Mar. 7th, 2020

macci: (Default)
Note
Prompt: Indonesia (foto foresta)
Come l’ho utilizzato: L’intera struttura dell’accademia è circondata dal verde, ma un posto di ritrovo è proprio in una vecchia zona lasciata incontaminata, dove l’unica costruzione è un antiteatro in legno ormai abbandonato.
Parole: 26098

Ivory White, Il confine d’ombra
(capitolo)


Ivory si svegliò di soprassalto, la mano tesa davanti a sé, il respiro che le si bloccava nella gola. Il calore delle coperte pesanti le dava fastidio sulla pelle quindi se le tolse di slancio e si alzò, con i sensi più all’erta che mai.
Era…viva? Come? Dov’era? Come ci era arrivata?
Mille e una domande si affollarono nella sua testa, ma tutto quello che riusciva ad avvertire era il cuore che martellava nel petto e il suono del suo stesso respiro. Una volta riconosciuta l’infermeria dell’ Accademia, sentì le forze abbandonarla e crollò seduta, con le mani sulle ginocchia e gli occhi al pavimento.
Dall’altra parte della stanza, sentì una voce bassa e rauca dire - Oh, ti sei svegliata. -
Sorpresa, alzò lo sguardo e lo incrociò con quello di una ragazza in pigiama che occupava l’altro letto. Non poteva avere più di vent’anni, ma il colore chiaro dei suoi capelli tradiva la sua natura: una cantante.
Era la prima volta che ne vedeva una così da vicino e si prese qualche attimo per studiarla con attenzione; I capelli bianchi erano abbelliti da una lunga treccia laterale, i decantati occhi rossi erano in realtà sul verdino spento, mentre la pelle era candida come si diceva. Nella società, quelle come lei erano viste come santi in terra, ma ora che la vedeva da vicino non gli sembrava poi così speciale.
- A quanto pare. - rispose mettendosi meglio sul letto e una fitta di dolore le attraversò il costato – Cosa è successo? -
- Un demone ha sconfinato. - rispose lei in un pigolio. Ora che ci faceva caso, c’era qualcosa di strano nella sua voce, c’era qualcosa di strano, come un ingranaggio poco oliato. Non era strettamente sgradevole, ma era diverso da quello che era abituata a sentire quando si trattava di cantanti.
Come se avesse intuito i suoi pensieri la ragazza si stringe alla gola uno scialle che Ivory notava solo ora, il che era strano dal momento che faceva a botte con la sua carnagione pallida.
- Stai bene? - le chiese.
- No. - rispose lei subito.
Seguì un pesante silenzio, interrotto solo dal momento di Ivory tra le coperte mentre se le sistemava di nuovo addosso. Ora che il cuore aveva riacquistato un normale battito, iniziava ad avere i brividi.
- Daniel sta bene? - soffiò - Cioè… l’altro ragazzo che era con me? -
La cantante non ebbe modo di rispondere perché qualcuno bussò alla porta e due attimi dopo un’altra testa innaturalmente bionda fece capolino.
Lindsey si illuminò non appena la vide sveglia e corse ad abbracciarla, la forza di quell’attacco le fece scricchiolare un paio di costole lese, ma non se ne poteva lamentare.
- Ehi, sto bene! -
- Non farlo mai più. -
- Bhe, non sono io ad aver permesso che un demone entrasse a scuola, ma se potrò evitarlo in futuro, volentieri! -
Lin si allontanò per sorriderle brevemente, poi le si sedette accanto. Alzò la mano e le sfiorò la fronte, Ivory intuì che lì ci fosse qualche livido o taglio dallo sguardo preoccupato che le si dipinse sul volte.
- Ti fa male? -
- Tantissimo. - rispose con un sorriso – Dovrai darmi più macaron del solito! -
- Se ne mangi troppi diventerai tu stessa un macaron. -
- Non prendere in giro i miei sogni. Mica t'ho presa in giro quando mi hai confessato che volevi diventare una dottoressa per pinguini. -
Lindsey alzò gli occhi ma le labbra si curvarono in un sorriso sollevato e felice, solo quando l’altra ragazza si alzò per andare a prendere un poco d’acqua, finalmente la notò.
Lei provò a salutarla, pur con un certo grado di esitazione, e la ragazza si limitò a tornare a letto, mettersi le coperte addosso e aprire poi un grosso libro.
Era strano che ora si comportasse così essendo stata abbastanza gentile con lei prima. Che si conoscessero?
- Ti serve qualcosa? Acqua? Cibo? -
- Mac…-
- Niente macaron. -
- Non vale. Sono stata attaccata. Non mi vuoi concedere proprio nulla? - si impegnò a fare i suoi più enormi occhi supplichevoli, e la maschera fintamente dura di Lindsey si sciolse in un’espressione addolcita.
- Va bene, vedrò cosa posso fare. Ma qualcosa di concreto? -
Ivory ci rifletté, tolta l’ilarità della giornata, c’era qualcosa di cui aveva estremamente bisogno – Sapere cosa è successo. -
Seguì una delle spiegazioni più assurde che avesse mai sentito, o meglio, l’ultima che si sarebbe aspettata.
- E lo hai sconfitto. - finì infatti la frase Lindsey con un sorriso sempre più largo.
- Lo ha sconfitto Daniel dici. Come sta? Sta bene? -
- No, lo hai sconfitto tu! Con la tua magia. -
- Lin capisco che vuoi che io resti a scuola, ma mentire su come è andata non credo sia proprio il caso. -
Lo lo scappellotto le arrivò dritto sulla nuca.
- Scema. - c’era un’accusa sincera nella profondità del suo sguardo – Con l’adrenalina, il pericolo e il tuo istinto di sopravvivenza hai superato il tuo blocco, hai scatenato una magia molto potente! - disse – L’abbiamo avvertita tutti. E’ stato… wow! -
Ivory aggrottò le sopracciglia poi si guardò attorno come se cercasse le telecamere. La ragazza nell’altro letto fece una piccola smorfia come se dovesse darle ragione e odiasse farlo.
- Ho… usato la maiga? -
- Già. -
- E ho ucciso un demone? -
- Esatto.
- Ma io…- la voce le venne a mancare – Io dovevo essere rimandata a casa. -
Stavolta il sorriso di Lindsey divenne talmente enorme che la stanza letteralmente si illuminò – Ho parlato con mamma e ha detto che sei più che la benvenuta a restare. Certo, visti i precedenti può darsi che ti affidino un tutor che ti aiuti a canalizzare bene la tua magia, ma ti verrà data un’altra possibilità. -
Ivory sentiva la testa quasi scoppiarle: aveva davvero sconfitto da sola un demone? E le era valida un’altra possibilità.
- Una possibilità? - fece eco la voce della sua improvvisata compagna di stanza – Perché invece non una statua? Se non fosse stato per lei, ora molti sarebbero già morti. -
Ivory sentì lo stomaco dargli una fitta d’ansia, ma Lindsey le strinse un braccio per tranquillizzarla.
- Non pretendo di capire i professori. Sono solo felice che la mia amica possa restare con me. - tentò di giustificarsi.
La ragazza fece una smorfia e girò un’altra pagina.
Ivory fece per alzarsi prontamente aiutata dalla sua amica. Una volta in piedi e senza l’adrenalina in circolo, si rese conto di quanto il suo corpo fosse stato messo a dura prova dalla lotta, i piedi faticavano a reggerla, aveva dolori lungo tutto la gamba sinistra e la fronte pulsava assieme al battito del suo cuore.
- Potrei suonarti qualcosa. - mormorò Lindsey in apprensione.
- Sto bene. -
- Ma potrebbe alleviarti il dolore. -
- Non serve. Sto bene. -
- ma…-
Lindsey fece per toccarla ma Ivory le scacciò la mano con un gesto veloce, salvo poi pentirsi e sorriderle. La sua amica accusò la cosa, ma lasciò perdere: se c’era una cosa che era risaputa era l’avversione di Ivory per la cosa più magica e divina che il mondo conoscesse: la musica.
Non ce l’aveva con i musicanti, ma Ivory non poteva nascondere che ogni volta che sentiva le note creare melodie, il mondo sembrava improvvisamente più enorme, e spaventoso, un dolore lancinante iniziava a scoppiargli nella testa e la coglieva un forte senso di nausea. Era chiaramente un problema psicosomatico, ma esserne affetta e vivere in una casa di musicanti esorcisti aveva messo a dura prova la sua conduzione.
La misteriosa ragazza che era in stanza con lei, notò con un certo interesse il suo gesto e le lanciò un’occhiata interessata, ma tornò presto al suo libro, fingendo di leggere.
Ivory decise di cambiare discorso - Daniel come sta? -
- Ha il raffreddore. - provo a riderci su Lindsey – E’ stato lui a ripescarti dal lago e portarti subito in infermeria. –
- Mi ha salvato la vita, allora. -
- Dopo che tu l’avevi salvata a lui. -
Ivory iniziava a odiare questa fama da salvatrice dell’accademia che sembrava dilagare nella mente della sua amica quindi decise di ignorare le sue parole.
Chiacchierarono per un altro po’ insieme, poi un'infermiera fece capolino nella stanza – Signorina White perché è ancora qui? Le visite sono finite da un pezzo. -
Lindsey annuì, poco felice, ma si alzò dal letto e le riservò un ultimo saluto – Se ti serve qualcosa.. -
- Si lo so, me l’ha detto già cinque volte. -
- Posso chiamare mia madre e farti mandare qualsiasi cosa. -
- Va, hai perso un intero pomeriggio di esercitazioni per colpa mia. -
Lin fece una smorfia e poi infermiera quasi la prese di peso per andare via, finalmente sola Ivory rivide le coperte con un certo senso di nostalgia.

- Sei stata molto fortunata a sopravvivere. - disse la ragazza d’un tratto dopo aver chiuso il libro.
Ivory si sistemò le coperte e meditò bene su cosa dire – Fortunata è la parola giusta. - mormorò - non sono nemmeno sicura che sia andata come dicono, non mi ricordo niente. -
- Sono stata tra le persone che hanno visitato il luogo, c’erano ancora residui di magia. Una magia davvero potente. -
- Ecco vedi? allora non sono stata io, l’unica cosa che so fare è questo…-
Alzò la mano e dalle sue dita uscirono le sue preziose e innocue scintille - E’ tutta la magia che sono in grado di evocare. -
Gli occhi rossi della compagna di stanza studiarono quelle scintille come se potesse leggerci dentro qualcosa, ma qualunque cosa fosse, sembrava non riuscire a interpretarla.
Ivory decide di cambiare discorso - Io sono Ivory White, molto piacere. -
L’alta fece eco - … White? -
Sapeva bene cosa significasse quella esitazione - La famiglia di Lindsey mi ha adottata quando ero bambina. Col tempo, seppur strano e ridondante, ha iniziato a diventare anche mio. -
- Quindi la ragazza di prima…-
- In pratica, è mia sorella. -
Ivory si aspettava le classiche domande di rito: e la tua vera famiglia? Cosa è successo?
Tuttavia, tutto ciò che l’altra fece fu presentarsi - Noel Skyler. -
- Sei nuova? Non ti avevo mai visto al campus. -
I suoi occhi si rabbuiarono, ma sorrise – Diciamo che sono nuova. - annuì – Inizio dalla settimana prossima. -
Ivory non poté fare a mano di abbassare gli occhi sullo scialle e lei se lo sistetemò in un gesto nervoso.
- Sono stata attaccata da un demone. - rispose alla domanda silenziosa.
- Mi dispiace. -
Scrollò le spalle - Siamo entrambe fortunate ad essere vive. -
c’era qualcosa di triste in quella frase, come se la fortuna fosse mal riposta, come se non fosse altro che una frase che si ripeteva, per non urlare.
- Secondo te come è entrato un demone a scuola? - cambiò discorso.
Noel si guardò attorno, cercando di scorgere il possibile arrivo di orecchi indiscreti, dopodiché replicò - Gli attacchi stanno aumentando, le difese dell’Accademia andavano intensificate da molto tempo ormai, ma come sempre, si corre ai ripari solo dopo questo tipo di incidenti. - le lanciò un’occhiata veloce - Almeno, sono contenta che non si sia fatto male nessuno, prima di decidere di intervenire. -
Ivory quasi rise - Dillo alle mie costole incrinate, i lividi e… al mio amor proprio. -
Per una volta, anche Noel riuscì a sorridere e per un secondo sembrò andare tutto bene.
Nessuna delle due era lì perché stava bene ma, perlomeno, lo sarebbe andato in futuro.


**

Il mattino dopo si svegliò ancora più stanca di quanto lo fosse quando era andata a dormire, ma con il corpo guarito il più possibile le sue vecchia abitudini iniziarono a reclamare la routine. Si mise in piedi e iniziò a fare un po’ di stretching. Non poteva materialmente andare a correre ma, a maggior ragione se le era stato concesso di restare all’accademia, doveva restare in forma. Così, si mise a camminare per i corridoi.
Mancava ancora molto alla colazione, ma il suo stomaco iniziò a reclamare quasi immediatamente cibo, così cercò la caffetteria del centro. Doveva essersi sparsa la voce perché la commessa gentile le offrì una brioches.
- Grazie. - soffiò grata, seppur in soggezione per il gesto.
Quando si girò, ad un tavolo con la mani in mano vide Daniel e sobbalzò.
- Ivy? -
- Dan! Ciao! Che ci fai qui a quest’ora? -
- Secondo te? Sono contento che tu stia bene! - rispose, raggiungendola in poche falcate, non la abbracciò forte solo perché non avevano così tanta confidenza, ma era chiaro quanto fosse felice di vederla – Non mi permettevano di venirti a trovare! Ero preoccupatissimo! -
- Non si è sparsa la voce che stavo bene? -
- Certo- ammise – Ma loro non erano lì e non sanno cosa hai passato. -
Ivory si sedette al tavolo e si aggiornarono. Come aveva già spiegato Noel, pareva che ci fosse una falla nel confine, che la stessero sistemando, ma che non era così semplice. Che erano state ingaggiate delle cantanti di alto livello, per questo compito.
- Sì, una è in stanza con me. Verrà con noi a scuola dalla prossima settimana. -
Il viso di Daniel divenne di gesso - oh, allora è vero quello che si dice. - replicò.
- Cosa? -
Il corvino strinse le labbra inconsapevole se parlare o meno, ma il gossip era troppo succulento per tacere - Non so quanto ci sia del vero, ma pare che una cantante sia stata attaccata e le sia stata colpita la gola. Da allora, pare abbia perso la capacità di cantare…-
- Come? - Nella sua testa, l'immagine di Noel che si sistemava lo scialle all’altezza della gola acquistò tutt’altro senso - Ma per i cantanti la voce è… tutto. -
- Io sono solo un musicante, ma l’idea di perdere la capacità di suonare… - la sua voce si spense - Per noi la musica è tutto. -
Ivory gli prese le mani e sorride il più teneramente possibile – Tranquillo, proteggerò queste mani a costo della mia vita. - sogghignò - beh, s ben, vedere l’ho già fatto! -
Ridacchiarono con un certo nervosismo, poi Daniel rilassò le spalle – Ero davvero preoccupato. - ammise – Ho chiesto a tua sorella come stessi, ma avevo bisogno di vederlo. - i suoi occhi esitarono sul librido sulla fronte – se hai bisogno di qualcosa... -
Ivory ritrasse la mani - Una cosa ci sarebbe. - confessò.
- Cosa? cosa? -
- Mi paghi un caffè? - rispose - Non ho soldi con me. -
Daniel non sapeva se ridere o alzare gli occhi al cielo, nel dubbio, rise.
- Sia chiaro, ormai ti considero a tutti gli effetti mia amica. Direi che salvare la vita sia una di quelle cose che avvicinano la gente. -
- Come minimo! - confermò Ivory - Tranne se non mi compri il caffé, in quel caso abbiamo un enorme problema. -
Con un ultimo sorriso, Daniel si alzò e corse al banco.
Ivory attese la bevanda come si attendono i regali di Natale.

__

La visita del preside fu una naturale conseguenza della situazione. Ivory si ritrovò a stringere mani, fare sorrisi alle foto e odiare ogni attimo di quella mirata celebrità. Sì, la notizia che un Demone fosse riuscito a passare i cancelli era una pubblicità negativa, ma una matricola in grado di sconfiggerlo era un fiore all’occhiello per l’educazione dell'istituto.
Quasi quasi la statua non era poi una così cattiva idea.
Fu dimessa e tornò nella stanza che condivideva con Evelyn Tylor che non perse tempo per chiederle ogni attimo e non fece mistero della sua delusione quando le disse di non ricordare assolutamente nulla a parte la fuga e i goffi tentativi di prendere tempo.
Non aveva potuto salutare Noel poiché era già stata assegnata ad una stanza del dormitorio dei musicanti.
Doveva essere orribile, dover ricominciare daccapo e dover imparare uno strumento invece che usare la propria voce. Così tanto, che credeva di non essere in grado di concepire quanto dovesse essere duro per lei, non nella totalità.
Un’altra cosa per cui la minaccia demoniaca andava debellata. La sua determinazione crebbe un antichietta in più, così tanto che l’odio per quelle creatura a volte sembrava non essere in grado di restare contenuto in quel piccolo involucro di carne e sangue.
Se anche non fosse stata in grado di usare la magia, era più che certa che avrebbe trovato un modo per contribuire alla causa e sperava che anche Noel si concentrasse su questo.

Le lezioni non sarebbero riprese fino al giorno dopo per via dei lavori di ripristino della barriera quindi Ivory ne approfittò per fare una passeggiata dal momento che sentiva i suoi muscoli agognare un po’ di moto.
D’istinto fece il solito giro che faceva di mattina con Daniel e si ritrovò ben presto al laghetto dove si erano svolti gli ultimi attimi di una battaglia.
Era vero che non ricordava cosa fosse successo esattamente dopo essere caduta in acqua, ma tutto il resto era impresso nella sua mente a fuoco: la fuga, l’ansia, la paura, i tentativi di proteggere Daniel fino alla sua decisione di deviare verso il lago.
Ricordava i polmoni bruciare dalla mancanza di ossigeno e la viscosità del demone che la trascinava giù.
Era lì, che il suoi ricordi mancavano.
Stava soffocando, non c’era verso che fosse stata lei a sconfiggerlo.
- Tu devi essere Ivory White. - sentì una voce arrivare a interrompere i suoi pensieri. Sviò lo sguardo dall’acqua e li incrociò con un uomo sulla quarantina, i capelli corvini con un paio di ciocche di un normale grigio da avanzata età, alto e elegante, con un lungo cappotto marrone.
Sembrava un professore, ma non lo aveva mai visto.
Annuì, e tese la mano con educazione. L’uomo gliela strinse brevemente.
- Sei qui per contemplare il tuo successo? -
Ivory provò fastidio a quella domanda, ma replicò gentilmente - Solo per cercare di capire com’è andata. -
- Mi avevano detto che non ricordavi. Allora è vero. -
Il fastidio aumentò, era stanca che i fatti suoi ormai lo sapessero anche i sassi. Poteva capire studenti e professori, ma sconosciuti apparsi dal nulla era davvero troppo.
- Sì, è vero. - rispose acidamente - Perdonate se non mi ricordo cosa è successo dopo che sono svenuta in fondo a un lago! -
L’uomo non sembrò colpito dalla sua risposta, anzi la studiò - Com’è andata esattamente? -
- Non gliene l’hanno già raccontato in ventisei? - lo freddò - Chieda a tutti. Sanno più gli altri come è andata che non io. -
Una volta fattosi più vicino l’uomo tese la mano - Sono Xander Finch, il tuo nuovo istruttore. -
Ivory si girò verso di lui, sbiancando - C-cosa? -
- Credevo sapessi che avresti avuto un aiuto in più. -
Il pallore le si accentuò mentre boccheggiava alla ricerca di scuse - Io… non... -
- Oh, non ti preoccupare. - fece lui gentilmente - Ho visto il circo mediatico, in tutta sincerità non lo avrei sopportato neanche io. -
Crollò il silenzio tra loro. Ivory cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa, ma non gli venne in mente nulla che non sembrava una patetica scusa.
- Posso sapere com'è andata? - domandò allora il signor Finch - Stavo cercando di seguire le tracce della battaglia per capirne la dinamica, ma hanno inquinato la scena. Ti dispiace mostrarmi tutto? -
Ivory ingoiò a vuoto e lo portò dove aveva sentito per la prima volta la presenza del demone, poi gli raccontò passo passo, cosa era accaduto, perfino le sue idee balzane, i ragionamenti, fino ad arrivare al lago. Lì, si fermò e soffiò solo.
- E qui dove ho evidentemente deciso di suicidarmi. Senza successo, a quanto pare. - fece una risatina sarcastica.
Il signor Finch osservò con attenzione i dintorni con le mani nella tasche per un lungo momento, poi domandò.
- Cosa sai della guerra? -
Quella domanda colse la giovane alla sprovvista, ma si sforzò di rispondere il più sinceramente possibile. Aveva visto gente esaltata che puntava a sterminare orde di demoni ad occhi chiusi, aveva visto altri essere lì solo per pressioni altrui, altri ancora, erano come lei; volevano combattere perché li prendeva sul personale.
Tutti volevano partecipare alla lotta, ma nessuno di loro sapeva ancora in cosa consistesse, non davvero.
- Che mette in pericolo le persone a cui tengo. - rispose - E posso solo fare del mio meglio per proteggerle. -
L’uomo soppesò la domanda, poi abbassò lo sguardo – La guerra è l’essenza stessa della nostra natura: conflitto, odio, rabbia. - fece una pausa – I demoni si nutrono del conflitto, lo esaltano. Affrontare la battaglia con il solo scopo di mietere più vittime possibili non è la soluzione. - Dobbiamo appellarci all’istinto più nobile che si possa usare per combattere, ovvero quello di proteggere noi stessi e chi amiamo. E’ solo così che manteniamo la nostra umanità. -
La ragazza restò in silenzio a riflettere su quelle parole, l’istruttore prese un profondo respiro - Una ragazza che stava per essere espulsa, non avrebbe dovuto avere il coraggio per fare quello che hai fatto, non solo per mancanza magica in sé, ma perché non te ne saresti dovuta sentire capace. Eppure hai messo da parte tutto, per il tuo musicante e hai salvato la scuola. -
- Ho solo pensato che un musicante era un’arma più importante di me e se qualcuno doveva morire dovevo essere io. - quasi rise - Ma è logico. Non ero utile dal momento che non ero magica, non sono nemmeno particolarmente abile fisicamente. Messi su un piatto di una bilancia io e Daniel avevamo due pesi diversi. C’era la possibilità che morissi? Certo, ne ero quasi certa. Ma non potevo fare altro che usare ogni briciolo di potere che avevo per provare a usare le mie stupide scintille. -
Fece un gesto con la mano e dalle dita non uscì che un piccolo scintillio.
- Ho pensato che l’acqua avesse potuto aumentare la portata. Non pensavo di ucciderlo, ma almeno di fargli il solletico e distrarlo. -
L’uomo la soppesò attentamente – Sei analitica. Bene. -
- Pensa di potermi aiutare? -
- Posso provarci. - disse – Ma voglio il totale impegno da parte tuo. -
- Ci può contare. - annuì - Ma crede di potermi aiutare a usare la magia? -
- Dentro di te ne hai, dobbiamo solo capire cosa te la fa usare. Adrenalina? Paura? Rabbia? Non è la paura di morire direi, più un…- ci rifletté – un assenza di sentimento. - la indicò dall’altro in basso – Devi imparare a smettere di pensare e buttarti nelle cose. Hai agito sì con pensiero logico,ma senza preoccuparti del resto. Avevi un obiettivo e quello hai seguito. -
Ivory annuì. Era strano che quella persona la stesse psicanalizzando in un attimo, come se lei fosse semplice e ovvia.
Un po’ di sentì ferita, ma tentò di ingoiare il rospo. Per diventare un mago esperto avrebbe dato qualsiasi cosa.
Drizzò le spalle e tirò su la testa - Quando iniziamo? -


