poteva andare ovunque, perché si ostinava a tornare in quell’inferno?
Aprì la porta e lo lasciò entrare, poi prese come di consueto posto sul suo letto al suo angolo della stanza. Afferrò il DS e iniziò a giocarci mentre con la goda dell’occhio vedere il fratellino mettere a posto i libri, poi prendere un blocco e una matita e sedersi a sua volta sul suo letto per iniziare a scrivere febbrilmente qualcosa.
Come sempre, tra loro regnò il silenzio, fu strano per Nathan sentire il bisogno di riempirlo – Piaci a quella ragazza, sai?-
Pascal alzò gli occhi e aggrottò le sopracciglia – Come?-
- La ragazza bionda. Le piaci.-
- Non è così.- replicò l’altro, tornando a guardare il foglio. Quella sua sicurezza lo infastidì, era come se stesse insinuando che visto che lui non aveva alcun tipo di esperienza non poteva affermare questo tipo di cose.
- Dì un po’, hai mai baciato una ragazza?-
Il fratello fermò il movimento della matita e non rispose. Nathan insistette – E invece ti sei mai masturbato?-
Questa volta, era riuscito a scalfire la superficie del suo sarcasmo e della sua calma. Alla luce del piccolo neon riuscì a vedere il lieve rossore che colorò le sue guance.
- Allora?- insistette, volendo cavalcare l’onda – Sai se quella ragazza ti si dichiarerà dovrei farci sesso prima o poi.-
- che ne sai tu?- replicò subito il fratello.
- I giovani di oggi sono precoci. Lo sanno tutti.-
- Luoghi comuni.- replicò subito – E poi guarda che hai solo un paio di anni in più.-
Oh, era indispettito. Divertente.
- Non sai che le difficoltà rendono più saggi?- lo prese in giro – A quest’età ho la saggezza di un centenario.-
Pascal alzò gli occhi e sembrò trafiggerlo, scuse le labbra e sembrò esitare nel rispondere, tentò più volte di trovare qualcosa da dire oppure… di trovare un modo di replicare che non lo ferisse troppo.
- Difficoltà?- soffiò – Vitto e alloggio gratis senza avere mezza preoccupazione?-
Nathan si ritrovò alla sua gola prima ancora di rendersene conto. Strinse le dita così strette che lo vide diventare paonazzo prima di capire cosa stava succedendo e lasciarlo andare.
Si allontanò di qualche passo, mentre Pascal tossiva disperatamente.
Ancora quell’istinto. Pensava di averlo messo a tacere.
Ma Pascal scatenava in lui… qualcosa. Voleva fargli male, punirlo, distruggerlo.
Torturarlo per anni non gli era bastato, né era bastato al caro fratellino per fargli abbassare la cresta. Tornò al suo letto, cercando di calmare i forsennati battiti del suo cuore, prese di nuovo il DS e infilò le cuffie.
Nonostante per un attimo aveva creduto che avrebbero potuto avere una conversazione normale, l’accaduto gli aveva fatto capire che non era così.
Non erano destinati ad avere alcun rapporto.

