Mar. 12th, 2019

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Capitolo 1

Ivory afferrò il davanzale e fece un saltello per poi tirarsi. Sbirciò sbrigativamente nella sala della musica e cercò una testolina che, negli anni, aveva imparato a conoscere così bene da distinguerla tra una massa di chiome tutte uguali. Ma non era in quella stanza, così scivolò di nuovo sul cornicione e si tenne raso al muro muovendosi con estrema attenzione.
Non era lì, quindi doveva essere in camera sua.
Avanzò sul cornicione, accovacciandosi ogni volta che incontrava una finestra. Per fortuna, non era la prima volta che quel cornicione la sorreggeva, ma, con tutta probabilità, quella sarebbe stata l’ultima.
Non che lei morisse dalla voglia di arrampicarsi su muri umidi che non venivano ridipingi da almeno dieci anni, infestati da ragni e piccoli mostriciattoli. Era tutta colpa delle regole di quella stramaledetta scuola.
Per quelli come lei, l’ala Est era proibita, così aveva dovuto escogitare un altro modo per riuscire a vedere la sua migliore amica.
E quel modo, significava restarsene in piedi su un cornicione largo mezzo metro e doversi aggrappare a mattoni lisci e scivolosi per riuscire a raggiungere la sua stanza.
Normalmente, lo faceva solo se c’era un’emergenza; fino a quel momento quasi ogni giorno ce n’era stata una, dal budino troppo rosso all’asciugacapelli che non asciugava abbastanza capelli…
Ma quella volta, l’emergenza era reale.
Cercò di concentrarsi su i suoi passi nonostante la musica che la distraeva, ad ogni finestra che si affacciava un nuovo ritmo le martellava nelle tempie e quando finalmente arrivò nella camera di Lindsey tirò un sospiro di sollievo.
Si affacciò e trovò l’amica china sulla custodia del suo fidato violino, Bob. Sì, lo avevano chiamato così quando Lindsey l’aveva avuto in regalo da sua madre. Per i bambini come lei, non era un semplice violino.
Era un arma. L’arma. Non c’era da stupirsi se una bimba di cinque anni ne era terrorizzata. Così Ivory aveva avuto l’idea di dargli un nome stupido per mitigarne il timore.
Non si poteva avere paura di un violino di nome Bob.
Si arrampicò sul davanzale della finestra e batté le nocche sul vetro.
Quando Lindsey alzò gli occhi su di lei per un attimo non sembrò riconoscerla, poi la sua espressione si indurì.
Lasciò con cautela il violino nella custodia e raggiunse la finestra.
– Si può sapere cos’è così urgente da non poter aspettare domani?-
Nonostante la voce seccata, i suoi occhi ebbero un lampo di preoccupazione.
Era abituata alle sue improvvisate, ma non certo in piena nottata.
Raccolse tutto il suo coraggio per sorridere e annunciare – Perché sto andando via.-
L’espressione dura vacillò – Come? Cosa?-
- Me ne vado.- continuò Ivory – Qui non ci starò un giorno di più.-
Lindsey prese un profondo respiro, cercando di racimolare la pazienza – Entra, parliamone.-
Dopo essersi guardata attorno per una breve cautela, Ivory fece un salto e precipitò nella stanza della migliore amica.
Quando si ritrovò con la faccia sul pavimento, Lindsey scosse la testa.
- Cos’è questa storia?- domandò con voce stanca.
Ivory prese un profondo respiro prima di mettersi seduta. Le faceva male il mento, ma tentò di non darlo a vedere – E’ giunta l’ora.- mormorò – Sapevi che me ne sarei andata prima o poi.-
- Speravo che mettessi un po’ di sale in zucca prima di prendere e partire.- replicò l’altra scuotendo la testa e chiudendo la finestra – Cosa ti ha fatto scattare questa volta?-
Questa volta, come se fosse l’ennesimo capriccio.
Non era la prima volta che Ivory sistemava lo zaino e si presentava da lei annunciando di volersene andare, ma quella era la prima che non voleva essere convinta a ritentare ancora.
