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Titolo: La luce nei tuoi occhi
Cow-t 9, Seconda settimana, M1.
Prompt: Fantasy
Numero parole: 3378
Rating: Rosso
Fandom: Fantaghirò AU




«Cosa farai se scopri che il Conte di Valdoca è una donna?»
«La sposerò.»
«E se fosse un uomo?»
«Lo sfiderò a duello. Un duello all'ultimo sangue, senza esclusione di colpi. Lo ucciderò, senza alcuna pietà. E poi ucciderò me stesso.»

«Non potresti sopravvivere alla vergogna di amarlo?»
«Non potrei sopravvivere al dolore di perderlo.»



Fantaghirò sbuffò mentre Caterina avvolgeva attorno il suo esile corpo dentro un vestito pomposo con pizzi e merletti. Li detestava. Tentò con poca convinzione di toglierselo.
“Devi smetterla di far intravedere la tua vera natura! Qualcuno potrebbe capirlo!” lo rimproverò aspramente la sorella con un cipiglio seccato. Fantaghirò alzò gli occhi al cielo.
“Ma sono un uomo!” protestava.
“Ma la Dama bianca ha predetto che se la tua natura di uomo sarebbe stata rivelata la cattiva sorte di sarebbe abbattuta contro di te. Avresti sofferto.”
“Sono pronto a correre il rischio!” rispondeva caparbio “sono stanco di passare per ciò che non sono”
Caterina lo guardava sempre con un misto di comprensione e paura.
“Sta molto attento, Fantaghirò. Il mondo fuori dal castello è crudele, ci sono orrori che non riusciresti nemmeno ad immaginare”
“Sono un uomo, combatterò.”
“Ci sono cose che non puoi combattere, Fantaghirò”
Se solo avesse potuto far vedere alle sorelle quando era diventato forte grazie agli allenamenti del cavaliere misterioso. Era stato perfino facile maneggiare la spada, era un uomo del resto, ne era portato.
Se la sarebbe cavata nel mondo esterno, avrebbe combattuto e si sarebbe fatto onore. Avrebbe sconfitto il principe del paese vicino e poi avrebbe detto a tutti che colei che conoscevano come la ribelle principessa Fantaghirò non era altri che un principe. Si sarebbe tagliato i capelli, avrebbe indossati comodi abiti maschili ed avrebbe imparato a sputare e guardare le gonne delle donne con brama anziché disgusto. Aveva fantasticato mille volte sull’idea di togliersi quei fastidiosi abiti femminili ed indossare un benedetto pantalone! Di camminare con libertà e senza pudore. Agognava quel giorno come le donne agognavano un principe azzurro. Era lui stesso il suo principe azzurro, pensava sempre con una punta di orgoglio.
Poi accadde che il Re suo padre consultò nuovamente la Dama bianca. Quando Fantaghirò seppe che la predizione aveva previsto lui in abiti da uomo e finalmente pronto a combattere, quasi saltellò dalla gioia. Con fin troppa gioia sciolse i suoi capelli boccolosi e li recise, con maniacalità scelse la sua armatura.
Con attenzione divaricò le gambe sul cavallo anziché andare all’amazzone. Era una posizione disgustosamente scomoda!
Ed ora eccolo lì, nella tende ad attendere l’ultima sfida, le sorelle che avevano rinunciato ovviamente. Erano donne del resto.
Lui avrebbe vinto. Ne era certo. Si sarebbe riscattato, tutti avrebbero dimenticato i suoi anni passati ad indossare gonne anziché pantaloni e lo avrebbero portato in trionfo.
Guardò il proprio corpo nudo, il petto piatto e con un paio di peli appena spuntati. Si immaginò villoso e mascolino, si desiderò volgare.
In quel momento qualcuno scostò la tenda per entrare. Per un secondo pensò di coprirsi, per il pudore, perché così gli era stato insegnato. Ma poi ricordò a se stesso di essere finalmente un uomo, anche nell’aspetto esteriore.
Con orgoglio lasciò le mani lungo i fianchi e sorrise al nuovo venuto.
Il principe Romolaldo restò sulla soglia, la mano stretta alla tenda con forza e gli occhi vuoti.
I quel momento le parole della sorella sovvennero in mente al principino.
Ci sono cose che non puoi combattere, Fantaghirò