A pranzo Lindsey le si sedette con il vassoio accanto e le dette un dolcetto che aveva appena comprato. Lo faceva spesso, era consapevole che Ivory non avrebbe mai speso di sua iniziativa dei soldi per cose futili come dolcetti.
Non che non ne andasse pazza, ma dal momento che i soldi non erano suoi, non gli era mai parso il caso di spenderli in cose che non riguardavano strettamente beni di prima necessità.
- Macaron! - esclamò radiosa, prendendone uno e adattandolo.
- Prima o poi dovrai mangiare anche altro. In tiramisù, magari. -
- O le meringhe. - si sedette Daniela al tavolo con loro – Quelle sono ottime. -
- O i sospiri. Vuoi mettere i sospiri? -
- Bigné? -
- Cannoli! -
- D’un tratto questa cotoletta non mi sembra più tanto allettante. - mormorò Ivory guardando il suo misero pasto – La smettete? -
- Millefoglie. - continuò Lindsey, divertita.
- Cheesecake. - rincarò Daniel.
- Vi odio. - concluse Ivory esasperata.
I due ridacchiarono, poi iniziarono tutti e tre a mangiare.
Ivory raccontò dello strano incontro con il suo nuovo insegnante privato.
- Domani inizierò. Non so davvero cosa mi aspetterà. -
- Vedrai andrà be…-
Lindsey si interruppe e il suo sguardo si spostò verso il fondo della sala, la sue pelle già candida divenne ancora più pallida.
- Non ti girare. - soffiò.
- Oddio cos’altro c’è? - si girò e si ritrovò di fronte il suo incubo peggiore: la madre adottiva era in piedi all’ingresso della caffetteria, i capelli raccolti in uno chignon alto, un maglione lungo che in qualche modo le fasciava i fianchi in modo elegante, una ciocca sul viso, il rossetto aranciato e lo sguardo affilato.
- Ivory Cornelia White. - tuonò.
- Io non c’entro. - si alzò con le mani aperte in un chiaro segno di resa.
La signora Alisia White spostò lo sguardo verso sua figlia che le fece uno sguardo innocente – Devo essere chiamata dal preside per sapere che sei stata attaccata da un demone?! - la sua voce fece girare metà della scuola, così Ivory fu costretta a correre ai ripari, si alzò e la invitò ad allontanarsi da occhi indiscreti. Lindsey la seguì a ruota, pronta a farle da sostegno morale, ma si ritrovò rimproverata per mezz'ora anche lei. Alisia fece una lunga ramanzina ad entrambe e solo dopo aver perso la sua preziosa voce, si calmò e rubò ad entrambe un fortissimo abbraccio.
- Mi avete fatta morire di paura! - esclamò prima di scioglierlo – Andrò dritta da chi di dovere e chiederò come un demone abbia potuto passare il confine. Questa cosa non è assolutamente ammissibile! -
- Ti prego, non fare scenate. - la implorò Ivory con un espressione contrita – Ho già abbastanza occhi su di me, in questo momento! -
Alisia fece una smorfia offesa – Ma è il mio dovere. Ho firmato per sgridare chi vi da noia. E un demone in una scuola che si dice essere sicura la dice lunga sulla sicurezza. Magari dovrei pensare di spostarvi in un’altro istituto. -
Ivory prese le mani della madre adottiva con un'espressione decisa – Andrà tutto bene, stiamo bene e stanno sistemando la situazione. Se non eravamo totalmente al sicuro prima, ora non ci potrà fare più male nessuno! - la rassicurò – Ora stanno aumentando le difese fino all’estremo, non esiste nessuna scuola più sicura di questa! -
La signora White incrociò il suo sguardo con rabbia, pietà e determinazione – Ma devo comunque fargli una lavata di capo. - soffiò – Hanno aspettato perfino a chiamarmi, qui si sfiora il ridicolo! -
Lindsey intervenne, abbracciando la madre dolcemente – Dai andrà tutto bene, stiamo bene. E poi lo sai anche tu che Miss Tonya è la migliore musicante da cui potrò mai imparare! -
Le labbra rosse e imbronciate si aprirono per fare un lungo sbuffo – Se succede qualsiasi altra cosa, vi ritiro. - si arrese.
Ivory colse l’occasione al balzo per cambiare discorso – Sai che mi hanno assegnato un insegnante privato? Mi aiuteranno a sviluppare la mia magia anche perché i metodi convenzionali finora non hanno funzionato molto. -
Alisia esitò solo un attimo prima di accarezzarle il viso in un gesto materno. Non era la sua vera madre, ma entrambe condividevano un sentimento che era molto simile ad un vero legame familiare. Era diverso da quello con Lindsey, tra loro ci sarebbe sempre stato qualcosa di unico e speciale, ma con Ivory il suo atteggiamento era intenso e caldo. Non era pietà, anche se per anni lo aveva pensato, non aveva biologicamente necessità di amarla, ma aveva scelto di farlo.
- L’hai già incontrato? Come ti è parso? -
Ivory cercò le parole – Criptico, direi. Filosofico. -
La madre fece una smorfia confusa, ma poi scosse la testa – Devo comunque parlare col vostro preside, promettere di non mettervi nei guai mentre sono via? -
- Oddio, per tutto il tempo? - rise Lindsey – Ci possiamo provare! -
Con un ultimo sorriso esasperato Alisia scivolò via, seguendo la segretaria del preside che l’aveva convocata.
Una volta sole, Lindsey prese Ivory per mano e la trascinò via.
Daniel le vide arrivare e concesse a Ivory anche il suo dolce – Allora? Com’è andata? Ancora vive? -
Le due scoppiarono a ridere.

__

Il giorno dopo era una mattina uggiosa, uscire dal letto fu come scalare una montagna, ogni angolo del suo corpo scricchiolava e tirava. Il livido sulla gamba di stava riducendo pian piano grazie alle cure magiche che accellerava il processo ma le era stato consigliato di riposare.
Purtroppo, era più forte di lei.
Daniel fu sorpreso nel vederla, ma le sorrise con piacere.
- Ehi. -
- Ehi a te. -
- Sei sicura di farcela? Zippichi. -
Ivory fece un po’ di stacking, il freddo era pungente e se non iniziavano a correre rischiava di iniziare a tremare come una figlia.
- Devo mantenermi in forma. - fece un piegamento per toccarsi le punta dei piedi - Non sia mai un demone attacchi e sono fuori uno no? Sono il difensore della scuola! -
Il ragazzo ridacchiò e fece qualche allungamento di simpatia alle spalle - Andrò piano. -
- Non serve, corri pure. -
- Scherzi? - soffiò - Al tuo fianco è il posto più sicuro ora come ora. Meglio non rischiare. -
Ivory gli spinse una spalla con fare esasperato, ma tranquillo. Se c’era qualcuno che poteva scherzare sull’accaduto era lui.
Iniziarono a correre, o almeno, a camminare molto velocemente. Ivory sentiva il proprio corpo chiedere pietà già a metà tragitto, mentre Daniel aveva tutto il fiato in corpo per chiacchierare.
- Stai bene? - rallentò ulteriormente quando comprese che i passi della ragazza diventavano sempre più strascicati.
Ivory si appoggiò ad un albero prendendo diverse boccate d’aria, strinse i denti e mugugnò in esasperazione.
- Devo tornare in fretta in forma! - quasi ringhiò.
- Non puoi tornare del tutto in forma per magia, Ivy, lo sai. -
- Sì, lo so. - bofonchiò - Il mio corpo ha bisogno di guarire ma è… frustrante. Non ho la magia, speravo di avere almeno la prestanza fisica e ora nemmeno quella! - dette un pugno all’albero e Daniel prese un profondo respiro.
- Riavrai la tua prestanza fisica,- le disse dolcemente - E possiedi la magia, dobbiamo solo capire come farla uscire fuori. -
- Non posso farmi quasi ammazzare da un demone ogni volta. - disse, capricciosamente.
- Beh, non è quello che fanno tutti gli Chiavi? - sogghignò - Mettersi in pericolo e poi usare la magia per salvarsi? -
Ivory fece un gesto con la mano che voleva allontanare tutta la conversazione, e ancora di più quella gentilezza.
No, magari la gentilezza no.
La compassione, magari.
- Dai, ora sto meglio, corriamo. -
Daniel non sembrava soddisfatto della chiacchierata ma annuì.
Il resto del tragitto fu una intensa passeggiata.

**

Dopo le lezioni, Ivory si recò nell’aula del professore Finch con l’ansia che gli scavava nel petto.
Bussò, entrò e si sedette al primo banco poi attese con pazienza che il professore alzasse gli occhi dal fascicolo che stava leggendo.
- Buona sera, signorina White. -
- Salve. - tirò le labbra in un sorriso ancora più a disagio. Lui si alzò e circumnavigò la cattedra per poggiarsi. Ora che lo vedeva in piedi era più alto di quello che credeva, il suo maglione color cachi faceva non si adattava con la sua carnagione olivastra e i capelli scuri.
– Come sai, insegno solitamente a studenti più avanzati, quindi ho bisogno di fare un po’ il punto della tua istruzione. - disse, nella sua voce c’era un leggero accento che non sapeva decifrare, ma era così flebile che si notava solo in alcune parole - Parlami delle categorie di demoni che conosci. -
Ivory prese un lungo e profondo respiro prima di iniziare.
- Ci sono un incalcolabile numero di categoria, ma possiamo raggrupparle in quattro macro-categoria: Corposi, Umanoidi, Mentali e Insidiosi. Il primo gruppo, sono demoni appena arrivati sulla terra, hanno più forme e dimensioni e sono impacciati nei movimenti e lenti, si sospetta siano usati come sentinelle, vittime sacrificali per spiare il nemico. -
- Come si battono? -
- Il loro corpo è un ammasso unico, sono i più vulnerabili. Magia elementale, combattimento corpo a corpo. - risposte.
Il professore non sembrò particolarmente entusiasta dell’inizio ma la spinse a continuare.
- I secondi…- riprese lei - sono più simili a noi come forma e di conseguenza hanno più modalità, sono letali, spietati. Veri assassini. -
- Come si uccidono? -
Ivory strinse le labbra - Il loro corpo hanno un catalizzatore, bisogna trovare quello e distruggerlo. -
Il professore annuì e Ivory si sentì sempre più sicura di star andando bene.
- i Mentali sono una categoria superiore- continuò - ti leggono il pensiero, trovano le tue debolezze e ti distruggono mentalmente prima di ucciderti. - e lo anticipò con - La musica è l’unica arma veramente utile. Interrompono il collegamento, li indebolisce, elimina la presa che hanno sulla vittima. Si uccidono con molto allenamento e molta, molta fortuna. -
Il professore si fece più attento, l’ultima categoria era quella più importante. Soprattutto per lei.
- Gli incorporei non hanno fisico. - disse - Usano il tuo. Ti entrano dentro, si impossessano di tutto ciò che sei, che ti appartiene e che ti rende umano e lo distruggono. - sentì il battito del proprio cuore essere arrivato fino in gola. Prese diversi respiri profondi prima di dire - La musica e le Cantanti sono le uniche armi che possiamo usare, e anche così, se il demone ha fatto radici troppo profonde, la sopravvivenza è quasi impossibile. -
Fu fiera di lei, per essere riuscita a dirlo senza che la voce le tremasse, peccato che il suo sforzo di restare impassibile fu vanificato da due lacrime che scivolarono senza permesso lungo le guance. Cercò di tirarle via, senza sembrare troppo ovvia, mentre l’umiliazione diventava la sua seconda pelle.
Il professore non sembrò sorpreso dalla cosa, ma sciolse le braccia incrociate e disse solo, con voce sentita - Mi dispiace per tua madre. -
- Non c’era nulla che potessero fare ormai. - replicò e odiò doverlo ammettere ad alta voce. Una parte di lei, inconscia, irrazionale e infantile, rivisitava ogni attimo della sua infanzia come se potesse trovare qualcosa, un qualsiasi appiglio che poteva significare la sua salvezza.
Non importa quanto avesse studiato quelle creature e ne avesse compreso le capacità, la parte infantile di lei avrebbe solo voluto salvare sua madre.
- Possiamo…- odiò il groppo in gola - possiamo passare alla parte in cui mi insegna a far uscire la mia magia? -
Il professore ci rifletté qualche attimo, poi si alzò.
- Perfetto. Iniziamo. -

***

Il professore la mise davanti a un manichino e le disse in parole povere di colpirlo, senza usare pugni o calci.
Ivory strinse le labbra - Finora ho fatto solo scintille non credo di riuscire. -
- Hai dimostrato più che chiaramente che la tua magia sia di attacco. - le prese le spalle e la drizzò - Magari non impari con le basi, impari sul campo. Ora guarda quel manichino, incazzati e colpiscilo. -
- Dovrei… incazzarmi? - fece eco Ivory - Ma nn dovrei invece concentrarmi? -
- Per far uscire la magia sì, per canalizzarla anche, per renderla potente servono le emozioni. - si allontanò da lei - Proviamo a vedere se le emozioni sono il punto di partenza da cui iniziare. -
Ivory non sembrava molto convinta, ma non aveva altra scelta. Guardò il manichino e cercò di pensare ai modi in cui quel manichino poteva averla offesa.
Essere inanimato, effettivamente poteva essere molto offensivo.
E non voler ma aprire un dialogo.
S’umettò le labbra per non ridere di quei pensieri stupidi, quindi tentò di pensare a qualcosa che la facesse davvero arrabbiare.
Decise di non arrabbiarsi verso il manichino ma di sfruttare la rabbia che aveva dentro di sé.
Non era certo poca.
Il suo respiro divenne via via più intenso, man mano che le cose che odiava le balenavano il pensiero, aprì le dita, alcune scintille apparvero. Si aggrappò ai ricordi, le pressò nel pugno e li lanciò verso il manichino.
Non accadde nulla.
- Ci riprovo. - si affrettò a dire chiudendo nuovamente gli occhi.
Questa volta, si concentrò davvero, eliminò ogni altri pensiero, non fece un miscuglio dei suoi sentimenti, ma cercò specifici ricordi, quelli a cui evitava di pensare, che scacciava quando andava a dormire.
Scavò in profondità per non trovare solo la rabbia impulsiva, superficiale, ma cercò la vera rabbia, la vera disperazione.
Si rese conto di aver serrato la mascella solo in un secondo momento.
alzò la mano, evocò non semplici scintille, odiava anche loro.
Invocò il fuoco: una magia elementare.
Se doveva fallire, tanto valeva fallire in grande.
Ciò che non si aspettò fu sentire il corpo attraversato da un'ondata di qualcosa che quasi la stordì tanto da faticare a restare in piedi.
Alzò gli occhi, sperando di esserci riuscita, di aver colpito il manichino, ma scoprì con disappunto che era ancora lì, statico e arrogante nella sua immobilità.
- Ci riprovo. - disse, sentendosi sfinita.
- No. - le ordinò il professore.
- Ma posso farcela! - si girò ad affrontarlo - Posso…! -
Il professore le prese un braccio e le alzò la manica. Nonostante la stoffa fosse integra sulla sua pelle ci erano delle vesciche.
- Da dove…- farfugliò. Non facevano nemmeno male.
Fino a quel momento.
Represse un urlo quando, come un rinculo, il dolore le si irradiò per tutte le sinapsi. Il professore evocò alla svelta della magia curativa che le tolsero gran parte delle ustioni.
- passa in infermeria. - le ordinò - O resterà la cicatrice. -
Ivory annuì e riprese il possesso del suo braccio - Quindi… ho speranze dottore? - tentò di scherzare.
Il professore sembrò guardarla come se dovesse decifrare un enigma, poi tentò di rilassarsi.
- Qualcuna. - fece un cenno al braccio - Mal indirizzato e decisamente fuori dalla tua portata, ma era magia. Abbiamo qualcosa da cui partire. -
Se non fosse stato del tutto inappropriato, lo avrebbe abbracciato.
Si limitò quindi a annuire e andare via dall’aula.
Per una volta, con il sorriso.

__

La sua vita divenne una nuova routine. Si alzava di mattina, andava a correre con Daniel, faceva le lezioni. Il pomeriggio incontrava il suo tutore e tentavano nuovi modi per affrontare la sua magia.
Sembrava, tuttavia, che il suo corpo rigettasse la magia, ogni volta che riusciva a far scorrere nelle vene vampate di essenza, si ritrovava lividi o bruciature.
Era fragile. Troppo fragile. Ormai in Infermeria era diventata un habitué.
Per lo stress, aveva iniziato a mancargli l’appetito anche se si sforzava a mangiare lo stesso, e nemmeno il sonno sembrava riposare a dovere.
Ogni giorno si sentiva sempre peggio.
Spesso passava a trovare Noel, pare che volessere farle accertamente e tenerla sotto osservazione prima di farle frequentare qualche classe.
Se se ne ricordava, le portava i suoi vecchi appunti delle lezioni.
Nel tempo libero pranzava con Lindsey o ne approfittava per riposare.
A volte, Ivory era semplicemente così stanca e stressata che si metteva a correre anche solo per sciogliere i nervi e ogni volta i suoi passi la portavano sempre più lontano, nelle profondità della foresta che circordava l’accademia, ma non abbastanza inoltrata da uscire dal cammino protetto. Su quello aveva ben chiaro di non dover andare oltre, anche se avevano sistemato le difese, una parte di lei ora vedeva la fitta vegetazione come un possibile pericolo.
Quel pomeriggio corse lungo il viottolo alberato che arrivava fino all’anfiteatro dei musicanti.
C’era così tanto sole quel giorno che le foglie decorazioni sul terreno, come onde di un mare invisibile di cui si poteva vedere solo la schiuma. Nonostante fosse ormai quasi autunno, erano poche le foglie che erano cadute dagli alberi che quasi stonavano nel verde che ancora permaneva.
C’era una cosa che non aveva mai compreso di tutto il quadro che rappresentava l’accademia ed era la bellezza che essa emanava.
Al di fuori di quelle mura c’era una guerra, la gente correva ogni giorno il rischio di affrontare un nemico che nel migliore dei casi ti uccideva solo, nel peggiore, ti distruggeva. Un nemico non gli faceva nemmeno il piacere di essere concreto, tangibile e paritario nella lotta. Stavano perdendo.
Non era solo una sua supposizione, era qualcosa che la gente faceva di tutto per ignorare, seppur impossibile. Adolescenti venivano addestrati a combattere, un adulto per famiglia era al fronte, mentre l’altro si occupava della famiglia che restava a casa.
Le famiglie erano divide, spezzate.
Le persone che combattevano affrontavano la battaglia già rotti in piccoli pezzi: solitudine, paura, pressione, erano solo pezzi di un enorme puzzle.
Erano tutte crepe di cui un demone poteva approfittare, in un potevano insinuarsi.
Come si poteva sconfiggere qualcosa che si nutriva delle tue stesse paura? Erano inevitabili, erano reali ed erano umane.
Come poteva allora quel posto, la cui utilità era addestrare ad una lotta impari, essere semplicemente così bello?
Sin dal primo ingresso, con l'enorme fontana in un angelo che si copriva il volto come se piangesse e l’acqua cristallina, il primo impatto era quasi abbagliante.
Viali alberati, siepi perfette, palazzi verniciati che non accettavano nessuna crepa nell’intonaco. Perfino la netta differenza tra l’ala delle chiavi e l’ala dei musicanti non permetteva agli occhi umani di non essere affascinato dalla bellezza.
Perfino nei posti meno curati, come quel sentiero lasciato alla balia dei mutamente del clima, c’era un senso di pace, la vegetazione era sempre rigogliosa, sempre colorata in ogni stagione e alla fine c’era un anfiteatro, quasi del tutto inutilizzato, che veniva costantemente rinnovato e abbellito.
Sospettava ci fosse della magia a sorreggerlo.
La cosa che però lo rendeva così unico era che fosse completamente immerso nel verde, non ne era un intruso, ne era compagno. Non veniva quasi mai usato se non per saggi e concerti sporadici, e non era poi troppo male.
Ivory camminava sul sentiero, godendosi il suono delle sporadiche foglie scrocchiare sotto i suoi passi, respirando l’aria pulita.
Se ci faceva caso, poteva quasi sentire gli interventi alla barriera magica, era un poco come una stanza appena imbiancata. Sapeva di nuovo, sapeva di pulito.

Era quello a non capire; la bellezza.
Perché esisteva un posto con una tale magnificenza ad addestrare persone che sarebbero quasi sicuramente morte in una battaglia cruenta?
Ci aveva pensato nel tempo, ma l’unica risposta che aveva trovato era che fosse un’illusione, la più crudele. L’illusione che la guerra poteva essere vinta, che potevano affrontare tutto col giusto addestramento.
Ivory si fermò, senza fiato, la testa che non faceva altro che vorticargli attorno. si asciugò il sudore dalla fronte e scoprì di essere arrivata all’anfiteatro.
Osservò il legno del palco che, nonostante le intemperie, restava stabile e solido, osservò le gradinate in marmo bianco linde se non per qualche foglia caduta dagli alberi vicini.
Le piaceva quella bellezza, era bello, ma era anche triste e decadente. Nessuno visitava mai quel posto, nessuno aveva il tempo o la voglia di arrivare fin lì.

Ivory salì sul palco al centro della gradinate, con i piedi lanciò via alcune foglie creandosi una piccola nicchia immacolata, poi chiuse gli occhi e si concentrò nel sentire il silenzio.
Era bello, il silenzio. Quel posto era forse l’unico in tutta l’accademia dove non ci fosse una nota, un canto, diapason e metronomi.
Ora che il respiro stava lentamente tornando normale, anche il battito del suo cuore si stava calmando. Il suono del suo respiro sembrava assordante in quel silenzio, ma le sue orecchie lo trovavano rilassante; nessun’altro suono all’infuori del battito del suo cuore, del suo respiro e del vento che gentilmente scuoteva le foglie.
Era estenuante, vivere all’accademia.
Era estenuante… tutto.
- Che stai facendo? -
Ivory sobbalzò e si mise d’istinto in una posizione d’attacco, salvo poi scioglierla quando vide che, in piedi, ad un lato del palco, c’era un ragazzo che aveva visto qualche volta in giro per scuola. Non ricordava il suo nome, ma ricordava di averlo notato passeggiare per i corridoi. Non era il tipo di guardare i ragazzi, ma lui era impossibile da ignorare dal momento che, invece che uno strumento classico come un violino, o un clarinetto o il pianoforte, portava sempre sulle spalle la custodia di una chitarra.
La chitarra non era uno strumento capace di canalizzare la magia, non raggiungeva delle note così alte da far male i demoni, per questo lo aveva trovato strano.
Ivory fece un mezzo sorriso, poi alzò le braccia e iniziò ad urlare alla platea vuota – Signore e signori… il chitarrista della scuola! Fate un applauso! -
Iniziò a battere le mani, prima di farsi da parte per farlo salire.
Lui alzò un sopracciglio, chiaramente sorpreso da questa mossa, ma salì sul palco sostenendo il suo sguardo per poi girarsi verso le gradinato e fare un piccolo inchino, poi si tolse dalle spalle la custodia e la poggiò per terra.
La curiosità prese il sopravvento quando lo vide aprirla. Con sua grande sorpresa, vi era una vecchia chitarra dentro, era di un marrone, un po’ usurata, le corde erano chiaramente nuove, ma il corpo aveva graffi e segni di usura sul manico.
- Oh. - esclamò, sorpresa.
- E’ una custodia di chitarra, cosa ti aspettavi? - fece lui, divertito.
Ivory fece spallucce – E’ che non avevo mai sentito voci su qualcuno che suonasse una chitarra a scuola. -
Lui fece una smorfia – Perché non posso farlo. - indicò l’anfiteatro – Secondo te perché sono venuto qui lontano dal mondo? -
Ivory osservò lo strumento con sospetto. Di solito la musica le dava fastidio, quindi se il ragazzo aveva intenzione di mettersi a suonare era decisamente arrivato il momento della sua uscita di scena.
- Io sono Seth, comunque. -
- Io sono…-
- Beh, credo che solo i sassi possano non sapere chi tu sia, Ivory White. - fece lui, prima di sogghignare.
Ivory strinse le labbra – Sicuro? Credo di aver sentito un paio di sassi spettegolare mentre passavo. -
Seth scosse la testa, divertito – Ah, allora lo sanno anche loro. Sei spacciata. -
- Già. -
Seth prese la chitarra e si mise la cintura sulle spalle, Ivory si chiese quanto sarebbe stato scortese andarsene in quel momento.
- Allora… ti lascio suonare. - tentò.
- Ma come, la mia presentatrice non resta al concerto? - prese il plettro e suonò una singola nota per poi girare una delle chiavi sulla cima.
- Non capita tutti i giorni di avere pubblico. Dal momento che i professori si rifiutano di insegnarmi, mi piacerebbe avere un'opinione una volta tanto. -
- Non me ne intendo di musica. - si difese.
- Non è necessario. - le fece l’occhiolino - Basta solo che ti piaccia. -
Ivory non sapeva cosa fare, come scrollarsi di dosso quella situazione, quindi si limitò a scendere dal palco e andare a sedersi sulla gradinata più vicina. Magari se guardava sempre dritto o concentrava la sua attenzione su altro, poteva sopravvivere a qualche minuto di musica.
Lui fece un sorriso grato, poi suonò un paio di note ancora per prendere il ritmo, qualche accordo per riscaldare le dita.
Ivory nemmeno si accorse che aveva iniziato a suonare per davvero dal momento che il passaggio fu del tutto naturale. Ma d’un tratto si ritrovò avvolta dalla musica e non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
La musica aumentò il ritmo, lui sorrise sovrappensiero, come se suonare gli piacesse davvero, e cambiò poi in una ballata nuova, allegra.
Ivory aveva l’impressione che la musica vibrasse dentro di lei. Era la prima volta che si sentiva così.
Allora era anche questa… musica? Era così diversa da quella che conosceva!
Seth provò un altro paio di arrangiamenti, poi rilassò le spalle e la guardò - Ti è piaciuto? -
Non ne era sicura, ma di sicuro era qualcosa di diverso dal solito.
- Era… musica. -
- Certo che era musica. - fece Seth – Che altro pensavi fosse? -
Ivory strinse le labbra – E’ che di solito… - esitò, gli era sempre sembrato sbagliato odiare una cosa che salvava la vita di molte persone, ma per una volta riuscì a dirlo – La musica mi dà la nausea. -
Seth la guardò per un lungo momento, poi sospirò – A chi lo dici! - mormorò – Studiare musica solo per esorcizzare è… uno spreco. - si tolse la chitarra e la rimise nella custodia – La musica non è magia e di certo non è solo un arma! – dette un colpetto alla custodia – Studio la musica per aiutare ma suono questa per divertirmi. -
Ivory si alzò e lo raggiunse, tirò le labbra in un sorriso nuovo e sollevato – La tua musica mi piace. - confermò – E se mai vorrai un altro po’ di pubblico, fammi sapere. -
Seth restò un attimo a guardarla, prima di stringere le labbra – Lo so. Perdonami. Te lo chiederanno tutti e non vorrai più saperne di raccontarlo, ma…-
- Vuoi sapere com’è andata. - lo anticipò.
Lui annuì, con un'espressione innocente e mortificata.
Ivory allora sospirò e lo invitò a sedersi – Tu mi hai intrattenuto con la tua musica e ora io ti incanterò con la mia appassionante narrazione. -

