Mar. 15th, 2019

macci: (Default)
Il divoratore di cuori

Era rimasto nel torpore per così tanto tempo che quasi non si rese conto di essersi ridestato. Fu come una piccola scossa elettrica che gli attraversava il cervello, talmente misera che gli aveva causato che un formicolio.
Il primo senso che tornò fu l’olfatto. La sentì a chilometri di distanza, sentì il suo odore divenire sempre più vicino, passo dopo passo, battito dopo battito.
Non sembrava aver corso, ma il suo cuore batteva così forte che le aveva affaticato il respiro.
Fu in questo modo che si accorse che gli era tornato anche l’udito.
Poi, come se fosse un senso a parte, si risvegliò la paura.
Nel torpore dei suoi anni addormentato, non si era reso conto del tempo che scorreva, né della fame, né della disperazione.
Ma all’improvviso tutto, tutto era tornato più impietoso che mai, la fame lo spinse a snudare i denti, riuscì ad avvertire un ringhio soffuso suonargli in gola. A quel punto, tutto era ancora abbastanza lontano da lui, da non capire bene cosa stava accadendo, ma se c’era una cosa che sapeva era che non sarebbe dovuta accadere.
Lei era in pericolo.
Il terzo senso che tornò fu il tatto. Se ne accorse quando provò a muoversi verso la fonte, e avvertì le costrizioni delle catene. Sentì il dolore di anni di resistenza, aggressività e disperazione avergli lacerato la pelle. Era addormentato da così tanto che ormai i solchi si erano cicatrizzati, ma la pelle era ancora sensibile, fragile.
Lei divenne più vicina. Era stanza, il cuore le batteva forte, il respiro era sempre più affannoso. Il passo, invece, era incerto. Non sembrava spaventata.
Avrebbe dovuto esserlo.
Non aveva così fame da secoli e lei aveva un cuore che batteva davvero troppo. Quel battito, rimbombava ovunque nella sua testa, riaccendeva i suoi istinti, e con esso, i suoi ricordi.
L’ultimo senso che tornò fu la vista. Osservò la porta della sua cella come se potesse vederne attraverso, e in un certo senso poteva.
Lei era lì, dall’altra parte dell’enorme uscio d’acciaio che finora era riuscito a tenerlo prigioniero.
Ringhiò ancora, non poteva farne a meno. Non sapeva da quanto tempo era lì, ma sapeva che quella fame cieca e assoluta non gli avrebbe permesso di mantenere la lucidità. Il suo cuore era dall’altra parte di quella porta e lui… lui avrebbe sfondato quella porta.
Strinse i pugni, strattonò le catene, provò a parlare, ma era così stanco e disidratato che non gli uscì che un rantolo.
Va via, provò a dire alla povera sventurata senza riuscirci.
Quando sentì la chiave rigirare nella toppa, si sentì spaccato in due.
Voleva divorarla.
Voleva dirle di fuggire.
Voleva afferrarle il cuore e affondarci il viso.
Voleva urlare di scappare via senza voltarsi indietro.
Strattonò le catene, sperò che reggessero.
Ma sapeva la verità. Sapeva che non appena lei avesse aperto quella porta quelle quegli anelli avrebbero fatto poco per trattenerlo.
L’aveva già visto succedere, più e più volte. Per questo, anni fa aveva scelto il posto più remoto e abbandonato per rinchiudersi. Sperava che nessuno sarebbe giunto lì per caso, di certo non per cercarlo.
Il chiavistello scattò e lei dette qualche colpo alla porta per farla aprire.
Lui, finalmente, poté vederla…
Era bella, pensò con la morte nel cuore, anche se i suoi capelli erano insolitamente corti, le incorniciavano bene il viso, era magra, forse troppo, ma soprattutto era esausta.
Il cuore della ragazza perse un battito. Finalmente, ebbe paura, ma prese coraggio e fece un passo nella sua cella.
Lui strattonò le catene, provò ancora a dirle di fuggire, perché era in pericolo e il pericolo era la persona che sembrava un ragazzo solo in apparenza.
Il suo cuore batteva, più forte che mai, e lui lo bramava.
Scattò verso di lei, sperando che le catene reggessero, quando le sentì trattenerlo, combatté contro quella costrizione con una rinnovata furia.
Ringhiò, scalciò, snudò i denti.
Lei era spaventata, ma non era terrorizzata. Come mani malferma iniziò a sbottonarsi la camicia.
No, pensò, no non farlo.
Ma lei lo fece.
Si aprì la camicetta lasciando lo sterno in bella vista, quasi come se lei volesse che lui le strappasse il cuore a mani nude.
La rabbia, la fame e la disperazione divennero l’essenza stessa di lui, cos tanto che prima di renderse conto la pelle aveva inziiato a lacerarsi dalla necesstà di raggiungerla.
Con terrore e impazienza, sentì le catene cedere.
Se fosse stato in sé, se non si fosse affamato per secoli, forse avrebeb potuto fermarsi, ma non era così e quel cuore, oh quel cuore, era lì ed era lì per essere divorato da lui.
Una catena cedette, lui affendò le unghie nella sua carne e lei non fece che una smorfia di dolore.
-… Perché?- riuscì finalmente a dire.
Lei sostenen il suo sguardo e non disse nulla e lui aveva troppa fame per domandarsi ancora le motivazioni.
La seconda cadena cedette e il suo cervello spense anche l’ultimo briciolo di lucidità.
Quando tornò lucido aveva le mani affondate nel suo torace e lei rantolava morente.
Gli afferrò il braccio e lo guardò dritto negli occhi e mosse le labbra, più forte, ripetendo sempre la stessa parola.
Le strappò il cuore osservandola ripetere quella parola.
Lo divorò, avvertendo ogni senso tornare a nuova vita, ogni cellulare rigenerarsi, ogni neurone vorticare nelals au testa.
Quando lo ebbe divorato tutto, la bestia era tornata un ragazzo. Un ragazzo che si era ritrovato a fare quello che aveva evitato fino allo stremo, fin quasi alla morte.
Si ritrovò seduto per terra, con lemani colpe di sangue e il corpo di una donna davanti a lui.
Una donna davvero molto, molto innamorata.
L’ultimo senso che si risvegliò in lui fu l’amore.
Era difficile non riuscire a percepirlo come uan cosa che era parte di sé dopo che l’aveva divorato.
Con l’amore, la sua mente riuscì finalmente a realizzare cosa lei stava ripetendo ancora e ancora, riusciva ancora a vederla, davanti ai suoi occhi, muovere le labbra: Proteggilo.
Le toccò, rimarcando quel ricordo.
- Lo farò.- promise, in un ansito.
L’avrebbe fatto, perché non aveva letteralmente alcuna scelta.
Avrebbe protetto la persona che era cara al suo cuore con ogni fibra del suo essere.

***


Lizzy era via ormai da ore. Noah dette un’occhiata veloce all’orologio e la sua preoccupazione aumentò ogni attimo di più.
Non era saggio che si allontanasse così tanto, non quando le era difficile arrivare dall’altra parte del cortile dell’ospedale.
Provò a chiamarla per l’ennesima volta ma partì nuovamente la voce della segreteria telefonica e riattaccò innervosito.
Dove poteva mai essere andata? Aveva promesso di tornare in un paio d’ore!
Noah osservò fuori dalla finestra con attenzione, uscire sarebbe stato complicato con ancora il sole così alto. Nemmeno la notte gli era poi così amica, ma il rischio di incappare in qualcuno che non lo aveva di buon occhio crollava drasticamente.
Ma doveva correre il rischio.
Cappello, occhiali da sole, i capelli colorati di nero erano gli unici accorgimenti che poteva fare prima di avventurarsi fuori.
Era così abituato a nascondersi che quando il sole gli sfiorò la pelle per un secondo ebbe l’impulso di restarsene lì, a godersi quel calore, come fosse un caldo abbraccio, ma si sforzò di ridestarsi.
Lizzy non tardava mai, era una delle sue caratteristiche che spesso gli avevano dato sui nervi soprattutto perché lui era un ritardatario nato.
Si avventurò per le strada, cercando nei soliti posti che frequentava; la gelateria, il fioraio, la libreria, fece perfino un salto al centro commerciale, ma non c’era nessuna traccia della sua amica.
Provò ancora a chiamarla, ma questa volta il cellulare morì direttamente in un paio di sinistri bip.
Sentì lo stomacò contorcersi dall’ansia.
- Dove diavolo sei…- soffiò in preda all’ansia.
Ormai era troppo tempo che era all’aperto, se qualcuno lo avesse visto avrebbe potuto passare un brutto quarto d’ora. Così Noah decise di tornare al rifugio improvvisato di cui solo Lizzy sapeva l’esistenza. Non era più sicuro, ma perlomeno lei avrebbe potuto trovarlo.
Nella via del ritorno, il buio era calato facendolo sentre gradualmente più sicuro. Si tolse gli occhiali da sola, per non attirare l’attenzione, ma dovette tenere il capello sulla testa nonostante il sudore.
Avvertì la presenza di qualcuno non appena voltò l’angolo, dopodiché sentì i passi. Affrettò i suoi, cercando di seminare il suo inseguitore, dicendosi che probabilmente era solo paranoico, che magari era un semplice essere vivente che stava facendo la sua stessa strada, ma sapeva di mentire a sé stesso. Aveva le sue ragioni per temere la sua stessa ombra, una di questa, che metà delle persone della città lo volevano alla gogna.
La morte sarebbe stata troppo clemente purtroppo.
Così, scese nella metropolitana, salì sul primo vagone che passava e pochi attimi prima che ripartisse scese al volo osservando una persona scattare verso la porta pronta ad inseguirlo. Vederlo sbattere col muso sul vetro fu esilarante. Gli fece anche un cenno di saluto, del resto in qualche modo si conoscevano. Tutti si conoscevano in quella piccola città.
Quindi a seguirlo era stato Fraderich Pall. Era una brutta notizia, era molto amico del suo adorato cugino che aveva preso la sua punizione come un impegno da svolgere personalmente.
Ora che l’aveva visto, avrebbe detto a tutti che era ancora in città.
Si guardò attorno, cercando qualche altro sguardo indiscreto, ma non vi era che un inserviente scontento.
Tornò su per le scale e cercò di pensare alla prossima cosa da fare.
Non avrebbe potuto aspettare Lizzy per sempre, ma era la sua migliore amica e non poteva andare via senza averla vista un’ultima volta.
Tornò nella sua nicchia improvvisata e si avvolse nella coperta che Lizzy gli aveva lasciato, scaldò le mani sfregandole tra loro e pregò che il freddo gli desse una fine più dignitosa di qualsiasi avesse deciso la sua famiglia.
E tutto perché voleva scegliere da sé la persona da amare. Per la sua famiglia antica e dalle origini inquietanti, era una pretesa talmente assurda perfino nel 2018.
Si addormentò avvolte nel freddo e nell’ansia sapendo già che non avrebbe dormito sonni tranquilli.