Qualcosa nel suo sguardo convinse Lindsey che stavolta era diverso perché aggrottò le sopracciglia e si sedette sul pavimento con lei.
- Cosa è successo?- domandò con una nuova dolcezza nella sua voce perfetta.
Ivory strinse le labbra, cercando di non scoppiare a piangere, tentò di distrarsi guardandosi attorno ma fu solo peggio.
Era difficile vedere come Lindsey si era integrata così bene in quella scuola.
Sulle pareti abbellite da una discutibile carta da parati giallognola, facevano bella mostra di sé distintivi per ogni passo fatto in quei mesi.
Lindsey era abbastanza talentuosa da aver vinto già a metà anno tutti i distintivi del resto del primo.
Mentre lei…
Scosse la testa, scrollando le spalle – La professoressa mi ha rimandato.- ammise – Tutti i miei compagni di classe sono passati di livello, ma non io. In sei mesi non sono riuscita a imparare nemmeno un incantesimo di base.-
Lindsey strinse le labbra – Devi solo impegnarti di più, lo sai. Anche se parti svantaggiata non significa che non riuscirai.-
Svantaggiata, come se fosse possibile partire svantaggiati per poi recuperare quando la tua percentuale di magia era così bassa da renderla quasi umana. Quando l’avevano testata ad appena un anno, era diventato leggenda il silenzio che era seguito nella sala, non voleva un alito di vento.
Un’umana nella comunità magica.
Non l’avevano mandata a vivere tra di loro solo perché sua madre si era battuta con le unghie e con i denti per riuscire ad ammetterla nella comunità.
Ma sapevano tutti che la sua più grande abilità sarebbe stata fare benedizioni al grano o qualche vaccata simile…
- Non sarei mai dovuta venire.- mormorò sentendo le lacrime trovare la via diretta verso i suoi bulbi oculari. Li chiuse cercando di evitare l’inevitabile.
Con gli occhi chiusi non poteva vedere Lindsey, ma lei si fece presente con la più classica delle sue mosse.
Le dette uno scappellotto bello assestato alla nuca.
- Piantala. Puoi farcela.-
- Sì a benedire il grano.- gracchiò – Anzi, forse nemmeno quello.-
- Sei riuscita a far scintille.-
- Potrei innescare incendi per professione.- Ivory fece un mezzo sorriso – Professione Piromane.-
- Lasciamolo come piano D.-
Ivory sorrise e guardò l’amica – Potrei mettere su un bello spettacolo. Riunisco tutti, accendo il fuoco con le dita e tutti potrebbero servirmi e riverirmi nella comunità non magica. Sarei una regina.-
Lindsey si rabbuiò – Smettila, so che c’è un fondo di premeditazione in quello che dici e sarebbe una pessima idea.-
- E certo, - replicò Ivory mettendo un piccolo broncio – Tu puoi avere tutte le medaglie del mondo e io non posso diventare la Regina degli Umani. E’ crudele volere tutta l’attenzione per te, lo sai?-
Lo scappellotto questa volta fu più assestato – Questa è la tua comunità, se non per magia lo è per sangue, amicizie e affetti.-
C’era una nota malcelata di rabbia in questa frase, non come se fosse seccata da doverla ripetere circa una volta a settimana, ma perché voleva imprimere la certezza che rappresentava.
Ivory strinse le labbra, colpita. Era cresciuta circondata da maghi e musicanti, aveva partecipato ad ogni rito, a ogni iniziazione, ogni benedizione, era vero. Ma Lindsey non poteva capire come si sentiva.
Lei non era parte della comunità, lei ne era la mascotte.
- Anche ammesso che sia così, iscrivermi all’accademia è stato un passo azzardato. Io non c’entro niente qui, quindi me ne vado.-
Linsey fece un profondo respiro – Bene, e dove? Tua madre…- si fermò, bastava che la nominasse per mantenere il punto.