**

Per una settimana Pascal indossò una sciarpa, alla mamma aveva detto di avere mal di gola. Quando erano in camera la toglieva e la forma delle sue dita era ancora così netta che Nathan non poteva fare null’altro che fissarle.
Ne era straordinariamente affascinato, a volte si era riscoperto a desiderare di sfiorarle con i polpastrelli, ma non si era avvicinato a lui più dei due metri che li separava. Solo una volta, ebbe modo di vederli da vicino. Si era addormentato e era stato Pascal a svegliarlo per la cena, per farlo si era seduto sul letto accanto a lui e si era sporto.
Il suo collo era sembrato particolarmente bello, con i suoi maschi addosso.
Pascal era bellissimo con i suoi marchi addosso.
Quel pensiero, sopraggiunto nel dormiveglia, lo lasciò per un attimo disorientato, ma si sforzò di ignorarlo.
*
C’era qualcosa dentro di lui. Qualcosa che andava oltre l’essere depresso, o malato, o stanco.
Lui era sbagliato su ogni livello, era marcio fino all’ultima fibra del suo essere e era messo, tutti i giorni, tutti gli attimi davanti a quella che era la perfezione: un fratello a cui non mancava nulla, che aveva ottimi voti, una madre che lo amava, amici, una ragazza che lo desiderava e… la luce.
Lui aveva la luce, e tra tutte le cose, questa non poteva perdonargliela.
Non aveva mai potuto perdonargliela, anche soli nell’oscurità della sua stanza, anche se Pascal faceva di tutto per non urlalo, o infastidirlo, anche se gli aveva voluto bene, l’aveva cercato, l’aveva rincorso, quella distanza tra loro, che fisicamente non era che poco più di due metri, li avrebbe sempre tenuti separati.
Questo pensiero, lo accompagnava un pomeriggio mentre suo fratello era nel loro bagno comuni a fare una doccia. Il cellulare, continuava a squillare e trillare, chiaramente per via di una chat di gruppo.
I suoi amici, penso alzandosi. Li aveva visti di sfuggita, ma non aveva mai avuto modo di sapere nulla di loro. Raggiunse il cellulare e lo fissò dall’altro, consapevole che se avesse aperto la conversazione Pascal si sarebbe potuto rendere conto della sua intromissioni.
Iniziò però a leggere alcuni dei messaggi che scorrevano sulle notifiche. “perché non esci mai con noi?” stavano dicendo “Dai! stasera esci?” “dai, andiamo al locale!” “Manda al diavolo tuo fratello e vieni con noi”
Manda al diavolo tuo fratello…
Lo usava come scusa per non uscire? Loro lo volevano fuori da quella stanza, lo volevano a divertirsi, a vivere e lui… sceglieva di restare?
Pascal uscì dal bagno e aggrottò le sopracciglia nel vedere il fratello sconfinare dalla sua parte.
- Che stai facendo?- domandò, mentre si asciugava i capelli con il cappuccio dell’asciugamano.
Nathan spostò lentamente gli occhi dallo schermo del cellulare su di lui. Non riconobbe la sua voce mentre chiedeva.
- …Perché non esci con i tuoi amici?-
La mano di Pascal esitò sulla nuca – Ho molto da studiare.- disse, e sembrò una patetica scusa perfino a lui che non si era sentito ripetere menzogne.
- Perché non esci mai con i tuoi amici?- riformulò – loro voglio stare con te e tu… rifiuti. Perché? –
Riusciva a sentire il tono d’accusa stonare in quella che poteva essere solo in apparenza una domanda innocente, quel tono riempiva l’aria, la intossicava. L’ossigeno era sempre stato così poco?
Pascal lo guardò per un lungo minuto, poi rispose semplicemente – Perché non voglio uscire.-
Quella cosa che era sbagliata in Nathan esplose, distruggendo tutto ciò che incontrava. Lui era perfetto, lui poteva uscire, lui poteva avere tutto… e lo rifiutava? Restava lì, in quella stanza, con lui, per semplice noia?
Lo odiava.
Lo odiava.
Lo odiava!
Lo odiava!
Fu come un esperienza extra corporea. Sapeva che gli avrebbe fatto del male prima ancora di farglielo, sapeva che questa volta non si sarebbe fermato e sapeva che questa volta non ci sarebbe stato più ritorno.
Lo avrebbe ferito, ferito più di quanto avesse mai fatto prima, più di quanto lo avesse mai desiderato.
Prima era un gioco. Ora voleva distruggerlo.
Picchiarlo, minacciarlo, ferirlo, nulla sarebbe bastato, nulla gli avrebbe fatto capire quella realtà che aveva tentato in tutti i modi di fargli vedere: scappare via, allontanarsi da lui, lasciarlo solo.
Pascal si dimenò, scappò, ma Nathan lo raggiunse, lo sovrastò. Nella colluttazione che seguì, l’accappatoio di Pascal si era aperto lasciando vedere un corpo pieno di vecchie cicatrici e vecchi rancori.
Era ovunque sul suo corpo, quel corpo gli apparteneva.
Pascal era suo.
Quel pensiero vorticò così impietoso nella sua anima che si rese conto di essere dentro di lui solo mentre veniva. Si rese conto di quello che aveva fatto, solo dopo esce uscito e aver visto il suo seme colare dal corpo nudo di suo fratello.
Si rese conto che non c’era più nulla per loro, solo sofferenza.