**
Si risvegliò di soprassalto, col il ricordo di un incubo che gli sfuggiva davanti agli occhi. Il cuore gli batteva forte nel petto mentre fissava il soffitto.
La preoccupazione per Lizzy gli era entrata nelle ossa più del freddo, ma nemmeno quello era più sopportabile così si mise seduto e si scrollò la brina dal capelli. Il nero della tinta economica gli macchiò e dita ed per un secondo odiò davvero ciò che era diventata la sua vita.
Quelle dita macchiate, all’improvviso sembrarono la giusta ciliegina sulla più che giusta torta, imprecò e si alzò.
Non poteva fare altro che chiedere aiuto.
Era così stanco che prestò poca attenzione ai suoi passi, era così stanco che non gli fregava assolutamente nulla se l’avessero trovato.
Era così stanco che perfino cercare il suo ex era preferibile a dormire in un casolare abbandonato in una coperta misera.
Il pub era chiuso, ma sapeva che bussando lo avrebbe svegliato. Sulla porta per un secondo esitò, ma una folata di vento gli ricordò perché fosse lì.
Busso e perfino le nocche gli fecero male.
La velocità con cui Jason aprì fu talmente cellere che Noah si chiese se non fosse già sveglio, il viso affatto sorprese gli fece capire che la voce che fosse tornato si era già sparsa è che sapeva già del suo arrivo.
- Mi chiedevo quando fossi passato.-
“Quando” non “se”.
Noah scrollò le spalle forzandosi di non tremare e Jason lo lasciò passare. Il contatto con l’aria calda sulle pelle fece quasi male, sentì le palle pizzicare come se fosse trafitta da piccole microscopiche lame.
Era assurdo che quella sensazione risultasse uno dei sollievi più profondi mai provati.
- Immagino che tu abbia fame.- continuò Jason chiudendo la porta, poi si avviò verso la cucina del pub.
L’ultima volta che era stato lì, Jason era il suo ragazzo ed era innamoratissimi, progettavano di scappare via insieme, di farsi una nuova vita e di vivere la loro storia senza paura e senza più nascondersi.
Lui era scappato, mentre Jason era rimasto lì.
Scacciò la malinconia dalla testa, la fame e il freddo avevano abbassato le sue difese mentali.
- Puoi andare a fare una doccia, mentre ti preparo qualcosa.- sentì la voce dell’altro dalla cucina.
- … okay, grazie.-
Il pub aveva un piccolo appartamentino sovrastante dove Jeson viveva. Era lì che si erano visti per l’ultima volta, prima che Noah scappasse via.
In quelle mura clastrofobiche gli aveva chiesto di scappare con lui, di sceglierlo, di realizzare quei sogni che si erano raccontati tra i sospiri.
Ma Jason aveva deciso di restare, e Noah aveva deciso che vivere non era poi una cattiva cosa, anche se sarebbe stato senza di lui.
Quando entrò nella doccia e aprì l’acqua calda, si sentì quasi aggredito da quello scrosciare, non si era reso conto di essere tanto teso che perfino quei getti potevano farlo scattare, ma ben presto iniziò a sentire i muscoli rilassarsi, perfino respirare non sembrò più così difficile.
Il dozzinale colore con cui si era tinto i capelli iniziò a perdere quasi immediatamente e lo lasciò scaricare, certo non sarebbe tornato ad avere il suo castano chiaro, ma di sicuro avrebbero assunto una tonalità meno corvina.
Avrebbe voluto restare ancora lì, cullato dalla doccia e dai ricordi di quella quotidianità che aveva perduto, ma lo stomaco ebbe la meglio sulla nostalgia.
Jason gli aveva preparato dei vestiti da mettere. Una volta, indossati, tornò al pub sentendosi una persona nuova.
- Sei più magro di quanto vorrei.- mormorò Jason seduto sullo sgabello davanti a un hamburger altro quanto lui.
- Succede.- mormorò Noah sedendosi allo sgabello vicino. Cercò di non avventarsi su quel panino, ma non riuscì a dissimilare l’avidità delle gola.
Jason lo studiò con attenzione prima di continuare dicendo – Sei tornato per via di Elisabeth?-
All’improvviso, il boccone gli sembrò disgustoso. Lo inghiottì con un sorso di acqua fresca.
- E per cosa sennò?-
- Come sta?-
Per un secondo, gli parve che il sogno riaffiorasse nella sua mente, come una parola sulla punta della lingua, ma non riuscì a mettere insieme le immagini – Ieri l’ho vista, stava piuttosto bene…- soffiò – Sono riuscito a incontrarli nel nostro posto. Ad un certo punto è dovuta andare via, aveva promesso che sarebbe tornata ma non l’ha più fatto.-
- Sono sicuro che i suoi l’abbiano trattenuta.-
- Non ha risposto al telefono. Sono preoccupato.-
Jason meditò con attenzione, poi l’atmosfera si fece più pesante, quasi irrespirabile - … ha qualche speranza di farcela?-
Quella domanda gli fece sentire il panino desiderare la fuga attraverso la sua bocca. Era incredibile quanta poca fame avesse improvvisamente per essere praticamente un senzatetto.
- Sei tu quello che vive in città.- gli rinfacciò Noah tentando di sostituire ansia e preoccupazione con la rabbia – Io sono quello che l’ha scoperto perché ha connessione internet gratuite nei parchi pubblici. Pensavi di chiamarmi per dirmelo? O magari l’avresti lasciata semplicemente morire senza dirmi nulla?-
Addentò un altro morso di panino solo per non addentare lui.
- Non sapevo se avessi con te il cellulare.- si giustificò.
Noah ebbe l’impulso di controbattere, ma nonostante fosse tutto Jason gli stava dando da mangiare e un momento di serenità prima di tornare fuori al freddo.
Jason avrebbe potuto stare vicino alla sua amica, cosa che a lui non era concessa.
- non mi hai mai detto cosa è successo.- sentì la voce del barista dopo qualche attimo – Perché sei andato via.-
- Ti avevo chiesto di venire con me.-
- sì…- concesse – ma perché.-
Noah puntò i suoi occhi grigi in quelli del suo passato amante e per un secondo gli parve che il tempo non fosse passato, che erano ancora due piccioncini innamorati che credevano di poter cambiare il mondo, di vivere felici e contenti con tanto di uccellini che cantavano per loro.
Quel secondo passò e si sentì come se la voragine in cui era sprofondato aumentasse la sua forza gravitazionale.
- Devo andare.- mormorò alzansodi dallo sgabello.
- Come?-
- Grazie di tutto.-
- Non puoi andare via, fuori si gela.-
Noah scrollò le spalle e gli sorride – Ci sono abituato. Ma devo davvero andare, se mi trovano qui potrei metterti nei guai ed è l’ultima cosa che voglio.-
Jason gli afferrò un braccio, pronto a placcarlo se fosse stato necessario, ma lo sguardo deciso e triste del suo amante lo fece desidestere.
- Potresti restare qui, mi prenderei cura di te.-
Oh se solo avesse saputo i rischi che correva nel farlo. Se solo avesse saputo i complicati dettami della sua famiglia e cosa la loro relazione aveva messo in modo, in quel momento sarebbe scappato via lontano… assieme a lui.
- Grazie di tutto.- ripeté – E addio.-
Non aspettò altre repliche. Quelle labbra che un tempo aveva baciato avidamente ora non avevano più nulla di interessante da dirgli. Noah si avventurò in strada giusto in tempo per vedere le prime luci dell’alba imbiancare il cielo. Restò un attimo a godersi la serenità della città silenziosa e un po’ spettrale da cui era circondato.
Per fortuna, l’abbonamento della metro era ancora valido così scese a prendere la metro per raggiungere la stazione dei treni.
Forse sarebbe andato a NNLOSO, o forse alla CITTACHENNSO.
Ma prima di partire, tirò fuori il cellulare e tentò un’ultima volta di chiamare la sua migliore amica. Non suonò nemmeno.
La sensazione che fosse successo qualcosa di orribile si era già annidata in lui, ma restare non avrebbe risolto nulla. Forse qualsiasi cosa le fosse successa era già colpa sua. Sperò solo fosse in salvo, magari segregata.
Forse, solo andando via, l’avrebbe potuta salvare.
Ma Noah, in preda all’ansia, non fece caso ai passi, né alla gente. Scioccamente, credeva che raggiungere la stazione, dimostrare che avea intenzione di partire, l’avrebbe risparmiato dalle conseguenze dell’essere tornato.
Sentì il suono di un copo prima ancora di sentire il dolore. Si chiese perfino cosa fosse stato.
Prima di perdere i sensi riuscì a scorgere un’ombra trala folla, una persona che conosceva fin troppo bene.
- Bentornato a casa Noah West.- soffiò con un sorriso crudele suo fratello Theo.


Il dolore che non aveva sentito quando gli era arrivato il colpo arrivo tutto d’un tratto al suo risveglio e fu terribile.
Non riuscì nemmeno ad urlare perché urlare avrebbe aumentato quel dolore.
- Credevo di averti detto di non tornare.- disse una voce che conosceva fin troppo bene.
Noah provò a muoversi, ma era stato legato bene – Quando mai ho fatto quello che mi dici?- replicò, sperando che la voce non gli tramasse.
- Magari in seconda elementare.- replicò Theo, divertito, mentre si sedeva aduna sedia che aveva messo davanti alla sua.
Noah si guardò attornò e riuscì a riconoscere tutte e cinque le persone che aveva attorno: una volta erano suoi amici. Evidentemente Theo aveva preso il suo posto non solo per modo di dire.
- Scagnozzi, magazzino dozzinale, corde e una sedia da cui intimidirmi.- analizzò – o è un pessimo film di spie o è un fantastico incipit per un porno.- sorrise più apertamente che poté, sentì la smorfia tirare la ferita nuca.
Theo alzò un sopracciglio e si guardò attorno – ti piacerebbe fosse un porno, vero? So che a voi deviati piacciono questo tipo di cose.- si piegò in avanti e unì le mani in un gesto meditabondo – Dimmi in che modo sei sopravvissuto finora? Quanti ne hai presi di cazzi?- una risata riempì l’aria, seguita da altri cinque latrati.
Noah cercò ogni via di fuma, ma le corde erano ben strette. Poteva solo perdere tempo per cercare di pensare a una qualsiasi soluzione.
Pregò di trovarla, prima che il suo zelante fratellino non decidesse di avvisare il loro adorabile padre.
E con adorabile intendeva il loro pazzo psicopatico padre.
- Ho smesso di contarli dopo duecentosettantasei. – scrollò le spalle approfittando del gesto per cercare punti meno tirati della corda. Inutilmente - Avresti dovuto vedermi, non avevo più un buco, avevo un autostrada.-
Risero ancora tutti, come se fossero tutti felici e contenti. Sette persone assolutamente tranquille e carine che giocavano con le corde e corpi contundenti.
Poi sui fratello si fece serio, si avvicinò a lui e lo fissò dritto negli occhi con fare da vero pensatore. Se Noah non si fosse trovato in una situazione di vita o di morte, gli avrebbe riso in faccia.
Si aspettava lo schiaffo, quindi riuscì a chiudere gli occhi in tempo, quello che non si aspettava fu il secondo che lo seguì.
Per un attimo la vista gli venne a mancare, così come il respiro per via del dolore.
- Nostro padre era stato così magnanimo da lasciarti vivere, solo una cosa dovevi fare, ovvero sparire dalla nostra esistenza. – la voce di suo fratello era diventata asciutta e atona – hai spezzato il cuore di nostra madre, lo sai? Ma certo che non lo sai. Sei un codardo.-
Noah mosse la mascella cercando di capire se era rotta. Sicuro si era mordo una guancia e sentiva distintamente il sangue.
Non rispose. Avrebbe potuto ribattere che chi aveva davvero il cuore in pezzi era lui, ma avrebbe solo causato in Theodore West l’impulso di punirlo per averlo contradetto. Nemmeno si giustificò, spienganto perché fosse tornato. Qualsiasi parola gli fosse uscita dalla bocca sarebbe stata inevitabilmente sbagliata.
Purtroppo, anche il silenzio era sbagliato, soprattutto se era accompagnato da uno sguardo furente che non era riuscito a dissimulare.
Il terzo schiaffo gli fece sputare il sangue che aveva in bocca, il quarto gli spaccò il labbro.
- Non hai davvero nulla da dire?- ringhiò il fratello tra i denti – hai mandato a puttano tutto e non hai davvero nulla da dire?!-
Noa alzò gli occhi e fece un lungo e doloroso sorriso - … “prego”?-
Stavolta fu un pungo, dritto nello stomaco.
Spuntò saliva e aria mentre boccheggiava, poi Theo si alzò furente.
- Il divieto di ammazzarti ancora persiste…- disse – Ma nessuno mi vieta di farti desiderare di essere morto.- si guardò attorno, come se fosse arrivato finalmente il momento dell’entrata in scena del resto del gruppo.
Lui aveva finito, si era tolto lo sfizio, ora toccava agli altri sporcarsi le mani.
- Purché resti vivo… fate quel che volete.- ordinò.
Iiziò a contare i pugni, non sapeva nemmeno perché. Li contò in maniera così naturale che si rese conto solo in un secondo momento di quanto soffrisse.
Erano cinque contro uno e pure legato ad una sedia, era piuttosto ovvio che ne sarebbe uscito vivo a malapena, come da ordinato, però quando arrivò il ventitreesimo pungo che lo sullo sterno, qualcosa accadde.
Non era sicuro di cosa, perché aveva il sangue che gli impediva di guardare, non era nemmeno sicura di cosa riuscisse a udire.
Ma speva che i pungi erano cessati, e che c’erano rumori di lotta, imprecazioni.
Provò ad aprire gli occhi, ci provò davvero, ma gli faceva male pure quello.
Riuscì a vedere solo per un attimo, sopportando il dolore, e si ritrovò a guardare una cosa che non capiva.
C’era qualcosa che aveva preso Theo per il collottola e l’aveva scaraventato dall’altra parte della stanza come se fosse carta straccia. Provò un modo di soddisfazione, ma finì con il dolore che si acutizzava.
Stava pure perdendo i sensi, pensò mentre cercava di restare sveglio ascoltando imprecazioni, urla e rumore di ossa rotte.
Riuscì a sentire la parola – scappiamo!- e tutto il suo corpo si rilassò all’istante.
Riuscì appena a avvertire la presenza di qualcuno avvicinarsi a lui, tentò di esserne spaventato, di appellarsi al suo ultimo grammo di adrenalina per restare sveglio, ma non riuscì ad averne paura.
Della mani si posarono sulle guance e il viso gli fu alzato bruscamente.
- Spero davvero che tu sia più bello di così.- sentì dire da una voce rauca e con un pesante accento inglese.
Fu l’ultima cosa che sentì, prima di perdere i senti.