- Starò da Artur per un po’, poi troverò un lavoro come appicca fuochi e diventerò ricca.-
- Sii seria.- sbottò l’amica – non puoi andare via ora, è piena notte e il bosco attorno all’accademia brulica di Dannati. Non arriveresti viva a destinazione. Dormici su, domattina troviamo insieme una soluzione.-
- Non vale.- sbuffò Ivory – Fregarmi con la logica non è mica giusto.-
Lindsey fece spallucce e si alzò – Bene, e ora, torna a rischiare la vita fuori della mia finestra prima che qualcuno ti scopra.-
**

Tornare nella sua stanza del dormitorio fu umiliante. Tutti avevano visto i risultati, quindi non era un mistero il suo essere stata scartata al primo esame di corso. Il primo.
Se non era scappate quella notte presa dalla vergogna, non aveva comunque molte speranza di restare ulteriormente nei paraggi. Aspettava l’espulsione da lì a poco.
Tornò in camera e si buttò sul letto, sapeva che la sua coinquilina era andata con gli altri a festeggiare il risultato quindi non ebbe modo di confrontarla per doverla salutare.
Era un peccato, non era poi così antipatica. Era solo una maga esperta che era segretamente convinta che lei era lì fuori posto, ma almeno era stata molto discreta nel pensarlo.
O forse era solo la sua immaginazione. Molto probabilmente era così.
Aprì il minifrigo e afferrò una delle scatole di gelato rimaste e si sedette sulla cassapanca che si affacciava sulla finestra.
Gli era sempre piaciuta la vista. Dalla sua stanza c’era una visione mozzafiato dell’enorme accademia magica, ed era bella, bella di una bellezza incredibile.
L’ala dei Musicanti poi era incredibile, un intera ala sconfinata immersa nel boschetto. D’estate si riempiva di fiori e facevano sempre dei concerti all’aperto sul piccolo anfiteatro nel bel mezzo del verde.
C’ero, l’ala dei musicanti era molto più ben tenuta dell’ala dei Maghi ma Ivory ne era innamorata. Era innamorata di quell’edificio un po’ malmesso e sicuramente trascurato, ma che aveva piccolo spazi di bellezza allo stato puro.
Ma la bellezza veniva oscurata dalla sua insicurezza e questo non poteva proprio evitarlo.
Lei non apparteneva a quel posto, lei non era fatta per stare lì.
Affondò il cucchiaio nel gelato e scavò tutta la sua tristezza. La ingoiò in un paio di consistenti bocconi prima di decretare di essersi compianta abbastanza.
Ormai era a cose fatte, avrebbe affrontato tutte le conseguenze della situazione dopo una bella dormita.

**

La sveglia suonò impietosa. Ivory aprì gli occhi appiccicati e osservò il fagotto infastidito della sua coinquilina dall’altra parte della stanza.
Mugugnò, e Ivory si decide a far cessare il baccano.
Anche se quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, ormai aveva preso l’abitudine di andare a correre. All’inizio lo faceva per dimostrare a tutti che si impegnata quanto se non di più di altri alunni, ma col tempo era diventata una cosa sua. Quella mezzoretta in cui correva, la aiutava a non pensare alla sua situazione.
Non aveva mai sentito così tanto il bisogno di correre come in quel momento. Si guardò allo specchio e odiò vedere le profondo occhiaie che facevano a pugni col suo pallore cadaverico.
Si lavò la faccia, preparò ed uscì dal gelo mattutino. Quando iniziò il riscaldamento era così distratta che non si accorse della nuova presenza accanto a lei.
- buongiorno anche a te, eh!- esclamò la nuova presenza con un sorriso a trentasei denti.
Ivory saltò dallo spavento – Daniel!- sbottò – B-buongiorno.-
Il ragazzo si tirò un braccio per imitarla nel riscaldamento – Non sapevo se oggi saresti venuta.-
Ivory sorrise senza allegria – E perdermi il giardino? Non sia mai, mi godrò questo paradiso fino al mio ultimo istante qui.-
Daniel le sorrise, divertito – Sono contento che tu sia qui.-
- oh, anche io.- replicò lei e tirò le labbra. Era il primo sorrido da… settimane. Prima aveva dovuto avere a che fare con lo stress dell’esame, poi con lo stress del post esame. Sorridere, le offrì una strana sensazione di rassegnazione che accolse come un miglioramento del suo malumore.