*


Pascal faticava a muoversi, ma si sforzava di non darlo a vedere. Quando loro madre gli chiese cosa avesse, mentì, come le aveva sempre mentito.
Non era la prima volta che taceva, non importava fino a che punto il fratello maggiore lo ferisse, non aveva mai detto nulla a loro madre.
Sospettava perché volesse esser ben voluto, visto che era l’unico figlio a cui lei dava una qualche attenzione.
Si aspettava che evitasse di tornare in stanza, si aspettava che uscisse con i suoi amici anche solo per evitarlo, ma nulla era cambiata nella loro routine.
Tornava da scuola, si sedeva sul letto davanti al suo e studiava.
Come. Ogni. Fottuto. Giorno. Normale.
Perché faceva così? Perché doveva fargli saltare i nervi a quel modo?
- Sembra quasi che tu voglia farmi incazzare.- gli disse, un pomeriggio.
- Non sto facendo niente.- replicò l’altro con voce atona.
Appunto.
Cosa doveva fare per liberarlo da quell’oscurità?
Aveva fatto la cosa peggiore che chiunque avrebbe mai potuto sopportare e lui se ne restava ancora lì, dall’altra parte della stanza, a imporgli la sua presenza.
Ma la cosa davvero peggiore era che Nathan iniziasse a desiderarla.
Aveva violato il suo corpo, non c’era stato nulla di sensuale in quel momento, era stato veloce, doloroso e animale e la scarica di adrenalina lo aveva sopraffatto come una potente droga.
Non gli era piaciuto nel senso classico del termine, era stato molto diverso dal toccarsi, ma sotto la pelle vibrava la sensazione di essere stretto ancora nel suo corpo.
- Vieni a succhiarmi l’uccello.- gli ordinò d’un tratto.
Pascal s’irrigidì e faticò ad alzare il capo.
- Come?-
- Mi annoio.- replicò l’altro fingendo indifferenza – succhiamelo.-
Vide gli occhi del fratello cercare la porta, forse meditando se avrebbe avuto modo di scappare, o forse pensato alla madre che era nella stanza accanto intenta a fingere di sapere cucire insieme due stracci.
- Io… non… - mormorò.
Nathan capì di aver tirato troppo la corda, scollò le spalle e fece per alzarsi solo per andare in bagno, ma quel movimento fece sobbalzare Pascal che disse solo – Va bene.- in risposta.
Incuriosito dagli eventi, e ormai ben più che consapevole che non ci sarebbe stato nessun paradiso ad attenderlo Nathan si risedette sul letto e aprì le gambe.
Lo guardò scendere dal suo letto e raggiungerlo, con meno timore di quanto si sarebbe aspettato.
Un guizzo di anticipazione si fece strada in lui mentre lo vedeva inginocchiarsi impacciato, provò un po’ di pietà nel vederlo trafficare con i suoi pantaloni del pigiama, come se cercasse di capire come abbassarglieli senza chiedergli di alzare il bacino.
Quasi gli venne da sorridere beffardo, quando lo alzò per andargli incontro.
Quando Pascal posò gli occhi sul membro rilassato del fratello, qualcosa nei suoi occhi brillò, forse era paura. Per un lungo minuto, sembrò cercare di capire come procede, poi posò delicatamente le dita sulla punta.
- Prova a accarezzarlo.- suggerì Nathan. Pascal non rispose, ma seguì l’indicazione. Nonostante l’evidente esitazione e la ovvia paura che ormai doveva provare nei suoi confronti, le sua mano iniziò a muoversi con fermezza lungo il membro molle e, dopo un po’, quella nuova frizione iniziò a dare i suoi frutti.
Vedersi diventare duro tra le sue mani, fu soddisfacente ad un livello che non credeva possibile. Ormai era sul punto di non ritorno.
Nathan sapeva di essere del tutto impazzito, di non avere più freni o morale.
Lo aveva violentato e ora sarebbe venuto nella sua bocca.
Pascal si chinò sul sesso all’improvivso e regalò con gli occhi serrali una lunga e profonda leccata dalla base alla punta. Rifece l’azione, avvolgendo come poteva il sesso co le labbra. Era scoordinato, un po’ esitante, ma la lingua calda e quella frizione lo stavano eccitando come mai nessun porno aveva fatto.
- Ingoialo.- gli ordinò e fu estasiato dalla pronta azione, quasi avesse aspettato quell’comando dalla prima leccata.
Appena sentì la bocca stringersi attorno a lui, realizzò di aver violato ogni entrata del fratello, di aver posto una bandierina. Primo, ancora prima di chiunque altro, ancora prima della ragazza che era innamorata di lui.
Divertito, pensò, quella ragazza un giorno avrebbe potuto baciare quella bocca che si stava scopando.
Fu divertente e, afferrare la sua testa e costringerlo ad un ritmo più intenso, fu totalizzante.
Venirgli in gola, lo condanno ad una sorte peggiore dell’essere condannato all’inferno; Il cambiamento totale della sua realtà.