**
Seth ascoltò il resoconto guardando davanti a sé. Non fece commenti o altro, si limitò ad ascoltare. Dopo di ché, ci fu silenzio per un lungo minuto.
- Riesci a percepirlo? - domandò d’un tratto concentrandosi su qualcosa attorno a loro – La barriera ricostruita. -
- Sì. -
- Prima era sopportabile. - soffiò ora mi sembra che l’aria mi manchi. So che è puramente magica, che non è una vera cupola che circonda la scuola ma…- si sistemò il colletto – Ora che è più presente, che riesco a percepirla così tanto…-
Ivory guardò dritta davanti a sé, cercando di immaginare di essere rinchiusa in una gabbia di vetro – Per questo vieni qui? - domandò – Non è solo per suonare. -
Seth scrollò le spalle e per un poco ci fu silenzio. Ivory lasciò vagare lo sguardo sulla custodia e le sfuggì un sorriso.
- Sai… a me non piace la musica. - confessò.
Seth si girò verso di lei come se avesse appena detto che le piaceva mangiare rane. Era una reazione piuttosto modesta, rispetto a quella che aveva visto per tutta la vita.
“La musica ci tiene al sicuro” le avevano detto, come se questo dovesse fargliela automaticamente piacere.
- Ho le mie ragioni. - disse, abbassando lo sguardo – Non so nemmeno se posso definirle “ragioni”, non è che abbia deciso arbitrariamente che non mi piace. – si affrettò a rispondere, arrampicandosi sugli specchi.
Seth ora si aspettava una spiegazione, lo capiva dalla mano che continuava a vorticare in un gesto che universalmente significava “continua”.
Ivory odiava ripensarci, odiava raccontarlo, ma una parte di lei odiava pure non raccontarlo, come se non fosse che un aneddoto che andava nascosto, o ignorato, quando per lei aveva definito il resto della sua vita.
- Mia madre ha subito un esorcismo. - confessò – Vorrei dire che ero piccola e di non ricordare nulla, ma ricordo tutto. C’era la musica, rimbombava per tutte le pareti. Non avrei dovuto essere nei paraggi, ma quando ho iniziato a sentire le sue urla sono riuscita a sgattaiolare via. – la sua voce si spense – La magia sembra innocua, sono solo note. no? Anche se ci dicono che un’arma non ci fai caso, non finché nn lo vedi davvero. La magia, quella nenia, quelle note erano lame, ferivano mia madre. Le urla, venivano coperte solo in parte dalle melodie e, nonostante tutto…-
- Per me - continuò - la musica è sempre e solo stata questo: musica che copriva le urla di mia madre mentre soffriva. -
Seth incrociò le dita e le gambe, in un gesto solo apparentemente noncurante. Era sicuro di averlo messo a disagio, ma non disse nulla per cambiare discorso o per scappare. Restò lì, fermo, in ascolto.
- Da allora, non importa che tipo di strumento sia, non importa che autore o che tipo di melodia, ho sempre provato un dolore fisico nell’ascoltarla. I dottori dicono che è psicosomatico. -
- E ora sei qui. - si guardò attorno – Sei circondata dalla musica qui. -
- Non c’era altro modo per imparare la magia, no? -
Quella osservazione cadde nel silenzio, le sembrava di vedere le rotelle del giovane girare nel tentativo di trovare qualcosa da dire. Qualsiasi cosa.
- Tua madre… - la curiosità prese il sopravvento.
Ivory, si grattò a disagio un braccio – Non è sopravvissuta. - confermò.
Il silenzio divenne parlabile tra loro, e Ivory decise che aveva anche solo conosciuto quel ragazzo quel giorno, doveva essere veramente fastidioso trovare una ragazza che come prima cosa gli raccontava la propria storia lacrimevole.
Invece, Seth, si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia e disse – Se hai bisogno di parlare ci sono. -
- Nemmeno mi conosci. - gli rinfacciò – Anzi, non avrei dovuto dirti nulla. Immagino che non sia un’ottima seconda impressione. -
Seth sorrise e scosse la testa – A volte si ha solo bisogno di dire ad alta voce le cose. - disse - per non dimenticarle, per non sentire che perdono importanza. - gi girò verso di lei - Per te deve è una parte importante di te, giusto? -
Ivory si strinse nelle spalle – A volte, vorrei solo dirlo a tutti. - mormorò – So che c’è gente che soffre molto di più, che ha perso molto più in questa guerra ma…- esitò – Non rende quello che ho perso meno importante. –
- Non lo è, infatti. -
- Nemmeno mi manca. - confidò - Non so nemmeno se mi manchi lei o l’idea di lei. Ero troppo piccola. -
Seh si girò e una folata di vento le spostò i capelli davanti agli occhi, gentilmente gli prese una manciata di ciocche e glieli tirò indietro in un goffo tentativo di essere gentile. Ma uno degli anelli che teneva alle dita le tirò i capelli.
- Ouch! -
- Scusa! -
Risero, divertiti dalla situazione.
- Se mai vorrai sentire la musica di nuovo senza dover soffrire, sono sempre disponibile. - concluse Seth con una scrollata di spalle.
Lei sorrise di cuore e annuì. Si stava facendo buio, da quante ore erano lì? Ivory si alzò e aiutò anche l’altro ad alzarsi
- E’ stato bello conoscerti. - disse.
- Anche per me. -
- Ci vediamo in giro. -
- Sicuro. -
Iniziarono a camminare verso l'accademia in silenzio, con il respiro del mondo che faceva la contorno a quel loro nuovo modo di approcciarsi.

__

Noel comparve il giorno dopo, con i capelli lunghi e biondi lasciati sciolti e uno scialle color bianco a decorarle il collo.
I cantanti erano una cosa rara, così rara che nella loro vita capitava di vederne solo se c’era un esorcismo veramente difficile da fare.
Per tutta la sua vita si era chiesta se con l’ausilio di una Cantante avrebbero potuto salvare sua madre, ma non aveva mai osato chiederlo.
Lo scialle bianco che le decorava il collo era legato stretto, così stretto che si chiedeva come potesse respirare, si chiese se il suo ricovero iniziare fosse per qualsiasi cosa nascondesse sotto quella stoffa.
La cantante aveva gli occhi assenti, ma non appena la vide un barlume di sollievo scintillò nelle iridi rosse. Ivory le indicò di raggiungerla con entusiasmo.
Per tutta la lezione si scrissero messaggi sul quaderno, molto brevi, giusto per riacquistare un po’ il tempo perduto.
Noel la ringraziò per gli appunti e le chiese se aveva tempo per alcune delucidazioni su alcune pratiche e Ivory le chiese dove alloggiava e se voleva conoscere i suoi amici.
Ci sarà anche la musicante?
scrisse, con un'esitazione evidente tra le dita.
Ivory annì e Noel sembrò molto sulle sue prima di scrivere finalmente un “sì”, anche se poco convinto.
Dopo le lezioni, la accompagnò per un tour dell’accademia. Partirono dalla fontana, poi la portò nell’ala delle chiavi mostrandole cose di assoluta importanza come il distributore automatico, la sala ricreativa con giochi da tavolo e la lavanderia.
- Vi lavate voi le cose? -
- Certo, chi mai dovrebbe sennò? -
Noel sembrò presa in contropiede, Ivory scrollò le spalle - Se ti serve, ti insegno. -
- Questo posto… è così diverso da dove stavo prima. -
Ivory esitò nei suoi passi - com’era? -
Noel si strinse nelle spalle, diventando più minuta, la mano scattò verso lo scialle, ma ritrasse la mano.
- Una gabbia dorata. - rispose.
Ivory non sapeva cosa replicare così decise saggiamente di restare zitta.
A rompere il silenzio, fu la cantante - Perché mi hai aiutato? -
- Solo perché ti faccio vedere l’accademia? per così poco! -
- No. - la voce le divenne gracidante, se schiarì la gola prima di continuare - Anche prima, passandomi gli appunti. -
La giovane chiave scrollò le spalle - Devo avere un motivo? -
- No, ma…- esitò - Sei gentile. -
- Mi sono appena fatta la nomea di sterminatrice di Demoni, ti prego non dirlo in giro che mi rovini la reputazione! -
Noel tirò le labbra in un sorriso prima di iniziare a ridacchiare. Parve risplendere letteralmente di luce propria.
Per un lungo attimo, ne restò affascinata.
- Posso chiederti una cosa? - le fece, e l’ilarità sul suo volto si acquietò, diventando esitante. Annuì a disagio, e stavolta, non poté fare a meno di toccarsi lo scialle, come se temesse si fosse spostato.
- No, non quello. - si affrettò a dire - Mi chiedevo perché sei così restia a incontrare Lindsey. -
- La musicante? -
- Sì. -
Noel unì le mani, meditabonda, iniziò a giocare nervosamente con le dita - Non mi hanno mandata qui per imparare. - soffiò - Mi hanno abbandonata qui. -
- Cosa? perchè? -
Bastò uno sguardo per la risposta, qualsiasi cosa ci fosse sotto lo scialle era la risposta.
- Non posso più cantare, non davvero. Per questo… non servivo più a loro, ma non volevano nemmeno buttare via il mio duro allenamento. - i suoi occhi divennero tristi e lontani - non ce l’ho con la tua amica, ce l’ho… con la musica. - incrociò le braccia, ancora più a disagio - E’ letteralmente la mia vita… - la sua voce si spinse - Lo era, almeno. -
Ivory non conosceva bene Noel, era la sua compagna mentre era ricoverata, le aveva passato degli appunti e le aveva fatto un tour dell’accademia. Tutto qui.
Ma se c’era qualcuno che poteva capire cosa significava essere traditi dalla musica, era lei.
così, senza pensarci oltre, la abbracciò.
La sentì rigida, ma non sembrò rifiutare quell’attenzione così, dopo un po’ di tempo, la lasciò andare.
- E ora...Caffetteria! - annuncio.

**

Dopo aver presentato Noel, Ivory ebbe per la prima volta l’impressione di aver creato uno strano gruppo di amici. Il fatto che odiasse la musica ma i suoi amici erano tutti musicanti e una addirittura una Cantante la diceva lunga sulle sue scelte di vita, ma di certo non se ne poteva lamentare.
In caso di demone, chiamare aiuto.
Pareva essere la persona più al sicuro dell’universo.
Daniel e Lindsey tentarono di far sentire Noel più a proprio agio possibile, erano chiaramente consapevoli della sua condizione quindi tentavano di non parlare di musica tutto il tempo, ma era anche la cosa che avevano più in comune.
Dopo un po’ Noel si scusò per alzarsi e andare via, era evidentemente molto stanca.
- Io non so come farei. - soffiò Lindsey amareggiata - Perdere la musica dopo che è stata tutta la mia vita. -
Un moto di nervosismo attraversò Ivory, ma tentò di sopprimerlo con un sorriso tirato - Troverà qualcos’altro per cui essere felice. Magari può darsi alla pittura. -
Daniel strinse le labbra - Ma le cantanti vengono allevate a pane e musica, vivono persino isolare dal resto della società per mantenere la purezza della voce il più concreta possibile. -
Ivory si passò una mano tra i capelli - E quindi? - disse, trattenendo a stento un ruggito - Ora non può essere più felice? Non può trovare nessun’altro modo di vivere? E’ senza speranza? -
I due musicanti si guardarono - Non stiamo dicendo questo. - provò Lindsey - Ma la musica, la magia che rappresenta, non è solo la cosa su cui si basano le nostre difese, ma è anche parte di quello che siamo. -
Ivory strinse i denti - Se lo fosse, io e te non saremmo amiche. - sbottò.
- Ivory, ma che ti prende? -
La ragazza si alzò, un moto di rabbia l’aveva agguantata nel profondo, fino a risalire alle superficie della coscienza, le dita erano rigide tanto i nervi tesi.
Sapeva che dovevano cambiare discorso, che stava esagerando, obbiettivamente lo sapeva, ma sentiva che se avesse sentito la parola musica anche solo una volta, avrebbe probabilmente urlato.
- Ivee. - soffiò Lindsey, facendosi pià vicina e toccandole la mano - Ti senti bene? -
No.
Non stava bene. Nulla andava bene.
Quante volte quella mano che accarezzava era stata piena di vesciche? Lei era una chiave che non sapeva usare la magia. Noel una cantante priva di voce.
E quello che più di ogni altra cosa che le dava fastidio era che fossero solo quello, che tolta la preziosa magia, la loro vita fosse inutile, che dovevano battersi il petto e pentirsi per cose che non potevano controllare.
Erano persone difettose. Lo sarebbero state per sempre.
La rabbia divenne tristezza. Una profonda, paralizzante, tristezza.
- Sì…- soffiò piano - Sì sto bene. Sono solo stanca. -
Non aspettò nemmeno dieci minuti prima di alzarsi e tornare in camera sua.
Per quella mattina, non ne voleva sapere più nulla.

*

Quando tornò in camera, lo fece trascinando i piedi e ponderando di fare solo una bella doccia e andare a dormire, ma il destino aveva altri piani.
Appena aprì la porta, si ritrovò nel bel mezzo di un pigiama party.
La sua compagna di stanza vestiva di rosa e aveva ai piedi babbucce a coniglietto, mentre sue due amici vestivano di blu e verde.
- Cosa…? - soffiò.
Una delle ragazze, quella vestita di Blu prese un vassoio e glielo allungò - Bentornata! Muffin? -
- Ma…-
La sua compagna di stanza alzò la mano - Tanti auguri a me, unisciti a noi! -
- E’... il tuo compleanno? -
Lei alzò le mani in un gesto di vittoria.
- Tanti… Tanti auguri. - si sforzò di sorridere - Mi faccio una doccia al volo, poi mi levo tra i piedi. -
- Oh, non osare! - esclamò la ragazza con pigiama blu che reggeva ancora il vassoio dei Muffin - Più siamo e meglio è! Su, metti il pigiama e raggiungici! -

Ivory si era ritrovata quindi invitata ad una festicciola improvvisata senza un vero motivo nel peggiore dei suoi momenti.
si infilò in bagno, mettendo una barriera tra la follia e la sua sanità mentale.
Dall’altra parte della porta provenivano risate e squittii.
Nonostante quella porta che la separava da quelle persone, Ivory si sentiva come se fosse di vetro e tutti potessero vedere che cosa fosse davvero.
Smise di guardarsi allo specchio e si infilò in doccia. Mentre si lavava, cercò di far scivolare via ogni suo pensiero negativo.
Cosa le era successo prima? Non era nemmeno la prima volta, purtroppo.
A volte, erano più forti di lei, apparivano come un'ondata, le toglievano il respiro e ogni forma di felicità, ma poi piano piano passava e si sentiva stupida ad aver provato quelle sensazioni.
Era colpa dell'adolescenza di sicuro, ma a volte gli sembrava che in lei ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.
Come se non importava quanto si impegnasse, non c’era niente che potesse fare.
Uscì dalla doccia e indossò degli abiti comodi.
Le altre avevano fatto un cerchio e stavano giocando una una bottiglia che usavano come puntatore.
- Vuoi giocare con noi? -
Ivory cercò nella sua testa qualsiasi scusa possibile immaginabile, ma a sua salvezza arrivò un knock knock alla porta.
Tirò un sospiro di sollievo e si affrettò ad aprire. Si ritrovò davanti Linny con le mani sui fianchi e un cipiglio guerrafondaio.
- Ora io e te parliamo. - decretò.
- Ciao anche a te. - fece Ivory. Dalla stanza ci fu uno squittire che la spinse a indicarle il corridoio. Uscì dalla stanza a Linny la seguì.
- Allora? - disse dopo un po’ – Che hai? -
- Io? Niente! -
Il sopracciglio biondo di Linny rischiò di arrivare al soffitto per quanto s’era alzato.
Ivory accusò il colpo e prese un profondo respiro. Iniziò a camminare, e portò Linny fino alla stanza dei giochi e si avvicinò all’hokey da tavolo.
Quando le propose di giocare, Linny accettò non perché avesse deciso che andava bene non parlare, ma perché sapeva che per lei era difficile affrontare i suoi sentimenti.
Ivory prese il dischetto e lo colpì, Linny lo parò al volo facendo subito gol e la sfidò con lo sguardo.
- E’ chiaro che qualcosa ti bolle nella testa, forza, spara. -
Ivory strinse le labbra e si preparò a tirare un altro colpo – Ho avuto un momento. Sai che li ho. -
- So che hai crisi. - replicò Linny subito – E lo capisco, davvero, sei sotto un enorme pressione, sarebbe strano il contrario. Ma non ne parli, ti tieni tutto dentro e non è salutare. -
Ivory tirò il colpo solo per fare qualcosa, ma lo fece poco convinta. I suoi occhi seguirono una traiettoria che non superò nemmeno la metà del campo. Linny si dovette quasi stendere sul tavolo da hokey per poter ritirare indietro. Facendo un altro gol.
- Allora? - insistette – Vuoi parlare o devo continuare a stracciarti? -
Aveva stretto il dischetto così forte che ormai le dita si erano quasi del tutto sbiancate – Tanto. - mormorò – Sarebbe l’ennesima cosa su cui tutti sono più bravi di me. -
Dirlo, le fece male. Tutta la tristezza la colpì come un pugno nello stomaco. Distolse lo sguardo per non farle vedere gli occhi rossi, ma non bastò. Linny aveva abbandonato la partita per correre da lei e stringerla in un abbraccio così forte che distrusse il resto delle sue difese.
Pianse per un poco affondando il viso sulla sua spalla finché non divenne improvvisamente stupido e infantile.
Tirò sul col naso e Linny prese un fazzoletto dalla sua tasca come se si fosse aspettata quel crollo e fosse venuta preparata. Probabilmente era così.
Dopo essersi ricomposta Linny di dipinse di nuovo in faccia l’espressione di rabbia.
- E ora vediamo come posso farti togliere queste stupide idee. -
- Non sono stupide idee. - si difese lei in un lamento molto poco maturo.
- Vuoi che ti picchi. - realizzò Linny cono una scrollata di spalle – Non posso farlo con le mani, ma posso prenderti a calci. -
Ivory strinse le labbra – Tu non puoi capire, tu riesci sempre in tutto. -
Linny le lanciò un’occhiata raggelante – Sai che non è così. -
- Oh, andiamo! – soffiò Ivory sulla difensiva – Ami la musica, la suoni divinamente, sei la migliore della tua classe. -
- Perché faccio più pratica. - si difese – Le cose che ho non mi piovono dal cielo, me le guadagno. -
- E io non me lo sono guadagnato? - quasi soffi, senza fiato – Non dormo per allenarmi e tenermi in forma, ho passato notti a studiare la teoria e comunque mi ustiono ogni volta che provo anche solo a fare una stupida magia. - si guardò le mani – per tutti è sempre così… facile. -
- Non è facile. Ivory-
- Più facile, però sì. - mormorò – Perché io non ci riesco? -
Quella frase le era vorticata nella testa ancora, ancora, ancora e ancora. Senza fine, senza sosta e senza pietà.
Linny si sedette vicino a lei e rifletté bene su cosa dire – Ognuno ha il suoi tempi, ma ti è mai venuto in mente che non ci riesci perché ti metti troppa pressione addosso? Quando hai usato la magia per salvarti la vita hai pensato solo a quello, non aveva tutte le tue insicurezze e la pressioni. Dovevi usare la magia e l’hai usata. -
Ivory si sentì colpita in pieno petto – E come…- la voce le calò di un tono – Come faccio a spegnere il cervello? Non è esattamente il mio forte. -
- A me aiuta la musica. – soffiò – potresti provare…-
- No. - quasi ringhiò.
- Dovresti darle una possibilità. -
Ivory sviò lo sguardo e poté percepire il risentimento di Linny anche se non poteva vederla, la sentì prendere un profondo respiro.
- Possiamo fare una ricerca e vedere se ci sono dei modi raccomandati, li proveremo tutti finché non troviamo quello giusto per te. -
- La fai così semplice. -
- Perché deve essere semplice. - soffiò – E’ esattamente quello il punto. Devi smetterla di preoccuparti, devi smetterla di farti pressioni assurde. Devi pensare che puoi farcela, altrimenti è come mettersi a correre con dei pesi alle caviglie: stupido e inutile anche se ti sforzi più degli altri. -
Ivory annuì, lentamente, poi cercò il braccio di Linny solo per avvolgerlo con le sue e poggiare la testa sulla sua spalla.
- Sei la migliore amica-sorella che qualcuno potrebbe mai avere. - sentenziò.
- Sono centocinquanta dollari, li voglio entro la fine del mese. -
Scoppiarono a ridere e Ivory intensificò la presa fino a che Linny non iniziò a non sentire il sangue fluire al suo braccio.
- Ti voglio bene. - le disse prima di lasciarlo.
Linny annuì, poi le sorrise – Purtroppo anche io. E, ricorda, che ti posso prendere a calci quando voglio. -
- Croce sul cuore –


__


Si sentiva meglio, odiò ammetterlo. Il fatto che Lindsey avesse insistito affinché parlasse ad alta voce dei suoi problemi, il fatto che li avesse ridimensionati a una dimensione non così insormontabile e risolvibile aveva dato alla sua mente un po’ di sana prospettiva.
Quel giorno, dopo le lezioni, si presentò dal professore con una nuova mentalità.
- Ho pensato a un modo. - disse senza manco salutarla. Ivory avanzò nella stanza e poggiò la porsa pi si apprestò al manichino.
- Cosa? -
Il professore prese dalla tasca un piccolo rettangolo dorato con delle incisioni sopra con segni che non aveva mai visto.
- cos’è? -
- Un talismano. - rispose – Voglio che quando senti la magia credere, ti concentri a stringere questo in pugno. -
Ivory guardò quel piccolo oggetto dorato con esitazione.
- cos’hai da perdere? - le disse, con un sorriso innocente.
Ivory lo prese e lo rigirò tra le mani. Doveva provarci, del resto lo aveva promesso a Lindsey.
Annuì e si preparò mentalmente, cercò nella sua memoria le immagini che più la facevano arrabbiare, ma per qualche ragione non riscivapiù ad alimentare il suo rancore.
Stava meglio, ecco perché. Aveva passato la settimana prima a alimentare la rabbia, diventando sempre più depressa e frustrata e ora che stava meglio, era difficile tornae in quello stato d’animo.
Prese un profondo respiro, e tese un braccio mentre teneva il talismano con l’altra mano.
Cercò la scintilla dentro di sé. Mentre si sforzava di concentrarsi sui contorni levigati della pietra.
Un altro respiro, più profondo, cercò nella sua memoria ricordi a cui odiava ripensare.
Accadde all’improvviso, come un flash.
Per un secondo, nel buio della sua menta, era apparsa sua madre, scheletrica, con i capelli lunghi e annodati, le labbra tirare in un macabro sorriso, gli occhi sbarrati e bianchi.
Apparve e scomparve così brevemente nella sua mente che le parve un immagine in negativo restata nella sua retina, ma il suo istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.
Tutto il suo corpo cercò di scacciarla, di difendersi, di dare fuoco al mostro che sono per sbaglio aveva l’immagine di sua madre.
Sentì la scarica di adrenalina scivolare lungo tutto il suo corpo e si ritrovò a riversarlo contro quell’immagine. Solo per pura coincidenza, contro il manichino.
Per un secondo, le parla la cosa più nromale del mondo che il manichino stesse andando a fuoco scaraventao dall’altraparte dlela stanza. Mosse le dita e su come confortata dall’avere in mao quel talismano, come fosse un’ancora nella giugla delle sue emozioni.
Si girò verso il professore pronta ad esultare, ma questi guardava il manichino come un intensità assoluta.
- Non dirmi che c’era qualcosa tra lei e quel manichino. - provò a sdrammatizzare.
L’uomo per un lungo attimo parve non sentirla, poi tornò lentamente su di lei.
- Puoi andare. - disse.
- come? -
- Per oggi abbiamo finito. -
Il manichino ancora si scioglieva dall’altra parte dalla stanza, ma il professore non si curò nemmeno di spegnere le fiamme.
Si curò invece di metterle in spalla la borsa e dirle di nuovo che per oggi avevano finito.
Ivory si ritrovò fuori dalla stanza con lo zaino tra le braccia, nessuna idea di cosa fosse successo e il pomeriggio libero dopo un sacco di tempo.
Mentre camminava, si rese finalmente conto che aveva usato finalmente la magia.
Un’ondata di felicità la colse come un vuoto d’aria. Il sorriso le spuntò sulle labbra fino alle orecchie. Mentre camminava si sentì quasi si star saltellando.
Era così distratta dalla sua riuscita che non si rese nemmeno conto che ci fosse qualcuno davanti a lei e che fosse in rotta di collisione.
Quando la sua faccia finì schiacciata su un petto solido come la roccia, si fce indietro chiedendosi se le si fosse rotto il naso.
Seth soffiò – Caspita non mi avevi proprio visto! -
Ivory si sciolse in un sorriso più divertito – Ho usato la magia!_ quasi saltellò – Vera magia. -
Seth si illuminò – Lo sapevo che ne eri capace!_
- Lo so! - esclamò stavolta facendo un piccolo saltello.
- Dobbiamo festeggiare. - decretò – Che ne dici stasera a cena? -
Ivory annuì energicamente – Lo dico anche a Lindsey, Daniel e Noel! Oh, ne saranno felicissimi! -
Il sorriso di Seth sembrò insolitamente tirato quando annuì – Certo, sì… anche loro. -
- Dove andiamo? - domandò ancora Ivory – Ho sempre voluto giocare a Bowling, ci andiamo? -
- Certo. -
- Ottimo! Allora ci vediamo stasera! -
Questa volta, mentre andava via, nemmeno fece finta di camminare normalmente.

