Autunno di Vivaldi
Mar. 27th, 2019 09:53 pmAutunno di Vivaldi
Eravamo gli unici bambini che non avevano potuto frequentare la scuola sin dai primi giorni. Io perché era stato operato di appendicite all’inizio di settembre, lui perché si era appena trasferito, di conseguenza, ci eravamo incontrati in autunno.
Eravamo io e lui contro il mondo.
Lui splendeva in ogni cosa che facesse, ottimi voti, serve gentile, sempre apprezzato da tutti e il sogno delle ragazze…
Non ero geloso di loro. Ero geloso dell’unica cosa che amava davvero.
Sapevo che suonava uno strumento, suo madre lo tirava via dai nostri incontri per fare pratica, ma non me ne parlava mai, quasi convinto che iniziarne a parlare avrebbe potuto farmi cambiare idea sul passare il tempo insieme.
Non aveva capito che, pur di passare il tempo con lui, lo avrei sentito ripetere a ripetizione l’alfabeto.
La prima volta che lo vidi suonare, capii che non avrei mai potuto competere con quell’amore; era mistico.
Mentre l’archetto scivolava sulle corde producendo un suono che ti entrava dentro, il suo sguardo concentrato era ipnotico. Lo avrei potuto guardare esercitarsi per ore.
Crescendo, il mondo diventava sempre un po’ più complicato, il nostro rapporto mutava, mese dopo mese, adattandosi alle situazioni e alla vita. Ma nella mia vita, lui e il suo amore per il violino restavano una costante.
Non gli aveva mai detto che avevo implorato mia madre per delle lezioni pur di avere qualcosa in comune con lui, non gli avevo mai detto di essermi ferito le dita nel tentativo di suonare senza sosta, per rincorrerlo, per raggiungerlo.
Ma non era una cosa per me, così riposi il mio violino abbozzato nella cantina e mi limitai a vederlo crescere come artista e come amante della musica. Aveva un debole per la classica.
Arrivò il giorno in cui finalmente mi interrogai per la natura dei miei sentimenti verso di lui, dell’orgoglio che provavo per essere la persona su cui faceva più affidamento, sul fatto che mi sorridesse quando entrando in una stanza e allora la giornata poteva anche essere orribile ma sarebbe andato tutto bene.
Quel giorno non fu una epifania, né una incredibile rivelazione. Fu come realizzare che il cielo fosse blu nonostante lo avesse sempre visto di quel colore, così aveva realizzato di essere completamente e follemente innamorato di lui.
A volte mi lasciava solo in camera con il suo amante di legno e corde e io osservavo il suo violino con odio e un po’ di gelosia.
Geloso di una cassa di risonanza. Era decisamente il colmo.
-Adoro l’autunno.- disse un giorno mentre se ne stava concentrato a camminare mentre si faceva strada tra il rosso delle foglie cadute
-Ci siamo incontrati in autunno.- risposi, soprappensiero.
–Esatto.- mi sorride –In più la gente preferisce l’estate per le vacanza, l’inverno per la neve e la primavera per i fiori, ma vuoi mettere l’autunno?- alzò il viso e osservò il viale arrossato -Adoro l’autunno.- ripeté allora con un sorriso.
Mi afferrò per un braccio e mi portò in un parco dove ci sedemmo sull’erba. Aprì la custodia e carezzò il violino con reverenza.
-Ti spiace se lo suono un poco?-
-Certo che no.-
Avevo sempre pensato che chi suonasse il violino dovesse avere il torcicollo perenne, sempre piegato a tenerlo fermo con il mento, come potevano trovarlo comodo? Pensò questo, mentre adorava la linea tesa del suo collo bianco accarezzando l’idea di sfiorarglielo delicatamente.
Suonò per un’oretta, ma io me ne stavo steso nell’erba con loro un giacchetto a separarmi dal terreno. Lo guardavo, era impossibile non farlo e, mentre suonava, ero giustificato.
Mise il violino nella custodia, ma lo lasciò aperto, poi si stese anche lui sull’erba a fissare il cielo.
Mi misi seduto e lo osservai rilassato al sole, i miei occhi scivolarono sul mio rivale in amore.
-Posso provarlo?- domandai.
Visi i suoi occhi aprirsi qualche secondo, poi annuire. Lo presi e tentai di ricordarmi quei pochi mesi di lezione che avevo preso.
Mi misi in posizione e…
-Rilassa la mano destra.-
-così?- la resi più molleggiante.
-Sì, e alza il gomito di più.-
Eseguii, poi mise l’archetto sulle corde. Tentai di ricordarmi come fare la prima nota, posizionai le dita e poi tirai l’archetto.
Fu strano sentire questo suono uscire dallo strumento grazie a me. Non ricordavo che suonare fosse così.
Con la coda dell’occhio lo visi mettersi seduto – Non sapevo sapessi suonarlo.-
-Non lo so fare infatti.-
-Ma sai come si fa.-
Tentai di non arrossire, mentre lo rimettevo con dovizia nella custodia – Ho preso qualche lezione da bambino, volevo imitarti.- confessai.