**

Nel giro di un mese, divenne una routine.
Pascal non solo aveva imparato a succhiarglielo in maniera magistrale, ma affondava in quella bocca con una naturalezza che rasentava l’intimità.
Non c’era più alcune esitazione, né paura, non aspettava nemmeno che glielo ordinasse, dal momento che si alzava la mattina, lo raggiungeva nel suo letto per iniziare a succhiargli via ogni briciolo di autocontrollo.
Lo faceva per fare in fretta e non fare tardi a scuola.
Quella bocca era divina e il solo pensarla lo rendeva duro come pietra.
Mentre Pascal era a scuola non faceva che toccarsi, immaginando quelle labbra chiudersi attorno al suo sesso duro, succhiarlo, i suoi occhi brillare di una luce indefinibile, ma altre immagini si affollavano nella sua testa, immagini della loro prima volta. D’un tratto si ritrovò a fantasticare al suo odiato fratellino aggrappato alle coperte mentre si spingeva in lui.
Oh, scoparlo, sarebbe stato grandioso. Il suo sesso ormai ricordava a stento com’era stato essere stretto in quell’anello di carne.
Aveva fatto delle ricerche, nei ritagli di tempo, aveva ordinato perfino del lubrificante.
Così, un giorno, dopo che Pascal aveva finito di fare i compiti Nathan soffiò.
- Vieni qui.-
Con totale tranquillità Pascal mise i testi a posto e si alzò per raggiungerlo.
- Facciamo in fretta, mi fa male la mascella.- disse.
- Stavolta non voglio la tua bocca.- gli sorrise Nathan divertito.
Un milione e mezzo di emozioni passarono nello sguardo del fratellino. Quasi fu piacevole vederlo esitare. Poterlo mettere in difficoltà era sempre stato un suoi piccolo vezzo.
- Spogliati – gli disse- e stenditi con me.-
La prima volta che gli aveva dato l’ordine di fare sesso con lui, anche se solo orale, Pascal aveva guardato la porta, dilaniato dalla scelta di scappare e la paura. Questa volta il suo viso era solo pensieroso mentre si spogliava lentamente. Mentre si stendeva era tanto irrigidito tanto delizioso.
Se Nathan fosse stato gay avrebbe di sicuro trovato eccitante il suo fratellino, pensò posizionandosi in ginocchio davanti a lui, era magno, ben proporzionato, i capelli mossi e biondi, gli occhi azzurri. Un vero angelo da sporcare.
Le cicatrici erano come il sale, davano gusto a quella esotica pietanza.
Si tese per prendere il lubrificante nel cassetto. Con la coda dell’occhio vide Pascal fissare il muro, quasi cercasse di non vederlo da così vicino.
- Hai paura?- domandò, seduto sui talloni e guardandolo dall’alto.
Pascal restò in silenzio, rimase solo a guardarlo, così Nathan non ebbe più alcuna esitazione.
Seguì le istruzioni, fu preciso e clinico. Iniziò a scoparlo con le dita, a prepararlo più minuziosamente possibile. Lo vide perfino chiudere gli occhi, mentre le labbra si schiudevano in un piccolo gemito.
Con sua sorpresa, scoprì che, nonostante le rimostranze, Pascal stava provando un certo tipo di piacere. Così spinse più in profondità e, questa volta, un singhiozzo scoppiò nella sua gola.
Sorrise, più divertito che mai, e gli afferrò il sesso. Era la prima volta pensò, distrattamente, per quante volte era stato dentro di lui, ma l’aveva toccato e fu stranamente inebriante sentirlo indurirsi insieme all’intensificarsi delle dita sempre più audaci.
Pascal si coprì la faccia, imbarazzato dal fatto che stava per essere scopato per ricatto e capriccio e fossi diventato duro e smanioso.
Se gli piaceva, pensò con aspettativa Nathan, quel gioco era ancora più crudele… e divertente.
Lasciò il suo sesso per dedicarci al proprio, lo massaggiò, spargendo più lubrificante possibile, scoparlo già con le dita si stava rivelando assolutamente fantastico, così scoparlo davvero divenne impellente.
Quando si posizionò sulla sua entrata, Pascal tranne il respiro.
Entrare fu come essere risucchiato dentro, boccheggiò, colto alla provvista dalla pressione e dal calore. Annaspò, in preda al piacere.
Cazzo, pensò affondando completamente in lui, aprendo gli occhi e ritrovandosi davanti a qualcosa di divino, ogni attimo che Pascal si fosse ostinato a restare in quella stanza… lo avrebbe passato dentro di lui.
Non c’era più alcun modo di fermarlo.
Iniziò a muoversi quasi subito, sbatté l’erezione con forza dentro di lui, assecondando ogni suo più basso insisto.
Sentì le mani esitanti di Pascal posarsi sulla sua schiena, aprì gli occhi e lo vide inarcare la propria, in preda al piacere.
Le sue labbra socchiuse, gemevano senza alcun controllo.
Non c’era controllo, pensò, a quel punto, non c’era più alcun controllo.
Lo baciò, con prepotenza, si scoprì sorpreso nel sentire le sue labbra replicare ai suoi movimenti, cercare nuovi baci quando si staccavano per respirare, assecondare la lingue, nei suoi giochi perversi.
Lo sentì stringersi con forza attorno a lui, mentre si staccava dalle sue labbra per sospirare un ultimo intenso gemito, poi crollò, esausto.
Era appena venuto. Era venuto perché lo stava scopando lui.
Nathan gli passò una mano nei capelli, in una carezza che voleva essere gentile, ma gli fece aprire gli occhi e guardarlo.
I suoi bellissimi occhi azzurri erano offuscati da ciò che restava del piacere, il suo corpo si stringeva ancora attorno a lui, ma si era fermato.
Voleva dargli un attimo di respiro.
Pascal inghiottì a vuoto, poi aprì le gambe e posò una mano sul suo fianco – continua.- disse, e non sembrò del tutto una concessione.
Nathan non se lo sarebbe fatto ripeter due volte.
Riprese a spingere, riprese a baciarlo, riprese a perdersi completamente in lui…
Mentre si scioglieva dentro quel corpo bollente, per la prima volta in tutta la sua vita, Nathan si sentì parte della luce che suo fratello emanava e che aveva sempre tentato di spegnere. E la amò, avidamente.