***


Quando Noah si risvegliò, il suo corpo gli ordinò di tornare a domre quasi immediatamente, ma si sforzò di restare sveglio. Provò ad aprire gli occhi e,seppure con qualche fitta di dolore, ne riuscì ad aprire uno e si guardò attorno senza capire dove fosse.
In primo luogo era steso in un letto, in secondo luogo non era mai stato lì.
Provò a mettersi seduto, ma una fitta gli attraversò il petto, edovette reprimere un grugnò, prima di desistere.
- Meglio se non si muove.- disse una voce di donna con dolcezza prima di avvicinarsi a lui. Aveva i capelli corti, un poco seccati dalla stanchezza ma i suoi occhi nocciola scuro erano dolci. Dal sangue che poteva vedere sulle maniche, era stata lei a curarlo.
- dove…- la voce sfumò, se la schiarì prima di riprovare – dove sono? Chi sei?-
Lei sorrise e gli rimboccò le coperte – Sei al sicuro.- disse, e riuscì perfino a crederle – Riposa ancora un po’, avremo tempo di parlare non appena si sarà ripreso.-
- ma…-
- Riposa.- gli intimò ancora – Poi risponderemo a tutte le sue domande.-
Noah non riuscì a resistere alla tentazione di lasciarsi cullare nuovamente da morfeo. Non si sarebbe dovuto fidare di nessuno, era solo contro praticamente l’intera città, ma onestamente non riusciva a capire se gli era rimasto un solo osso sano e l’idea di addormentarsi e rimettersi in sesto gli sembrava l’unica vera cosa da fare.
Così lo fece, dormì per quelli che gli parvero giorni, oltre alla donna intravide anche un uomo. Non lo accudiva, ma se ne stava nella stanza in silenzio a guardare fuori dalla finestra.
Nei rari momenti in cui riusciva ad alzarsi, aveva osservato alcuni strani dettagli del luog in cui si trovava. Di sicuro non era un appartamentino con vista su altro condimini, pensò osservando l’immenso e poco curato giardino che si intravedeva dalla sua finestra. La sua stanza aveva soffitti alti, un letto in legno massiccio, la mobilia in un mogano laccato di dubbia manifattura barocca, ben tenuti ma non si vedeva che erano molto vecchi.
Sembrava una villa antica, di quelle che aveva visto solo in vecchi film in costume.
Che diavolo ci faceva lì? E chi erano quelle persone?
Era in piedi a osservare le siepi che un tempo avevano una forma ben definita quando qualcuno entrò senza bussare.
Era l’uomo che aveva intravisto tra un risveglio e l’altro. La prima cosa che notò fu quanto fosse alto, diversi centimetri più di lui, la seconda cosa che i suoi capelli erano più lunghi di quanto li avesse mai visti su un uomo, la terza cosa che gli donavano in una maniera a cui non avrebbero donato a nessuno.
La quarta e ultima cosa che si ritrovò a notare, ma avrebbe notato anche un cieco, era che fosse il più bel ragazzo che avesse mai visto.
- … ciao.- provò a dire.
Gli occhi dell’uomo lo studiarono attentamente, come se stesse cercando di soppesare le sue condizioni – Sei in piedi.- disse e riconobbe l’accento inglese.
- Eri tu!- scattò indicandolo come un bambino – Sei stato tu a salvarmi!-
- Erano sei contro uno, non è che abbia avuto molta scelta.- stanco di restare sulla porta, sembrò indeciso se andare via o restare. Stranamente sembrò che fosse una decisione più dura di quanto avrebbe dovuto. Fece un passo nella stanza, come se gli costasse fatica, poi, visto che ormai era entrato, attraversò la stanza, se sedette ad una delle due poltrone e invitò Noah a fare lo stesso.
Senza capire, Noah decise di fare buon viso a cattivo gioco, si allontanò dalla finestra per sedersi alla poltrona davanti alla sua.
Era arrivato il momento delle domande, pareva.
- Cosa ci faccio qui?- domandò.
- Preferivi l’ospedale?-
Noah accusò il colpo – Dove sono? Voi chi siete voi? Chi sei tu?-
L’uomo si appoggiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe in un gesto talmente naturale che non sembrò umano.
- Questa villa è della mia famiglia da generazioni, si chiama NOMEINGLESE house. –
- NOMEINGLESE house…- soffiò Noah pensieroso – Non ne ho mai sentito parlare.-
- Non me ne sorprende, la mia famiglia è molto riservata.-
Era comunque molto strano. La sua invece era così antica e conosciuta che era impossibile non sapesse l’esistenza di una villa enorme nei dintorni di NOMECITTA’.
- E quale sarebbe la tua famiglia?-
L’uomo piegò la testa di lato, contemplando le sue ferite con uno sguardo impietoso – Come ti chiami?- domandò a sua volta.
- Noah.-
- Noah…- echeggiò – e poi?-
- Noah West. E Tu?-
- Quanti anni hai?-
- Non si risponde a una domanda con un’altra domanda.- rimbeccò Noah immediatamente – Chi sei tu? –
L’uomo puntò i suoi occhi alla finestra e il verde delle sue iridi per un secondo sembrò risplendere nella penombra della stanza buia.
- Mi chiamo Adam.- disse, dopo un po’.
- Adam e poi?- gli fece il verso, alzando un sopracciglio.
L’uomo ebbe un piccolo spasmo al labbro che sembrò un sorriso, ma subito lo soppresse e i suoi occhi si indurirono, ma non smisero di guardarlo.
Ora che ci faceva caso, non avevano smesso un secondo di studiarlo, come se stesse cercando di decidere se la vista gli piacesse o meno.
Fu strano pensare alla prima frase che gli aveva rivolto con un nuovo fastidio: Spero davvero che tu sia più bello di così.
- Ti piace ciò che stai guardando?- domandò allora, provocatorio.
Adam sembrò riflettere attentamente su quella domanda, poi finalmente abbassò lo sguardo – Perché ti stavano picchiando?-
Noah si morse un labbro e se ne pentì subito. Per un attimo di era scordato di essere ancora gravemente contuso, ma il bruciore lo fece tornare alla realtà.
- E’… complicato.-
- Visto che ti ho salvato al vita e mi sto prendendo cura di te penso di meritare qualcosa di più.- isnsitette Adam pratico.
- Non penso siano affari tuoi.- continuò allora Noah altrettanto pratico.
Per un secondo i due ragazzi si guardarono, fronteggiandosi entrambi nelle proprie posizioni. A salvarli da quell’ampasse, fu qualcuno che bussò alla porta.
- Avanti.-
Ad entrare con un vassoio in mano fu la donna che aveva conosciuto per prima. Questa volta poteva finalmente vederla davvero, sembrava sulla quarantina, i capelli ordinati in una coda bassa e uno scialle al collo le davano un’aria elegante ma allo stesso tempo casual.
- Oh, S-signor Adam.- farfugliò sorpresa – Non credevo che fosse qui, se vuole ripasso…-
- No.- soffiò l’uomo con tono deciso – E’ ora che io vada. Prenditi cura del nostro ospite.- si alzò e andò via senza salutare.
Una volta soli, la donna sembrò gradualmente rilassarsi ma restò a fissare a lungo tempo il punto in cui il padrone di casa era scoparlo. Di Noah a riportarla alla realtà.
- … tipo strano eh?-
Lei fece un sorriso tirato – Non ne hai idea.-
La raggiunse per aiutarla col vassoio, grazie al cielo le mani erano ancora funzionanti a parte le escoriazioni per via della corda.
- sono contenta che tu stia meglio.- soffiò lei mentre pereparava la tavola.
- Grazie di esserti presa cura di me.- soffiò Noah – perdonami ma ancora non so il tuo nome.-
- Matilda. – sorride dolcemente e lo aiutò a sederci – Ti aiuto a mangiare?-
- Non serve, ma non mi dispiacerebbe un po’ di comoagna.- ammise prendendo il piatto e le posate – Da quanto tempo sono qui?-
Lei esitò visibilmente prima di rispondere - Un mese.-
Viste le sue condizioni, non ne era sorpreso – Avevo un cellulare…- soffiò dopo un poco – Per caso lo avete voi?-
- oh!- fece lei alzandosi e avviciandosi a una cassettiera, la aprì e prese il cellulare prima di passarglielo – Non abbiamo mai avuto cellulare in questa casa quindi non so come funzioni. Penso che sia scarico.- lo passò a Noah con gentiezza – non abbiamo modo di caricarlo, mi dispiace. Ma se mi scrivi cosa ti serve posso andare a comprare qualcosa.-
Noah soppesò il peso del suo telefono. Era sempre stato così leggero? Dopo un mese gli faceva strano sentirlo tra le mani.
- Posso davvero chiedere?-
- Certo.
- Perché vi state prendendo cura di me?Nemmeno mi conoscete.-
Matilde sorrise dolcemente – Oh, perché il signorino Adam ce l’ha chiesto.-
- Lui è il padrone di questa casa?-
- Sì, la possiede da generazioni.- confermò Matilde – Non ci aspettavamo che tornasse, ma qando si è presentato con te in braccio è stata davvero una sopresa. In goni caso, il nostro compito è prenderci cura di lui e della sua casa, siamo stati scelti per questo.-
- In che senso “la possiede da generazioni”?- echeggiò Noah confuso.
- La sua… famiglia.- Matilda continuò, con un espressione divertita, poi scacciò via i suoi dubbi con un divetito – Devi mangiare, o non recupererai le oenergie. Sono sciura che qualcuno ti stia aspettando a casa, no?-
Noah sentì una fitta attraversargli il petto e fu sicuro non fosse perché aveva metà corpo massacrato. Abbassò gli occhi sul cibo e si sforzò di mangiarlo anche se a malavoglia. Per fortuna era così buono che la fame fece poco la schizzinosa.
- … stai bene?- fece Matilda, chiaramente intuita del suo nuovos stato d’animo.
- Sì, è una lunga storia.- soffiò Noah tra un boccone e l’altro – Posso davvero chiederti di comprarmi un carica batterie?-
- Tutto quello che vuoi.-
- Vi ripagherò.- promise.
- oh sciocchezze!- fece ancora lei divertita – Sei più che a casa qui. Appena starai meglio ti farò fare un giro e così potrai oritentarti meglio!-
- Non vi disturberò ancora molto.-
Il sorriso della donna divenne plastico sul viso per qualceh istante prima che lo dissimulasse con uno schiarsi la gola.
- Meglio che vada ora.- si alzò – Tornerò dopo a prendere i piatti e ti porterò carta e penna.-
- Grazie.-
La donna gli concesse un ultimo sorriso prima di svanire.

Il giorno dopo Noah si ritrovò con un pacchettino regalo sul comodino con dentro un carica batterie perfetto per il suo cellulare. Cercò a fatica delle prese in cui entrasse, dovette staccare la abat jour ma il cellulare aveva la precedenza sulla sua capacita di vedere al buio.
Attese ben dieci minuti prima di accenderlo e aspettò che prendesse campo con impazienza. Nonostante fosse in un posto sperduto dove non sembrava esserci un essere umano a chilomtri di distanza, la rete prendva quel tanto che basta affinchè gli arrivassero messaggi e mail di spam e promozione, ma nessun messaggio da parte di Lizzy. Cercò il suo numero nelle chiamate e provò ancora a telefonarle. Dall’altro capo del telefono non arrivò alcun suono. Sospirò e buttò malamente il cellulare sul comodino. Si buttò sul letto e sospirò gravemente fissando l soffitto.
Restò fermo a fissare il vuoto per un tempo indefinibile prima che riuscisse a rendersi conto che qualcuno stesse bussando. Si mise seduto e fece – Avanti.- con una voce atona.
Si aspettò Matilde, o Adam, ma quello che entrò fu un uomo che finora non avea ancora visto. Doveva avere anche lui sulla cinquantina d’anni, ma portati bene, i cpaelli erano infatti ancora neri nonostante diverse ciocche ingrigite, la barba aveva un giusta misura tra i due colori.
- Salve?-
L’uomo gli riservò un’occhiata dura, come se lo giudicasse.
- Lei è…-
- Matilde è mia moglie, insieme ci occupiamo di questa tenuta.- fece con durezza.
- P-piacere, io sono Noah, la rignrazio dell’ospitalità e della gentilezza che…-
L’uomo entrò e si chiuse la porta alle spalle, per un secondo sembrò tendere le orecchie in cerca di un qualsiasi rumore, poi si avvicinò a lui, si sedette sul letto e gli prese le mani. Noah ebbe l’impulso di scacciarlo via, ma l’uomo disse – Devi scappare.- con una serietà così concreta che Noah si sentì gelare il sangue.
- … come?- soffiò – sono in pericolo?-
- No.- rispose lui e sembrò sincero – Ma ci sono molti modi per farti del male mantenendoti incolume.- continuò, guardò la porta come se temesse cosa ci fosse dall’altro lato – Non fidarti di lui. –
- Perché?- soffiò.
Unombra di paura e tristezza attraversò le iridi dell’uomo – Non ti farà alcun male, ma questa sua fedeltà ha avuto un prezzo che non puoi affrontare. Scappa via. Più lontano che puoi. – gli lasciò le mani e si allontanò – Appena avrò occasione ti aiuterò a fuggire. Tieniti pronto.-
Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza lasicando Noah più confuso che mai.