**

Seth arrivò con una chiodo di pelle, jeans che gli fasciavano bene le gambe e i capelli tirati all’indietro.
Quando Ivory lo vide, quasi scoppiò a ridere – Come ti sei conciato? -
- Sto bene. - si difese scrollando le spalle.
- Sì, cioè, stai benissimo. Un po’ fuori moda, però. -
- Le giacche di pelle non passeranno mai di moda. - si difese.
Lindsey apparve come un angelo in terra, aveva i capelli sciolti e mossi che cadevano fino dietro la schiena un vestito rosa antico con un ampia gonna e un gioco e una borsetta color perla.
- Cielo, ma vi siete messi d’accordo per vestirvi in modo strano? - protestò Ivory che poteva ribattere solo con una giacca il cui unico scopo era tenerla al caldo, un jeans nero e una T-shirt con tre stelline di diversa dimensione a decorarla. Aveva lasciato i capelli sciolti, senza acconciarli minimamente quindi cadevano appena sulle spalle in modo disordinato.
Se Lindsey non avesse insistito, non si sarebbe messa nemmeno il velo trucco.
L’ultimo ad arrivare fu Daniel che apparve con un maglione a collo alto e una giacca che gli fasciava la vita in modo da slanciarlo.
- Cielo, torno a casa, siete tutti troppo tirarti a lucido! - si lamentò.
- Dai! E’ un’occasione da festeggiare! - Lindsey la prese sotto braccio – Forza, andiamo! -

**

Presero un Taxi. C’era una città piccina vicino l’accademia che potevano visitare nei weekend. I ragazzi più grandi, una volta raggiunta l’età, ottenevano la macchina per poterci andare ogni volta che potevano.
Durante il viaggio Ivory raccontò com’era andata e spiegò in parte come ci era riuscita. L’immagine di sua madre era l’ennesima cosa che teneva per sé, ma avere una madre demoniaca morta non era esattamente il tipo di cose che teneva allegra la compagnia.
Daniel intrattenne tutti con alcuni gossip che aveva sentito, tutti appartenente alla dei musicanti, quindi Ivory per un po’ restò tagliata fuori dalla conversazione. Lindsey provava a spiegargli di quanto in quanto chi fossero le persone coinvolte nello scandalo, Seth si limitava ogni tanto a farle domande random come se cercasse di attaccare discorso, uno qualsiasi.
Il bowling era la cosa più patetica che la cittadina offrisse ma era anche l’unica cosa da fare. Con grande rammarico dovettero rinunciare alle proprie scarpe per quelle a noleggio.
Ivory decretò che le donavano di sicuro meglio di quelle con cui era arrivata e si precipitò lungo la corsa.
Saggiò con le dita diverse palle da bowling prima di decidere quale le andasse più a genio, quindi optò per la più leggerla e si arrogò il diritto di fare il primo turno.
Il primo colpo finì completamente di lato e tutti le fecero un applauso consolatorio.
- Dai, ce la puoi fare! – tifò Lindsey – Hai altri due tiri! -
Prese la sua seconda occasione rotonda e si concentrò, questa volta, decise che avrebbe messo più forza nel tiro così che la forza cinetica non avrebbe permesso alla palla di deviare ma, come se la palla l’avesse udita e avesse deciso di protestare, nonostante il lancio perfetto arrivata alla fine del corridoio, girò all’ultimo.
A Ivory sembrò perfino che le avesse fatto la linguaccia.
La terza palla, la lanciò con noia. Becco un birillo. Uno.
- Sono chiaramente truccate. - decretò.
La seconda volta fu il turno di Noel. Si approcciò alla palla come se non ne avesse mai vista una, forse era così. La prese e imitò Ivory e, per qualche strana ragione, lei riuscì a buttare giù quattro birilli.
- Ma no! - quasi urlò – Protesto! -
Fu il turno di Daniel che fece strike al primo turno, ma poi scrollò le spalle come se non fosse nulla di ché.
Ivory mise il broncio e Seth si offrì si andare a prenderle qualcosa da bere.
- Oh, assolutamente! - esclamò seguendolo.
Seth scattò subito al suo inseguimento per poi sorpassarla e raggiungere il bancone.
- Cosa vuoi? -
- Una coca. -
- Due coche! - fece al barista del piccolo banchetto che gliele prese e aprì per metterle in due bicchieri.
Ivory fece per prendere il portafogli ma Seth scosse la testa.
- Offro io. -
- No, non serve. Davvero. -
- Pensala come un modo per farti le congratulazioni. -
Ivory sorrise e prese il bicchiere per berne un sorso – Grazie. Davvero. -
- Non c’è di ché. -
Ivory bevve un altro sorso, sovrappensiero.
- A cosa pensi? -
Lei esitò – Sono felice per esserci riuscita ma poi il professore è andato completamente fuori di testa. -
- Forse non ci credeva nemmeno lui! -
Gli dette un piccolo schiaffetto sulla spalla – Che crudele! -
Seth sorrise e Ivory si ritrovò a pensare d’un tratto che fosse carino.
Fu strano notarlo così all’improvviso.
Lindsey esultò avendo tirato giù metà della fila dei birilli, poi fece cenno loro di tornare.
- E’ il mio turno. - soffiò Seth guardando il tabellone, ma nonostante questo non si mosse quasi aspettasse che fosse Ivory a dargli il permesso.
Lei alzò un sopracciglio e soffiò – Beh, tanto mi straccerai anche tu, che speranze ho? -
Tornarono da gli altri e Seth prese la palla e fece subito Strike. Poi alzò le braccia come a dire “ops”.
– Guarda che ora so dare fuoco alla gente! - replicò lei prima di prendere la palla e puntare a quel maledetti cilindri bianchi.
Impresse tutto l’odio che aveva per quel gioco nel colpo che lanciò troppo in alto tanto da fare un ben botto sul corridoio che rimbombò per tutta la sera. Alcuni degli altri gruppi si girarono a guardare, e Ivory avrebbe voluto sotterrarsi. Inoltre, finì nel corridoio.
- Odio questo gioco. - sentenziò.









La terza sfiorò uno, come a darle l’illusione.
La quarta… oh la guarda fu devastante.
Finalmente fece strike e quando si girò verso i suoi amici, la rabbia accumulate nei suoi occhi spinse gli altri a temere per la propria vita.
Sorrise e ebbero ulteriore paura.
Giocarono per oltre un’ora, con tentativi grossolani e strike riusciti.
La gara era Seth e Daniel che si sfidarono fino all’ultimo birillo finché quest’ultimo non la ebbe vinta.
Seth lanciò un’occhiata a Ivory come a vedere la sua reazione e lei gli dette due pacche sulla spalla.
- Se ti consola, mi hai battuta. -
- Anche il cassiere che non gioca ti ha battuta. -
- Vuoi morire, per caso? -
Risero tutti mentre ripresero le loro scarpe per andare finalmente a mangiare.

**

Si recarono alla tavola calda della cittadina. Non era il massimo, ma almeno i panini erano molto più commestibili di quelli dell’accademia.
Lo stomaco le bruciava a altezza della bocca ma si sforzò di mangiare.
Addentò uno, due bocconi, poi lo mise da parte, avvertendo un senso di nausea diventare più accentuato.
- Ultimamente non stai mangiando molto. - soffiò Lindsey – Ti senti bene? -
- Sì, certo. - mentì.
Daniel e Seth avevano iniziato a parlare fittamente di musica, sentì di sfuggita che Seth suonava il pianoforte.
- Due violinisti, un pianoforte e una cantante. Potreste avviare una band! - scherzò – Io vi faccio da menager. -
- C’è qualcuno a scuola che lo fa. Ai professori non piace molto, ma ci incentiva a fare pratica. - confermò Lindsey – Ma che tipo di musica potremmo suonare? -
- Tutto tranne la musica classica, vi scongiuro. Quella la suoniamo già per lavoro. - bofonchiò.
Ivory soffiò, dal nulla – Ci pensate che c’è stato un periodo in cui la musica era solo… la musica? -
- Molto tempo fa. -
Si strinse nelle spalle come se quel pensiero le avesse fatto venire i brividi, ma l’idea di non associare delle note messe insieme in un armonia a ricordi crudeli ora come ora gli sembrava così… assurdo.
- Come sarebbe il mondo se non fossero mai tornati i demoni? -
- Oggi ti va di fare conversazioni profonde? - domandò Daniel con un sorriso indulgente.
- Scusate. – scrollò le spalle – Avete ragione. Cambiamo discorso. -
Per un secondo regnò il silenzio, Ivory meditò a come riportare la conversazione leggera e sbarazzina, ma con sua grande sorpresa a parlare fu Noel.
- Mia nonna aveva dei dischi. - soffiò – Quando ero piccola li metteva in un apposito strumento e la musica riempiva la casa. – disse con gli occhi lontani in un ricordo – Prima che diventasse la mia vita, prima che diventasse un’arma, la musica era… bellissima. -
La voce si spense, e tutti si guardarono.
- Mio padre aveva una band. - confessò Seth – Suonavano perlopiù musica County, era allegra, era quel tipo di musica che ti fa ballare. -
- Ora perfino la danza è un arma. - guardarono tutti Ivory.
- Viviamo in un mondo dove le cose più belle che esistono sono diventate armi. - realizzò Lindsey – In che razza di mondo viviamo? -
- Cerchiamo solo di sopravvivere. - rispose Daniel.
- Cerchiamo solo di difenderci. - replicò Ivory – Cosa si sta facendo attivamente per chiudere le crepe e isolare i due mondi? Qualcuno lo sa? -
Si guardarono l’un l’altro.
- Sono sicura che ci si stiano impegnando. - provò Noel – Il primo ministro ogni mese era nell’Abbazia per coordinare le Voci. –
- Cosa ne sai a riguardo? - domandò Ivory subito interessata – Pensi che abbiano un piano? -
- Se lo avessero, lo avrebbero già messo in moto. - provò Daniel, poco convinto.
Il macigno al posto dello stomaco che Ivory aveva in qeusti giorni si contrasse. Quel tipo di conversazioni aumentavano chiaramente il suo più che evidente stress.
Guardò il panino e fu certa che se avesse anche solo provato ad addentarlo, avrebbe vomitato tutto.
Si alzò, con le vertigini – Io… torno subito. - soffiò prima di recarsi al bagno.
Una volta lì si aggrappò al rubinetto e si guardò alo specchio. Di solito il suo pallore era già cadaverico, ma ora sembrava ancora più accentuato.
Per un secondo, le parve di vedere una sconosciuta.
- Ti senti bene? - la raggiunse la voce di Lindsey che le era corsa dietro.
- Non molto. - ammise piano – Dammi cinque minuti. -
Lindsey la guardò, attraverso lo specchio e riconobbe la preoccupazione negli occhi. Odiò vederla così, lo stava facendo di nuovo.
- Ivy, meglio tornare. - le tese la mano – andiamo, ti aiuto io. -
Era… buona.
Era… troppo buona.
- Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace? - si rese conto di averlo detto troppo tardi, non seppe nemmeno lei da dove le era venuto. Serrò le labbra, con più forza che poté di rimando.
Lindsey sbatté le palpebre due volte prima di balbettare – I-io… ecco…-
- No, scusa. Non so che mi sia preso! - replicò Ivory – Devo stare più male di quello che credevo…-
Non sembrava offesa, ma la preoccupazione nei suoi occhi si accentò – Da quando siamo all’accademia non sembri più tu. -
- Deve essere solo un po’ di stress. -
Giusto un po’. Un po’… immenso.
La nausea stava lentamente passando, ma non abbastanza da farla allontanare da uno scarico con la coscienza pulita.
- Dammi cinque minuti, arrivo subito. -
Lindsey annuì quasi a rallentatore, poi uscì dal bagno.
Quando tornò a guardarsi, odiò la epersona che vedeva.
Cosa le stava succedendo? Non era da lei. Ultimamente… non si sentiva più lei.

**
Il tragitto di ritorno fu silenzioso, ma non senza alcun sollievo. Una leggera pioggia bagno il tettuccio della macchina e, quel suono rilassante, la provocò un senso di quiete e sollievo così profonda che si ritrovò a chiudere gli occhi, assonnata.
La pioggia le era sempre piaciuta.
Tornò in camera praticamente dormendo, ricordava vagamente di essersi scusata ancora con sua sorella mentre la metteva a letto.
Per poi finire in una profonda oscurità.
Era sveglia o no? No lo sapeva nemmeno, in quell’oscurità così fitta non riusciva a vedersi nemmeno le mani. Era così densa se si chiese se esistesse davvero.
Si addentrò nell’oscurità senza capire dove andare, chiamò i suoi amici.
Li cercò, con sempre più energia, sempre con più smania e paura.
Non trovò nessuno, c’era solo il buio solo un eterno e silenzioso buio
Ma non era sola. Questo lo poteva percepire chiaramente. Passi, sussurri, voci indistinte strisciavano nell’ombra.
Qualcosa cresceva attorno a lei e per un attimo le parve di averlo vicino, così vicino da poterne sentire il gelo sulla pelle.
Si svegliò con cuore in gola e i sudore freddo che le colava sulla schiena.
L’adrenalina che le scorreva nelle vene come tanti piccoli maratoneti.
Prese un profondo e lungo respiro, prima di ristendersi ormai senza alcuna più ombra di sonno.
Il soffitto le parve abbassarsi su di lei, ma sapeva che era solo una sua impressione.
Chiuse gli occhi, e cercò di portare la sua mente al suono della pioggia.


__

Dopo le lezioni si recò dal professor Finch. Aveva provato da sola un paio di incantesimi, e con l’ausilio dell’amuleto le cose andavano meglio.
Non che riuscisse a padroneggiarli, ma già lanciarli era un passo avanti.
Da qualche giorno non dormiva benissimo, e arrivò lì con in mano due caffè nella segreta speranza che il professore non lo accettasse e quindi aveva la ovvia scusa di doverli bere lei entrambi.
Il professore era in piedi davanti la finestra e guardava fuori con sguardo assorto così tanto che nemmeno si rese conto che era entrata lei.
Si schiarì la gola e gli occhi neri del professore saettarono verso di lei.
- Ivory White. - mormorò.
- Presente. - drizzò la schiena – Caffè? -
Il professore la guardò per un lungo attim poi si avvicinò a lei e prese uno dei due caffè e, mentre Ivory tentava di nascondere la delusone, lui prese una fiaschetta e ci verso dentro qualcosa. Poi lo passò a lei.
- Bevi. -
Ivory guardò prima il caffè poi lui, con un espressione confusa – Prego? -
- Non è un alcolico. - tentò di rassicurarla, ma i suoi occhi la studiavano come se cercassero di trovare in lei ogni dettaglio che non andasse. Come un critico d’arte pignolo.
Ivory si sentì in soggezione, ma prese quel caffè e gli dette una veloce annusata prima di prenderne un sorso.
Sentì subito la sua acidità di stomaco risvegliarsi, ma era caffè, era creato apposta per non essere bevuto da persone come lei.
Peccato che fosse anche una maledetta droga per chi non riusciva a dormire bene la notte.
- Ottimo. - sorrise – cos’era? Un dolcificante? -
Le spalle del professore si rilassarono impercettibilmente, come se un pericolo fosse appena scampato.
Tornò a sedersi alla sua scrivania – Oggi faremo una cosa diversa. - disse.
- Un incantesimo d’acqua una volta tanto? Sono sicura di poter creare uno o due mulinelli…- li aveva già creati da sola, era convinta che lo avrebbe impressionato, ma il professore aprì un tacquino e glielo girò.
Sulla pagina aperta, c’era un incantesimo in latino, con alcuni movimenti delle mani che Ivory non aveva mai visto.
- A cosa serve? -
- Puoi provare a farlo? - domandò.
- non l’ho mai visto sui libri. -
- Questo perché non è nei libri scolastici. -
Ivory guardò ancora quelle pagine. Non aveva motivo di essere spaventata per un incantesimo, ma per qualche ragione sentiva il cuore in gola.
Si alzò e fece per girarsi verso il nuovo manichino appena comprato, ma il professore le disse – Verso di me. -
- Come? -
- Scaglialo contro di me. -
- Ma…-
Per la prima volta da che era arrivata, il professore sorrise, ma era un sorriso strano, inquieto – E’ innocuo. - la rassicurò.
Annuendo, si girò verso di lui e abbassò gli occhi per leggere. Solitamente solo incantesimi più avanzati avevano bisogno dell’ausilio delle parole. Molto degli incantesimi di attacco era istintivi, creati per la battaglia, in battaglia non c’era possibilità di fermarsi a recitare inni o altro.
Non era nemmeno troppo sicura che il suo latino fosse adatto.
Lesse ad alta voce, cercando di seguire le istruzioni disegnate. Due dita unite che puntavano in alto, disegnare un cerchio, chiudere il pugno.
- Immobile. - soffiò.
Gli sembrò che il proprio pugno fosse avvolto da una catena, essa era invisibile ma reale, riusciva perfino a sentirne i bozzi attorno il polso.
Il professore sembrò essere stretto in una morsa. Iovry ebbe anche la sensazione, o l’impulso, di stringere ulteriormente quella catena, ma invece rilasciò il pugno. Fich crollò sulla sedia, come se la costrizione invisibile fosse venuta via.
Ora era lì, respirava a fatina.
Si mise seduto composto e si passò una mano tra i capelli.
- Come pensavo. - soffiò.
- Cosa. - replicò Ivory.
- Questo incantesimo è più antico di quelli che insegnano, per certi versi, più oscuro. - mormorò. Si alzò e la raggiunse per metterle le mani sulle spalle.
- La maggior parte degli studenti non ha mai davvero visto un vero demone, per loro la teoria va di pari passo con la pratica. Ma tu hai imparato a difenderti sin da bambina, probabilmente sei viva perché ti sei difesa. Hai già una tua importazione magica e per questo siamo dovuti andare a tentativi, ma ciò non di meno, per una bambina della tua età che sopravvive a un demone sviluppando precocemente la magia, deve essere una magia potente. - le spiegò – Quella che hai appena scagliato, è una magia dei terzo anno. -
Ivory schiuse le labbra ma non trovò nulla da ribattere. Finch sorrise ancora – Se te la senti, vorrei intensificare il tuo allentamento. Vorrei che provassi a saltare un anno. -
- C-come? - mormorò – Cosa? Io…-
- non devi pensarci ora. - annuì il professore – Parlarne con la tua madre adottiva, ma tu hai il potenziale per essere una formidabile guerriera. -
- Non so cosa dire. - ammise infine.
Il professore annuì e la lasciò andare – Pensaci. Poi torna da me con una risposta. -

**

Cosa era appena successo?
Si era ritrovata a camminare senza meta fino ad arrivare fuori dall’accademia. C’era una nebbia leggera che donava all’apparente perfezione dell’accademia un alone di malinconia.
Come un ricordo, cristallizzato nel tempo.
Con la coda dell’occhio le sembrò di vedere delle ombre attraversare la nebbia, ma non vedeva nessuno in giro.
Si sedette al primo scalino che trovò e si prese la testa tra le mani.
Okay.
Doveva ragionarci su.
Lei era… forte? Tipo davvero forte?
Non aveva avuto bisogno nemmeno dell’amuleto per scagliare quell’incantesimo, questo era vero.
Ma aveva ancora difficoltà a creare gli incantesimi basici. Come poteva pensare di avere la presunzione di imparare cose più complesse se le semplici le risultavano così difficili?
Beh, non proprio difficili, ammise. Con l’amuleto era riuscita a concentrare quel lato del cervello che bloccava tutta la sicurezza nel palco della sua mano lasciando libero il lato dell’agire indisturbato.
Era sempre stato quello, realizzò, a frenarla. La sua stessa insicurezza.
Lei era il suo peggior nemico.
Ma come poteva nemmeno pensare che quel lato poteva scomparire o essere sotto controllo? Era presuntuoso pensarlo.
Come poteva combatterlo? Come poteva… migliorare?
Oh, pensò distrattamente, non stava pensando nemmeno se accettare o meno, ma stava pensando solo a come accettare. Aveva già deciso.
Se poteva fare meglio, se le davano quella possibilità, non aveva alcun diritto di rifiutarlo.
Ma la sua insicurezza non era qualcosa su cui poteva sorvolare. Doveva essere in grado di mantenere la calma, di essere costante e produttiva, perché quella che sarebbe in futuro diventata la sua squadra avrebbe dovuto contare su di lei.
Una parte di lei non aveva mai davvero pensato a come sarebbe stato poi far parte di una squadra attiva, certo, il pensiero l’aveva accarezzata, ma era sempre stato qualcosa di lontano e astratto, ma saltare un anno, recuperare l’intero secondo anno per entrare direttamente al terzo l’anno dopo, l’avrebbe catapultata in una realtà totalmente nuova.
E non era più lontana e astratta ma era concreta e imminente.
Doveva vedere Lindsey.
Scattò in piedi e attraversò il parco che separava le due ali.
In quel momento, era sicuramente a fare esercizio, si intrufolò dalla porta di servizio e scivolò per le aule.
Nonostante le aule fossero insonorizzate note di vari strumenti echeggiavano nelle mura alte. Un brivido lungo il collo le ricordò che odiava la musica, e un altro pensiero si affacciò a minare la sua già complicata decisione: stare in una squadra attiva significava essere in squadra con musicanti. Loro avrebbero suonato per indebolire i dannati mentre loro combattevano fisicamente.
Quindi, sulla bilancia del “no”, c’era l’insicurezza, l’incapacità di autogestirsi e la sua avversione per la musica. Erano tutte cose che sperava di superare col tempo, ma non c’era tempo.
Passò davanti ad un aula da dove proveniva il suono di un pianoforte e quelle note la distrassero da tutte le altre.
Erano come un suono melodioso in mento a mille assordandi campane.
La curiosità fermò i suoi passi, giusto in tempo perché la musica smettesse.
Con una punta di disappunto, si apprestò a tornare al suo primario intento, ma fu allora che la porta si aprì e Seth ne uscì con un espressione concentrata. Tanto che quando vide Ivory ferma sulla porta, per un lungo attimo, non sembrò riconoscerla.
- Tu non dovresti stare qui. - soffiò, come se fosse una cosa ovvia.
- Farai la spia? -
Lui le afferrò gentilmente il braccio e la tirò dentro – sai che è proibito per una Chiave disturbare i musicanti. -
- Sì, sì, lo so. Ma dovevo parlare con Lindsey. -
Il tono della sua voce era così bisognoso che Seth si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
- Che è successo? -
- Niente. -
- Ivory. - quasi la rimproverò – Parla. -
Lei strinse le labbra, passando il peso da un piede e l’altro – E’… complicato. - soffiò.
Seth si appoggiò alla porta come a voler simboleggiare che non si sarebbe spostato di lì se prima non parlava.
Non glielo stava imponendo però, Ivory sapeva che se gli avesse fatto realmente capire di non volerne parlare con lui, l’avrebbe lasciata passare.
Il suo era un tentativo di sorpassare le difese.
- Il professor Finch mi ha fatto una proposta che non so se accettare. -
- Che tipo di proposta? -
- Una.. che non posso rifiutare. -
Seth la studiò attentamente prima di indicarle di sedersi allo gabellino dei pianoforte e soffiò un categorico – Racconta-