Daniel osservò il sentiero che si immergeva nella natura. Era il loro percorso, erano gli unici due da essere così folli da svegliarsi all’alba per andare a correre, col tempo avevano deciso tacitamente che correre da soli era meno divertente che farlo insieme. Oltre Lindsey, Daniel era l’unica persona con cui aveva fatto davvero amicizia in quell’istituto... e non sapeva molto di lui, a parte che era un musicante, gli piaceva essere mattiniero, correre e spettegolare.
- Spero che non ti caccino.- disse, mentre iniziava a saltellare sul posto.
Ivory si piegò per toccarsi le punte dei piedi, meditabonda – Era solo questione di tempo, lo sapevamo.-
- Non so… credevo che sarebbe venuto fuori che sei una super maga potentissima. Come nei film.-
Lei scoppiò a ridere, di cuore, e si aggrappò con una mano alla sua spalla – Ma io sono una super maga potentissima!- esclamò – Sono Ivory White, maga di prima classe, specialità Pironame consumata!- gonfiò il petto – Se un nemico vuoi abbrustolire, Ivory Whiter non puoi fallire!-
Daniel scoppiò a ridere così forte che nel silenzio della mattina risuonò per tutto il bosco. Uno stormo di uccellini infastiditi cambiò albero.
Daniel smise di ridere gradualmente, e il luccichio divertito nei suoi occhi cambiò. Il silenzio all’improvviso divenne denso, calmo, perfino rilassante.
- Fino ai confini?- sussurrò tendendo il pugno, a mo’ di sfida.
Ivory rispose al sorrido e batté il pungo – Fino ai confini.-
Mentre correvano, in silenzio, sentendo solo il rumore dei passi e dei loro respiri, Ivory lasciò che i pensieri scivolassero via. Sentiva solo i muscoli, il proprio cuore battere nella gabbia toracica con la calma insolita di chi si allenava da tempo. All’inizio non faceva che pochi metri prima di morire addosso ad un albero, ma ora riusciva a raggiungere mete più lontane, sentieri meno battuti.
Il percorso era sempre quello: superare l’ala Est, arrivare all’anfiteatro, superare l’area panoramica e, infine, il confine della proprietà calpestabile.
C’era una linea che marcava il territorio, sottile e d’orata, che circumnavigava l’intero stabile. Era magica e teneva i Dannati lontani dall’edificio. Arrivavano al confine per fermarsi e bere un po’ d’acqua, chiacchierare un po’ e poi riprendere a correre.
Ma qualcosa andrò storto.
Ivory non era sicura di sapere come aveva fatto a notarlo, forse era stato il silenzio improvviso dei cinguettii, forse l’aria che si era improvvisamente tersa di elettricità. Riusciva ad avvertirla, come un campo magnetico che gli dava la pelle d’oca. Ma avvertì qualcosa e si fermò. Daniel si fermò a pochi passi da lei.
- Che succede?- le chiese, con fiato corto.
In quel momento sentirono un ramo spezzarsi. Sentirono il rimbombo dello schianto per terra, poi sentirono un fruscio.
Daniel si girò, all’improvviso all’erta, gli occhi che cercavano febbrilmente nella boscaglia.
- chi pensi sia?- soffiò, sottovoce.
Ivory aveva un pessimo presentimento, sentiva tutti i suoi sensi messi a dura prova. Se era certa di qualcosa, è che non era uno studente né un professore.
Il ramo, non era un rametto calpestato per sbaglio, ma era un ramo molto più grande e solo qualcosa di grande avrebbe potuto causare quel fracasso.
- Dobbiamo tornare indietro, ora.- si sforzò di non urlare.
- Non può essere nulla di pericoloso, siamo dal lato giusto della linea.- replicò Daniel – Non c’è pericolo.-
Eppure stava sussurrando, e teneva le dita rigide come se volesse strimpellare il suo violino per istinto.
Gli afferrò un braccio e lo trascinò dalla parte opposta del percorso, verso il laghetto delle carpe. Il cuore ora le batteva così forte da non riuscire a sentirsi pensare.