***

Più ci pensava e più le parole dell’uomo avevano meno senso. Non si fidava certo di Adam,perché avrebbe dovuto? Certo l’aveva salvato e curato, ma questo non voleva certo dire che poteva affidargli il resto della sua vita.
La gentilezza e la protezione avevano sempre un prezzo e lui era stato cresciuto scontando quel prezzo ogni istante.
Sua madre si era affidata alla gentilezza e alla protezione dell’uomo più ricco e potente che avesse trovato. Anche se ne aveva pagato il prezzo, anche se l’unico a rendersene conto davvero era stato lui.
Lui aveva visto per anni quell’uomo sminuirla, screditalr,a umiliarla e nel farlo manteneva sempre un rassicurante sorriso sul volto che aveva incantato sua madre, ma non lui.
Non soprendeva che non ci fosse andato d’acordo negli anni, non sorpendeva nemmeno che si era ritrovato per strada non appena le intimazioni da parte della madre di fare il bravo avevano perso efficacia.
Il ricordo dell’ultima accesa lite era ancora così vivo in lui che risciva a sentire la rabbia formicolare ancora sotto la sua pelle.
Anhe se sua madre poteva essere considerata una vittima della situazione, non era meno colpevole: lo aveva trascinato in quella casa, gli aveva imposto un patrigno che non aveva mai visto né conosciuto prima, gli avva imposto di chiamarlo padre, poi gli aveva imposto il silenzio, l’ufddidienza se osava difenderla o avere una semplice opizione, o essere sé stesso.
Lei era riamsta a guardare meglio veniva rinchiuso perché l’avevano visto con ilsuo ragazzo, era rimasta a guardare mentre quell’uomo lo cacciava di casa, e non aveva nemmeno provato a cercarlo quando se n’era andato sbattendo la porta.
Per anni avrebbe voluto proteggere la donna che non lo aveva mai protetto.
Era stato abbandonato, prima ancora di essere cacciato di casa.
Lizzi era stata l’unica che riusciva a vederlo come un essere umano, l’unica che…
Dov’era?
Cercò di scacciare via la tristezza e la disperazione che lo stare solo a pensare gli provocavano. Fece perfino il movimento di scacciare i pensiero con le mani come fossero fastidiose mosche.
- Stai bene?- sentì la voce di Adam nella stanza.
Alzò gli occhi e si rispecchiò nei suoi. Era così vicino che ad allungare una mano avrebbe potuto toccarlo.
- Da quando sei qui?-
- Ho bussato.-
Non lo aveva sentito.
- Ho temuto che potessi esserti sentito male.- insistette con un tono nella voce che riusciva a fare solo lui: glaciale ma con una piccola intonazione preoccupata. Sapeva di non doversi fidare eppure aveva la sensazione che, pur senza alcun motivo, Adam tenesse a lui in qualche modo.
O forse era solo il divario doloroso dal ricordare la negligenza con cui era cresciuto e sentire una voce amica e preoccupata per lui.
- Sto bene. Davvero.- farfugliò.
Adam sembrò soppesare la situazione, poi fece un passo indietro come se temesse di averlo spaventato.
- Volevi qualcosa?- tagiò corto Noah.
L’uomo strinse le labbra come se fosse indeciso o meno se parlare, poi sviò lo sguardo – Mi chiedevo solo se fossi abbastanza in forze per fare il giro della casa. Matilde mi ha detto che vorresti vederla.-
- oh…sì. Certo.- si alzò – Mi farà bene prendere un poco d’aria.-
- Sì, ti farà bene.-
In più, se sarebbe dovuto scappare era utile conoscere le via di fuga, così si armò del suo migliore sorriso di circostanza e seguì adam.
Da quando lo aveva salvato, non aveva scambiato più che qualche parola col padrone di casa, e non aveva risposto a nessuna delle sue domande. Per questo fu sconcertante sentirlo raccontare della storia della casa.
La vitta era molto più grande di quanto l’aveva immaginata, e nella sua idea era una piccola mini versaille, ma oltre alle stanze vuoto e impolverate cìerano anche enomi saloni che pare avessero ospitato diversi balli di gala, caminelli dalle dimenzioni così enormi che potevano essere tranquillamente stanze a sé stanti, terrazze, balconi, salotti…
Noah notò che Adam saltà una stanza dalla porta di legno spessa e con un lucchettò ed ignorò delle scale che scendevano in una cantina buia.
Alla domanda su cosa ci fosse dietro la prima porta Adam si limitò a dire che fosse un magazzino di roba vecchia, mentre quando gli chiese cos di fosse in fondo alle scale, l’uomo proseguì dritto e gli presentò come se nulla fosse l’uscita verso il giardino.
Il sole stentava ad uscire dalle nuvole ma non sminuiva la spetta coralità del giardino. Nonostante l’abbandono e la boscaglia, aveva un fascino tutto unico e decadente. C’era pure un albero talmente alto che svettava sugli altri e con una folata di vento poté vedere quelle sembravano due liane dondolare, ma riconobbe un’altalena abbandonata a sé stessa.
C’era perfino un piccolo laghetto, dove delle rane gracidavano pigre.
Era un paradiso dimenticato, come un ricordo d’infanzia.
- Manco da un po’ per questo è trascurato.- sentì la voce di Adam richiamarlo alla realtà – Lo farò tornare ai vecchi lustri molto presto.-
Noah per un attimo ebbe l’impressione di sentirsi per la prima volta in vita sua a casa.
Ma non doveva indugiare in quella sensazione.
Quelle persone erano estranee e lui non era affatto al sicuro.
- Perché sono qui?- domandò e stavolta non avrebbe accettato che Adam tergiversasse.
Adam mantenne lo sguardò verso l’orizzonte per un lungo minuto poi si girò e appoggiò la schiena alla rinchiera della terrazzina in marmo.
- Ho promesso a una persona di proteggerti.- confidò sostenendo il suo sguardo – E non posso davvero venir meno a questa promessa nemmeno volendo.- si premunì di continuare.
- So badare a me stesso.- replicò piccato Noah.
- Sì, l’ho notato.- replicò subito Adam – Si può sapere in che guaio sei, ragazzo?-
- Ragazzo?- sbuffò – non penso tu sia molto più grande di me.-
- Sono più vecchio di quello che sembro.- Adam scrollò le spalle.
- Ah sì? Quanti anni hai?-
- Diecentoventitre.-
Lo disse con così tanta convinzione che Noah per un secondo riuscì a crederci, poi la logica prese il sopravvento.
Alzò gli occhi al cielo non riuscendo a dissimulare una piccola risata divertita, che contagiò anche il padrone di casa per qualche attimo.
Solo che la sua si spense subito come se avesse abbassato le difese e se ne fosse pentito all’istante. Si schiarì la gola, poi insistette – Chi erano quelle persone e perché ti cercano?-
Noah si affacciò al terrazzo e incrociò le braccia sul parapetto. Che senso aveva mentire?
- Era mio fratello e un paio di suoi amici.-
- .. tuo fratello?-
- beh, fratellastro.- puntualizzò – La storia più vecchia del secolo: non andavo d’accordo né col nuovo marito di mia madre. Per quanto riguarda Theo, non ho mai avuto nulla contro di lui, ma par lui ogni male del mondo pare fossero colpa mia.- scrollò le spalle – Mi odia da che ha iniziato a parlare. Leggenda vuole che le sue prime parole siano state: ti odio.-
Adam sembrò pensieroso – Capisco l’odio filiare, ma arrivare a ridurti così…-
Noah fece un breve, malinconico sorriso – Sono scappato di casa qualche mese fa.- continuò – Ho avuto la brutta idea di tornare, non l’ha presa bene.-
- E tua madre?- domandò allora Adam – Sarà stata felice di rivederti.-
Noah restò in silenzio, cercando di ricordare quando era stata l’ultima volta che sua madre era stata felice di vederlo. Sapeva che non era odiato da lei, ma per quanto cercasse nella sua memoria tutto ciò che riusciva a ricordare del suo viso era la smorfia di fastidio che aveva su quando lui non andava d’accordo con il patrigno.
Adam sembrò intuire il cmio d’umore dell’altro così, cambiò discorso – Posso chiederti del tuo marchio?-
- … marchio?-
- sulla schiena.- i suoi occhi saettarono lungo il suo corpo come se cercasse di intravederlo dai vestiti. Noah drizzò la schiena e scrollò le spalle.
Sapeva benissimo a cosa si riferiva, era una delle cose più strane della sia infanzia. Non conosceva nessun tatuatore che avrebbe fatto un tatiaggio del genere a un bambino, ma da quello che ricordava l’aveva sempre avuto. Sua madre si era limitata a dirgli che era una cosa che avevano fatto insieme a suo padre, un padre che non ricordaava affatto.
- Ce l’ho da che ho memoria.- soffiò – mia nonna aveva una teoria tutta sua su cosa significasse.- sorride divertito – Era convnta che fosse un simbolo magico, una maledizione. Certo mia nonna era anziana e non ci stava più con la testa ma era divertente sentirla parlare. A detta sua, esistevano le streghe.- scosse la testa odiando e amando quei ricordi – beh, a detta sua esisteva la befana e di babbo natale, anche se quello che la divertiva di più era spaventarci con l’uomo nero, o come lo chiamava lei, il mangia cuori.-
Adam improvvisamente era tornato silenzioso, i suoi occhi erano divenuti vitrei e distanti. Noah si girò a guardarlo e per un secondo sembrò che la guornata fosse divenuta gelida all’improvviso.
Ebe l’impulso di chiamarlo, ma l’istinto gli ordinò di tacere. Adam chiuse gli occhi per tre secondi, quando li riaprì, evitò di incontrare i suoi.
- Meglio rientrare, si sta facendo freddo.- disse.
Noah annuì e lo segu in silenzo lungo i corridoi. Lo riaccompagnò in quella che era diventata ormai a tutti gli effetti la sua stanza, poi fece per andarsene quando Noah lo richiamò.
Adam lo guardò solo per un attimo prima di replicare – Che c’è?-
- Chi è stato a dirti di proteggermi?-
Adam sostenne il suo sguardo in silenzio, poi soffiò un – Ci vediamo a cena.- così basso che Noah quasi stentò ad ascoltarlo.
Svanì com’era apparso, senza fare rumore.