**

La prima volta era diventata una routine, la seconda era diventata un’ossessione.
Complici del fatto che la loro madre non entrasse mai in quella stanza, restare nudi e consumarsi divenne una necessità.
Pascal non faceva nemmeno più i compiti, sapeva che una volta tornato a casa, il suo malato fratello avrebbe voluto scoparlo in ogni angolo del loro piccolo mondo.
In un giorno, passava più tempo dentro di lui, che fuori. In un giorno, aveva più orgasmi di quanti ne avesse avuti in tutta la sua vita.
Finché tutto cambiò.
Iniziò con uno spasmo alla spalla. Sembrò un attimo del tutto casuale, ma la seconda cosa che notò fu la scoordinazione delle dita della mano mentre tentava di passare il tempo a giocare al Ds.
Aveva letto abbastanza della sua malattia per riconoscere la progressione dei sintomi. Stava peggiorando, nella peggiore delle ipotesi, stava morendo.
Magari non quel giorno, magari non domani… ma presto.
Per anni quel pensiero era stata una benedizione; niente più restrizioni, niente più paura, niente più analisi, niente più odio, o dolore o risentimento. Nulla era meglio di quello che aveva avuto per il resto della sua vita.
Ma ora… ora all’improvviso faceva male.
Ora che aveva qualcosa che era sua, che non importava quanto la respingesse, non lasciava il suo fianco, ora che si svegliava la mattina con la consapevolezza che avrebbe trovato un attimo di felicità nelle tue tenebrose giornate…
Tutto. Era. Orribile.