***

I suoi occhi.
Era questo che ripeteva Romoaldo come un mantra nella sua testa. L’aveva vista solo un istante, tra la boscaglia e di sfuggita, ma i suoi occhi si erano impressi a fuoco dentro di lui, come un marchio. Avrebbe ucciso pur di rivederli…
E poi era capitato. Un battaglia contro il campione del reame vicino ed un fendente. Valdoca a terra, l’elmo scoperto ed un fulmine al cielo sereno; quegli occhi su di lui.
Gli occhi di un uomo potevano essere belli quando quelli della fanciulla che amava?
“Cosa farai se scopri che il Conte di Valdoca è una donna?”gli aveva chiesto Cataldo, apprensivo.
“La sposerò.” Gli aveva risposto lui con orgoglio e desiderio.
“E se fosse un uomo?”
“Lo sfiderò a duello. Un duello all'ultimo sangue, senza esclusione di colpi. Lo ucciderò, senza alcuna pietà. E poi ucciderò me stesso.”fu pronto a rispondere.
“Non potresti sopravvivere alla vergogna di amarlo?”continuò Tebaldo.
“Non potrei sopravvivere al dolore di perderlo.”


Quella notte era gelida. O forse era l’oscurità che albergava nel suo cuore a gelarlo, come una morsa. In quell’abisso buio di disperazione, se chiudeva le palpebre, vedeva ancora la luminosità di quegli occhi; erano dappertutto, un’ossessione. Li cercava nelle persone attorno a lui, nelle donne che gli passavano accanto, nelle fanciulle che ballavano alla festa. Se chiudeva i suoi gli sembrava addirittura di potere allungare la mano e afferrare la testa a cui erano attaccati. L’avrebbe coperto di baci le labbra, le avrebbe morse, succhiate, rese rosse e lucide. Avrebbe goduto di sentire il suo respiro sulla pelle, forse perfino un gemito contrariato. Avrebbe significato che esisteva davvero, la sua piccola ossessione.
Quasi sentiva le dita strattonare i capelli, erano più corti di come li immaginava, ma li passò tra le dita e li strinse, li tirò. Guardò la donna che stava immaginando e l’immagine del cavaliere Valdoca gli vi soprappose. Fu con un brivido sconosciuto che comprese di essere realmente nella sua tenda e di aver appena assaggiato il frutto proibito delle sue labbra.
Un mostro dentro di lui ruggì, desideroso di rifarlo, avvertiva le proprie labbra esser calamitate da quello sguardo confuso.
“Cosa fate?!” la voce del cavaliere indignata, rabbiosa “Sono un uomo!”
Lo ucciderò. E poi morirò.
Strinse ancora la presa, sentendo il passo ventre fremere da un principio di eccitazione. Il potere di decidere di far vivere o morire la sua ossessione, la salvezza di poter porre fine poi alla sua vergogna. Era un piano perfetto. Averlo solo una volta, e poi morire.
Sarebbe morto comunque, no? Allora perché non lasciare libero il mostro di agire?
Il suo corpo intanto si era spinto in avanti, aveva riassaggiato nuovamente le labbra, aveva stretto il corpo a sé, nonostante cercasse di sfuggirgli come un pesciolino, di scivolare tra le sue dita. Lo strinse, più forte, per riflesso per volontà, per eccitazione.
Si sentiva preda di un incantesimo.
E’ un uomo, sentiva in lontananza la voce della sua coscienza, sei un uomo d’onore Romoaldo, smetti ora che sei in tempo, affronta la sfida e lasciati alle spalle questa storia.
Ma più tentava di smettere di toccarlo, di stringerlo, di baciarlo, più approfondiva i tocchi.