Con le ferite in guarigione e i muscoli tesi, Noah non era riuscito a fare una doccia decente. Ma ora la pelle lacerata si era cicatrizzata abbastanza affinché potesse sopportare il peso dell’acqua scrosciane.
Dopo una doccia che durò ore, Noah si sentiva un’altra persona e iniziò a riconoscere il proprio volto allo specchio nonostante un persistente nero attorno ad uno degli occhi e il sotto sullo zigomo sotto l’altro.
- Inizia a piacerti quello che vedi?- domandò all’Adam che viveva nella sua testa. Sorrise tra sé e sé, pensando a quanto fosse stupido.
La verità è che se la situazione non fosse stata così atipica, se lui stesso non fosse uscito vivo a stento da una faida famigliare davvero brutale...
Se lui e Adam si fossero incontrati per caso per strada, lo avrebbe trovato carino. Certo faceva un po’ il misterioso, non rispondeva a nessuna delle sue domande, e uno dei suoi dipendenti gli aveva detto di non fidarsi di lui, ma per qualche ragione sentiva che non gli avrebbe fatto alcun male.
Negli anni aveva sempre avvertito ostilità e freddezza da parte del patrigno, ma soprattutto aveva sempre avvertito un pericolo quando si trattava di Theo. Del resto, Theo aveva fatto di tutto per essere ovvio, più volte da piccino gli aveva messo chiodi nei pasti, un paio di volte aveva provato a spingerlo giù dalle scale, una volta era arrivato perfino a mettere veleno per topi del suo tea.
Tutte burle, secondo tutti, ma Noah non era troppo convinto.
C’era una freddezza glaciale nella profondità dello sguardo di suo fratello, non solo come se lo odiasse più di ogni altra cosa, ma come se quell’odio potesse prendere forma, plasmarmi in carne e ossa e parlare con la bocca del suo fratellino.
Sì, viveva una situazione familiare complicata ma non poteva approfittare della sua gentilezza ancora a lungo.
Matilde bussò alla porta mentre era ancora in accappatoio e gli consegnò una busta con un sorriso.
Noah aggrottò le sopracciglia e studiò la carta spessa e antica, aveva perfino un sigillo laccato, era … buffa.
La aprì e la scoprì essere un invito a cena da parte di Adam.
- Poteva semplicemente dirmelo.- farfugliò.
Matilde strinse le labbra – Il padrone è un tipo… all’antica.-
- Lo vedo.-
- Posso farti una domanda?-
Matilde annuì e Noah la invitò a sedersi. Dopodiché aspettò le parole giuste, ma non trovò nulla che non sembrasse accusatorio e confuso quindi si limitò a dire.
- Qualche giorno ho incontrato tuo marito. Mi ha detto di non fidarmi di Adam.-
L’espressione gioviale della donna si congelò, fino a svanire completamente in un espressione sofferente. Incrociò le dita, meditabonda.
- Non ho dubbi che mio marito abbia provato a metterti in guardia ma posso garantirti che il Signor Adam non ha alcun desiderio di farti del male.-
- Posso davvero fidarmi di lui?- domandò ancora Noah.
La donna gli lanciò un’occhiata – E può di me? Se anche ti dicessi che non solo è al sicuro ma che il Signor Adam piuttosto che farle del male si strapperebbe il cuore a mani nude, mi crederebbe? Fidarsi di qualcuno ciecamente dopo così poco tempo è un passo che non consiglierei a nessuno.-
Noah strinse le labbra, più confuso che mai. Matilde prese un profondo respiro.
- Il signor Adam…- riprese – Ha un passato, come tutti. Magari il suo è leggermente più complicato. –
- Che tipo di passato?-
Gli occhi della donna si persero nel vuoto per un secondo, alla ricerca delle parole adatte – Se ci fosse una guerra e un soldato combattesse per il suo paese, ma nel farlo avesse dovuto uccidere. Penseresti di lui che sia un assassino e basta? O penseresti che il contesto, le condizioni e la sopravvivenza offuscassero il tuo giudizio? Un saldato è tecnicamente un assassino ma siamo portati come società a ignorare questo lato.-
- Mio marito.- riprese Matilde – Non riesce a capire la guerra che il signor Adam ha vissuto. Una guerra che continua a vivere in qualche modo ogni giorno. Per lui i suoi errori sono tutto ciò che riesce a vedere. Lui vede l’assassino prima del soldato.-
Noah studiò la donna con attenzione, temendo la sua prossima domanda, ma non riuscì a frenarla – Quindi Adam ha ucciso qualcuno?-
Matilde tenne gli occhi distanti, in un ricordo che fosse nemmeno lei riusciva ad accettare, poi si ridestò e tirò nuovamente le labbra in un sorriso – Io non posso dirti cosa fare, - ammise – ti posso solo dire di non fidarti di un unico punto di vista, di prendere in considerazione le circostanza, altri tempi… Cerca di conoscerlo meglio.-
Noah rifletté sul quesito morale che Matilde gli aveva proposto.
Ma non ci sarebbe stato nulla da riflettere tutto sommato: sarebbe presto andato via di lì.
- Ti lascio preparare per la cena.- disse Matilda, alzandosi – qual è il tuo piatto preferito?-
- Patate al forno.-
- Patate al forno avrai allora!-
Dopo che fu andata via Noah restò solo nei suoi pensieri. Si comportavano tutti come se nascondessero qualcosa, ma soprattutto si comportavano come se il fatto che restare fosse più che un opzione ma quasi scontato.
Perché avrebbe dovuto restare lì?

***
Adam era già a tavola quando Noah arrivò. Per l’occasione si era messo degli abiti che gli avevano prestato e si sentiva un po’ a disagio.
Adam era in piedi davanti a un grande caminetto e aveva già un bicchiere di vino in mano. A vederlo, Noah si chiese quale fosse il suo passato. Era stato davvero in guerra? E in quale guerra?
Non poteva avere più di trentacinque anni, il viso era chiaramente adulto ma non aveva alcun segno del tempo. Solo una ruga d’espressione sulla fronte, segno di profondi pensieri che lo tormentavano.
Beh, una cena sembrava l’occasione giusta per conoscerlo meglio.
Il padrone di casa si girò non appena avvertì la sua presenza e, per un attimo, i suoi occhi brillarono come se fosse davvero felice di vederlo. Poi distolse lo sguardo, e dissimulò il piccolo sorriso con un sorso di vino.
- Stai benissimo.- disse.
Era uno strano complimento da fare ad un ospite. Se quella fosse stata una normale situazione, avrebbe pensato che avesse un doppio fine.
A dire la verità, se la sua situazione non fosse stata un tale casino, se avesse avuto spazio per pensare al fatto che stava per cenare con un bel ragazzo, la situazione sarebbe stata molto diversa.
Sorrise, scacciando i pensieri e si tirò la giacca nervosamente.
- E’ una fortuna che tu avessi così tanti vestiti della mia misura. Non avrei potuto indossare la mia tuta per un intero mese.-
- Sono felice che la taglia fosse giusta, se te ne servono altri avvisami che te li farò comprare.-
- Li hai comprati?- domandò senza fiato – Cioè, sono nuovi? Apposta per me?-
Gli occhi di Adam brillarono mentre un sorriso nuovo si affacciava sul viso. Era forse la prima volta che lo vedeva sorridere - Non potevo certo lasciarti solo con addosso quella misera tuta.-
Lo disse come se fosse una cosa esotica.
Noah si sentì avvampare dall’imbarazzo, si sentì incredibilmente a disagio ad avere addosso un vestito nuovo comprato solo per lui.
Aveva a disposizione quattro armadi stracolmi tutti di vestiti della sua misura. Era assurdo!
- Tu sei pazzo.- disse.
Il padrone di casa fece spallucce come se non fosse la prima volta che se lo sentiva dire. Probabilmente era così.
- Ho dovuto fare compere per me, non mi è contato nulla comprare qualcosa anche per te.-
- Sì? Anche tu sei stato pestato a sangue e ti sei risvegliato in una villa enorme e con perfetti sconosciuti?-
Metà labbro del padrone di casa si piegò in una smorfia che imitava solo un sorriso – Una cosa del genere.-
Matilde entrò nella stanza e li invitò a sedersi così da iniziare le cena.
Nuovamente soli, seduti ad una tavola imbandita, Noah non poteva fare a meno di sentire le domande affollarsi nella sua testa.
- … davvero. Perché fai tutto questo?- esclamò incapace di tenersele ancora per sé - Chi ti ha chiesto di prenderti cura di me?-
Adam incrociò i suoi occhi e per un lungo attimo restò in silenzio. Poi chiuse le palpebre, arrendendosi.
- Non conosco il suo nome.- soffiò quasi senza fiato – E’ venuta a cercarmi, mi ha chiesto di proteggerti. – c’era una fragilità nuova nella sua voce, ad ascoltarla ebbe i brividi. Un dubbio si insinuò nella sua anima, una sensazione così forte dagli tremare le mani prende prendeva il cellulare. Lo illuminò e lo girò verso il padrone di casa.
Nella vita c’era stata solo una persona che aveva tenuto a lui. Solo una persona nonostante la distanza e le difficoltà aveva fatto di tutto per proteggerlo.
- Era forse lei?-
Sullo schermo c’era una foto di lui e Lizzy che mangiavano un gelato. Era stata fatta qualche mese prima.
Gli occhi azzurri del padrone di casa esitarono sulla foto, non gli concesse che uno sguardo, come se non riuscisse a guardarla.
- Sì.- disse, e sembrò un ammissione di colpa.
- Come vi siete conosciuti?-
- Non la conosco.-
- E perché avresti fatto una cosa del genere per una persona che nemmeno conosci?-
Adam incrociò i suoi occhi e per un secondo gli mancò il respiro. La curiosità e l’ansia furono messe a tacere solo con quello sguardo.
Faceva un po’ paura, pensò, e allo stesso tempo ne era in qualche modo attratto.
- Certo che ho i miei motivi per fare qualcosa, come tutti.- disse piano – La tua amica è venuta a cercarmi perché sapeva come convincermi a aiutarti. Sono qui per questo e sarà quello che farò.-
- E se non volessi il tuo aiuto?-
- Se tu lo accettassi, faresti un favore ad entrambi.-
Si guardarono, fermi nelle loro posizioni. Da un lato un ragazzo che aveva vissuto la sua vita sballottato tra una casa famiglia e l’altro, con zero fiducia nella gentilezza del prossimo, dall’altro una persona che non dava né serie motivazioni né scuse per il suo comportamento.
Stava per replicare altro quando Adam dal nulla chiese – Come vi siete conosciuti?-
- Come?-
- Tu e… la tua ragazza.-
- Non è la mia ragazza. E’ come una sorella per me.-
Adam aggrottò le sopracciglia - Oh.-
- Che c’è?-
Stringendo le labbra, afferrò la forchetta solo per fare qualcosa – Meglio mangiare, o si fredda.-
Iniziarono a mangiare in silenzio, nella stanza non si sentivano che lo stridio delle posate sui piatti e i pensieri che si affollavano nella loro mente. Facevano un rumore tutto loro.
- Ci siamo conosciuti in una casa famiglia.- esordì Noah solo per riempire quel silenzio – Eravamo due orfani soli che hanno deciso di essere una famiglia per scelta. – il solo ricordo fece sentire il sapore amaro in bocca – Possiamo contare solo l’uno sull’altro, non importa quanti casini combineremo, non ci arrendiamo mai.-
Adam non aveva che mangiato un boccone, ma bevve un altro sorto di vino – Sembra bello.- soffiò.
- Era necessario.- replicò Noah – Nelle case il rapporto adulti/ragazzi era ridicolo, lei era una ragazzina minuta che veniva bullizzata dalle altre ragazze e puntata dai maschi. Mentre io…- la sua voce sfumò – io avevo la forza di proteggerla, ma non mi inserivo nel “branco” e sfidavo tutto e tutti. –
- Siete…- nella voce di Adam suonò una nuova insicurezza – Siete mai stati innamorati?-
Noah si appoggiò con la schiena alla sedia e studiò la situazione. Adam era un tipo all’antica, viveva in un specie di castello, il suo modo di approcciarsi a lui era così strano che era a dir poco indecifrabile.
- Credo che ad un certo punto lei possa aver avuto una cotta per me.- disse – Ma con la verità, penso le sia poi passata.-
- “La verità”?-
Tanto valeva dirlo – Sono Gay.-
Adam sbatté le palpebre, poi sembrò a disagio, si mise seduto più rigido sulla sedia, bevve il resto del vino in un unico sorso – E…- disse dopo un attimo – E posso convincerti a smettere?-
Noah restò sorpreso – Non è qualcosa che si può smettere.- replicò. Adam era davvero quel tipo di persona?
- Se hai bisogno di soldi, posso dartene quanti ne vuoi. –
- Eh?-
Adam gli lanciò un’occhiata veloce – Non voglio giudicarti. Davvero. – insistette – Con la tua vita tra una casa famiglia e un'altra, devi avere avuto una vita difficile. E’ un lavoro come un altro, ma ora ti posso offrire una situazione stabile e penso che tu possa smettere di fare quel tipo di cose.-
Un pensiero orribile si insinuò nella testa del covino, prese un profondo respiro e insistette – Sono gay, non una puttana. Cosa hai capito?-
Adam sembrò un pesce fuori dall’acqua – Perdonami, sto ancora cercando di adattarmi.- soffiò – Oggigiorno cosa significa quella parola?-
- Davvero non lo sai?-
Adam scosse la testa e sembrò davvero sincero.
- … da che epoca vieni esattamente?-
- Non penso che la regina Vittoria sia ancora in vita, nonostante sembrasse immortale.-
Era assurdo che sembrasse sincero nel dirlo. Forse non era solo un tipo strano, forse era pazzo davvero.
Prese un profondo respiro e si passò una mano tra i capelli – Non sono attratto dalle donne. Mi piacciono gli uomini.-
Adam sostenne il suo sguardo come se cercasse di capire se fosse sincero o meno – Perdonami.- soffiò distogliendo lo sguardo – Non volevo arrecarti offesa. Temevo solo per la tua incolumità. Non volevo insinuare nulla.-
Sembrava sincero, nelle sue scuse. Ma ancora di più sembrava affatto a disagio nell’accettare che fosse attratto dagli uomini.
- Si può sapere chi sei?- soffiò Noah – Appari dal nulla, vinci contro cinque persone a colpi di Kung Fu, e ora vuoi proteggermi a tutti i costi. Ti rendi conto che l’intera situazione è completamente assurda?-
- Cos’è il Kung fu?-
E nulla. Era troppo assurdo.
Doveva andare via di lì.
Il padrone di casa era chiaramente una persona disturbata, che era convinto di vivere nell’ottocento, e se i custodi avevano detto il vero, ara stato anche in grado di uccidere qualcuno.
Perché Lizzy avesse voluto chiedere proprio ad una persona del genere di aiutarlo, rasentava la follia.
Continuarono a cenare e per il resto della cena Adam continuò a chiedergli praticamente tutto della sua vita, e lo faceva come se fosse davvero interessato.
Nella sua vita era stato vittima di orribili appuntamento, di ragazzi che gli avevano posto un decimo di quelle domande e solo per ottenere qualcosa in cambio, ma quello non era un appuntamento e Adam non era come loro.
Perfino nel suo essere completamente assurdo e folle, l’interesse che aveva per la sua vita sembrava del tutto genuino.
Tuttavia, era una cosa che lo metteva molto a disagio.
Era cresciuto convinto di essere il nulla, uno dei tanti, che le sue emozioni non avessero importanza. Anche se si era detto per anni che non era così, e Lizzy aveva rincarato la dose, era anche convinto che sentire di non avere alcun valore fosse una delle conseguenze dell’essere stato abbandonato.
Era strano come una cosa che non ricordava nemmeno aveva poi condizionato tutta la sua vita.
Così, quelle domande, seppur innocue gli parvero crudeli ed invasive.
- Non ho più fame.- Disse, dopo il secondo boccone della bistecca che aveva davanti.
- Ti senti bene?-
-Sì.- mentì- Sono solo sazio. – poggiò il fazzoletto e fece per alzarsi. Ma Adam gli afferrò delicatamente un braccio.
- Mi dispiace.- soffiò così basso che a stento riuscì a sentirlo.
- Per cosa?-
Distolse lo sguardo e disse ancora - Solo… mi dispiace.-
Lo lasciò andare e Noah per un attimo non seppe cosa fare. Si limitò quindi a tornare in camera sua.