**

Seth non la interruppe nemmeno quando iniziò a spiegarli i motivi che la spingevano a non sentirsi in grado di accettare. La ascoltò attentamente, facendo su e giù per la stanza con le mani in tasca.
- E’… una bella occasione. - mormorò, poco convinto – Ma se non ti senti pronta non dovresti accettarla. -
- Dici? -
Seth si sedette vicino a lei sullo sgabello – E’ un po’ come se… se io avessi la mobilità nelle dita per suonare un pezzo veloce e complesso, e con il giusto allenamento potrei essere in grado di suonare a livelli stellari. Ma che senso avrebbe se resto un bambino che non regge la pressione? L’abilità non è nulla senza la giusta maturità. -
- Mi stai dando della bambina? -
- No. Certo che no. - si affrettò a rispondere Seth – Anzi, è molto maturo rendersi conto dei propri limiti. -
Ivory abbassò gli occhi sulle mani – Ma se non ci provi… non sprechi il tuo talento? -
- Che senso ha suonare fino a farsi sanguinare le mani se poi, durante, il concerto non riesci nemmeno a muoverti? - mormorò – Un concerto è un conto, ovviamente, ma una battaglia è un altro. Durante la battaglia è la tua vita ad essere in pericolo e affrontarla impreparata è solo un suicidio. -
- Non sarei impreparata. Sarei addestrata. -
Seth scosse la testa – non ci si può davvero preparare a una cosa come la guerra, Ivy. Potresti veder morire la tua squadra, potresti arrivare a domandarti se è colpa tua…-
Ivory si alzò, indispettita – Devo parlare con Lindsey. - sentenziò.
- Credi che ti dirà cosa diverse? - insistette – Tu non hai idea di come sia la guerra e, perdonami, ma avere la madre morta non conta. -
Era come se non lo avesse mai conosciuto. Guardava Seth dall’altro, senza capire chi aveva davanti.
Aveva senso quello che diceva, faceva male per quanto lo avesse, ma non era il solito. Lui era dolce… era gentile.
Colpiscilo.
Sentì come un sussurro nella tua testa. Non era concreto come una voce vera, era più una sensazione improvvisa e insistente.
Colpiscilo, distruggilo, disintegralo.
- E solo perché tuo fratello è morto come un codardo, non ti giustifica a sminuire me. - replicò – E’ quello a cui pensavi, no? - soffiò – A come tuo fratello sia scappato dalla guerra, e abbia lasciato la sua squadra a morire! Pensi davvero che io sarei così vile? –
La rabbia l’aveva oltrepassata come un ondata, Ivory si sentì senza fiato e con la testa che girava. Seth strinse la labbra fino a sbiancarle, si alzò e si mise la custodia di chitarra in spalla.
- Fa come vuoi,- quasi le ringhiò prima di sorpassarla e uscire, sbattendo la porta.
Ivory strinse i pugni e fece un piccolo urletto di frustrazione. Era pentita di quello che aveva detto, non sapeva nemmeno perché l’aveva detto.
Ma non era stato nemmeno giusto colpirla così intimamente.
Uscì dalla stanza e decise che non voleva più vedere nessuno, specialmente Lindsey e se ne tornò in camera sua.
**

Il professore non le aveva dato una data precisa per avere una risposta, ma immaginò di non poterla tirare troppo per le lunghe.
Nonostante il litigio che ne era conseguito, Ivory rifletté molto sulle parole di Seth, giorno e notte tanto che iniziarono ad avere senso.
Magari aveva sbagliato i toni e parlare di sua madre era stato un colpo basso, ma la sua logica aveva centrava un punto.
Ivory non era abbastanza matura per affrontare una cosa del genere e di certo non avrebbe sviluppato sicurezza dall’oggi al domani o in un solo anno.
C’era un solo, vero, nemico che le metteva i bastoni tra le ruote: la sua mente. Ed era quella su cui doveva concentrarsi.
Si presentò quindi in infermeria con mille dubbi e mille maledizioni, era anche vero che era una scelta piuttosto obbligata, ma non era nemmeno facile essere lì.
La capo infermiera la adocchiò da lontano e la raggiunse – Ivory Cornelia White, cosa ti sei fatta ora? - il tono era bonario ma Ivory le sorrise solo brevemente.
- posso… parlarle? -
Il tono serio fece subito impensierire la caposala che la prese e la scortò in una saletta. Una volta Lì, ivory ebbe un ripensamento ma si sforzò di parlare.
- C’è la possibilità… di avere aiuto psicologico? - domandò in fine.

**

La donna non aveva fatto domande, le aveva solo messo tra le mani diversi opuscoli e poi avevano preso appuntamento per uno dei pochi giorni liberi di Ivory. Se anche non fosse andato il porto il fatto di saltare un anno, perlomeno ne avrebbe giocato la sua stessa mente.
Forse, avrebbe trovato un modo di fare decentemente anche gli incantesimi più semplici.
Non sarebbe stato facile, e di certo non significava necessariamente che avrebbe accettato. Ma solo che si sarebbe messa nella posizione di poterlo fare, facendo del suo meglio. C’era tuttavia un ultimo scoglio.
Si approcciò al telefono con ansia, prese la cornetta e compose il numero.
Elisea era la sua madre adottiva ed era anche colei che stava pagando la sua retta in accademia. Questo, era stato una fonte di enorme pressione dovuta ai suoi primi fallimenti e al quasi allentamento dalla struttura.
Le doveva tutto, e deluderla, deludere Lindsey era l’ultima cosa che voleva.
Sebbene la telefonasse per comunicarle una buona notizia, la voce le tremò mentre parlava, e non faceva che chiedersi se era il caso di dirle anche della sua seconda decisione.
Non ce ne fu necessita perché lei rispose semplicmente:
- E’ quello che vuoi fare? -
Ivory ci pensò. Nonostante tutto, nonostante i dubbi e le preoccupazioni… era quello che voleva fare.
Non bruciare le tappe, non buttarsi necessariamente senza pensare in una battaglia, ma se poteva fare meglio, se poteva sviluppare a pieno le sue potenzialità, non aveva alcun motivo di tarparsi le ali.
- Sì. - rispose.
La perpecì sorridere, anche se non provenne alcun suono oltre la cornetta – Non importa come andrà, chiaro? - si premunì di dirle – Qualsiasi sia il risoltato di questo cambio del piano di studi, tu sarai sempre parte della nostra famiglia. -
Ivory sentì gli occhi bruciarle, si rese conto di star tenendo la cornetta più stretta del necessario.
- ho paura. - confessò.
- E’ normale. -
- Se non ci riesco…-
Elisia replicò – Se non ci riesci torni indietro. Non c’è nulla di male nel tentare, ma ti prego, se non ci riesci, dimmelo. Non forzarti più di quanto puoi sopportare. Ti conosco. –
Ivory si asciugò le guance e cercò di regolare la voce per non far capire alla sua madre adottiva che stava piangendo – Grazie. - soffiò.
- Sono fiera di te. -
-… grazie. -
Chiuse la chiamata e restò per un attimo a fissare la cornetta.
Bene, pensò tirando su col naso, era ora di dirlo a Lindsey.
E magari, chiarirsi con Seth.
__

- Sapevo di trovarti qui. - disse ivory spuntando sul palco dell’anfiteatro. Seth distelo supono su una delle gradinate e guardava il cielo. Non si girò nemmeno a guardarla, le fece solo un cenno con la mano.
- Allora…- fece Ivory a disagio – Facciamo la pace? -
Il ragazzo restò fermo per un lungo momento, poi si mise seduto con agilità. La guardò dall’alto delle gradinate.
- Dipende. Non ho sentito scuse. -
- nemmeno io da te. -
- E’ diverso, io avevo ragione. - replicò.
Ivory sentì le dita irrigidirsi. Sarebbe stato bellissimo bloccarlo con quella nuova magia imparata, solo per il gusto di farlo stare zitto.
- Nemmeno tu ci sei andato per il sottile. -
Seth si alzò, solo per imporre la sua altezza alla conversazione – come facevi a saperlo? - domandò – Tutta la storia di mio fratello. Chi te l’ha detta? -
- Io…- Ivory ci rifletté – Non me lo ricordo. - ammise.
Seth non sembrò convinto della risposta – E’ stata Lindsey? -
- Certo che no. -
- Lei come l’ha scoperto? -
- Ti ho detto che non mi ha detto niente nessuno. -
- E allora come facevi a saperlo? -
- Lo sapevo e basta, va bene? -
Questa conversazione la stava esaperando di già, e nemmeno avevano inziiato a fare pace – Non mi ricordo chi me l’ha dtto, né quanto. Può capitare! -
Seth sciò lo sguardo e sembrò mordersi una guancia – Non avrei dovuto nominare tua madre. - ammise, in fine – Ma resto sulla mia posizione per il resto della faccenda. -
Ivory si mise le mani nelle tasche e scrllò le spalle – Fatto divertente? Non cambia nulla. Risletto che t abbua un opinione, ma… non posso basare la mia vita su questo. Puou semplicmente accettare che sono fantastica e super potente e essere semplicemente felice per me? -
Seth tornò a guardarla per un lungo sitante, inghiottì a vuoto, poi scese dalle grafinate raggiungendola sotto il palco.
- Ad una condizione. - replicò.
- Spara. -
- Che esci con me. -
Ivory aggrottò le sopracciglia – Una rivincita a bowling? Vuoi infierire? -
- No. - Seth fece un ulteriore passo fino a salire sul palco – Non con gli altri. Io e te. -
Io e te.
Ivory sbatté le palpebre tre volte prima di afferrare il senso.
- Oh. - soffiò.
- Esatto. -
- Serio? -
- A-ah. -
- perché? -
Seth alzò gli occhi al cielo – Perché sei strana. Cioè odi la cosa che più amo, fai tutto l’opposto di quello che approvo e, quando sei provocata, colpisci veramente duro. Ma…- sorrise – Sei anche interessante e molto più profonda di quanto vuoi dare a vedere. Mi incuriosisci e voglio conoscerti meglio. -
Ivory sentì le guance andarle a vuoco e la gola diventare secca. Se la schierì, inutilmente - Mi piace il rapporto che abbiamo ora. - si giustificò.
- Non deve cambiare. -
- Certo che cambierà. -
- Una sola uscita. - propose – Se poi le cose non evolvono, restiamo amici. Affare fatto? -
Era… logico.
Seth tese la mano, come a suggellare quello strano patto. Ivory si ritrovò a stringerla senza nemmeno rendersene conto.
- Signorina White, la passo a prendere stasera alle otto. -
- La aspetterò con ansia, Signor Morgan. -

*

Lindsey aveva bloccato l’espressione facciale per non dimostrarne una assolutamente impanicata. S’umettò le labbra, e annuì due, tre volte.
Poi disse solo – No! -
- ho già parlato con Elisia. -
- E quindi? Non puoi! -
- Perché no? -
- Perché io non sono brava abbastanza. Non ancora. - strinse le labbra Ivory alzò un sopracciglio – Mi stai dicendo che non posso saltare un anno perché non puoi farlo nemmeno tu? -
Lo scalpellotto le arrivò sulla nuca, pieno e bel sonoro.
- Perché non posso essere l con te, e tenerti al sicuro! - quasi urlò – Credi che io mi alleni tanto perché mi piace l’idea di combattere? Scherzi? Suono per proteggere le persone a cui tengo e, per puro caso, sei una di loro! -
Ivory si sentì avvampare – Non è detto che ci riesca, il mio è un tentativo. -
Lindsey incrociò le braccia – E’ fuori discussione. - sentenziò – Non ti lascerò uscire là fuori senza di me. Nemmeno tra un milione di anni! -
- Però Lin…- mormorò Ivory – Questa decisone non dipende da te. -
Gli occhi verdi della ragazza di puntarono su di lei, feriti.
- Sei cattiva. -
- E tu irragionevole. Ho un opportunità unica e vuoi che non la accetti perché non puoi tenermi sotto controllo. - scosse la testa – Se mai fossimo in squadra insieme, notizia flash, sarei io quella che deve proteggere te mentre suoni! -
Lindsey strinse le labbra, sviando lo sguardo. L’aveva ferita, ivory ne era consapevole.
Ultimamente stava diventando davvero brava a ferire la gente.
- Lin…- le tese la mano – Proverò solo un allenamento più intensivo, non mi impachetteranno e invieranno al confine d’ombra così a caso. –
- Avremo anche meno occasione di vederci. - insistette, come un capriccio.
Ivory, le prese la mano, aveva le dita fredde, le sctrinse anche per scaldarle.
- Troverò sempre tempo per te. -
Lindsey annuì, ma Ivory aveva un’altra notizia.
- E ancora una cosa…- soffiò.
- cosa? Cos’altro potrebbe mai esserci? Lasciami indovinare, sei segretamente una musicante… no anzi, una Voce! – alzò un sopracciglio – Aspetta non dirmi che sei Dio in persona! -
Le due scoppiarono a ridere, poi Ivory fece del suo meglio per tornare seria.
- Seth mi ha chiesto di uscire. Solo io e lui. -
L’ilarità scemò sul viso di Lindsey, ma persistette il sorriso congelato – Oh. -
- che ne pensi? - soffiò – Cioè… è simpatico e carino, ma… che ne pensi? -
Lindsey lasciò che lo sguardo scivolasse lungo la stanza solo per guadagnare tempo – E’… carino. - concordò – Sembra un bravo ragazzo. -
- Vero? - soffiò Ivory.
- Ma lo conosci ancora poco. Non… partire in quarta. -
- Chi? Io? Che mi faccio paranoia su ogni cosa? -
Ridacchiò e Lindsey provò a imitarla, con poco successo.
- Meglio andare. - tagliò corto – Devo imparare un pezzo entro domani, quindi…-
- Oh. Sì. Certo! -
Si alzò e scivolò via, pronta a prepararsi per un appuntamento vero.

**

Si guardò allo specchio e odiò vedere le profonde occhiaie che ancora spiccavano sotto gli occhi nonostante il correttore. Di solito non aveva molto tempo per truccarsi, aveva decisamente altre priorità, ma le piaceva ogni tanto farsi bella.
In fin dei conti, anche lei tutto sommato apparteneva al genere femminile.
La verità era che Lindsey aveva passato la fase trucco quando erano più giovani e lei aveva voluto imparare per stare al suo passo.
Aveva fatto un sacco di cose che non erano molto da lei, pur di trovare punti di incontro con la sua migliore amica.
Ma era stato divertente,cercarsi gli occhi con rimmel che sfuggivano al controllo.
Si dette un ultima occhiata: capelli acconciati quel poco che basta per creare delle onde slla punte, occhi delineati da aylaner e rimmel, poco ombretto, rossetto rosso scuro, una delle poche magliette eleganti di un verde speraldo con un semplice pantalone nero che le metteva in mostra il risultato di corse continue.
- Non sei male quando ti curi! - esclamò la caounquilina una volta che la vide.
Ivory si mise la gialla di pelle e la borsetta a tracolla.
- Esci con quella borsa? -
- Sì. -
- Ma è orrenda! -
Ivory fece un sorriso di circostanza –A me piace. - ed era anche l’unica che aveva.
Prima che potesse aggiungere altro, la salutò al volo ed uscì.

Seth era in piedi sulla porta, era vestito più o meno come la sera scorsa, con la sola differenza che aveva un sorriso radioso sulle labbra.
- Sei venuta. - fece – E da sola! -
Vory alzò un sopracciglio con arroganza – Chi ti dice che sia da sola? -
- Hai Lindsey nella borsa? -
- No no, è qui! - si indicò una tasca della giacca – Telecamera nascosta. Vedrà ogni cosa e se oserai fare cose che non le piacciono ti suonerà gli organi interni. - annuì sonoramente. Seth ridacchiò, divertito e forse non proprio trnquillo che non fosse una minaccia velata.
Si avviarono verso la città, Ivory si chiede dove la stesse portanto.
- Tu e Lidsey siete… molto unite. - esordì.
Ivory fece qualche passo ponderando bene su cosa rispondere.
- Siamo come sorelle. E in un certo senso, siamo sorelle. -
Seth non sembrò soddisfatto della risposta e Ivory si sistemò nervosamente la borsa sulla spalla prima di continuare – Le devo la mia vita. -
- In che senso? -
Per qualche altro passo Ivory raccolse i pensieri. Seth aveva una piccola idea di cosa aveva passato, c’erano già state confessioni tra loro.
A dire il vero, era strano riuscire a parlare così facilmente con qualcuno, forse troppo facilmente, che ora che aveva capito il suo interesse era arrivata a chiedersi quanto poteva davvero dirgli senza fargli perdere interesse.
Guardò Seth, che anche se guardava davanti a sé stanto ben attento a dove mettere i piedi, non sembrava fingere il suo interesse.
Si chiese quanto poteva dire, senza spaventarlo.
Decise quindi, per una versione leggera degli eventi. Era una censura dovuta.
- E’ stata lei a rendersi conto che mia madre era stata posseduta. - soffiò – Grazie a lei hanno tentato di esorcizzarla, e anche se è andata com’è andata, ha preteso che sua madre si occupasse di me. -
Seth camminò per qualche attimo in silenzio, poi domandò solo – “ha preteso”? -
- Credo che abbia fatto lo sciopero della fame. - quasi rise – Per bene due minuti, perché mentre stava protestando, Alysa stava già firmando le carte per adottarmi. -
Non era andata proprio così, ma voleva divertirsi quella sera, e non pensare al momento più brutto della sua vita e alla vita a metà che ne era seguita.
Lei era lì, all’accademia, aveva la possibilità di aiutare, di combattere, di vendicare la sua e tutte le persone che avevano subito la sua stessa sorte.
E, nonostante tutto, c’era gente che teneva a lei…
Erano queste le cose su cui voleva concentrarsi.
- Mi dispiace. - disse Seth dopo un po’ – Vorrei sapere tutto di te, ma non vorrei nemmeno costringerti a parlarne. - ammise.
Salirono in macchina e dopo un po’ che fu partita ivory domandò:
- Parlami di te. -
- Che vuoi sapere? -
- Una storia lacrimevole. - rispose.
Seth incrociò le braccia e ci rifletté sopra – Una volta, pur di non farmi suonare la chitarra, mi hanno tagliato tutte le corde. -
- Cosa? -
- Non sono strumenti adatti per gli esorcismi, quindi non se ne trovano molte in giro. Fu una tragedia. - annuì.
Ivory alzò un sopracciglio e Seth le sorrise colpevole.
- Ne vuoi una lacrimevole davvero. -
- Ci puoi giurare. -
- Okay. -
Aggrottò le sopracciglia, rabbuiandosi – Beh, sai della storia di mio fratello. -
Era vero, anche se non ricordava dove l’avesse sentita.
Mentre rifletteva, a Seth veniva una rughetta sul lato della fronte, solo lì, era una cosa… carina.
Mentre pensava alla storia che poteva dirgli, Ivory intuì fosse ualcosa che riguadava la sua infanzia. Doveva essere qualcosa che riguardava…
Suo padre. Sì, solo lui poteva causargli quello sguardo così cupo.
Qualcosa a cui teneva, era stato messo in pericolo dal padre.
La chitarra.
La chitarra doveva essere appartenuta a qualcuno della sua famiglia, ma suo padre non era dell’avviso e…
- Mio padre ha tentato di bruciare la mia chitarra. - confessò d’un tratto.
- Apparteneva a tuo nonno, no? Perché avrebbe dovuto farlo? -
Seth si girò e la guardò, per un attimo come se non la riconoscesse – Come fai a sapere che apparteneva a tuo nonno? -
Quella domanda la colse alla sprovvista - … è vecchia. - mormroò – Ho solo pensato…-
Le iridi del ragazzo si assottigliarono, come un gatto che fiutava il pericolo – Tu… come fai a sapere così tantod i me? -
Quella domanda la mise a disagio, con le dita, cercò gli angoli della giacca per concentrare la sua attenzione altrove – Forse me l’ha detto Lindsey. - provò – La tua chitarra è famosa, è normale che la gente si sia incuriosita. -
Seth non sembrò per nulla convinto ma per fortuna, la macchina arrivò presto a destinazione. Quando scese e si accorse dov’era Ivory sentì le gambe pesarle il quadruplo.
- Il… museo della musica? - domandò piano.
Seth annuì, poi le fece un largo sorriso – Vedrai, un’ora dentro e la tua avversione per la musica sarà curata! - esclmaò.
- Io davvero non…- la voce le si interruppe – Io non posso. -
Seth s’umettò le labbra – Non c’è vera musica dentro. - promise – Però, vedi, quella che ci insegnano, quella che tu non sopporti è solo una piccola percentuale della vera musica che è esistitia. Credo che tu possa superare le tue paruse se conosci il tuo nemico. -
Il suo nemico.
La voce di Lindsey le volò nella testa: come poteva odiare la musica e sperare di far parte di una squadra?
Era un vero problema, ed era anche con le spalle al muso; se accettava di saltare un anno, non poteva evitarla.
Doveva accettarla.
La nausea le tornò, più forte che mai, ma annuì e seguì Seth lungo la scalinata. Le sembrò che ogni passo che faceva, la gravità aumentasse di un pochetti in più, cos tanto che quando arrivò in cima, si sentì come se qualcuno la stesse tirarndo dalla parte opporta.
Scappa.
Corri via.
Fuggi.
Tuttavia, prese la mano di seth e entrò.