*

Pascal sembrò confuso dal cambio d’umore del fratello. Nathan tornò silenzioso, inerte, di cattivo umore.
- Stai bene?- gli chiese un giorno, con premura.
- Lasciami in pace.- replicò subito l’altro.
- Se ho fatto qualcosa…-
- Il mio mondo non gira certo intorno a te.- replicò prima di girarsi e dargli le spalle.
Era vero, del resto, il suo intero mondo non girava attorno al suo fratello, ma attorno ad una malattia invalidante che gli aveva messo un timer sul cuore.
Attorno al fratellino, girava solo la sua felicità.
Pascal sembrò arrendersi, accettare il nuovo cambio di rotta. E perché non avrebbe dovuto?
Quello che erano diventati era solo il risultato di violenze, paure e raggiri.
Non che si amassero, non che si rendessero felici.
Beh, pensò sentendo le lacrime scorrergli lungo le guance… lui era stato felice. Almeno epr un po’.
Se non avesse saputo che era impossibile, sbagliato sotto ogni punto di vista, avrebbe potuto perfino affermare ad alta voce di essere innamorato.
Ma non poteva dirlo, non poteva nemmeno pensarlo.
Quando doveva essere malato per poter pensare una cosa simile?
Ma le lacrime continuavano a scorrere.
E quel pensiero, non andava via.