**

Quella notte non riuscì a dormire. Dopo due ore a rigirarsi nel letto, decise di alzarsi e fare due passi.
Quando Adam gli aveva fatto vedere il palazzo si era appuntato mentalmente dei punti di riferimento: la statua della dea Atena, il dipinto della bambina in altalena, il tappeto con una macchina di umidità grande quanto un pungo. Tutto era lì, a indicargli una via immaginaria.
Quella villa era affascinante. Non era mai stato in un palazzo simile, li aveva visti solo in foto, e di sicuro non credeva nemmeno che fosse ancora possibile viverci.
- Lizzy, in che mi hai trascinato?- domandò nella penombra illuminata solo da delle piccole lampadine a basso consumo sparse qua e là.
Ogni quadro, statua e piccolo cimelio sembrava antico e, se avesse creduto all’esistenza dei fantasmi, era sicuro che quello sarebbe stato il loro parco giochi.
Ma da quando era lì non aveva sentito né voci né passi, né rumore sospetti, l’unico che sembrava incarnare la presenza di un fantasma era il padrone di casa.
Passò davanti la porta rossa che aveva visto tempo prima, una delle poche stanza in cui Adam si era rifiutato di farlo entrare e la curiosità prese il sopravvento. Si avvicinò e cercò di sentire se ci fossero rumore che provenissero dall’altra parte, ma non vi era che spettrale silenzio. Così avvolse le dita attorno alla maniglia e provò ad aprirla.
La porta fece un poco di resistenza, ma pian piano si aprì. L’unica cosa che riuscì a vedere fu il completo buio in cui era avvolta la stanza. Cercò un interruttore, nonostante l’antichità della cosa era stata installata la corrente elettrica, ma non trovò nulla.
Così prese il cellulare dalla sua tasca e usò la modalità torcia.
Il respiro gli morì in gola.
A ridosso delle pareti c’erano diversi oggetti che potevano solo essere definiti armi: spade, archi, mazze chiodate, perfino pistole impolverate, ma la cosa che più lo colpì, e spaventò, furono i manichini chiaramente logorati da svariati colpi, chiaramente usati per fare pratica.
A cosa serviva quella stanza?
Vi avventurò all’interno e ogni passo scopriva centimetri di altri tesori, guantoni da box, pugnali, balestre. Era una stanza da guerra e in alcuni poteva vedere macchie nere che sperò davvero fosse muffa.
Inghiottì a vuoto, poi decise che aveva visto abbastanza. Si girò ma sulla soglia scoprì esserci il padrona di casa appoggiato allo stipite con le braccia conserte e un espressione incuriosita.
- Ti interessano le armi?-
- Che posto è questo?-
- La stanza degli allenamenti.- lo disse come se fosse normale avere in casa un armamentario degno di Jack lo Squartatore.
- E a cosa ti serve una stanza simile?-
- Per allenarmi.- continuò con lo stesso ovvio tono.
Fece scorrere la luce su alcuni oggetti, molti avevano su di loro diversi stati di polvere ma c’erano un paio chiaramente usati di recente. Si girò verso Adam in una muta domanda.
- Non crederai che ti abbia saltavo a mani nude.- si giustificò.
- Le persone che mi hanno aggredito…- non osò pensarlo ma doveva chiederlo – Sono vive?-
Adam scollò le spalle prima di replicare – Sì, non faccio del male alla gente innocente.-
- E la gente che non è innocente?-
Si pentì di averlo chiesto immediatamente, sia perché erano domande che potevano indisporlo, sia perché era sulla porta che era la sua unica via d’uscita, e perché non lo conosceva affatto, tutto ciò che sapeva di lui è che era in grado di mettere al tappeto diversi uomini da solo e che aveva un armeria da far paura.
Adam riuscì a vedere la paura nascosta nella profondità della sua domanda, inutilmente dissimulata.
Sembrò amareggiato da quel pensiero, ma non come se lo oltraggiasse il fatto che Noah avesse pensato male di lui, ma più al fatto di essere stato scoperto.
Adam strinse le labbra, indispettito dalla situazione, poi come se fosse la cosa più normale del mondo si alzò dalla porta e indicò tutta la stanza - Non ti farò del male, ma se hai paura di me prendi qualsiasi di queste armi e sentiti libero di usarle.- decretò – Le pistole potrebbero non funzionare e le lame non sono ben affilate da tempo, ma la mazza chiodata e la balestra son un ottima scelta.-
Noah si guardò attorno come se ponderasse l’idea ma nulla aveva senso.
- So che mi nascondi qualcosa.- soffiò – Per questo non riesco a fidarmi di te, tuttavia…- scrollò le spalle – Credo che tu non voglia farmi del male.-
- Infatti.-
- Sarebbe più facile se semplicemente ti aprissi con me.- continuò.
Adam scrollò le spalle e si tolse dalla porta, lo invitò ad uscire dalla stanza. Dopo un attimo di esitazione Noah sbucò fuori.
Mentre Adam tirava la porta affinché rientrasse nella corretta posizione nonostante non fosse oliata da tempo. Prima di girarsi verso Noah esitò.
- Non ti ho mai mentito.- confessò.
- Mi menti continuamente.- replicò – O hai davvero duecento anni?-
- Duecento ventitre.-
- Perché non riesci a dirmi una sola cosa di te che sia vera?- gli recriminò innervosito.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, a studiarsi nella penombra delle lampadine, poi Adam soffiò – Se vuoi sapere la verità, seguimi.- e iniziò a camminare lungo il corridoio. Non lo aspettò, né gli dette davvero il tempo di decidere, così Noah si ritrovò a rincorrerlo nonostante tutti gli insegnamenti più saggi ottenuti nella sua vita: mai inseguire un pazzo che aveva in casa una stanza piena di armi, lungo un corridoio buio di un palazzo ottocentesco. E soprattutto, pensò quando Adam fu inghiottito dal buio della scalinata che scendeva, non seguirlo nella cantina.
Eppure Noah era incuriosito dall’uomo che lo aveva soccorso: sembrava ed era pericoloso ma aveva sulla pelle la sensazione che si sarebbe tagliato un braccio piuttosto che fargli del male, che nonostante non si conoscessero che da un mese e nemmeno così bene, la volontà di tenerlo al sicuro, proteggerlo e conoscerlo, erano la sua unica preoccupazione.
Adam accese il fuoco con un accendino, non si risparmiò di sorridere e dire – Incredibile come la tecnologia sia avanzata!- prima di mettere a fuoco una torcia, poi accese una seconda e la consegnò a Noah.
- Non ci sono finestra, è l’unico modo per illuminare qui sotto.- si giustificò.
Ai piedi delle scale c’era un altro corridoio se possibile ancora più buio. Non era fatto che di mattoni e umidità, ogni passo rimbombava e ogni crepitio del fuoco sembrava scoppiettare nel suo cranio.
Seguì Adam, sebbene fosse teso come una corda di violino, poi arrivarono ad una porta nera.
Per un secondo, ebbe la forte sensazione che qualsiasi cosa ci fosse oltre quella sogna non lo voleva lì, che doveva andare via. Ma soprattutto, che non avrebbe dovuto vedere cosa ci fosse oltre. Fu una sensazione così intensa e improvvisa che gli tolse il respiro e si ritrovò a indietreggiare tre passi ancora prima di rendersene conto.
Poi si fermò e prese un respirò profondamente. Serrò la presa sulla fiaccola ripetendosi che non solo avrebbe potuto dare fuoco ad Adam in caso di pericolo, ma anche dargliela in testa. Con queste raccomandazioni mentali, lo raggiunse.
Adam sembrava teso quanto lui se non di più, la semplice azione di tirar fuori la chiave e inserirla nella toppa sembrava costargli fatica.
Aprì la porta e gli fece spazio per passare.
Noah mise su un piatto della bilancia il timore di essere il primo ad entrare in una stanza buia in uno scantinato, con la curiosità.
Di solito non era così stupido, ma la curiosità prese il sopravvento.
Odiava sentire quella fastidiosa sensazione di fiducia che Adam gli suscitava, era così innaturale e sbagliata nelle sue vene che si pensò quasi sotto una strana forma di incantesimo se solo cose assurde come la magia e incantesimi fossero esisti davvero.
Mise da parte ogni suo residuo timore ed entrò nella stanza. La luce della torcia illuminò una serie di ritratti e fotografie che erano sparsi lungo la parete ma soprattutto illuminò varie foto di Adam.
Le foto erano chiaramente vecchie e ingiallite, e su ognuna era scritta una data con diversa calligrafia.
Quella più vecchia e malandata era una foto di Adam più giovane e allegro, con sotto braccio una ragazza con un vestito ampio e i capelli racconti.
- La mia prima moglie.- sentì la voce di Adam dietro di lui – L’ho sposata a diciassette anni, nel 1802.-
Noah si girò verso l’Adam che aveva davanti e lo guardò negli occhi in cerca menzogna.
- Non ti ho mai mentito.- soffiò – Mai.-
E, per la prima volta da quando era arrivato, iniziò a crederci.


***

Adam si era seduto su una panca che era lì, dette il tempo a Noah di osservare con calma ogni foto, ritaglio di giornale, bollettino di guerra, scrigno, tesoro.
- All’inizio categorizzavo annualmente.- disse – Poi ogni dieci anni. Infine, ho lasciato perdere.-
Se quella storia fosse stata vera, e lui non era così esperto da poter affermare che tutto ciò che guardava fosse autentico, era una storia che non aveva alcun senso!
- Se fosse vero…- soffiò – SE – specificò – Come è possibile?-
Non poté esserne sicuro ma alla luce della torcia gli occhi di Adam sembrarono incupirsi – Sono stato maledetto.-
- In che senso maledetto?-
- In quest’epoca ha più di un senso?- domandò sinceramente incuriosito.
La mente di Noah era combattuta dal non credere ad una sola parola, al credere che una parte di lui lo credesse possibile.
- E chi ti ha maledetto?- domandò cercando nelle foto ogni segno del tempo che passava, soprattutto comparandolo al ragazzo che aveva oggi davanti. I capelli si erano allungati molto, ma non c’era una cosa nel suo viso che fosse cambiata se non la luce nei suoi occhi.
Nelle prime era allegro, divertito, ma col tempo e la maledizione che continuava poteva vedere sempre più opacità nel suo sguardo.
- Il suo nome era Ramona, era… una strega.- sputò quella parola come se gli bruciasse sulla lingua – Ovviamente quando l’ho conosciuta non avevo idea che lo fosse, ma all’epoca ero un ragazzo incosciente, che tradiva la moglie con diversi esponenti del gentil sesso. Non ne vado fiero, ma era normale all’epoca.- esitò – Le ho spezzato il cuore.- confidò – E ha fatto in modo che me ne sarei pentito per il resto dei miei giorni.-
- Ti ha fato la vita eterna o cosa? Conosco molte persone che la vorrebbero.- soffiò, con un sorriso divertito, ma lo sguardo di Adam gli gelò le vene.
- Vivere ha un prezzo.- soffiò e Noah sentì bruciare sulla pelle e la sensazione che quel prezzo era stato ed era tutto’ora davvero alto da pagare.
Tornò a guardare le foto, poi alzò gli occhi e iniziò ad esaminare i ritratti e il resto delle foto sui muri.
In quei ritratti non c’era nessuna traccia di Adam, e ogni persona non sembrava avere nulla in comune con l’altra, ma tutte erano posizionate in una serie di coppie vicine, come se quelle persone fossero unite in qualche modo.
- Chi sono loro?- domandò.
Dopo il silenzio che seguì Noah tornò a guardare il padrone di casa e si pentì per la domanda. Non riusciva a vedere i suoi occhi, ma pure con quella poca luce ne percepì la disperazione e la tristezza - Il prezzo.- disse.
E, all’improvviso, Noah capì di aver preteso troppo.
Raggiunse Adam e gli chiese se poteva sedersi vicino a lui, Adam annuì piano. Una volta al suo fianco si permise di riflettere sulla situazione un secondo. Da una parte era tutto troppo strano affinché fosse vero, talmente assurdo che sarebbe stato portato a non credere in nulla. A credere che quella stessa stanza fosse uno scherzo molto elaborato.
Dall’altro... lui non era nessuno. Non avrebbe avuto senso creare una cosa simile per prenderlo in giro se non per sadismo.
Senza contare che la sua unica certezza era che Adam credeva davvero in quella storia, e sul dolore che provava per le persone che ricoprivano i muri era talmente palpabile che gli avevano cambiato lo sguardo.
Aveva uno sguardo così gentile…
- Mi dispiace.- soffiò.
Adam scosse la testa – Non dispiacerti per me.- disse quasi senza voce – Non ero innocente allora, e ogni attimo che respiro aumenta solo la mia colpa.-
- Eri giovane, può capitare a tutti una delusione d’amore. Non avrebbe mai dovuto maledirti.- sentenziò – Quelle donna era davvero una strega.-
- Sì, esatto.-
- No, nel senso che… niente.- scosse la testa – Esiste un modo per sciogliere la maledizione?- domandò ancora – Cioè nei film disney c’è sempre un bel ritornello con la soluzione, di solito a scioglierle è sempre il bacio del vero amore o qualche minchiata simile. Magari devi imparare una qualche lezione?-
Adam strinse le labbra – Ti stai burlando di me?-
- No, certo che no.- si affrettò a rassicurarlo – Vorrei solo sapere se c’è un modo.-
Il padrone di casa fissò il vuoto per una manciata di secondi prima di annunciare – E’ tardi, meglio andare a dormire.-
- Scherzi? Dopo tutto questo… non chiuderò occhio!-
- Perdonami ma… sono stanco.- insistette Adam alzandosi e invitandolo a seguirlo per andare via.
Per tutto il tragitto restarono in silenzio, Adam accompagnò il suo ospite fino alla sua stanza e sulla porta si fermò.
Noah si girò a salutarlo.
- Buona notte allora.-
- Sì. – soffiò – Sì…- ripeté, esitando.
Per un secondo sembrò voler aggiungere altro, ma svanì dietro un diniego.
- Buona notte.- soffiò, prima di andare via.