E’ un uomo, Romoaldo. Non si può amare un uomo.
“Lasciatemi!” un urlò strozzato eruttò dalle labbra morse “Lasciatemi o vi ammazzo!”
Il mostro era come veleno nelle vene e un sorriso folle ombreggiò il viso di Romoaldo.
“Moriremo insieme” gli fece, con voce carezzevole, lasciando scivolare la bocca lungo il collo “vi amerò con tanto ardore da rendermi indimenticabile”gli promise poi afferrandolo per i fianchi e trasportandolo fino al letto.
Era leggero Valdoca, quasi come carta.
“ Voi!” scattò il ragazzino girandosi ed allungandosi per prendere la spada. La mano di Romoaldo gli artigliò un gomito e glielo impedì. Le dita dell’altra mano accarezzarono gentilmente la conga della schiena.
“Siete poco più di un bambino” gli sussurrò sulla nuca, beandosi del suo profumo “Sono più forte di voi”
“Lasciatevi maledetto! Non sono una donna!” protestò nuovamente Fantaghirò dimenandosi con forza e terrore “Cosa volete farmi!Non possiedo nulla che possa piacervi! Sono un uomo! Un uomo!” c’era una disperazione profonda in quelle parole, come se finalmente si fosse reso conto delle intenzioni malvagie, come se ora ne fosse terrorizzato. Romoaldo non riuscì a reprimere un senso di eccitazione all’idea di spingere il suo viso sul cuscino per farlo tacere, o di morderlo per farlo urlare di più. Le labbra scivolarono lungo la clavicola mentre Fantaghirò cercava di venir via con sempre più paura. Senza volerlo urtò la nascente erezione del principe che inarco la schiena e gemette.
“Si siete un uomo” disse Romoaldo con un sospiro guardando la propria preda inerte tra le sue braccia, schiacciata contro il giaciglio, il viso arrossato ed i capelli scompigliati. Desiderò mordergli le guance, leccargli le lacrime, riprendere a lambire quelle labbra troppo rosse e carnose per essere di un uomo “Un bellissimo uomo”
Le mani di Romoaldo furono poi mosse dalla brama di accarezzare ogni angolo di quel corpo, di conoscerlo, di capire cosa poteva o meno dar piacere ad un uomo. Non che non lo sapesse, tante volte si era accarezzato da quella prima volta che aveva incrociato quegli occhi. Aveva immaginato di possedere la donna, di farle male. La figura della donna era stata poi sostituita dall’immagine del conte Valdoca e tale era rimasta fino a quella sera quando era entrato nella tenda per offrirgli di fare la sfida quanto prima e lo aveva visto semi nudo con l’aria di chi era stato appena scoperto a toccarsi.
Era stata l’espressione di eccitazione a spingerlo a quello, qualsiasi cosa fosse.
“Cosa pensate di farmi?” sentì la voce del conte lieve, quasi un pigolio, lo riportò alla realtà per un solo istante, rendendo fin troppo concreto lo stato delle sue azioni. Le sue volontà.
“Avervi” rispose piano “solo una volta..solo una”
Fantaghirò tentò senza troppa convinzione di ritirarsi dalla presa, era debole, inerme.
“Non capisco, principe” confessò “come pensate di poterlo fare..? Sono un uomo per Dio!”
Romoaldo sorrise, un sorriso senza allegria “Rilassatevi…” gli sussurrò all’orecchio prima di prendere il lobo delicatamente tra i denti “Rilassatevi e presto finirà, ve lo prometto. Potrebbe perfino piacervi”