**

Pascal tornava sempre tardi da scuola e passava sempre meno tempo in camera. Nathan si ripeteva che non avrebbe dovuto pensarci, che finalmente si stava comportando come avrebbe dovuto: si stava allontanando da lui, si stava proteggendo da quello che sarebbe arrivato.
Quella sera stava facendo più tardi del previsto tanto che il buio era ormai inoltrato. Confuso, passava il tempo sbirciando dalla finestra, cercando di scorgere ogni persona che attraversava il vialetto.
Quando finalmente lo vide il suo cuore saltò in gola, ma quando lo vide con lei, si fermò.
Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, per evitarsi quel dolore, ma non riusciva a evitare di osservare lei sorridere, ammiccare.
Lei passo una mano sulla sua fronte, togliendogli una ciocca dal viso e un’ondata di possessività lo invase, ma la mise a tacere quasi subito.
Era normale che Pascal avesse una ragazza del resto.
Forse, tutto sommato, non l’aveva del tutto rovinato, forse per c’era ancora speranza di vivere nella luce.
Poi vide il bacio, e ogni suoi pensiero si spense.
Lo vide entrare in casa, sentì la porta aprirsi, sentì i passi sulle scale, poi lo sentì fermarmi dall’altra parte della porta, come se cercasse il coraggio di entrare o forse di dirgli che aveva trovato una ragazza e che non era più suo.
La porta cigolò mentre veniva aperta e, quando Pascal lo vide alla finestra, capì immediatamente.
- Non è come pensi.-
Non c’era nulla da pensare; era giusto così, era naturale, era ovvio.
Se doveva lasciarlo andare, doveva accettarlo, del resto lui non ci sarebbe stato per sempre. Lui…
- E’ solo un amica. – soffiò Pascal, e sembrò sincero.
Odiò desiderare di credergli.
- Lo sa che fino alla settimana scorsa venivi no n appena ti entravo dentro?- gli domandò con di nuovo quella fastidiosa sensazione di rabbia r rancore che vibrava sotto la pelle. Si avvicinò e lo fronteggiò, tirando in un sorriso senza allegria – Lo sa che con quella bocca al succhiato il mio cazzo?-
- Vuoi che vada a dirglielo?- domandò, con una naturalezza così spontanea che ebbe l’impressione che se glielo avesse ordinato sarebbe corsa da lei a confessare.
- Una ragazza dovrebbe sapere se al ragazzo che vuole gli piace l’uccello.- replicò accentuando il sorriso.
Pascal guadò l’orologio – ormai è lontana penso. Va bene se la chiamo?-
Nathan congelò il suo sorriso – Perché devi sempre fare così?-
- Così come? -
- Così! Come se lo faresti davvero! –
Pascal incrociò i suoi occhi e sembrò essere leggermente esasperato, come se fosse faticoso avere a che fare con qualcuno che sembrava parlare un’altra lingua.
- Lo farai.- rispose.
- Lo so.- replicò Nathan sincero - Lo so! Cos’hai che non va? Perché non riesci a dirmi di no? Ti faccio così pena?- la sua voce si stava spezzando, quella familiare sensazione di disagio e dolore lo stava divorando da così tanto tempo che il suo cuore non ne poteva più.
- No.- rispose Pascal e sembrò sincero.
- Allora perché?- lo aggredì afferrandogli la felpa e strattonandolo – Ti ho violentato, cazzo! Perché me lo hai permesso?!-
Pascal non smetteva di guardarlo negli occhi e il peso di quello sguardo lo fece sentire più vulnerabile che mai. La sua pelle era sensibile alla luce del sole, poteva letteralmente ucciderlo, ma la luce che c’era in quegli occhi poteva distruggerlo.
Pascal non rispose. Non c’era davvero bisogno. Fece un passo in avanti e lo abbracciò, lasciando che il viso ottenesse un posto speciale nella sua spalla.
Solo allora Nathan scoppiò a piangere. Pianse così tanto che i singhiozzi non gli permettevano di respirare, così tanto che si sentì morire dalla tristezza prima ancore del suo poco tempo.
Poi il vortice di sensazioni iniziò a scemare, ma non quell’abbraccio. Pascal restò stretto a lui con così tanta forza che sembrava reggerli in piedi entrambi.
Quando fu troppo stancante stare in piedi. Pascal lo aiutò a sedersi sul letto e si sedette al suo fianco.
- Da che ho memoria ci sei sempre stato tu.- confessò con voce bassa – Nella mia vita, da che io ricordi, volevo stare con te.-
Nathan non riusciva a guardarlo – Ma io…- ti ho fatto del male.
- Non importava. Non è mai importato.- continuò – Non sono mai riuscito ad odiarti, nemmeno le volte che lo volevo davvero. Anzi, più tu mi facevi male, più tu mi guardavi, e allora accettavo ogni cosa purché tu posassi i tuoi occhi su di me.-
Nathan era senza fiato, Pascal, cercò le sue mani con una vulnerabilità nuova.
- Poi hai smesso di guardarmi.- riprese – E allora ho dovuto convincere mamma a metterci in stanza insieme.-
- L’hai voluto tu?-
- Tutto quello che credi di avermi fatto, l’ho voluto io.-
Nathan lasciò scivolare gli occhi sul punto in cui l’aveva preso la prima volta contro la sua volontà, per un secondo le iridi restarono vacue e perse in quel ricordo.
- beh, non quello.- sentì il fratellino continuare e fu strano sentire quasi ironia della sua voce nonostante stessero parlando davvero per la prima volta – Non in quel modo, almeno.- specificò, poi strinse le dita – Ma non avevo più un modo davvero per farmi guardare da te, quindi quello che è successo, mi ha aperto una nuova possibilità di avere un rapporto con te.-
Nathan guardò il fratello e si ritrovò per la prima volta a vederlo per come era davvero; negli anni lo aveva visto un burattino di una madre manipolatrice che lo aveva costretto a inseguirlo nonostante tutto. Lo aveva visto come una vittima, come uno stupido che accettava di farsi fare di tutto in nome della paura.
Ora però vedeva la persona che aveva fatto di tutto, pur di stare con lui.