- Ivory, dai, non è niente. Torniamo indie…-
E si sentì il ruggito sommesso tra i rami che gli fece rabbrividire entrambi.
Ivory tentò di calmare i nervi, iniziò a camminare con più calma possibile verso il laghetto, sperando che movimenti meno bruschi non avrebbero attirato l’attenzione.
Per un po’ sembro funzionare. Per un po’.
La vide con la coda dell’occhio,l’ombra scura dall’altra parte del bosco. Non le servì guardarla nei dettagli per capire che stava guardando loro.
- Corri!- gridò a Daniel, spingendolo avanti – Corri più forte che puoi!-
- ma…-
- Fallo!-
Daniel obbedì e iniziò a correre lungo il sentiero, saltando sassi, avvallamenti, rami e ostacoli mentre Ivory incespicava dietro di lui.
Ma il pavimento aveva iniziato a tremare per i passi pesanti. Si stava avvicinando.
Fu un attimo. La terra ebbe uno scossone, si sentì un sibilo e la terra smise di tremare per il tempo di un respiro profondo, lo stesso che Ivory tentò di fare mentre d’istinto fermava la tua corra afferrando Daniel e costringendolo a fare lo stesso.
La creatura precipitò dal suo balzo davanti a loro e ogni dubbio su cosa fosse fu fugato in un attimo: era un dannato.
Con i suoi tre metri d’altezza, la creatura era alta e nodosa, poteva essere scambiato per un albero nel bel mezzo della notte ma col sole alzato le scaglie color tenebra rilucevano cupamente. Anche se aveva le gambe corte, le sue lunghe braccia gli permettevano di correre con estrema velocità.
Gli bastò uno sguardo per riconoscere il grado di quella infestazione: un grado tre. Non insidiosa e letale come un grado cinque, ma il tre era ugualmente temibile e, di sicuro, inarrestabile.
Solo un enorme colpo di fortuna li avrebbe potuto salvare, un colpo di fortuna che consisteva nell’immediato salvataggio da parte di terzi perché una matricola che non aveva superato nemmeno l’esame di primo livello e un musicante inesperto non potevano avere alcune speranza contro quella creatura.
Ivory tentò di respingere il panico, di pensare a qualcosa. Doveva porre Daniel prima di tutto. I musicanti erano sempre più rari e sempre più preziosi, non importava cosa accadeva a lei, lui doveva tornare sano e salvo all’accademia.
Poteva solo fare da esca.
- Quando te lo dico, corri più forte che puoi.- mormorò.
Daniel non ebbe il tempo di protestare che Ivory scattò da un lato e iniziò a correre racimolando tutte le sue forze e la creatura scattò al suo inseguimento.
C’erano tre cose da ricordare di un grado tre: era abbastanza senziente da amare la caccia, gli piaceva acciuffare prede che fuggono, una volta afferrata la preda amava uccidere lentamente le sue vittime, poteva essere ucciso solo con un arma sacra o una magia abbastanza potente da distruggerlo.
Peccato che le armi sacre erano solo per allievi del terzo anno e tutto ciò che sapeva fare lei era fare due scintille con le mani.
Stremato già dall’attività fisica, il corpo di Ivory iniziò a cedere e dovette rallentare per non cadere in terra come un sacco di patate. Mentre tentava di recuperare almeno qualche respiro sperò che Daniel fosse abbastanza lontano da essere in salvo e cercò febbrilmente qualcosa, qualsiasi cosa che potesse usare come arma in giro.
Non sarebbe morta senza nemmeno tentare di difendersi.
Vide un ramo, si precipitò ad afferrarlo ma le gambe le cedettero nell’atto.
Crollò a terra, senza fiato ma riuscì a prendere il ramo e girarsi per puntarlo così da difendersi.
Peccato che la creatura non solo l’avesse raggiunta, ma l’aveva ingabbiata con le lunghe braccia, restando lì a guardarla come se la deridesse.
Probabilmente era così.
Un grado tre col il senso dell’umorismo, solo lei poteva beccarlo. Davvero.