**

Il museo era strutturato storicamente. Non c’era molta gente e in sottofondo c’era solo un vago coretto che non aveva mai sentito e che non le scaternò nessuna reazione allergica.
Dopo le prime due Sale, dopo non vi erano che qualche strumento creato con legna e poco più, il suo cuore riprese a battere ad un livello normale.
Tutto sommato non sembrava una cosa così terribile.
Seth doveva essere stato lì talmente spesso da sentire la guida a memoria, iniziò a raccontarle ogni cosa, curiosità su periodo storici e strumenti.
Le mise in testa almeno cieni cuffie diverse che mandavano registrazione di come facevano quello oq eull’altro strumento e Ivory si ritrovò stranamente affascinata.
Era diverso da quello a cui era sopravvissuta.
La msusica che Sth le raccontava apparteneva a una realtà diversa, un mondo alternativo dove veniva usata per allietare, per intrattenere e, in molte occasioni, per raccontare storie e emozioni.
Seth aveva una luca negli occhi da cui Ivory si ritrovò affascinata. Amare qualcosa, avere una tale passione, tanto da volerla trasmettere.
Era una passione che trascendeva lui, irradiava tutti attorno a lui, come se non riuscisse a travalicare i limiti del suo stesso corpo.
A lei la musica, così come l’aveva conoscuta, non le piaceva.
Ma le piaceva la musica che sEth le raccontava.
Passò il classico, passò il boemien, passò il rock, perfino il metal…
Non provò nemmeno ad ascoltare i mille sottogermeri in cui si era ramificata.
Quando la musica era una passione e non la necessità, era … spendente.
Entrarono in una sala nuova, e Seth qui si acquietò. La sala era buia, c’erano solo poche luci che illuminavano pochi strimenti. Su ogni targhetta, vi era una croce di lato e un incisione unica numerica.
- Sono quanti demoni hanno sconfitto. - confidò sottovoce – Quando tornarono, quando si scaternò la guerra e scoprimmo che la musica era la nostra unica arma, fu difficile poi fare altro. - ammise – La vita umana su un piatto della bilancia, valeva di più che qualunque emozione raccontata. -
Ivory si girò con nostalgia verso le sale più lucenti, più allegre e più passionali, tornò alla sala buia con la morte nel cuore.
L’era buia della musica era quella, quando la suonare era diventata questione di vita o di morte.
Gli prese la mano. In quel momento, condividevano un rammarico: i demoni che rovinavano l’ennesima bella cosa.
- Perché sei venuto all’accademia se non ami suonare per combattere? -
Seth si strinse nelle spalle – Perché vorrei suonare per altro e per tornare a farlo, devo suonare per combattere. -
- Deve essere bello amare qualcosa come tu ami la musica. - soffiò – Non ho mai avuto nulla del genere. -
Seth scrllò le spalle e strinse la mano, per poi trascinarla in un'altra sala, Qyesta volta c’erano strumenti musicali lasciati liberi, per essere suonati.
Seth si sedette sul panoforte e domandò – Posso offriti una canzone? -
Ivory sorrise e si sedette vicino a lui, dando le spalle ai pianoforte, così da non dargli disturbo con le braccia e le gambe.
Seth prese una lunga pausa per concentrarsi e poi iniziò a suonare.
La riconobbe subito, era la musica che l’aveva catturata quel pomeriggio. Ora che la scoltava davvero, che rimbombava in tutta la sala, sentiva come se vibrasse nalls au testa, fino a attraversarle ogni angolo del corpo.
Era bella.
Fu strano epr lei trovarla bella.
Seth suonò e le dita si muvoevano con abilità e maestria, erano lunghe e affusolare, e veloci. Erano belle.
Ivory si sentì sempre più rilassata, come se il peso del mondo che aveva avvertito quando era entrata fosse scivolato via, dandole finalmente sollievo.
Si sentiva leggera, si setniva come se nel mondo ci fosse solo lei e null’altro.
Dentro di sé, il mondo era magico ed era fantastico e per un secondo le parve che fosse bellissimo.
Era questo il potere della muscia? Era questo che poteva creare il mondo?
Erano queste magnifiche note che potevano salvaro?
Alzò gli occhi e le parve di capire per un singolo, importante attimo, cosa fosse Set e tutti i musicanti per il mondo.
Erano un canto soave in una battaglia cruenta.
E quel canto era l’unica cosa che li rendeva umani.
Seth smise di suonare e si girò a guardarla, un po’ timoroso della sua reazione e non le parve mai così bello.
Desiderò baciarlo e si spinse in avani per fare quel piccolo primo passo che portò alle loro labbra unite insieme.
Fu un bacio dolce, intimo, ivory sentì le classiche farfalle nello stomaco e il cuore non ne voleva sapere di calmarsi.
Si separarono e aprì gli occhi e le parve di perdersi in quel COLORE dei suoi.
Era questo innamorarsi?
Seth le sorrise, un po’ arrossito, poi le prese la mano.
- Allora, sono riuscito a farti piacere la musica almeno un poco? -
Ivory fece finta di rifletterci – Non la musica, almeno non quella magica, ma la tua musica… sì. E’ diversa, è speciale. -
Seth sembrò illuminarsi, e poi restarono per un po’ lì, in silenzio, con le mani unite insieme.
Le mani di seth erano lunghe e affusolate, calde e un po’ dure sui polpastrelli per via dela chitarra. Dovevano avergli fatto male all’inizio.
Quanti sacrifici ci voleva per imparare?
- mi sono sempre chiesa…- sofffiò – Tu suoni il pianforte. Come può essere utile in battagla? -
- Non sai parlare di altro che di demoni? -
- La chiratta non è sacra e il pianoforte non puoi portar gelo in giro. -
Lui fece un sorriso obliquo, come se non volesse risponderle. Forse era così.
- Non puoi nemmeno portartelo nelle case delle persone possedute. - soffiò lei, cercando di trasmettergli che poteva parlarne tranquillamente – Cioè, magari sì, ma pensa alla difficoltà. -
Lui rifletté su cosa dirle, riusciva quasi a vedere gli ignranaggi che si muovevano nella sua testa attraverso gli occhi.
- Il pianoforte, è uno strumento potete. Non a caso, violino e pianoforte sono gli strumenti più imparati. Il vialino è più da battaglia attiva, mentre il pianoforte è per curera. - soffiò – Molte persone una volta che il demone è andato via, non ne escono davvero fuori, molte persone restano irrimediabilmente cambiate dall’esperienza. Loro più di tutte, devono sentire la voce di dio per trarne giovamento. -
La guardò, coem a testare le sue emozioni, Ivory annuì solennemente – Tu suoni il pianoforte per curare la gente. -
- Non so se possano essre curare. - ammise – Ma possono essere almeno aiutare. -
- E’…- cercò le parole – Gentile da parte tua. -
Seth lasciò scivolare lo sguardo su le pareti dove vi erano manifesti con piccoli anedoti speciali sulla musica.
Si sofferò su quello di Paganini, che diceva che il primo combattente magico venne additato erroneamente come un demone, quasi bonariamente.
La verità è uscita dopo secoli.
Stava scoprendo sempre nuove cose su Seth e gli si sentiva vicina più che mai, strinse la sua mano e sorrise dolcemente – Andiamo? Ho fame. -
- ottimo. -
Si avviarono verso l’uscita e Ivory si sentiva bene, forse come non lo era da tempo. Da quando era arrivata all’accademia tutto qeullo che aveva fatto era preoccuparsi di quello o di quellaltro: la magia, i demoni, la sospensione, la pressione.
Ma ora, in qeul momento, si sentiva leggera e spensierata, come sarebbe dovuto esserlo una ragazzina ce viveva in un mondo dove c’erano mostri annidati nell’ombra e dove una delle cose che rendeva la vita più bella non era una delle armi più potente per batterli.
Era bello, quel mondo, forse per questa sensazione, per anelarla, per ricercarla…
Per questo combattevano.
Per un mondo, dove la maggiore preoccupazione era se piaceva o meno ad un ragazzo.
Camminarono piano, anche se faceva freddo e delle nuvolette di vapore scivolavano fuori dalle sue labbra.
Stavano prendendo la via verso il ristorante quando accadde.
Ivory si rese conto solo dello strattone, dapprima, poi si ritrovò scaraventata indietro. Sbatté le palpebre due, tre volte, senza capire.
Poi sentì la voce:
- Prendete solo il ragazzo. -

__


Un’ondata di adrenalina la spinse subito e dimenarsi, ma mani la tenevano ferma.
Una le coprì la bocca, coprendole anche il naso. Stavano cercando di sofficarla.
Sentiva Seth dimenarsi, sferrare fendenti, sentì dei colpi e poi geminiti, ma non riusciva a muoversi, due uomini la stavano tenendo ferma.
Ma doveva muoversi, lei era quella più allenata e di certo l’unia che poteva affrontare quegli uomini.
Schiacciò il piede a uno e con la testa tentò di colpire un altro.
Risucì a liberarsi ma non perché fosse stata abile,s olo perché fu veloce e non se lo aspettavano, tanto che per un attimo la guardarono con le mani tese senza sapere cosa fare.
Lei non poteva pensare a loro, Seth aveva la priorità.
Si avviò per correre verso di lui, mentre due lo tenevano ferma a terra, uno di loro prese un martello e lo alzò.
Ivory capì cosa dovevano fare: rompergli le mani.
Non poteva permetterlo.
Raccolse tutto le sue energie, non aveva il talismano, ma non era quello il mondo di essere selettiva. Sent’ la magia crescere dentro di lei, tentò di concentrarla sulle mani, poi sui palmi e infine provò a farla uscire.
Ma i due uomini, ripresosi dallo scalpore, erano tornati ad afferrarla e Ivyr si ritrovò catapultata in terra, il mento che batteva sull’asfalto.
Sentì il prmo fendente e Seth urlare.
Fu anche troppo.
Ivory sentì la rabbia, invaderla, sentì il dolore avvolgerla come un guanto e sembrò che tutto rallentasse.
Contrasse le dita, come se fosse per la prima volta in grado di percepirle come sue, le mosse, e si mosse.
Si alzò, come se non ci fosse alcun impedimento a tenerla a terra, si rese conto solo una volta in piedi che gli uomini erano stati scaraventati due metri più in là.
Non le parve strano.
Si girò verso gli altri due, Seth era sudato e aveva gli occhi serrati dal dolore.
Loro facevano parte del problema: quella sensazione che il mondo potesse essere bello era svanita solo perché esistevano persone come loro.
Sarebbe un peccato, tenerle ancora in vita, pensò.
Tanto valeva…
Fuoco.
Uno dei due fece un urlo gutturale e crollò a terra, dalle narici fuoriuscì uno sbuffo di fumo e i suoi occhi furono attraversati da un colore vi fiamma viva.
L’altro osservò il suo compare poi lei, e fece solo due passi nella sua direzione prima di voltarsi e correre a gambe levate.
Ivory ebbe l’impulso di inseguirlo e ucciderlo, ma poi Seth gemette e si ritrovò di nuovo in sé, disorientata come se avesse appena fatto un gro sulle montagne russe e fosse finito.
Le forze le mancarono e crollò sulle ginocchia, senza fiato.
- C-cosa…- farfugliò.
Seth si tirò su seduto, una mano strette al petto, il viso ancora dolorante, ma la sau attenzione ora era per l’uomo senza vita accanto a lui.
- Ivy…- soffiò – Coem hai fatto? -
Non lo spaeva. Ivory lo guardò, con le labbra socchiuse in una risposta che non venne mai.
Fu allora che qualcuno vide la scena e urlò, presto giusero i soccorsi.
Ivory fu avvolta in una coperta da un paramedico e Seth portato via in ambulanza.
Mentre stavano viaggiando verso l’ospedale, Seth continuava a fissarla come se non la riconoscesse.
Come poteva dargli torto? Nemmeno lei sapeva di cosa era stata capace.
Aveva ucciso un uomo.
Le era sembrato… facile, quasi insignificante.
Seth tese lamano ancora sana per raggiunsere la sua – andrà tutto bene. - soffiò, ma c’era un timore profondo e oscuro nei suoi occhi.
Ivory annuì, solo per non farlo preoccupare ulteriormente.
- Beh…- mormorò con la gola secca e per nulla in vena di fare battute – Direi che è il peggior primo appuntamento della storia. -

**


Seth Morgan non aveva paura di nulla. Ma c’era qualcosa che non aveva mai potuto controllare era la paura di affrontare la verit.
C’era qualcosa che non aveva mai considerato parte della sua vita una parte di lui che non aveva mai potuto pensare di perdere: la sua musica.
Si guardò la mano e gli parve che il mondo non avesse più alcun senso, il mondo non lo aveva più, non aveva più alcun futuro e nessun posto dove stare.
Bon aveva senso per lui restare in accademia, non aveva senso per lui continuare a studiare ma il mondo era un posto nuovo, pi spaventoso e cera bisogno di persone come lui al mondo
Se anche non avesse potuto suonare in modo magnifico poteva almeno riuscre a farlo in modo aggressivo così da combattere.
Doveva penare questo mentre il mondo gli stava crollando addossoe tuttto stava finendo.
Quell’accademia era un falso paradico, non c’era veramente così tanta bellezza nel mondo, era un ideale idilliaco senza nessuno scopo se non quello di indurare la pillola prima che il mondo com era glielavrebbe ucciso la passione.
Era così che sarebbe dovutoa andare?
Er asolo al secondo anno, aveva visto suo fratello tornare dalla guerra con gli occhi in lacrime e sbarrti era normale che fosse così, il mondo era crdele e non solo per i demoni, quelli che li avevano aggrediti era uuomini. Normale come loro due.
Erano assolutamente folle che gli avrebbero sfatto quello, aveva sentito parlare di uomini che si rano rivolti a demoni per potere e successo, ma non aveva mai creduto che potesse essere una cosa reale.
Loro erano dei mostri e questo mondo era oltre ogni riparazione.
Ma c’era un altro pensero che lo stava tormentando, un pensiero così profondo e preoccupante che non aveva mai pensato di pensarlo: ivory.
I suoi occhi mentre bruciava vivo quella persona era…
Qualcuno busso alla porta e per un attimo ebbe paura fosse lei, ma un ragazzo che aveva visto spesso con rovy entrò con un sorriso mordace e gioviale.
- Daniela. - soffiò.
- Seth. Che bello vederti—
Lui avaznao e si sedette sul letto, per un secondo restò in silenzio come se non sarebbe bene cosa dire.
- Cosa ci fai qui? -
- Ho una domanda. - soffiò, poi tacquue perché non sapeva bene come continuare. I guoi occhi grigi si perderso in un mondo lontano, in un ricordo molto simile al suo.
Riconobebbe quell’ombra, quel dubbio, quella prua.
- Ivory. - soffiò e avrebbe dobuto essere tutto lì – Hai… isto qualcosa in lei? -
Non serviva chiedere in che senso lo intendesse, non c’era altro modo di affrontare quella discussione.
Ora che ci pensava, forse Daniel era l’unico altra persona che avrebbe pitito capire il perché avesse quella nuovo ancestrale paura, perché erano lì, vivo, e allo stesso tempo timoroso di rivederla.
Lui l’aveva vista affrontare un demone e aveva avuto anche i nervi di ripescarla dalle acquae.
- Le… cos’è-. - domandò.
Daniel alzò gli occhi e lo guardò come se non potesse dargli una rispsota, forse era così. Scrollò le spalle e soffiò – Non lo so, ma una persona del genere la voglio coem amica e non vome nemica. - confidò.
- Come fa ad essere così forte? -
- Nn lo so. -
- I suoi occhi…-
- Non ho avuto modo di vederla davvero in azione. - soffiò – Ma ho visto la forza con cui l’espeosione ha smosso l’acqua mentre era sotto e ho visto poi il suo sguardo quando l’ho tirata via. Non era incosciente, non del tutto, ma era… sembrava un’altra persona. -
I due restarono in silenzio – Ma è sempre lei. - provò subito daniela – non è cambiata, è solo diversa quando usa la magia-
- F apaura. -
- Non è necessariamente un male. Dobbiamo aiutarla a capire come usare consciamente i suoi poteri. E sarà un ottima arma contr i demoni. -
I due si sentirono in fidetto ma annuirono – Ma… lei è solo una ragazza. - mormorò.
- Lei è un arma. Noi siamo armi. Ttti i ragazzi vengono allevati e nutrici come armi. Sono solo chi è più potente di altri. -
Il silenzio calò di nuovo tra loro e il mondo parve di nuovo cupoe buoo.
- Che brutto vederlo così, non trovi-
- questo mondo fa schifo. -
I due si annuirono tra loro come se non ci fosse null’altro da aggiungere, Daniel tese la mano e i usoi occhi cercarono ancora comprensione.
- Lei non lo sa. - mormorò – Di cosa è capace. -
Seth tese la mano e soffiò piano – Nmemmeno noi. -
Ed era così,
La paura era più forte e più intensa chemai, il mondo era in perisolo e non ernao al sicuro nemmeno dai loro migliori amici.
- Ci ci ha aggredito… erano uomini. - soffiò – Tremo al pensiero che una persona come ivory possa cambiare fazione. -
- Non lo farebbe mai. -
- Non dico che lo potrebbe fare, ma dico che se è così potente e trovano il modo di arrivare a lei potrebbe essere un problema e non perché penso possa accadere ma perché penso che i professri possano pensarlo. – esitò – Credo che sia per questo che hanno deciso di promuoverla. Non vogliono aiutarla… vogliono tenerla sotto controllo. -
- Non sarà prima di un anno. -
- Non sarà prima di quest’anno. - soffiò – Quest’anno in cui l’attenzione sarà solo du si lei, mentchenno ora che ha sveentato un altro attacco uccidendo une ssere umano. E’ in pericolo, Dan. -
Daniel annuì lentamente – Come pensi che pssiamo aiutarla? -
- non sono sicuro che possiamo. - ammise. -
- Ma dobbiamo provarci. - morormo – Noi siamo musicanti, siamo le armi più affilate. Possiamo imporci di tenerla lontano dai demoni il più posibbile di tenerla al sicuro e di non permetterle di usare ulterieomnete la magia in quel mood. -
- Non è che possiamo evitade rel tutto di sucire. I demoni ci entrano anche a scuola. -
Daniel annuì – Dobbiamo trovare un modo. -

**

Ivory non si era alzata dal letto, Lindsey si era stesa accanto a lei e aveva fissato il soffitto come se fosse una loro cosa.
Ricordava vagamente che quando eravano piccole lo era, dopo la morte della madre e che Alysa per ovvare alla cosa aveva pensato bene di mettere sul sfofutto delle stelle così da dargli efettivamente qulcocsa da guardare.
Era bello, il suo soffitto l’aveva aiutata per qualche nott a essere altrove e non nelal sua vita.
Lindsey aveva penifino ivnentato delle finte costellazion, scimmiottando il modo in cui la madre aveva messo le stelle alla rinfusa: c’era la costellazione della maggia di caffè, c’era la costellazione del ragnetto, c’era la costellazione di Ivory e accanto quella di Lindsey la grande violinista.
Quella era la sua preferita, era una combinazione di quattro stelle che gli sembrava che danzassero insieme.
- Sai che le stesse sono vicine ma sono cos lontane tra lroo- le aveva detto una volta Lindsey solo per riempire il silenzio e far smettere le lacrime – Ora io sono vicino a te, ma sono anche lontana da te.. - aveva sussurrato – Ma non dimenticare che per quanto tu possa sentirti lontana da me… io sono qui. Accanto. -
Era la sua migliore amica. Era sua sorella.
Era la persona che contava di più al mondo.
Aveva il suo modo distarle vicino, anche se a distanza, anche se a un metro, era il modo perfetto e giusto perché il mondo le poteva parere ancora degno di essere vissutto.
Ma non era sempre così e non in quel momento.
Ivory non aveva davanti altro che l’immagine del corpo esanime, di quello sfubbo di fumo dal naso, dei suoi occhi che erano attraversati dalle fiamme.
Non gli aeva semplicemente dato furoo. Aveva arso quell’uomo dall’interno e gli era sembrata la cosa più facile del mondo.
Era orribile. Il suo potere era orribile.
Cosa c’era in lei di sbagliato? Come poteva essere così imbranata eppure così potente?
Le prorue mani gli sembravano così diverse, così distanti, eppure erano attaccate al suo corpo.
Per quell momento si era dissociata dal mondo, non el era parso nemmeno di essere lei.
Cosa… c’era in lei?
Si mise seduta e un senso di freddo le attraverò la spina dorsale.
Il curoe le era saltato in gola, mentre iun surore freddo le colava sulle fronte.
No. Pensò disepraemnte, no no no no
Si alzò e Lindsey domandò apprensiva- Cosa c’è? Che hai? -
- No. - disse, senza fiato, pii cerò i suoi vestiti.
Inziiò a metterli, una maglietta al contrario, ma non importava, la verità e che doveva muoversi.
- DCosa… dove… Ivy! -
- Lisney devo sapere! - uasi urlò, poi si avviò lungo il corridoio. Corse a perdifiato dino all’infermeria e lì si fermò solo per non stramazzare in terra.
Una volta l, trovò il capo della scuola e l’ifermeera che stavano èarlando fittamente fortse di lei datto sguardo che fecero quanco la video.
- Cosa c’è in me?! - quasi urlà seppure sena fiato.
L’ifnermera si avvicnò con aria grave e la portò sul lettono, poi si fece attenta. Prese uno stetoscopio e le musitò la pressione.
Opo un po’ il professor Linch apparve come un angeolo custode.
- Profeittose. - soffiò il capo d’isttot – Ivory è di nuovo. -
- Lo so. -
- Ma lei aveva setto. -
- Lo so. -
Ivoryu omandò ancora – Cosac’è in me? -
Il professore si fece teso in volto e si sedett accanto a lei, gli altri fecero un passo indeito con attenzione come a fargli prvaryc.
Dal’altra parte della stanz aLindsey se ne stava in piedi attenta e in po’ procucpata di quello che stava succcednendo.
- VIry? - domandò.
Ivory le tese la mano per poi ritrarla – Non toccarmi, io… non soc soa non vada. -
Lei attraverò la stanza peché nn c’era verso che le desse ragione. Tpo mai.
La prese la mano e si impuòt in n unico imperativo: sarebbero rimaste insieme.
- Ivy. Soffiò il professor finch – Avevoa il sospetto, ma le prove che ho provato a fare non avevano fato risultati. – mormro – Ero confidente che non fosse così, ma dopo stasera la situazione è cambiata. -Ivry restò in sielnzio ma il cuore cuore sapeve già la risposta.
Un senso di calma e spossatezza la stava attraversando come un fiume che aveva finito di essere in piena e non restavano che destriti e disastri.
- C’è un demone non è vero? - disse, quasi senza voce – C’è un demone edentro di me. -
Lindsey strinse la sua mano come se avesse avuto uno sparmo, ma non la lasciò andare.
Finch provò a dire – Non ne siamo sicuri. -
Ma lo erano. E Ivory era la prima a eserene certa.
- …-come. - mormroò – Come c’è finito? Quando? -
- I demoni si annudan nelle crepe della nostra anima. Le persone cono grafigi vengono costantemente ferite, non c’è modo di sapere quando. -
- Ma c’è. - mormroò Ivory – C’è un mood… - mormroò.
I demoni ti attaccano e ti entrano dentro quanso sei più debole, quadno sei al minimo dell eut forse, a pezzi, distrutto come un coccio caduto in terra.
Ti entrano dentro dopo averti spinto e spinto ancora fino a disintegrare tutto di te e poi metterti comodo nello spazio vuole che hai lasciato.
Parassiti dell’anima.
- E’… mia madre. - mromrorò – cioè il suo demone. -
- Ivyr. - mormroò Lindsey vicino a lei con la sua voce suoava – Noneosnare che sia così. Sono ciura che ci sia un’altra spiegaizone, non avrebbe avuto senso sennò. - si adirò – Ha vissuto in una casa di muscianti per anni, non avrebbe potuto sopravvivere un demone con noi! –
Ma l’aveva fatto.
Aveva anche passato i pcoontrolli dell’accademia, era entrata come n cavallo di troia.
- Com’è stato possibile? - domandò ancora Lindsey – E’ chiaro che non lo è. -
- come lo levo? - domandò infine tagliando la testa al toro.
- Quanti anni avevi quando ti ha pres? -
- Sei. -
Gli adulti si guardarono con sospetto, l’infermiera si avvicinò gentilmente e le carezzò il viso – Vorrei farti qualche analisi, va bene? -