- Se dici così, sembra quasi che tu sia ossessionato da me.-
- No, Nath, - replicò - te lo sto proprio dicendo.-
Il silenzio si dilatò tra loro, Nathan non poteva fare a meno di guardarlo. Non avrebbe mai più smesso ora che sapeva di averne il permesso.
- Io sono un mostro. Perché mai vorresti stare con me?-
- Io sono tuo fratello, - replicò Pascal - Perché mai vorresti stare come?-
I sue si guardarono, un mostro e un fratello ossessionato. Due lati di un amore malato che aveva travalicato decadi.
- … io sto morendo.- disse allora Nathan.
Pascal, calcolò la distanza tra loro mentre si avvicinava per un bacio. Premette piano le labbra sulle sue e aspettò di ricevere una risposta. Nathan si sciolse presto e si lasciò coinvolgere.
Quando si separarono, il peso di una settimana senza toccarsi si condensò nelle loro vene in un spasmodico desiderio.
Lo sospinse steso e lo sovrastò.
- Sei mio?- gli domandò staccandosi dalle sue labbra. Sapeva la risposta, ma nessuno gli avrebbe più impedito di avere ciò che davvero voleva: essere egoista, pretenderlo, averlo, amarlo.
Pascal gli afferrò la maglia del pigiama per tirargliela via con urgenza, poi gli afferrò i fianchi per spingerselo addosso.
- Sempre stato.- confermò.
Come aveva fatto ad essere così cieco?
Fece scivolare le mani sotto la sua divina e iniziò a scoprire più pelle che poteva. Aveva da farsi perdonare, così iniziò a baciare tutte le cicatrici che riusciva a vedere, a leccare ogni angolo di pelle più sensibile.
Sentì il suo nome sussurrato con un nuova frustrazione e gli venne da sorridere. Ora che non doveva più nascondere di adorarlo, Pascal non tratteneva più i sospiri, e non aveva remore a cercare più contatto, ad implorarlo.
Ma era allo stremo anche lui. Se non gli fosse entrato dentro presto, sarebbe impazzito.
Lo preparò pazientemente nonostante il fremere del suo fratellino sotto di lui.
- Nath…- soffiò, in una chiara supplica.
Come il canto di una sirena, Nathan non riuscì più a resistere. Entrò dentro di lui in un'unica, continua, spinta e presto si ritrovò senza fiato e senza pudore.
Pascan non era l’unico ad aver mandato al diavolo l’autocontrollo, Nathan faticava a concepire il mondo oltre quel corpo caldo e stretto attorno a lui.
Iniziò a spingere con sempre più frenesia, non appena sentiva il fratello più rilassato dall’eccitazione aumentava il ritmo. Faticava a rallentarlo quando rischiava di venire, ma ci provò lo stesso. Se poteva durare anche solo un attimo in più dentro di lui, lo avrebbe fatto.
Pascal iniziò a toccarsi, assecondando col il bacino quelle spinte, andandogli incontro. Di istinto, Nathan gli tirò via la mano e gliela inchiodò sul cuscino.
- Ti ho dato il permesso di venire?- soffiò, divertito e austero.
Gli occhi azzurri del fratello erano completamente lucidi e sembravano più lucenti che mai - … ti prego.- soffiò.
- Verrai quando te lo dico io. - soffiò prima di baciarlo.
Questa volta, rallentare il ritmo fu una necessità. Più temporeggiava, più sentirlo contrarsi e gemere in preda alla smania di venire, diventava inebriante.
Quel corpo era suo, quel fratellino era suo.
Solo suo.
- Ora.- gli ordinò, stremato dall’attesa egli stesso, e iniziò a spingere i fianchi contro di suoi cercando di trovare i punti giusti per portarlo al piacere.
Vennero insieme, soffocando i gemiti come potevano.
Per un lungo minuto, il mondo di Nathan fu meraviglioso e eterno.
Crollò di lato nel letto, stanco e affaticato, lo sguardo perso nel vuoto.
Pascal aveva gli occhi chiusi, il respiro pesante e l’aria di qualcuno che non avrebbe camminato per un paio di giorni.
Se ancora non era così, si sarebbe impegnato a fare in modo che lo fosse.
Qualcuno bussò alla porta.
I due s’irrigidirono mentre il panico li agguantava. Il più vestito era Nathan, quindi si rassettò al volo e corse ad aprire la porta solo quel poco che bastava per parlare con loro madre ma senza lasciargli veder lo staso sfatto del suo figlioletto preferito.
- Che c’è?-
Cecile avevo un espressione confusa – Vi ho sentiti lottare. – disse e sembrò davvero completamente ignara di cosa fosse appena successo. Effettivamente nessuno sano di mente avrebbe potuto pensare alla realtà – Sai che non devi sforzarti.-
- Stavamo solo giocando.- rispose Nathan prima di sorriderle felice.
Cecille sembrò sorpresa da quella sua nuova espressione, come se non fosse l’aver appena sentito i figli gemere, ma vederlo sorridere la cosa più strana.
Forse era così.
- Se vi serve qualcosa… fatemelo sapere.-
- Certo.-
Dall’altra parte della porta si sentì Pascal gridare – Patatine!-
E i tre si ritrovarono a sorridere insieme, forse per la prima volta nella loro vita.
Quando la madre andò via, Nathan affrontò il fratello, ancora nudo e del tutto al suo agio nel restarlo.
- Ho fame.- si giustificò.
- Se fosse entrata?-
Lui fece spallucce e si mise più comodo nel letto.
- Dovremmo unirli e farne uno grande.- meditò. Non aveva tutti i torti, sarebbe stato più comodo.
Era… così strano. Tutto era semplicemente strano.
Pascal tese la mano e lo guardò con i suoi profondi oggi lucenti e finalmente riuscì a intravedere la sua stessa oscurità.
Non erano un mostro ed un angelo, erano due mostri, solo che lui era il più ovvio.
Pascal aprì le gambe e sussurrò solo - …Vuoi giocare?-
Per anni quella domanda era stata il preludio di una lunga tortura.
Per tutti gli anni che gli restavano, sarebbero stati il preludio della loro lunga, stupenda, tortura.

Fine.






















 
 
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