**

Alla luce del giorno, la stanza delle armi era davvero interessante.
Ogni arma aveva una targhetta con su scritto la provenienza e la data, Noah studiò con attenzione ogni cimelio, sfiorò con le dita ogni solco nei manichini, alcuni dei quasi dovevano essere stati creati con tanta forza… o tanta rabbia.
La parte più razionale di lui non credeva ad una parola, la parte più malleabile credeva che il padrone di casa ci credesse mentre c’era una piccola, microscopica parte di lui che invece pensava che ora tutto aveva più senso.
- Quindi saresti tu il nuovo arrivato.-
In quel mese non aveva sentito che la voce di Matilda e Adam quindi rimase sorpreso di quella nuova voce. Si girò e si ritrovò di fronte una ragazza alta, con dei jeans attillati e una maglietta porpora con un unicorno sopra. I suoi capelli erano lunghi e rossi, legati lateralmente con un fiocco nero, gli occhi invece erano di un profondo verde che risaltava la carnagione chiara.
Consapevole della sua sorpresa, gli sorrire e fece qualche passo verso di lui – Noah, giusto? Io sono Penny.- soffiò con un sorrisetto come se la confusione creata fosse divertente.
- Piacere. Da dove sbuchi?-
- Dall’università.- annuì scrollando le spalle – I miei genitori mi avevano detto che il padrone era tornato e che aveva portato con sé qualcuno. Doveva vederlo con i miei occhi.-
- Tornato?- echeggiò Noah confuso. Penny fece spallucce e si guardò attorno.
- Quindi questa è la stanza rossa.- si mise a guardare affascinata una mazza chiodata – E’ sempre stata chiusa, non ci ero mai entrata.-
- Tua madre è Matilda?-
- Già.-
- Non mi ha mai parlato di te.-
Penny scrollò ancora le spalle e passò ad un pugnale in madre perla con delle incisioni antiche, per un attimo sembrò sul punto di carezzarlo.
- Hai intenzione di restare nei paraggi?- cambiò discorso.
Noah fu colto in contropiede. Era sicuro che Adam non avrebbe comprato sei armadi di vestiti a una persona che aveva intenzione di cacciare, e di certo aveva più volte ribadito che avrebbe preferito che restasse, ma Noah non sapeva davvero cosa fare.
Da un lato, c’era la sua solitaria catapecchia, un lavoro che sicuramente non aveva più, e una vita che non avrebbe brillato, dall’altro… non poteva certo restare.
Non vi era un motivo valido per restare, quella non era né la sua famiglia né una famiglia affidataria, e di certo lui era ormai grande per volere che qualcuno si prendesse cura di lui.
- Puoi restare.- Penny lo riportò alla realtà – Anzi, sarebbe meglio per te, restare.-
- Che senso avrebbe? – replicò – Non c’entro nulla qui, ormai le mie ferite sono guarite, in più il padrone di casa potrebbe essere completamente pazzo o peggio, potrebbe avere ragione.-
Penny lo fissò con i suoi enorme occhi versi, poi batté le mani – Ho un idea! Hai bisogna di cambiare un po’ d’aria, ti va di andare a prendere un gelato in città?-
Noah non nascose l’entusiasmo – Sarebbe magnifico.-
Prima che se ne rendesse conto, era nel sedile passeggero di una piccola Kia a sfrecciare per una strada di campagna che si affacciava su un panorama di monti che sembrava sconfinato.
- … wow.- soffiò, ammirato – E’ bellissimo qui.-
- E’ noioso qui.- replicò Penny scollando le spalle – Vedi, la tenuta è lontano da qualsiasi forma di civiltà, il padrone l’ha costruita apposta lì, poi ha comprato tutti i terreni dei raggio di chilometri per isolarla il più possibile. Solo la mia famiglia sa della sua esistenza, ed è incaricata di prendersene cura.-
- … capisco.-
Per un attimo regnò il silenzio tra loro, Penny guidava concentrata quando all’improvviso chiese – Non hai altre domande?-
- In che senso?-
- Ti ho detto che viviamo in una tenuta super segreta, nel bel mezzo del nulla, e tutto ciò che riesci a dire è “capisco”.-
Noah fissava la strada, concentrato. Non aveva nemmeno fatto finta di memorizzarla, era solo una strada, quasi senza curve, senza nemmeno delle ramificazioni. In quel pezzo di mondo, c’era solo quel posto da raggiungere.
- Beh, immagino che a un’ultra bicentenario serva una batcaverna.- soffiò – O una villa superaccessoriata.-
- Ah, allora lo sai!- Penny scoppiò a ridere, divertita – Credevo di dovertelo dire io. Mi sarei sentita più a disagio di spiegare ai miei futuri figli l’ape e i fiori.-
Noah si sistemò nervosamente la cintura di sicurezza – Tu ci credi?-
Penny continuò a guidare in silenzio per un po’ – Io lo so.- mormorò.
Non aggiunse altro per tutto il tragitto, per evitare di parlare ancora, accese la radio.
Fu strano dopo un mese di grilli e scricchiolii sentire di nuovo qualcosa che gli ricordava la civiltà umana. Quella canzone gli piaceva, ma era così assuefatto al silenzio che per una manciata di minuti riuscì a sentire l’elettricità statica in ogni nota e gli dette fastidio.
- Tu conosci Lizzy?- domandò quando finalmente iniziò a vedersi il primo palazzo della città.
- Perché me lo chiedi?-
- Pare che sia stata lei a chiedere a Adam di aiutarmi.- soffiò – Solo che non capisco come abbia fatto a convincerlo. Sembra quasi che il suo imperativo di vita sia prendersi cura di me.-
Penny distolse per un attimo gli occhi dalla strada, come se qualcosa di ciò che aveva appena detto l’avesse disturbata. Quando tornò a guardare la strada, le sopracciglia avevano sviluppato una curvatura crucciata e pensierosa.
Cambiarono discorso, o perlomeno, Penny tentò di dissimulare ogni discorso che riguardava Adam, o peggio ancora Lizzy, iniziando a parlare della storia della città. Pare fosse stata creata dai primi coloni, timorati di dio, che si diceva fossero abitati dalle streghe, che molte erano stata messe al rogo, ma che non avevano fatto scalpore. Raccontò come nel tempo si fosse evoluta da una città mineraria, alla coltivazione, che il campanile della chiesa era stato eretto da un qualche nobile. Ad un certo punto le informazioni avevano iniziato a diventare una gelatina nella testa di Noah che la lasciò parlare almeno per riempire il silenzio.
- Certo che sai un sacco di cose.- soffiò quando finalmente accostarono in città.
- Studio storia.- disse lei, togliendosi la cintura – Ho sperato che il padrone di svegliasse per tutta la mia vita, volevo chiedergli informazioni dettagliate su com’era la vita dell’800. Certo è un’epoca di cui si sa molto, ma vuoi mettere avere qualcuno che ci ha vissuto davvero? Per uno storico, è il sacro graal.-
- Come sai che è tutto vero? – domandò Noah una volta sceso dalla macchina – Ho visto le foto, ho creduto ad ogni parola, ma una parte di te… continua ad essere scettica.-
- Ci sono foto?!- squittì entusiasta Penny. Chiuse la macchina e lo raggiunse – Dove sono? Non dirmelo; sono nel sotterraneo? Lo sapevo! Non mi ci hanno mai fatta andare! Come sono? In che stato sono? Com’era il padrone?-
Noah boccheggiò, frastornato da tutto quell’entusiasmo, poi afferrò le spalle si Penny e la piantò con i piedi per terra.
- Risponderò a tutto, ma prima non ci aspetta un bel gelato?-

La gelateria aveva solo sei gusti e non c’era molta scelta di coni, tuttavia rivedere qualcosa di quel secolo e ritrovarsi nella civiltà fece sentire Noah a casa più che solo in una stanza enorme di una villa ottocentesca.
Con più calma, Penny ripeté quelle domande e Noah fece del suo meglio per rispondere a tutto con calma.
- Devo vederle!- esclamò con entusiasmo. Era così assorta nella conversazione che il gelato le era colato su tutta la mano e non ci aveva nemmeno fatto caso.
- … ti appassionano davvero queste cose eh?-
Lei sorrise, colpevole, e decide finalmente di pulirsi la mano, mentre addentava il gelato con lo scopo di finirlo prima che li liquefacesse completamente.
- Sai, ho vissuto in quella villa tutta la mia vita. Mi hanno istruita a casa, solo all’università ho potuto scegliere dove andare. Ogni giorno scoprivo nuove cose e per me era un’avventura, poi mi hanno detto del segreto di famiglia e da allora la mia è diventata un’ossessione.- s’umettò – com’è il Padrone? È carino?- una luce vibrò nei suoi occhi – cioè, ho visto un suo ritratto, ma ancora non sono riuscita a vederlo dal vivo.-
- Si può sapere dov’è stato che continuate a sembrare così sorpresi che sia tornato?-
- Immagino che non ti abbia detto proprio tutto.- soffiò lei, abbassando gli occhi – Diciamo che certe cose non credo che siano nel mio diritto dirtele, e non credo nemmeno che ci sia bisogno che tu le sappia, se tanto te ne andrai.-
- Sapete vero che così aumentate solo la mia curiosità?-
- Beh, magari ti convinciamo a restare.- azzardò, divertita – Sarebbe magnifico se restassi.-
- Non ho davvero motivo di restare.- replicò Noah e odiò sentire il rimorso nel dirlo.
- c’è qualcuno che ti aspetta?- domandò ancora Penny.
- No, ma…-
- E allora resta no?-
Noah strinse le labbra – Perché dovrei? Conosco a stento tutti voi, e non c’è nessuna oggettiva ragione per restare.-
Penny finì di mangiare il suo gelato, meditando cosa risponde, poi si pulì le mani ancora sporche con quei fazzolettini creati da satana in persona. Ne dovette usare quattro per ottenere un minimo di risultato.
- Potremmo offrirti un lavoro. Vitto e alloggio pagati e ci aiuteresti a rimettere in sesto la tenuta! –
- Non posso. Davvero.-
- Lo so, non è il massimo, senza connessione internet e a stento prende il cellulare, ma sono sicuro che se parli con Adam potrebbe far arrivare internet anche lì. Anzi, ti prego chiediglielo, così quando andrò a trovare i miei genitori non mi sentirò tornare nell’età della pietra!-
- Mi dai troppo credito. Come pensi che possa convincerlo a fare una cosa simile?-
- Tu provaci.- fece l’occhiolino – sono sicura che potresti convincerlo in qualche modo.-
Noah si sentì avvampare – Solo perché sono gay non vuol dire che lo sedurrò.- soffiò tra i denti – Intensi?-
- Sei gay?- l’espressione davvero sorpresa lo prese in contropiede, ma il brillare degli occhi che lo spaventò letteralmente – Perfetto allora! Ti riaccompagno a casa, mi raccomando, se chiedi la fibra è meglio. Sacrificati per il nostro bene!-
Noah alzò gli occhi e sapeva che avrebbe dovuto sentirsi a disagio, invece quell’allegria era una boccata d’aria dopo la teatralità del padre e di Adam e la gentilezza materna della madre.
- Posso chiederglielo, ma non prometto nulla.-
- Evviva!- scattò lei – Finalmente internet! Non vedo l’ora!-
- Non cantare vittoria troppo presto. Non sappiamo se accetterà.-
Penny scollò le spalle e prese il portafogli per pagare.