-Perché non me lo hai mai detto?-
-E cosa dovevo dirti?- replicai imbarazzato – Che ti ammiravo così tanto da volerti imitare? Lo avresti trovato patetico.- scossi la testa e tentai di sdrammatizzare – Del resto, lo sappiamo che l’alfa nella nostra coppia sono io.-
Lo vidi tirare le labbra in un sorriso un po’ divertito un po’ pensieroso – Sarebbe stato bello suonare insieme.-
- Non ero bravo, né tenace.- scrollai le spalle – Ma se ti può consolare, ho capito quanto fosse difficile quindi – mi battei due pugni sul petto – Rispetto, fratello.-
Stavolta rise, dolcemente, prima di tornare steso a godersi un poco il sole.
- Amo l’autunno.- disse ancora, sottovoce, come fosse un segreto.
**
Mi venne voglia di riprendere in mano il violino. Lo ritrovai in un angolo della cantina, stranamente ancora in ottime condizioni nonostante il tempo e l’umidità. Non avendo continuato sin da bambino, non sarebbe mai arrivato a livelli eccellenti, ma qualcosa dentro di sé lo spingeva a voler ritentare.
Non era il successo, non era raggiungere la persona che amava, era una strana morbosa curiosità la sua. Avendo suonato quelle poche note quel pomeriggio gli aveva fatto capire quanto fosse bello suonare, senza affrontare lo studio della musica per scopi così flebili come il cercare imitare la propria cotta. Era stato bello riuscire a separare l’amore per lui, con la gioia di fare una cosa da sé.
Non gli uscirono che pochi note, ma ricordava ancora come leggere lo spartito, quindi riuscì, stonando continuamente, a mettere insieme un intera canzone.
Suo madre gli urlò di smetterla con una certa esasperazione e lui lo rimise a posto, con un nuovo sorriso sulle labbra.
Non importava se non era bravo o se non sarebbe mai riuscito a imparare davvero.
Voleva provare a dare un’altra possibilità alla musica.
**
Il saggio di fine anno della suo scuola di musica arrivò puntuale come il fisco. Ogni anno me ne stavo seduto lì odiando tutti gli altri musicisti e le loro stupide musiche, in attesa che arrivasse lui sul palco.
Non che fossero incapaci di suonare, ma se dovevo ascoltare musica classica, volevo solo sentirla da lui. La sua era migliore.
L’amore che provavo forse mi faceva essere di parte, ma non mi importava. La mia soglia dell’attenzione non era così spiccata da riuscire a dare importanza ad altro.
Quando fu il suo turno, salì sul palco in smoking e con i capelli ingellati. Era buffo, e maledettamente carino.
Prese il microfono e disse l’ultima cosa che mi sarei aspettato – Dedico questa canzone alla persone che amo.-
Sentii il pavimento crollarmi sotto i piedi. Il battito del mio cuore, accelerato per la gelosia, la rabbia e il dolore, coprì ogni nota, che a stento riuscì a sentire un uomo seduto di fronte che domandò – Cosa sta suonando?-
- L’autunno di vivaldi. – replicò la moglie – Non è la più famosa, chissà perché l’ha scelta.-
L’uomo sorrise – Per la persona che ama, magari.-
Amo l’autunno, aveva detto.
L’autunno…
Alzai gli occhi e li incrociai ai suoi, per un secondo parve che riuscisse a vedersi da sopra il palco nonostante la luce dei riflettori.
Per quel secondo, mi sentii solo in una stanza, a sentirlo suonare.
Ci siamo incontrati in autunno.
Esatto.
Per un secondo, il cuore si fermò, preso da un pensiero più folle di quanto non lo fosse la sua gelosia. Quando smise di suonare, scivolò via dal palco con un agitazione che non gli aveva mai visto, d’istinto scattò in piedi e lo seguì.
Lo trovò in corridoio, in piedi, agitato, tentava di scuotere le mani come se cercasse di scuotere il nervosismo da esse.
Si fermò solo quando si rese conto che ero lì e mi guardò, come se potessi distruggerlo.
- Non fa niente, se non provi quelli che provo io.- disse, quasi senza fiato.
Era vero.
Quel messaggio era per lui.
Attraversò l corridoio solo per afferrargli le spalle, spingerlo con un po’ di forza sul primo muto e poi baciarlo. Era così sorpreso che non rispose nemmeno, ma quel primo tocco, fu elettrizzante e unico.
Era il loro primo bacio.
Si staccò da lui, più colpevole che altro e lo lasciò andare. Lui faticò a mettersi di nuovo in piedi.
- L’autunno piace anche a me.- dissi, più imbarazzato che mai.
La sua mano mi afferrò per un bracciò, mi spinse nuovamente su di sé e cercò ancora la mia bocca. Il secondo bacio, fu incredibile.
Altri suonavano, poteva vederli chiunque in quel corridoio, forse qualcuno li aveva già visti, ma non gli importava.
Erano sempre stati loro due, contro il mondo, due figli dell’autunno.