Romoaldo non aveva ben chiaro come avrebbe dovuto agire. Seguì l’istinto, il desiderio.
Pensò che entrare in quel buco piccolo era difficile, gli venne in mente di allargarlo, provò con le dita asciutte incurante dei piagnucolii del conte. Vista la difficoltà cercò qualcosa con cui lubrificarlo. Usò l’acqua.
“Fa male” protestava Fantaghirò mentre Romoaldo lo teneva esposto con le ginocchia piegate e la guancia premuta contro il giaciglio.
“Respira” gli disse, senza sapere bene cosa dire. Contando i secondi che mancavano a scoparsi quel ano vergine. Oh si sarebbe presto spinto in lui, lo avrebbe scopato come una volgarissima puttana e l’avrebbe amato per una singola unica volta.
Infondo era colpa sua. Era lui che era nato uomo, se invece fosse stata una donna non si sarebbe dovuto abbassare a tanto, l’avrebbe perfino sposata.
Lo avrebbe punito per essere un uomo, lo avrebbe punito per averlo fatto innamorare così disperatamente di lui.
Era colpa sua.
“E’ ora”decretò senza più autocontrollo, si mise in ginocchio e puntò l’erezione ormai dolorosa contro l’anello di carne. Fantaghirò sussultò e fu colto dal panico. Tentò di dimenarsi per scappare, ma il principe lo agguantò e lo spinse con forza sulla paglia.
“Vi prego” si abbassò ad implorare il ragazzo “vi prego, lasciatemi andare..non lo dirò a nessuno!Vi prego..vi..vi darò il regno! Sarà vostro! Vi prego…non fatelo. “
Romoaldo allentò la presa sulla schiena e si chinò a baciargli la nuca, la sua mano scivolò lungo la schiena in un'unica carezza gentile.
“Vi amo”. Sussurrò poi, prima di entrare.

Quando Romoaldo uscì da lui soddisfatto e appagato, Fantaghirò non aveva nemmeno più la forza di piangere. C’era stato un momento, tra l’attimo in cui si era sentito spaccare in due da qualcosa di troppo grosso per la sua entrata, all’attimo in cui quel corpo estraneo lo inondava di sperma, che aveva desiderato non essere mai nato.
Era questo dunque il suo destino? Essere stuprato dal principe nemico era ciò che aveva predetto la dama bianca? Allora perché aveva anche predetto che sarebbe stato lui a vincere la guerra?
Era stato tutto un trucco…?
Romoaldo gli era crollato accanto, addormentato di botto e, solo allora, Fantaghirò trovò il coraggio di muoversi. Lo fece piano, per evitare di svegliarlo, per capacitarsi di essere ancora vivo, per riprendere a sentire il proprio corpo a pezzi. Sentì le lacrime nuovamente sovvenire, ma non di paura, bensì di rabbia. Trattenne i singhiozzi e si alzò il più piano possibile.
Le gambe gli tremarono non appena si alzò, tutto il resto semplicemente gli faceva male. Sicuramente avrebbe avuto dei lividi molto preso. Si guardò allo specchio e si trovò miserabile.
Era stato venduto, preparato da sempre al ruolo femminile dalla dama bianca. Quella puttana.
Strinse i pugni e agguantò malamente i suoi abiti e se li buttò addosso. Non sarebbe stato lì un attimo in più.