Strinse le dita sul ramo così forte da sbiancarle e tese i sensi per ogni colpo in arrivo, ma all’improvviso la creatura drizzò le schiena e si prese la testa tra le mani. Cacciò un urlo disumano che si propagandò per la foresta intera, poi la sua attenzione fu attirata altrove. Verso la fonte del fastidio.
Daniel era poco distante da loro, aveva la bocca aperta e Ivory ci mise un attimo a capire perché: stava cantando.

Era stonato, era ansante, ma era un musicante e tanto bastava. La sua voce bassa e rauca doveva risultare alle orecchie della creatura come unghie sulla lavagna da quando urlava e si contorceva così Ivory senti la scarica di adrenalina di chi non era ancora morto, uso il bastone per alzarsi e sgattaiolò via.
Ma erano punto e d’accapo: Daniel non era fuori pericolo e lei non era in grado di tirarli fuori da quel guaio.
Si guardò attorno, erano quasi arrivati al lago, se fossero corsi da quella parte sarebbero sicuramente arrivati in una zona dell’accademia abitata, forse qualcuno avrebbe potuto sentire il frastuono.
Tanto valeva provare.
La voce di Daniel si affievoliva, era anche lui senza fiato, e la presa sulla creatura iniziava a indebolirsi con lei,
Se doveva fare qualcosa, doveva farlo in fretta.
Ivory scattò verso il lago, pronta a imboccare il sentiero e si girò solo per chiamare a sé la creatura.
- Ehi, scimmione carbonizzato, vieni a prendermi!- urlò.
Non sapeva se poteva sentirla né se poteva capirla, ma la creatura sembrò infastidita per entrambi e questo la fece ringhiare paurosamente.
Gli piaceva la caccia. Giusto.
- Che c’è, non riesci a catturare una semplice ragazzina?!- urlò – Che scadente pezzo di demone che sei!-
La creatura decise finalmente che doveva farla a pezzi. Scattò verso di lei e lei raccolse le sue energie per attraversare il sentiero, ma con un balzo la creatura le tagliò la strada.
Protese il ramo a protezione e fissò la creatura negli occhi. Se doveva morire, lo avrebbe fatto combattendo.
- Non sei degno nemmeno di essere chiamato Demone, ma dovrei chiamarti Fuffy!- esclamò – I cerberi fanno più paura di te!-
La creatura si spazientì e alzò il suo lungo braccio pronto a colpirla, ma lei si fece da parte con un salto. Per un secondo lo slancio aveva sbilanciato la creatura e Daniel non si fece perdere l’occasione, prima che Ivory capisse cosa stava accadendo, fece un salto e colpì con un calcio la creatura su uno snodo dell’enorme gamba. Un urlo fendette l’aria, e la creatura precipitò verso il lago. Per un secondo, Ivory pensò che avevano guadagnato tempo, che una volta nel lago la creatura avrebbe avuto maggiori difficoltà a uscirne, e che in quel lasso di tempo qualcuno sarebbe giunto in loro soccorso, ma la speranza svanì quando uno delle lunghe braccia del mostro la colpì in pieno petto scaraventandola con sé nel lago.
All’improvviso, Ivory si ritrovò nella gelida acqua matuttina, con vortice che le si agitavano attorno per via della creatura che si dimenava.
Stordita dal colpo e dalla stanchezza, non riuscì nemmeno a pensare di nuotare per salvarsi.
Ma voleva salvarsi.
Pensò all’unica magia che sapeva fare e non ci pensò nemmeno un secondo. Si concentrò e tese le dita e pensò con tutte le sue forze: elettricità.
Una scarica di adrenalina che non aveva mai provato le tolse quel poco di respiro che le era rimasto, sentì le mani elettrificarsi, così come gli era capitato in allenamento, ma con un intensità che non aveva mai avvertito prima. Avvertì la scarica attraversarla, espandersi in lei, in ogni sua terminazione nervosa, per poi essere rilasciata tutt’intorno.
Sentì le urla della creatura vibrare tutt’intorno a lei.
Ce l’aveva fatta? Aveva salvato Daniel?
Non ne era sicura, ma aveva fatto del suo meglio.
Fu la sua unica consolazione mentre perdeva i sensi…

 
 
 
 
 
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