Ivry la guarò con la morte nel core. Il suo mondo stava crollando a pezz non si sentiva bene nemmeno nelal sia stessa pelle.
Sembrava come se formicolasse tutta, come se ci vosse addosso un cosa orticante che non ne voleva sapere di andare via.
Provava l’impulto i strapparsela strato per strato e nemmeno tolta tutta aveva las ensazione che si sarebbe sentita più la stessa.
La sua anima era impura, contaminata, distrutta.
Quando poteva avela mai conquistata?
Immagini della madre che l’aveva maltrattata per mesi prima che fos scoperta le formicavano nella testa, ma mai sarebbe potuto essere lì, mai.
Non c’era possibilità che fosse in quei momento percé ivor era troppo giovane e mai la sua fede incrollabile sarebbe venuta meneo per la madre, anche se non poteva esere felice dei suoi comportamenti era sempre sua madre e bastava che per un attimo fosse lucida o fingesse di esserlo, che per un attimo le sue mani calde la trattavano cone gentlezza e allora tutto era possibile, tornare felici era possobile, amare era possibile.
Poi il giorno dopo era di novo tutto un incubo, sbagliato e orrendo, ma si aggrappava costantemente a quei ricord, a quei momenti, come se fossero la cosa più importante del mondo.
No, non era in uel momento che la sua anima era andata cpsì tanto in pezzi da pover essere vulnerabile, non era l che qualcosa poteva essersi annidato nella sua pelle
Ma allora quando?
Che buffo, saperlo anche se non ne aveva la certezza.
Era il momento che la tormentava di più, era il momento in cui si era rivista tormentarla notte dopo notte, che la tenva sveglia a guardare le stelle finte di un sofftto bianco.
Era il momento in cui aveva capito che sua madre era stata presa daun demone, il momento in cui si era accoarta che l’anima di sua madre non c’erapiù, che era stata distrutta, scavata, eliminata.
Che quella dolcezza non sarebbe più stata presente.
Perché era stata colpa sua.
Aveva chiesto una cosa, non ricordava nemmeno cosa, aveva fatto una domanda sbagliata, un attimo.
E la madre era crollata a pezzi
Era iniziato con uno schiaffo.
Un singolo, unico schiaffo, fto per rispondere ad un capriccio.
La madre poi aveva pianto, stringendola, pendentendosi fino a quel momento, ma quando aveva sciolto l’abbraccio, quando l’aveva vista negli occh, aveva visto l’oscurità.
Aveva fatto radici, aveva fatto germogliare qualcosa nella profondità del suo sguardo.
Da bimbe, Ivory non aveva mai pttouo collegare le cose, non era possibile che una bimba di sei anni con i demoni che le venivano raccontati come l’uomo nero potesse capire l’entità di un tale disastro, ma da quantre mentre li studiava aveva capito esattamente cosa era successo: sua madre era distrutta e lei l’aveva fistruta ancora con i suoi capricci.
Quello shciaffo, era stato l’attimo in cui aeva ceduto ai suoi peggiori istinti.
L’attimo in cui finalmente il demone aveva preso il sopravvento e l’aveva disintegrata.
La debolezza per la noia che l’aveva esasperata era stata la scintilla che daveva dato il viaa tutto.
Sua madre era stata posseduta per colpa sua, non dall’inziio, ma lei le aveva dto il corpo di grazia e poi quando non era stata in grado di coprire i lividi e trattnere le lacrime con la sua migliore amica allora era stata anche colei che le aveva tolto la vita.
Iory non poteva essere una persona felice, non poteva con quella storia che le pesava adosso come un macigno.
Era buffo, realizzarlo ora che aveva potuto assaggiare un attimo di felicità: unbacio con un ragazzo che le piaceva, un attimo in cui la musica l’aveva trasportata in un altro universo dove non c’era mostri e lei non era una di questi.
Era facile capire come il demone si fosse annidato in lei.
La mare aveva fatto a pezzi la sua anima, realizzare di esserne stata la consonna, la aveva fatto fare radici.
- Io…- mormroò senza fiato – io…- e non seppe cos’altro dire.
Le lacrime iniziarono a scorrerle come lava sulle guance, faceva male tutto d’improvviso, tutto era doloroso e faceva male e non poteva respirare ed era troppo.
Le mancava l’aria e la testa iniziò a girarle. Lindsey la prese tra le braccia, e la sorresse mentre ogni molecola del corpo le stava facendo male.
Era troppo.
Tutto era troppo.
Non poteva farcela.
Non poteva più gestire una cosa simile. Non lei. Non lei cher a così fragile e così distrutta da poter vivere così.
Non sarebbe mai più potuta essere felice.
- Insisto che non è possibile. - continuava Lindsey – Un demone si sarebbe ovviato prima. -
- Lo so. -
- Ma che altra spiegazione ci po’ essere? - disse Finch.
L’infermiera intervenne – Lasciatele spazio. Dopo le analisi sapremo dire di più. -
Tutti furono invitati a lasciare la stanza, tranne Lindsey che restò stoica accanto a lei senza possibilità di muoversi.
Perfino quando l’infermiera la sgridò pesantemente le disse di andare via ma Lindsey non si mosse.
Non l’avrebbe lasciata sola nemmeno un minuto e lo sapevano tutti.
Ivory non osò chiederle di andare, non ce l’avrebbe fatta ad affrontare tutto senza di lei e ne era penosamente consapevole.
Aspettò che tutto andassero via poi l’infermiera le disse di spagliassi.
La fece sedere sul un lettino e alzò un risonante davanti a lei, per poi farlo vibrare. Cantò e quel canto sembrò risuonare come un’onda attraverso gli apparecchi e le sembrò che quel canto vibrasse attraverso i pori della sua stessa pelle.
Aspettò il dolore, i demoni provavano dolore con la musica, ciò che ottenne fu solo un giramento di testa per via dell’occhio interno sensibile.
Ebbe la nausea, come l’aveva avuto per settimane ormai.
Ma beuta volta, divenne più che ingestibile.
Si fece avanti per non vomitarsi addosso e rigettò ogni cosa che aveva mangiato negli ultimi giorni. Non era poi nemmeno molto.
Senti lo stomaco decidere di lasciare il suo corpo e senti come se l’acido le graffiasse la gola.
Lindsey le tirò indietro i capelli e per un attimo le parve di non poter respirare.
Forse mai più.
Sarebbe stato bene morire così, sarebbe stato sicuramente più dignitoso.
Scoppiò ancora a piangere e si aggrappò a Lindsey solo dopo che lo stomaco aveva deciso che forse era meglio restare sul suo corpo. Quello stomaco ormai era così vuoto ma la nausea non ne voleva sapere di andare via.
L’Infermiera non sembrava molto convinta, così provò ancora.
Un’altra nota.
Questa volta fu Lindsey a sentirsi come se l’avessero colpita in faccia. La musica era uno strumento potente che perfino i musicanti più esperiti a livelli più elevati potevano sentirsene sopraffatti.
Lindsey alzò gli occhi e sentì la pelle scottare, ma non fece altro che sentirsi così.
Respirava a fatica ma il dolore non era ancora sopraggiunto,
Aveva solo un fastidio e si sentiva intontita.
Stava… bene?
- Non capisco. - ammise l’infermiera con un sospiro – Se ci fosse un demone dentro di te, l’avremmo trovato. Ma quello che hai avuto è solo una vaga reazione alla magia. - si fece vicino e le guardò negli occhi – Magari è solo una contaminazione casuale, forse non ha ancora preso possesso del tuo corpo. -
- Non sono ancora… distrutta? -
- Sei ancora in tempo. - le fece, con un sorriso – Dobbiamo chiamare le cantanti e dobbiamo farlo prima possibile. -
Ivory annuì – Quante speranze ho di sopravvivere? - domandò.
- Vedrai andrò tutto bene. - soffiò Lindsey e per un attimo le parve di avere sei anni, con le urla della madre che riempivano casa e la sua amica più piccina con capelli corti e delle treccine le diceva le stesse cose.
“andrà tutto bene” “starà bene”
Non era andato tutto bene. Non era mai più andato nulla bene.
Certo la sua vita non era da buttare: non era mai stata senza mangiare, nessuno aveva alzato più una sola mano su di lei, ma non era quello l’importante.
Si era sforzata di concentrarsi sulle cose belle, ma dentro di sé sapeva che c’era qualcosa che non sarebbe mai stato più bene.
Lei era oltre ogni danno. Lei era… irrecuperabile.
Sentì una fitta, nel suo petto, sentì di nuovo l’aria mancargli e poi sentì le lebbra tirarsi un in sorriso largo che non le apparteneva.
- Bene…? - soffiò e la voce le uscì dalla gola come se la graffiasse.
Non era nemmeno sicura che fosse stata lei a parlare.
- Certo ti fai bene a dirlo con la tua vita perfetta. - ringhiò – La tua vita ottima, ti piace così tanto prenderti cura di me, che razza di problemi hai a sentirmi così tanto superire a me. -
- io… non… - Lindsey la guardava senza capire.
- Tu miss perfettina sei sempre stata più felice, che diavolo vuoi da me? Perché vuoi costantemente salvarmi? Sei patetica. -
- Non è lei a parlare. - soffiò l’infermiera attenta – Identificati. -
Ma Ivory non la sentiva, guardava la sua amica e tutto quello che riusciva a vedere era una fragile anima. Che doveva distruggere.
- Io so perché sei tanto issata con me. - sorrise, sentì effettivamente i nervi tenere le labbra all’insù, fu così strano sentirli come se non appartenessero a lei – Io so perché vuoi sempre starmi dietro, sempre appresso, so perché vuoi sempre essere la mia ombra. Sei tanto perfetta, ma proprio di me dovevi innamorati? -
Cosa?
La sua voce sfumò, ma poi qualcosa di più profondo e rutturael avvenne – Io non ti amerò mai, lo sai vero? Io non sono mai stata una stupida che credeva che stando vicino mi sarebbe bastato. Mai ricambierò il tuo amore, mai ti ho nemmeno voluto nemmeno bene! Doveva avere un posto in cui stare e allora ho scelto te! Come ci si sente eh? -
Verde il suoi occhi guardarla come se non riuscisse a riconoscerla, vide la rabbia, il rancore e le ferite farsi più marcate sulla pelle.
Le parve quasi di vederle, essere lì, fondersi con le molecole.
Farsi più profonde, sanguinare.
Ma lei non sapeva di cosa diavolo stesse parlando. Lindsey non era mai stata….
Una singola lacrime scorse lungo la sua guardia, ma Lindsey non si mosse. Le prese invece le mani – Non mi importa. - soffiò – La mia migliore amica sei tu e ti aiuterò. -
- Non c’è modo. - disse ancora Ivory, o quella voce che le usciva dal petto, rimbombava anche nella sua testa – Io sto per morire e perderai anche l’unica persona a cui tieni. -
- Io… ti salverò. -
- io morirò, invece. - fece Ivory e si ritrovò a sentire ancor i muscolosi facciali sfociare in un sorriso doloroso – Presto, se provate a togliermi. Lei… non può sopravvivere. - una risata sfuggì dalle gola, come un rimbombo – Era solo una bambina quando l’ho presa, sapere cosa significa? Che lei è mia. -
Lindsey la abbracciò così forte da togliergli il respiro e per un lungo istante, Ivory vide le sue mani afferrarle la gola e stringere forte.
Sarebbe bastato così poco per spezzarle il collo… così poco.
Sarebbe stato facile, era gracile come un ramoscello, un semplice piccolo umano fragile.
Aveva provato a distruggerla ma non c’era riuscita, l’amore che nutriva era stato sempre senza speranza e quindi non era facile affrontare.
Quelli non erano pensieri suoi, capì Ivory, non lo erano mai stati
Ma quali erano i suoi e quali del demone? Come poteva distinguerli?
Raccolse tutte le sue forze per non muovere le mani, le sembrò un’impresa talmente titanica che il cuore faceva lo sforzo come se corresse da ore.
Non poteva aggredirla, doveva salvarla.
Una sola mano si alzò e Lindsey non ebbe paura.
E non c’era bisogno.
D’un tratto andava tutto bene. Ivory sentì di nuovo la propria voce essere sua, le mani essere sue, i pensieri… quelli non sarebbero mai più stati solo suoi.
- Il demone ha provato a entrare in te.— le disse l’infermiera - Ha usato le tue debolezze, ma non eri abbastanza fragile perché ci riuscisse. -
Lindsey annuì, c’era un senso di sollievo ma tristezza sul suo volto.
Non osava guardarla perché lui aveva trovato un nervo scoperto.
Lindsey davvero provava… quello che il demone l’aveva accusata di provate?
Sul serio?
- Io… vorrei restare sola. - ammise Ivory dopo un po’ – C’è un posto dove posso riposare? -
L’infermiera annuì e Lindsey non osò guardarla ma sembrò volere chiedere se era sicuro che andasse via o era meglio che restasse.
Ivory le disse – Va a riposare. Domani sarò ancora solo io. -
Lindsey era provata quindi accettò di andare e Ivroy si ritrovò sola, con l’infermera che stava pulendo il vomito.
- Mi dispiace. - soffiò.
Lei le fece un sorriso gentile ma c’era qualcosa in lei che sembrava teso, guardingo.
Ora aveva paura di lei?




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Note:
Prompr: Immagini (Napoli)
Come l’ho usato: Hanno il primo vero appuntamento in un vicolo con tante bancarelle piene di libri. Harry gli regala anche un libro!
Parole: 5137

Amarsi per caso


Era una giornata gelida a Londra. Così gelida che l’erba era ghiacciata e scivolosa.
Entrando nel locale babbano in cui aveva appuntamento con Blaise Zabini, Draco Malfoy si godette qualche attimo l’aria calda che gli aggredì il viso.
Si sfregò le mani, cercando il proprio amico tra la folla. Non vedeva Zabini da tre mesi, mesi in cui l’uomo era dovuto stare dietro al suo nuovo nato, cosa che lo aveva invecchiato di dieci anni in un solo colpo.
Le nottate in bianco erano così evidenti sul suo viso che per un secondo stentò a riconoscerlo, poi si avvicinò a lui.
- Ehi. -
Blaise sorrise – Ehi a te. -
- Il piccolo Alex non ti ha fatto dormire nemmeno stanotte? - domandò sedendosi al tavolo con lui.
- Ti prego non hai una pozione da dargli? - scherzò Blaise fingendosi disperato. Forse non era poi così tanto una finta.
- Nulla di così leggero da darlo ad un neonato. - decretò Draco prendendo il menù – Mi dispiace. -
- Almeno sono riuscito ad uscire un po’. Non ce la facevo più. - mormorò afferrando anche lui la lista delle cibarie.
- Pensy come sta? -
- Meglio, dopo che è tornata dalla SPA. - mormorò l’amico – io e Alex abbiamo passato un intensa settimana insieme, così da essere libero e potermi godere questa cena. Fa’ che ne valga la pena. -
Draco si fece una piccola croce sul cuore, condita da un sorriso divertito – Farò del mio meglio. -
Fu in quel momento che accadde.
La porta trillò e Blaise alzò gli occhi solo un secondo sulla persona che aveva varcato la soglia, salvo poi tornare su di lui con una nuova e accesa curiosità.
- Non ti girare. - soffiò.
- Ovviamente questo mi spingerà a farlo. - grugnì Draco – Come pensi che io non…-
- C’è Potter e non è da solo. -
Ovviamente, questo fece girare Draco all’istante.
Non appena vide il suo vecchio arcinemico sulla soglia del locale con il suo accompagnatore Draco si riscoprì interessato.
- Pensi che quello sia…-
- Una sua conquista? Probabile. Ho sentito che cambia ragazzo ogni sera. -
Draco studiò i due nuovi entrati con la stessa curiosità con cui guarderebbe un film babbano per la prima volta; così incuriosito da nemmeno addentare i popcorn gentilmente regalati dal suo amico.
Non si preoccupava nemmeno che lo scoprissero, era ovvio che quello fosse lo spettacolo della serata.
- Tu lo trovi carino? - sentì la voce di Blaise raggiungerlo – Non mi pare granché. -
- Mah, Potter ha sempre avuto gusti discutibili, te la ricordi la Chang? -
- E La Weasley? -
Ridacchiarono divertiti, tornando alla loro cena.
Ma pur continuando a parlare con il suo amico di sempre, parte dell’attenzione del biondino era rivolta alla sceneggiata che si stava consumando a tre tavoli di distanza.
Da quello che aveva potuto capire ascoltando di quanto in quanto e lanciando occhiate furtive, l’appuntamento era un disastro. Non era solo lui a pensarlo, era una cosa che chiunque avrebbe potuto dire guardandoli. Il ragazzo con cui era uscito non aveva smesso un secondo di parlare, mentre il salvatore si limitava ad annuire e giocare col cibo con un’espressione seccata e un po’ assente.
Era vero che il ragazzo non fosse nemmeno granché, pensò Draco mentre beveva un sorso di vino, era davvero quello il tipo che piaceva all’uomo che avrebbe potuto avere letteralmente chiunque?
- Lo stai fissando di nuovo. - la voce di Zabini lo riportò alla realtà.
Era vero. Era più forte di lui.
- Vorresti dire che c’è qualcosa di più interessante da fissare? - replicò Draco divertito.
- … la persona con cui sei uscito, magari? - replicò Blaise ma più per partito preso dal momento che i suoi occhi, come anche quelli di tutta la sala, erano puntati sul bel moretto alle prese con un appuntamento che si stava trasformando in qualcosa di veramente patetico.
Ora, non solo il ragazzo era convinto che l’appuntamento fosse andato alla grande, ma stava cercando di fare piedino al povero malcapitato che si sottraeva cercando di non essere scortese.
- Povero Potter. - mormorò Blaise suo malgrado divertito – Dici che dovremmo aiutarlo? -
Draco lanciò un’occhiata veloce al tavolo. Questa volta il ragazzo stava tentando di prendere la mano di Harry che invece si liberava gentilmente dalle sue avance ma non abbastanza in modo deciso da lasciarlo desistere.
Era uno spettacolo ridicolo. Salvarlo, non sembrava poi una cattiva idea.
Ma come?
Sorrise e finì di bere l’ultimo sorso di vino – Augurami buona fortuna. - disse.
Prima che Blaise potesse domandargli cosa intendesse, si alzò e raggiunse il tavolo dei due sfortunati pseudo amanti, guardò Harry ed esclamò ad alta voce.
- Non ci posso credere, è con lui che mi tradisci?! -
Tutti si girarono a guardarli, il ragazzo guardò Draco confuso.
Harry Potter per un secondo fece una faccia stupida come a chiedersi di cosa diavolo stesse parlando. Draco rincarò indicò il suo appuntamento – Tradisci ME con LUI? Questo è un vero oltraggio! Non ti azzardare a tornare a casa stasera! -
Lanciò un’occhiata esasperata al moretto per fargli cogliere l’occasione perché quella sera sembrava particolarmente lento a cogliere gli indizi, poi la lucidità si fece strada nel suo sguardo.
- Posso spiegare! - si alzò e prese le braccia di Draco come ad impedirgli di scappare – Non è come pensi lui… lui è solo un amico! -
- Un amico?! - gracchiò il ragazzo, offeso.
Harry alzò gli occhi al cielo – Non significa niente. Io amo solo te, lui è solo… un errore! - rincarò.
Il ragazzo prese il fazzoletto solo per buttarlo nel piatto con aria drammatica – Questo è troppo! - sbottò – Non sono mai stato così umiliato in vita mia! Addio! -
Prima che i due potessero aggiungere altro della loro sceneggiata, il ragazzo corse via.
I due attorno fissarono la porta dove era svanito con un’espressione trionfante, poi Draco scivolò via dalla presa di Harry con nonchalance.
- Beh… grazie Malfoy. - mormorò – mi hai salvato la vita. -
- Beh se non la vita, perlomeno la tua virtù. Sei così gentile che ti saresti fatto quello piuttosto che dirgli che non era il tuo tipo, o sbaglio? -
Harry arrossì – L’avrei rifiutato… alla prima occasione. -
- Spero che la prima occasione fosse prima di mettere su casa e famiglia. - lo prese in giro - poi Draco indicò il tavolo dove un divertito Blaise lo salutava.
- Devi avere una fame da lupi, ti unisci a noi? -
Non si aspettava davvero che il salvatore del mondo accettasse, ma lì per lì aveva solo pensato che non aveva mangiato nulla nell’ora buona che era rimasto seduto ad ascoltare la persona con cui aveva avuto la brillante idea di uscire.
Stava già per ribattere un saluto di circostanza quando, come se nulla fosse, Harry esclamò - Posso? -
Draco lo guardò qualche attimo, poi scrollò le spalle e si avviò fino al tavolo. Rubò una sedia da un tavolo vicino e la preparò. Poi si sedette come se tutta la parentesi di poco prima non fosse esistita, come se la conversazione con Blaise non fosse rimasta a metà e la cena non si fosse freddata.
Harry si sedette poco dopo, insolitamente incuriosito dalla situazione.
Blaise gli versò un bicchiere di vino e gli sorrise – Sul serio Potter. Hai dei gusti pessimi. - esordì e, probabilmente, concordò tutta la sala.
Prima di rendersene conto i tre stavano parlando e divertendosi insieme.
- No, per davvero. - insistette Blaise - Perché sei uscito con quello lì? -
Harry scrollò le spalle – App di incontri. -
- App? - rimbeccò Draco – Cos’è? -
Harry meditò, cercando le parole – E’ un modo babbano per incontrare gente, vedi la loro foto e, se ti piacciono, si organizza un appuntamento. -
Blaise lanciò un’occhiata a Draco – Perdona la domanda, ma perché usi questa “app” quando potresti decidere chiunque tra la folla indicarlo e si inginocchierebbe a succhiarti il cazzo in un istante? -
Draco rise e bevve un sorso di vino – Ottima osservazione. -
- Non posso avere chiunque. - replicò Harry sulla difensiva e a Draco parve che gli lanciasse un’occhiata veloce – E’ che…- esitò, l’aria divenne improvvisamente seria – Nel mondo magico mi vedono tutti come un eroe e non vedrebbero mai me davvero, io non gli piacerei in quanto me, capite? -
I due si lanciarono un’occhiata complice.
- Nel mondo babbano nessuno mi conosce. - continuò ancora Harry – Se mi scelgono è perché gli piaccio. Però, ovviamente, non vuol dire che riesco sempre a trovare qualcuno che mi piaccia davvero, ma almeno sono sicuro che non siano influenzati dalla mia fama. -
- Ma non ha senso. - replicò Blaise, un’espressione esageratamente esasperata sulla faccia per rendere la sua obiezione divertita – Stai veramente rifiutando l’idea di farti qualsiasi cosa che respiri semplicemente perché puoi?! -
- Parla quello che si è sposato. - ribatté Draco divertito.
- Proprio perché mi sono sposato e dovrò fare sesso con mia moglie per il resto della mia vita che non capisco perché non ne approfitti alla grande. - replicò Blaise annuendo solennemente – Non stai cercando nemmeno l’uomo della tua vita, si tratta di sesso, non dovresti essere così schizzinoso. -
Harry sorrise divertito – Lo so, ma è più forte di me. -
Draco finì di versare la bottiglia di vino a tutti e tre e poi alzò il calice – Alla morale di Potter. -
Tutte e tre alzarono i calici divertiti.
Prima di rendersene conto, la serata era finita e Harry pagò il conto per tutti per sdebitarsi.
Blaise si dileguò per tornare dalla sua famiglia, così Harry e Draco rimasero soli, fuori dal locale. Harry fece un mezzo sorriso al serpeverde.
- E’ stato bello. - mormorò – Grazie ancora per avermi salvato. -
- Ti ho fatto un favore enorme, effettivamente. - ridacchiò Draco divertito poi lanciò un’occhiata verso la fine della strada dove un angolo buio sembrava perfetto per smaterializzarsi.
- Magari posso trovare un altro modo per sdebitarmi. - proruppe la voce di Harry all’improvviso – Magari posso pagarti la cena anche la prossima volta. -
Draco si girò a guardarlo e soppesò la proposta. Avrebbe dovuto salutarlo e andare via, eppure per qualche strana ragione restò lì.
Sentì le labbra muoversi prima ancora di concepire di star per parlare – Domani? -
Una luce nelle profondità dello sguardo di Harry brillò vivida, una piccola vittoria come quella di un pescatore che aveva appena visto la lenza tirare.
- Domani. - ripeté e poi girò e tacchi e andò via, svanendo prima ancora che Draco potesse pentirsi.
**

L’indomani Draco aveva ricevuto un messaggio con un posto e un orario.
Mentre faceva colazione, rigirava il biglietto tra le mani meditabondo.
Harry Potter, pensò, e non pensò altro perché quelle due uniche parole parlavano da sé; tutta la loro storia, tutto il loro passato insieme era un susseguirsi di continui errori, dolori e recriminazioni.
E ora erano pronti ad uscire come due amici… o no?
Sviò i pensieri e decise che pensare male di qualcuno solo perché era attratto dallo stesso sesso era stupido e immaturo.
Così, mise il biglietto in tasca e andò a lavorare.