Un ora dopo il suo cammino si arrestò sotto un tiglio. I destriero che si era portato dietro, senza però poterlo cavalcare, si fermò con lui.
“Sta buono..” soffiò legandolo ad un ramo “ho solo…bisogno di un po’ di riposo”.
Si sedette con attenzione sulla radice di un ramo e prese diverse boccate d’aria. La lanterna che si era portato dietro non sarebbe durata ancora molto ed era saggio accendere un fuoco, ma come poteva se era ancora così vicino? L’avrebbero trovato subito. Sospirò e si strinse nelle spalle. Ora che era fermo il sudore gli si era asciugato addosso diventando un blando residuo della calura del passo veloce. Sospirò ancora e decise che era meglio accendere un fuoco che morire assiderato. Mezz’ora dopo se ne stava rannicchiato vicino alla fiamma scoppiettante.
La foresta non era mai silenziosa, ma per Fantaghirò non lo sarebbe stata nemmeno volendo. Ogni sasso, albero o foglia si sentiva il diritto di parlargli e consigliarla. Sussurri e mormorii costellarono i suoi sogni quando finalmente riuscì ad addormentarsi, ma pur ore dopo e con del sonno recuperato Fantaghirò continuava a sentire il respiro del principe Romoaldo su di sé.
Si svegliò di soprassalto, ansioso.
“Salve” avvertì una voce calda improvvisamente. Il principino scattò in piedi con la mano sulla spada e gli occhi sbarrati. Il cuore era in gola quando posò gli occhi sulla nuono arrivato. Questi sorrise apertamente e si inchinò “Fantaghirò, presumo.”
“Chi siete?” scattò il principino sfoderano la spada e alzandola verso il nuovo arrivato “come conoscete il mio vero nome?”
“Oh so molte cose di voi” sorrise lo sconosciuto.
Fantaghirò assottigliò lo sguardo “Sapere anche che potrei uccidervi in un secondo?” quasi urlò, in minaccia “sono abile con la spada!”
Lo straniero piegò le labbra all’insù prima di aprirle e far uscire una risata profonda, i suoi occhi però non avevano smesso un secondo di fissarlo.
“non lo metto in dubbio, principe” aggiunse l’uomo abbassando di poco la testa “Non mi vedrebbe mai in mente di battermi con voi, vorrei solo offrirvi il mio aiuto”.
“Aiuto?”
“Ho visto cosa è accaduto.” Soffiò ancora l’uomo con un espressione nuova, quasi sofferente “E me ne rammarico molto.”
Il giovanotto si sentì sopraffare da un senso di dolore “Non…non vi prendete gioco di me!” quasi urlò, alzando minacciosamente la spada.
“Non lo farei mai” continuò l’altro “Ma, perdonate l’ardire principe, dove andrete ora?”
La spada tremò nella sua mano e nello sguardo del principino vi fu un bagliore di paura “…Ho dove andare.” Mormorò.
“Non potete certo tornare a casa, saresti il disonore della vostra famiglia e il regno di…” esitò “non avete alcun posto dove andare”
Fantaghirò si sentì nuovamente sopraffare dallo sconforto, e il ricordo della sottomissione a cui era stato costretto gli bruciò nell’anima. Desiderò scappare via, lontano, lontano da tutto e tutti e svanire nella profondità della foresta.
“Io posso farlo” sentì gentile la voce del ragazzo invadere i suoi cupi pensieri “posso esaudire il tuo desiderio”.
“E perché dovresti?” replicò il principino non con la nota nervosa che avrebbe voluto. L’uomo si avvicinò lentamente, e oltrepassò senza problemi la spada che continuava ad essere ritta verso di lui “Vi dico come andrà” esordì ancora, calmo “Se tornate non riuscirete ad affrontare Re Romoaldo tranquillamente e perderete la guerra, è questo che volete? Essere lo zimbello del regno? E se lui confessasse cosa vi ha fatto? Riuscite a capire l’infamia che vi getterebbe addosso?” l’uomo di fermò vicino a lui, una mano si alzò lenta sul suo volto, ma il ragazzo, contro ogni logica, non si sentì minacciato.
“Come posso evitarlo?” soffiò sostenendo lo sguardo dello sconosciuto che scoprì essere di un nero profondo quanto la notte stessa.
“Oh voi non dovete fare nulla” soffiò lui “lo farò io. Lo ucciderò e farò in modo che a voi sia destinata la gloria. Sarete conosciuto come il Conte Valdoca che ha salvato il regno”
“cosa vuoi in cambio?” domandò allora Fantaghirò.
Lo straniero sorrise e il principino si sent’ sopraffatto da una strana sensazione di timore e attrazione. Per un secondo sentì lungo tutto il suo corpo una scarica elettrica e non riuscì a fare a meno di pensare al membro pulsate di Romoaldo dentro di lui.
Inghiottì a vuoto, confuso, e con un calore nel basso ventre, un calore sconosciuto.
“Vi renderò una legenda, e vi darò asilo presso la mia dimora. Non rivedrete più la vostra famiglia che vi ricorderò con calore e affetto anziché con ribrezzo e pena”
Fantaghirò trattenne il respiro “Devo solo..vivere con voi?”
Lo straniero lo guardò intensamente per un lungo attimo, poi alzò la testa di scatto, con l’attenzione a qualcosa di distante.
“Lui vi sta cercando. Dovete in fretta, principino”
“Lui?”
“ Re Romoaldo sta giungendo qui” continuò l’uomo “Ora o mai più, Fantaghirò. Venite con me nel mio regno o restare ad affrontare l’uomo che ha abusato di voi un intera notte?”
Prima ancora che lo sconosciuto finisse la frase Fantaghirò si era aggrappato a lui con forza.
“Portatemi via” lo implorò con terrore “Non voglio…non voglio più sentirmi così” e iniziò a piangere.
L’uomo gli prese il mento e lo alzò e gli sorrise ancora “Allora Piacere Fantaghirò, il mio nome è Tarabas, il mio regno è un oscurità calda ed accogliente…. Trattieni in respirò. Sarà un viaggio molto veloce”.


**

“non credevo che ne avrei mai sentito la mancanza” confessò Fantaghirò guardndosi i piedi.
“di cosa?” domandò Tarabas “Di casa? Di vostro padre? Le sorelle?”
“No, dei vestiti da donna”
Tarabas non riuscì a trattenere un risolino “Avete la mancanza di pizzi e merletti?” domandò “Se vuoi te ne faccio recapitare a volontà.”
Fantaghirò piegò la testa di lato lasciando cadere i capelli sciolti e mossi oltre il collo, sorrise vagamente “Siete sempre così acondiscendente con me.”
“Ho le mie ragioni”
L’altro editò “Siete nemico della strega bianca, vero?”
Il re del regno dell’oscurità alzò gli occhi e lo guardo come per studiarlo “Anche” confessò “Ma non è l’unica ragione”
“ E quali sono le altre?”
“ Ditemelo voi. Voi perché rimanete?”
“ Perché devo”
“Sul serio?” lo incalzò, con un sorriso nuovo.
Fantaghirò sospirò “No.” Soffiò “Siete anche l’unico amico che ho”
Tarabas si alzò e allungò una mano per scompigliargli i capelli “sono cresciuti. Ti stanno meglio”Fantaghirò non disse nulla mentre Tarabas ritraeva la mano, ma la afferrò non appena ne ebbe l’occasione. Il proprietario dell’arto restò a fissarlo immobile quasi aspettandosi una seconda mossa e il principino non riusciva a distogliere gli occhi da lui.
“Voi sapete, vero?” domandò, con la vergogna nella voce “Cosa…sento”
Tarabas non rispose, ma si avvicinò un po’ di più e usò l’altra mano per accarezzargli il collo.
“Perché mi sento così?” continuò in un sospiro il principino “Non dovrei..il mio corpo non dovrebbe…è stato orribile, come posso desiderarlo ancora?”
Sembrava volersi aspettare davvero una risposta, ma il Re del paese dell’ombra tacque limitandosi a sorridere esattamente come il giorno che si erano incontrati.
Fantaghirò socchiuse gli occhi e si portò la mano stretta alle labbra per posarvi su un bacio “vi prego….” Soffiò piano “vi prego, fate smettere tutto questo”
“Chiedimelo” proruppe la voce di Tarabas “chiedimi di prenderti, Fantaghirò.”
Il principe quasi tremò mentre con voce sottile ripeteva “Ti prego”.
Tarabas gli afferrò la nuca e si chinò a rubargli un bacio.
Il cuore di Fantaghirò minaccio semplicemente si spezzarsi.
La prima volta era stata rude, cruda, dolorosa.
La seconda volta, le mani di Tarabas gli infuocarono ogni angolo, anche il più remoto. Onde di piacere lo soffocarono, la sua mente si annebbiò, la gola su sopraffatta damuguni e sospiri.
Era diverso. Il membro di Tarabas era più grande di quello di Romoaldo, incuteva perfino timore e sconcerto nel pensare che gli scavasse dentro con forza, ma lo voleva.

 
 
 
 
 
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