Il tempo passò veloce, prima di rendersene conto aveva alzato gli occhi e l’orologio lo aveva guardato in cagnesco. Letteralmente.
- Sì, ho capito. - mormorò all’apparecchio che si rilassò solo dopo che il padrone chiuse i fascicoli nel cassetto pronto a prepararsi per uscire.
Tirò il bigliettino dell’appuntamento fuori dalla tasca e ripassò ancora nella testa le indicazioni. Lo fece più volte, come se potesse perdersi una sillaba per strada ad ogni lettura e finire per andare chissà dove.
Si guardò allo specchio e tentò di scacciare la fastidiosa sensazione di non essere pronto, di non essersi cambiato, lavato, sistemato…imbellettato.
Non è un appuntamento romantico, si ripeté, erano solo due persone che riallacciavano i rapporti.
Quel incontro non era nulla di più e nulla di meno di una burrobirra con i colleghi di lavoro.
Ma non riuscì a scacciare quella sensazione, restò come un tarlo nella sua testa per tutto il tragitto. Divenne così insistente che si fermò in bagno in ufficio per tirare fuori dalla sua borsa magica qualche pozione per dare almeno l’idea di esser sistemato.
Solo una volta che i suoi capelli erano tornati lucidi e tonici, le occhiaie ridotte e i vestiti tornati stirati perfettamente, Draco si recò all’appuntamento.
Harry era già lì, in maglione a collo alto, e una giacca marrone che su chiunque altro sarebbe stata un crimine alla moda ma su di lui tutto sommato non era male.
Quando i loro occhi si incrociarono, Draco pensò che avrebbe dovuto sistemarsi meglio.
Se c’era una cosa che odiava era quell’agitazione. La sera prima tutto era stato così spontaneo e semplice che ora sentirsi nervosi per vedere un amico gli sembrava sbagliato.
- Ehi. Sei venuto. - esultò Harry.
- Non ci credevi? -
- Ron mi deve dei soldi ora. -
- Avevate scommesso? -
Harry rise e gli fece cenno di entrare. Il locale dove l’aveva portato non era male, tutto era decorato con legno scuro e nodoso, le panche erano imbottite, il tavolo recava segni di tagli e scritte incise che guastavano un po’ l’insieme ma nulla di drammatico.
- Questo posto è…- cercò una parola che non sembrasse offensiva.
Harry scrollò le spalle – Avrei dovuto portarti in un ristorante come quello di ieri, ma ci siamo già stati e ho pensato di cambiare. In più, qui si mangia divinamente.–
Draco scrollò le spalle e prese il menù – Cosa offre la casa? -
Harry consigliò un paio di piatti spiegandogli più o meno cosa c’era dentro.
Dopo aver ordinato, aspettarono il disagio in silenzio per qualche attimo.
Poi Harry sorrise e fece – Beh, è strano. -
- Non ci siamo mai parlati molto, è ovvio che sia strano. -
Gli occhi di Harry lo incatenarono – No… è strano che non mi sembri strano. - mormorò- Cioè certo, è strano, ma non come dovrebbe esserlo…- insistette, poi si morse un labbro – lascia perdere. –
- Penso di capire, invece. - intervenne allora Draco. Era vero. Era la stessa sensazione di stranezza che aveva provato la sera prima: mai stati amici, che parlavano come se lo fossero da una vita.
- Vediamo…- esordì Potter -ho fatto pratica con tanti disastrosi appuntamenti quindi so esattamente le domande da fare per non languir nella conversazione. Prima regola, informazioni di base: cosa fai nella vita? -
- Lo sai cosa faccio. - replicò Draco.
- Fa finta che non lo sappia, dimmi esattamente di cosa ti occupi. Prometto che fingerò di sorprendermi. - rise Harry.
Draco s’umettò le labbra tentando inutilmente di non sorridere – Sono un funambolo vagabondo con lo scopo nella vita di posizionare due scope che reggono una corda su Buckingham Palace e camminarci sopra. -
Non se lo aspettava, lo lesse nel suo sguardo, prima che scoppiasse a ridere.
- Fantastico. - esclamò dopo aver recuperato un po’ di fiato – come pensi di attuare questo piano? -
- Con due scope e una corda. - insistette Draco – Semplice. -
- Semplicissimo. -
Da lì a mettersi a tavolino per programmare come farlo, fu un attimo. Ad un certo punto la conversazione iniziò perfino a diventare seria, meditarono sul quando era meglio farlo, se usare o meno incantesimi di protezioni e perfino di controllare il clima per evitare vento.
Lavoro immaginario, piano immaginario… vera gradevole serata.
Harry indicò un punto sul foglio, uno sgorbio antropomorfo che sarebbe dovuto essere uno spettatore perplesso e Draco si ritrovò senza rendersene conto a sfiorare la sua mano. Un brivido lo attraversò e non volle svanire nemmeno quando gli occhi di Harry si alzarono e si incatenarono ai suoi.
D’un tratto, l’atmosfera era cambiata. Riusciva a sentire la tensione che si era condensata attorno a loro, come se fossero avvolti da una pesante coperta di ansia e aspettativa.
Harry ritrasse la mano con nonchalance ma non con la ritrosia che gli aveva visto usare al suo disastroso appuntamento della notte prima. La serata proseguì, senza particolari momenti intimi, ma quel tocco aveva cambiato le cose, Draco lo avvertiva sulla pelle.
Pagarono il conto, uscirono al gelo della Londra invernale e si guardarono.
Draco si chiese se, in un vero appuntamento, quello sarebbe stato il momento del bacio. Suo malgrado, si preparò psicologicamente, perfino chiedendosi se si ricordava come si faceva dal momento che era passato molto tempo dall’ultima volta.
Harry lasciò scivolare gli occhi sul suo viso, ma solo per un breve istante, poi li abbassò e sorrise, con una nota di tristezza – Sono stato bene. - disse.
- Anche io. -
- Allora… -
Draco sentì la necessità di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Pensò velocemente ai suoi impegni per la settimana dopo, ma non gli veniva in mente nulla.
- Ti va di rivederci martedì prossimo? – disse. Se avesse avuto un appuntamento altro quella sera era molto propenso a disdirlo senza ripensamenti.
Harry lo soppesò, in silenzio, poi si girò verso di lui e gli prese il viso tra le mani.
Due attimi dopo aveva premuto le labbra sulle sue e Draco ci mise qualche attimo a recepire di essere baciato. Ebbe appena il tempo di capirlo che Harry si allontanò e si chiese – Vale ancora l’invito? -
Beh, non era del tutto inaspettato. Allora perché si sentiva come se fosse stato un treno a prenderlo in pieno?
- Certo. - disse Draco – Martedì. -
Harry fece un largo sorriso, prima di salutarlo e allontanarsi per smaterializzarsi.
**
Si era precipitato nel salotto di Blaise due minuti dopo, e aveva iniziato a raccontagli tutto mentre faceva su e giù per la stanza, mentre lui tentava di dirgli di non fare rumore che il piccolo dormiva.
- Quindi… sei uscito con Potter. E allora? - replicò l’amico con poco entusiasmo.
Draco tergiversò prima di aggiungere – Mi ha baciato. -
Vide lo sguardo dell’amico diventare di pietra nel tentativo di non trasmettere emozioni diverse dall’interesse - … ti ha baciato. - gli fece eco.
- E martedì usciamo di nuovo insieme. - finì in ultimo Draco.
Attese la sua reazione, che fu di un assoluto e totale silenzio mentre amalgamava le informazioni. Poi Blaise si massaggiò le tempie – Disdici. - gli ordinò.
- Cosa? Perché dovrei? -
- Ah, non saprei, un motivo a caso? Forse perché sei etero? -
Draco subì il contraccolpo, strinse le labbra – Non mi pare un motivo valido. -
- Sì, se lui ci sta provando con te! - replicò Blaise esasperato – Smettila di alimentare le sue speranze. -
Il biondino sentì lo stomaco contrarsi – Ma…-
- Nessun “ma”. San Potter e la sua morale sono stati chiari: vuole qualcosa di vero e tu lo sai. -
Draco provò a dire qualcosa e Blaise lo ammonì con lo sguardo una, due, tre volte. Così mise il broncio.
- Ho capito. - si arrese.
- Bravo bambino. -
- Gli spezzerò il cuore. -
- Meglio ora che quando avrà perso la testa per te. -
Draco si alzò e Blaise lo accompagnò al camino. Dentro la brace, l’amico lo guardò con sospetto.
- Sono serio, D. Non lasciarti coinvolgere. - provò un’ultima volta.
L’altro annuì prima di andare via.

**

Okay, questo non era nei piani, pensò mentre varcava l’uscio della casa del Grifondoro, era semplicemente capitato.
Erano stati in un bellissimo vicolo dove c’erano stati ambulanti e bancarelle pieni di libri babbani. Era stato bellissimo, ed era stato molto intimo.
Non era un pretenzioso ristorante ma avevano preso una crepe al volo e avevano passeggiato.
Harry gli aveva regato perfino uno dei libri, era in Italiano, una lingua che aveva sempre segretamente voluto studiare.
Del resto, molti maghi potenti erano di stirpe italiana. Leonardo da Vinci, per esempio.
E poi era arrivata la fatidica domanda “vieni da me?” ed era lì che la situazione era precipitata.
Aveva avuto tutte le intenzioni di dire la verità a Harry, minuto dopo minuto aspettava il momento giusto, ma ben presto se ne era dimenticato, preso da altre conversazioni e dal quel misto di felicità e familiarità che provava quando era con lui.
Era stato così bene che quando Harry gli aveva chiesto come se nulla fosse se voleva andare a casa sua, Draco aveva risposto di sì. Non ci aveva nemmeno pensato su.
E sapeva benissimo cosa significava.
Harry stava parlando di qualcosa, non sapeva bene di cosa perché aveva smesso di ascoltarlo. Tanto valeva baciarlo.
Questo bacio, rispetto al primo, fu diverso: si presero il tempo per assaporarlo, Draco fece d’istinto il paragone su quanto fosse diverso dal baciare una donna; era meno delicato, decisamente.
Ma la sensazione di vuoto allo stomaco, era la stessa.
Quando si separarono e si rispecchiò negli occhi dell’altro, non riuscì a ricordare perché avrebbe dovuto dirgli qualcosa.
Solo una volta, pensò, poteva provare ad andare con un uomo.
Harry non era uno che perdeva tempo, pensò, dopo che quel bacio aveva dato il via a una serie di avvenimenti che lo avevano portato a rimanesse in mutande disteso sul letto dell’altro. I baci si erano spostati dalla bocca al resto del corpo.
A Harry piacevano i preliminari, pensò distrattamente, come memorizzò altre piccole cose: gli piaceva dare piccoli morsi, esplorare il corpo del suo amante, gli piaceva vezzeggiarlo, stuzzicarlo carezzando la peluria prima di prenderlo finalmente tra le mani.
L’intera situazione era già abbastanza eccitante che per farselo venire duro non servì immaginare altro; Harry Potter che lo toccava glielo aveva fatto già diventare di pietra, ma Harry Potter che glielo leccava, era un altro paio di maniche.
Quando sentì la lingua calda scorrere lungo la sua erezione, gli mancò il respiro, quando lo vide ingoiarlo, rischiò di venire.
Poi sentì qualcosa di caldo sul suo ano e l’intero corpo si irrigidì, fu come una doccia ghiacciata.
Spalancò gli occhi al soffitto e sentì i campanelli d’allarme risuonare in tutto il corpo, cercò di non pensarci, di concentrarsi su altro, ma Harry si era accorto che qualcosa era cambiato.
Risalì il suo corpo per poterlo guardare negli occhi e Draco gli restituì un espressione colpevole.
- Non hai mai…? -
- No. -
Harry gli sorrise, in modo rassicurante – Vuoi che mi fermi? - domandò.
La sua erezione rispose per lui, con una fitta poco difficile da capire – No. - soffiò, frustrato.
Ancora una volta, Harry sorrise e gli baciò il petto con una serie di baci dolci e umidi che ebbero un effetto calmante – Vuoi venirmi in bocca? - propose allora.
Se avesse continuato a dire quelle cose, Draco era quasi sicuro che sarebbe venuto senza niente di niente.
Affondò una mano nei suoi capelli per tirarselo sul viso e rubargli un bacio lento e appassionato, un po’ per guadagnare tempo, un po’ perché baciarlo non gli dispiaceva e in quel momento sentiva il bisogno di trovare un contatto con lui che lo riportasse in vena.
Era così preso dal bacio, che si accorse solo in un secondo momento dell’erezione di Harry sulla sua coscia, e quando la guardò in basso, la pensò dentro di lui.
- Posso stare sotto io. - disse il padrone di casa credendo di seguire il filone dei suoi pensieri. Ma Draco stava pensando solo che Harry Potter voleva entrargli dentro, e quindi era quello che sarebbe accaduto. Che poteva farcela.
Così lo guardò e gli fece un’unica domanda – Vuoi fottermi, Potter? -
Gli bastò guardarlo negli occhi per riuscire a vedere quanto lo volesse, nonostante la gentilezza e gli accomodamenti, quello che Harry davvero voleva era affondare in lui. Quindi, era quello che sarebbe successo.
Draco tirò le labbra in un sorriso più mordace che riuscisse a fare – E allora, fallo. -

**

Da qualche parte nella sua testa ricordò la frase: il punto G di un uomo era nel suo ano. Eppure, non aveva mai provato a farci nulla, nemmeno quando sperimentava da ragazzino.
Nonostante il gel, il primo dito di Harry trovò molta resistenza, Draco si impegnò a rilassarsi, ma l’ansia era più forte di lui, era così densa che quando Harry passò la lingua umida e calda dalla base alla punta della sua erezione, probabilmente per distrarlo, Draco sobbalzò.
Eppure, quando Harry uscì da lui, si sentì sopraffatto da un vuoto nello stomaco.
- Non dobbiamo per forza. - disse con voce gentile, anche se poteva dire dalla tensione del suo corpo quanto fosse frustrato.
Draco abbandonò la testa sul cuscino, più disperato che mai. Poi si mise seduto e rovesciò le posizioni. L’altro lo fissò con confusione.
- Se non puoi scoparmi, posso sempre succhiartelo. - tagliò corto Draco, prima di spingerlo disteso e iniziare a scendere lungo il corpo.
Non l’aveva mai fatto, ma decise che non rifletterci tanto, fosse la soluzione a tutta quella frustrante situazione.
Harry afferrò i suoi capelli, nel vano tentativo di fermarlo, ma quando la lingua si posò sulla pelle tesa, lo sentì gemere frustrato.
Il sesso di Harry era caldo, fremeva nelle sue mani, scivolava nella sua bocca con facilità. Ora che stava assaporando e toccando e leccando da sé, d’un tratto non sembrava fare tanto paura.
Non è nemmeno piccolo, pensò prima di provare a avvolgere con le labbra il glande e roteare la punta della lingua sul sua prepuzio.
Guardò in alto e realizzò che Harry non solo lo stava guardando, ma che lo stava mangiando con gli occhi: lo voleva davvero.
Draco non sarebbe stato solo una botta e via per curiosità creata da una così detta app.
Harry provava qualcosa per lui.
Merlino, pensò mentre lasciava che una mano scivolasse tra le sue natiche, doveva dargli tutto ciò che poteva.
Non era mai stato attratto dal suo ano durante la masturbazione, ma quando il primo dito attraversò l’anello di carne, Draco si ritrovò a fare i conti con una bramosia che non lo aveva mai colto.
Succhiò il suo sesso, mentre si beava del desiderio dei suoi occhi e assecondava quello del suo ano che aveva scoperto essere più avido di quanto avesse mai creduto.
Quando sentì il seme caldo di Harry scivolargli sulla lingua, non ci fece nemmeno caso, troppo preso dall’orgasmo che si propagandò dentro di lui.
Abbandonò l’ano per toccarsi e finire di venire, ma sentiva di voler essere ancora penetrato e, al contempo, voleva essere toccato.
Fu un orgasmo frustrante e strano, come non ne aveva mai avuti.
Ma era venuto e aveva il sapore in bocca del suo compagno. Era tutto finito, pensò mentre si arrampicava di nuovo sul letto e tornava accanto all’altro che lo accolse con un enorme sorriso, poi si fece più vicino e gli baciò una spalla che era l’unica cosa che riusciva a raggiungere senza dover muovere troppi muscoli.
Restarono così per un po’, finché i loro corpi iniziarono ad avere freddo. Harry evocò una coperta e si fece vicino a Draco non così tanto da sembrare in cerca di coccole ma non così lontano da sembrare distaccato.
Si chiese quante volte, con l’amante di turno, avesse agito così, quanta pratica c’era voluta per trovare la giusta combinazione di atteggiamenti per essere l’equilibrio dell’amante perfetto.
Lui non aveva quell’allenamento, e una parte di lui non era del tutto soddisfatta da quell’unica volta, così attese un poco prima di provare a baciarlo ancora.
Fu come mettere le mani nella presa della corrente: e lui ne sapeva qualcosa, non avendo mai avuto a che fare con l’elettricità aveva fatto la triste scoperta della sensazione di prima mano. A differenza di quella volta, questa era come se la corrente gli scorresse addosso, risvegliando ogni suo nervo.
Harry sembrò rispecchiare il suo stato d’animo perché si fece vicino, più vicino che poté per baciarlo in modo quasi spasmodico, cercò la sua lingua, ci giocò e quando Draco dovette recuperare fiato, gli baciò il collo trovando ogni suo più piccolo angolo elettrificato.
Harry era su di lui, era caldo, era di nuovo duro e Draco adorò tutto ciò.
Gli fece spazio: voleva sentirlo completamente addosso a sé, voleva che ogni centimetro con cui poteva entrare in contatto, lo fosse.
Sentì le mani tremare nel tentativo di spingerselo addosso.
Questa volta, quando sentì qualcosa premere sul suo ano, un sospiro desideroso uscì dalla sua bocca.
Il primo dito scivolò dentro e Draco si ritrovò piacevolmente solleticato, quando sopraggiunse il secondo, non dovette sforzarsi di rilassarsi.
Era diverso da prima, ma non era più un rifiuto.
Non ci fu bisogno del terzo perché Harry era impaziente quanto lui. Quando lo sentì premere per entrare tutto ciò che riuscì a pensare era che solo così più centimetri possibili della loro pelle sarebbero stati vicini: sarebbero stati uniti…
Harry sarebbe stato suo.
Draco abbracciò l’altro che, nonostante trovasse difficoltà a muoversi come voleva, non si sottrasse al contatto. Anzi, trovò l’esatta posizione per stringerlo e a sua volta ma potersi immergere dentro di lui con frenesia.
Erano precipitati, pensò Draco, mentre il piacere montava e avanzava tra loro, erano saltati nel vuoto e stavano ancora cadendo.
Lo baciò, nella frenesia, lo sentì arrivare in punti che nessuno aveva mai toccato, si sentì parte di loro due, come unica entità.
Era questo fare l’amore con un uomo? Se era questo, allora non era male.
Non era male per niente.
Harry fece scivolare la mano tra loro e avvolse l’erezione di Draco per carezzarla energicamente.
Per un attimo, odiò quel contatto: lo avrebbe spinto a venire, e lui voleva prolungare il più possibile quella sensazione di piacere sconosciuto che lo avvolgeva.
Ma poi la voglia di venire ebbe la meglio e si lasciò andare al secondo e più potente orgasmo che gli tolse il respiro.
Harry si spinse in lui finché anche l’ultimo spasmo di piacere non si era consumato per poi scivolare via e lasciarlo.
Draco si sentiva come se fosse naufragato e avesse appena trovato terra ferma.
Questa volta Harry non ce la faceva a muoversi nemmeno per rubargli un bacio veloce, si limitò solo a cercare la sua mano, non per stringerla, solo per toccarla.
Le loro dita non erano intrecciate, erano solo nocche contro nocche, in un contatto quasi inesistente.
Ma per Draco fu tutto.
Fu in quel momento che si rese conto che Blaise aveva ragione: avrebbe dovuto rifiutarlo da subito, perché Harry voleva qualcosa di vero e lui non poteva darglielo, non come avrebbe meritato.
E ormai era troppo tardi, quello non era stato solo sesso.
Erano diventati una coppia.

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 Promot: Grecia
parole: 211

Luna di miele

- Per la luna di mieile mi stai portando in Grecia?-

- yep –

- perché? –

- Perché è bella. Ci sono le rovine, i ricordi magici dei primi maghi. –

- Ma sono rovine, appunto. –

- Ci sono draghi più che mitologici. Ho sempre voluto vedere nello zoo magico il minotauro! La grecia è così affascinante! –

Harry sospirò gravemente, ma accettò di andarci.

Le rovine erano di una bellezza estasiante, bianche e celestiali, il tempo fu clemente ma ciò che davvero Harry odiava era la gente.

La gente che non se ne stava a casa durante una fottuta pandermia dove era chiesto loro vivacemente di starsene lontano dai coglioni.

Draco aeeva preso la mascherina come un oggetto forcloristico, anche se nessuno davvero la indossava, lui non aveva capito che era una cosa che doveva, in teoria, prevenire le malattie, invece che una bandana per le labbra.

Si divertitva tanto, pure a baciarlo con quella maschera bianca, cosa che a Harry dispiaceva fino a un certo punto.

Sapore di schifo? Okay.

Draco che vuole baciarlo? Super okay.

La luna di miele fu molto carine e colorata.

Fecero sesso in ogni posizione.

Tutti vissero felici e contenti.

Anche perché, non avevano altra scelta, essendo io l’autrice di questa favoletta.

 

 


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 Promopt: indonesia

Parole: 242



 

- Ma tu sei proprio sicuro che sia qui? – domandò Harry affannando nella giungla incontaminata.

- Il raro fiori Cowt? Sì, da questa parte. Ha una magia potente, è quasi tutto spine e poco fiore, ma è un tuttuno con l’albero madre, ne succhia la linfa vitale e lo fa appassire. –

- Come mai ti piace tante una simile arbaccia? –

- Mi serve per far diventare mio marito più carino. –

- Sono già carino. –

- Un altro marito – gli fece l’occhiolino e sorrisero. Anche se Harry non era troppo sicuro che non fosse sincero.

Per quel che ne sapeva lui, era lì per  morire male nella giungla e dare la colpa alla natura.

Una zanzara lo succhiò vivo, e ne era sicuro perché era una zanzara magica che brillava quando mangiava, eppure pure così non era mai stato in grado di ammazzarla.

E che diamine no? Una cosa è catarifrangente, dovevi essere in grado di vederla! Eee invece no.

Il fatto che avesse due tappi di bottiglia per occhiali forse non aiutava.

Ma ci era affezionato, erano un sogno erotico di Draco, anche se aveva comprato un nuovo paio quando facevano sesso, preferiva che indossasse quello.

Era forse l’unico al mondo che come gioco di ruolo doveva interpretare una versione più giovane di sé stesso.

- Trovata? –

 - Trovata. –

- Tornaim a casa. Ho portato gli occhiali. –

Draco li smaterializzò direttamente nel letto dell’albergo.

 

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Promop: Scrittura alternativa
Parole: 216

Come la uso: Ipotetica news di una disperata admin di un sito di scan.
 

 

 L'ultima News

 

07 Marzo 2020

Ciao a tutti, utenti del sito!

Sono la vostra admin super preferite di cui non sapere quasi nulla perché non gli da di pubblicare i cazzi suoi online.

I capitoli di oggi sono già sul sito, ma decisamente voglio parlare un po’ di me. Voglio lasciare il sito. E’ una cazzo di sanguisuga che mi prosciuga la vita. Quando ho iniziato ormai sedici anni fa, ero una persona totalmente diversa, a cui i manga piacevano ancora e che aveva ancora sogni e speranze.

Ora non li ho più, brucerei tutto e tutti, soprattutto voi utenti. Siete stupidi, stupidi come nessuno. Non riuscite nemmeno a seguire le più basiche forme di intelligenza: venite da noi per leggere ma NON SAPETE LEGGERE.

Sul serio.

No davvero, dovete dirmelo.

Due soli punti sono che dovese seguire: presentarvi (è buona fottuta educazione) e chiedere l’abilitazione.

Perché diavolo non ci riuscite? Il regolamento non è nemmeno nascosto in non so sezione del forum è esattamente in cima, davanti ai vostri stramaledetti occhi, quando entrate.

Sul serio. Che problemi avete?

Spiegatemelo, davvero. Dopo quasi vent’anni non ne sono venuta a caso!

Quindi, senza indugio, annuncio la mia dipartita come capo di questo sito che mi ha tenuto impegnata per fin troppo tempo.

Giuro.

Non mi mancherete affatto.

Addio.

 

Caro amico

Mar. 7th, 2020 11:28 pm
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Prompt: scrittura alternativa, m4

Come l’ho impiegato: Lettera ad un amico.

Parole: 250

 

Caro amico, ti scrivo.

Perché a quanto pare le chiamate sono bloccate tra le dimensioni. Chi l'avrebbe mai detto.

Sono ferma in un'altra dimensione e non so come uscirne. Ci sono finita unendo insieme il corallo azzurro con la magia del Fantàsia. Mi ritrovo a pensare a te, che guardi la televisione seduto sul divano.

Volevo dirti… Ma The whitcher è bello?
No perché ho visto la prima puntata e non è che mi abbia convinto tanto.

Cioè insomma, i personaggi si accoppiano perché devono mica perché ha senso, sia sceneggiaturamente che umanamente.

Il mago gli chiedere di ammazzare la tipa, lui dice no. La tipa gli chiede di amamazzare il mago, lui dice no.

Dovrebbe finire qui. Perché lui ha detto no, pace, finita. E invece no.

Sì, pensao a cosa strane, ma in questa dimensione il cielo è psichedelico, è pieno di colori e mi fa pensare.

Però, parliamone…

Cioè come funziona?

Lei che lo tormenta e nemmeno lo conosce, gli zompa addosso, e lui così a caso decide di tornare al villaggio. Ammazza tutti e la gente invece che scappare lo attacca per farsi squartare peggio e alla fine deve uccidere tutti perché … davvero non lo so. Cioè perché lo coinvolgono e perché si è lasciato coinvolgere?

Caro amico devo lasciarti. In questa dimensione il tempo passa più in fretta.

Ho iniziato a scrivere questa lettera che avevo venti anni, ora ne ho ottanta quattro.

Sto morendo. E volevo solo dirti addio.

Mi sei mancato.

 

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