***

Penny volle passare anche per altri negozi, comprò qualsiasi cosa di cioccolata che aveva trovato, e comprò perfino un computer prima di tornare a casa.
- Potremmo farci maratone di Netflix!- esalò ammirata, prima di salire le scale verso il portone principale.
- Dio, mi manca netflix. – ammise Noah.
Entrarono in casa, e passarono per la cucina, lei mise in un frigorifero moderno che faceva a pugni con l’arredamento antico, poi Noah gli passò la scarola del pc.
- No, quello è per te. Quando avremo la fibra ti servirà, non credi?-
- Cosa?-
- Ovviamente è tutto spesato dal Padrone. - fece l’occhiolino – Quindi se ti ha già comprato un pc, fa da sé che dovrà datti modo di usarlo.-
- Non posso accettare.- sbottò leggermente irritato, lei lo ignorò tranquillamente.
Matilde entrò in cucina e sobbalzò nel vederli, poi il viso si illuminò in un aperto sorriso – Siete tornati! Com’è andata?-
- Quasi convinto.- fece Panny allegra – Un paio di gelati, e qualche altra moina e resterà per sempre!-
- Sapete che sono qui?- replicò Noah indispettito.
- Sì, e lo adoriamo!- replicò Penny – Ora vatti a mettere il pigiama. Non avremo internet ma ho alcune serie scaricate, faremo la maratona.-
- Ma io…-
- Sei ancora qui? Forza. Pigiama.-
A disagio, Noah tornò in camera sua. Solo una volta chiusa la porta si rese conto di tenere ancora la busta con quello che ormai sembrava a tutti gli effetti il suo nuovo pc. Sospirò gravemente.
C’era qualcosa di inquietante nel loro tentare di convincerlo a restare contro ogni sua replica.
Ma … lui non poteva restare.
Per quanto fosse allettante, quella non era casa sua, quel mondo non era la sua vita e Adam non era nessuno per lui.
Quel maniero, per quanto affascinante, era un posto troppo distante e fuori mano, a se Lizzy avesse avuto bisogno di lui, non avrebbe potuto trovarlo.
Doveva andare via.
Era ora.

***


Meditò di annunciare la sua decisione a cena davanti a tutti, ma l’entusiasmo di penny nel padrone di casa non aveva dato modo a nessuno di parlare. Quasi nemmeno ad Adam che era l’oggetto di quelle attenzioni.
Fu strano vederlo in difficoltà davanti a tanta esuberanza e fu strana anche la naturalezza con cui parlava della sua vita passata.
Raccontò di com’era stata la sua infanzia con una dovizia di dettagli che ad ogni parola lo scetticismo si Noah svicolava in una timida certezza.
Quando la cena fu conclusa, Adam si alzò e scivolò nell’altra stanza e Noah si ritrovò Penny che gli indicava di seguirlo.
- La fibra, mi raccomando.- gli ordinò.
Noah prese un profondo respiro e seguì Adam nell’altra stanza.
Non era ancora mai stato lì. Sapeva che il padrone di casa ci passava gran parte del tempo ed era anche vero che Noah lo evitato gran parte del tempo. Era difficile averci a che fare, tra loro c’era sempre stata questa voragine incolmabile, che però si era notevolmente ridotta dalla sera prima.
Vero… solo la sera prima aveva scoperto il suo passato.
- Senti…- esordì mentre Adam si sedeva davanti al fuoco acceso – Devo parlarti.-
Adam gli indicò la sedia accanto alla sua a mo’ di invito. Teso, Noah avanzò per la stanza.
Cercò dentro di sé le parole giuste da dire, ma alla fine non riuscì a trovare nulla che non sembrasse ipocrita e ingrato.
- Sono grato per tutto quello che hai fatto per me, ma è ora che io vada via.-
Alla luce del caminetto, il viso di Adam era incolore e i suoi occhi tinti di un lugubre nero. Se non lo avesse visto affabile, ne avrebbe avuto paura.
Era incredibile come la luce riuscisse a cambiare i volti delle persone.
Per quell’attimo gli sembrò di avere davanti un perfetto sconosciuto e, all’idea che la sua parte razionale gli suggeriva che in realtà era esattamente quello che era, una parte di lui e ne sentiva ferito.
Adam con lui era stato gentile, più gentile di chiunque altro nella sua vita.
- Perché?- domandò piano lui.
- Perché questa non è casa mia. Non posso approfittare della vostra gentilezza per sempre.-
Adam si girò a guardare il fuoco scoppiettare nel caminetto – Potrebbe diventare casa tua, se volessi.- insistette.
Noah sospirò gravemente – Perché dovrei restare?-
Si aspettava una risposta, invece Adam continuò a fissare il fuoco pensieroso.
- Va bene.- soffiò dopo un po’, poi tese la mano verso di lui – E’ stato un piacere conoscerti, Noah West.-
Noah sentì un brivido scorrergli lungo la schiena, ebbe l’impressione che quel semplice gesto fosse molto di più di un addio. Non sapeva bene perché, ma all’improvviso non voleva prendere quella mano, non voleva dirgli addio e soprattutto… non voleva andare via.
Si rese conto che voleva essere convinto a restare, e che ora che Adam gli stava dicendo addio qualcosa dentro di lui faceva male.
Ma non aveva senso. Non apparteneva a quel posto.
Così si sforzò di prendere la sua mano e sostenere il suo sguardo, peccato che non appena sentì le sue dita calde nelle sue, sentì con ogni fibra del suo essere di voler tenere quella mano il più a lungo possibile.
Alzò gli occhi e il respiro gli si bloccò in gola.
C’era tristezza nel suo sguardo, una tristezza così intensa e palpabile che gli spezzò il cuore.
- Io…-
Per un secondo volle dire che non era vero, che sarebbe rimasto, che se poteva farlo sorridere sarebbe rimasto per l’eternità.
Poi Adam ritrasse la mano e Noah si sentì come se la luce del caminetto fosse diventata all’improvviso più scura, come se l’intera stanza si fosse vestita a lutto.
Si alzò, e si sforzò di andare via, ad ogni passo sembrava che il pavimento lo trattenesse.
Salutare gli altri fu più facile, Penny la conosceva solo da un giorno, ma quando lo abbracciò forte gli sembrò di salutare una sorellina.
Tornando nella sua stanza, Noah si ritrovò a pensare a quello strano mese che aveva passato. Era stato pestato, salvato da un uomo che diceva di avere duecento anni, poi era stato accolto e aveva incontrato delle brave persone.
Gli sarebbero mancate davvero, ma quello a cui si ritrovò a pensare fu Adam.
Lui… era stato spesso al suo capezzale mentre si riprendeva, a volte gli sembrava di ricordare il suo viso, contrito dalla preoccupazione mentre analizzava lo stato del suo viso tumefatto. Lui non parlava, ma ogni volta che aveva aperto gli occhi era stato lì.
E poi si era aperto con lui e, anche se non aveva creduto davvero a quello che gli diceva, una parte di lui aveva sofferto per lui.
Ogni persona che conosceva era morta, le persone che gli erano attorno sarebbero morte… lui sarebbe morto.
E nonostante tutto, si era circondato di persone, e gli aveva chiesto di restare.
Noah si rese conto del battito del suo cuore accelerato solo perché era così forte da rimbombare per tutta la stanza.
Si mise seduto, si sentì sul punto di piangere e non sapeva nemmeno perché.
Fu in quel momento che qualcuno bussò.
Si chiese solo per un secondo chi potesse essere perché riuscì a percepire chi fosse quasi all’istante. Saltò giù dal letto e aprì la porta con il cuore a mille.
Adam era in piedi, le braccia lungo i fianchi, lo sguardo spento.
- Ti prego, non andare.- soffiò, e sembrò disperato.
Lo era, pensò Noah, ma perché lo era? E perché sentiva quella disperazione avvolgerlo come una carezza?
Prima di rendere conto gli aveva preso il viso con le mani e aveva incrociato il suo sguardo.
Desiderò baciarlo, ma non ce ne fu bisogno.
Adam lo afferrò per i fianchi e se lo strattonò più vicino con una nuova avidità. prima di piegarsi a baciarlo.
Noah non esitò nemmeno un secondo a rispondere, avrebbe volto farlo da ore. Avrebbe voluto abbracciarlo, rassicurarlo, coccolarlo…
Adam lo spinse nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle con un calcio, poi iniziò a tentare di togliergli la maglia del pigiama, cosa che riuscì impossibile con ancora le labbra che si lambicano avidamente.
Noah tentò di smettere di baciarlo, per permettergli di spogliarlo, ma ogni volta che si allontanava il calore dalle sue labbra gli mancava.
Era destinato a restare vestito. Era una cosa a cui non potevano contravvenire.
Si rese di essere arrivato al letto solo quando ci cadde. Si piegò sui gomiti e approfittò del momento di pausa per far scivolare via la maglietta.
Fece per invitare Adam a continuare quando lo vide, in piedi davanti a lui.
Nonostante la luce fioca del lume, riuscì a vedere la voracità con cui lo desiderava. Era la prima volta che qualcuno gli rivolgeva quello sguardo.
Nel tempo tutte le persone con cui era stato avevano dato per scontato ogni cosa: il desideri, il sesso, non erano che uno sfogo momentaneo o peggio, un’abitudine dovuta.
Ma essere guardato come se tutto ciò che voleva al mondo era toccarlo, amarlo, divorarne ogni pezzo fino a non restare che il piacere…
Tese le mano, lo invitò.
L’indomani sarebbe andato via, questo non cambiava le cose, ma potevano concedersi quell’unica volta.
Adam tornò su di lui, cercò ancora le sue labbra e si impegnò a consumarle.
Noah si chiese se fosse la prima volta per lui con un uomo. Aveva duecento anni, ed era nato in un mondo dove l’omosessualità era a dir poco mal vista.
Ma scacciò questi pensieri, si concentrò sull’eccitazione che gli scorreva nelle vene.
Adam afferrò la sua mano e si lasciò guidare addosso a lui, si stese gentilmente cercando di non pesargli e riprese il delicato lavoro lasciato in sospeso. Noah lasciò scivolare la lingua nella sua bocca e si accorse dell’esitazione e lo tranquillizzò passandogli una mano tra i capelli, in una gentile carezza.
Imparò in fretta, due attimi dopo Noah era senza fiato, duro come non mai e sciolto come gelato al sole. Sciolto da due baci, quando mai era successo?
Il primo tocco lo fece gemere all’istante, le dita di Adam avvolsero l’erezione con delicatezza prima di iniziare a accarezzarla.
Si strinse a lui e il contatto con la sua camicia di dette fastidio, mugugnò qualcosa, poi tentò grossolanamente di sbottonargliela, il che era impossibile mentre le sue dita seguitavano a dargli tormento.
Quando Adam smise di toccarlo per esaudire il suo desiderio e togliersi la camicia Noah era combattuto se esserne felice o meno.
Adam tentò di tornare su di lui, di annullare la distanza che li separava, ma non appena il suo petto fu nudo, a Noah mancò il respiro.
Cicatrici erano disseminate un po’ ovunque in tutto l’addome, ma quelle che attirarono l’attenzione più di tutti furono quelle in prossimità del cuore. Erano lunghe e profonde e sembrava quasi come se Adam avesse tentato di strapparsi il cuore a mani nude…
Fede per sfiorarle, ma Adam si ritrasse.
- Posso rivestirmi, se preferisci…- aveva parlato piano come se temesse che parlando il momento tra loro potesse sfumare.
Ma a Noah piaceva la sua voce. Scosse la testa e alzò la testa per cercare le sue labbra, riprendere dove si erano interrotti. Adam cercò nuovamente il suo bottino e Noah si ritrovò ansante e sempre più abbandonato alla passione.
L’eccitazione vibrava sotto la pelle come non mai. Si sentiva ubriaco del desiderio con cui veniva toccato, dell’avidità con cui veniva baciato.
D’un tratto dubbi, pensieri e perplessità vennero spazzate vie, carezza dopo carezza, bacio dopo bacio.
D’un tratto, quando Adam ara immerso fino alle nocche in lui, Noah pensò che la sua intera esistenza fosse stata creata per preda di quelle mani.
Quando finalmente lo sentì dentro di sé, pensò che non avrebbe mai più voluto rinunciare ad una tale passione.
Lo guardò dal basso, i capelli sconvolti, l’accenno di barbetta, gli occhi che sembravano vedere solo lui in tutto il mondo…
Era amato, pensò, mentre Adam si muoveva in lui con cura, era desiderato, era voluto.
Non voleva andare via.
L’avidità divenne la sua seconda pelle: uno tsunami di desideri repressi si abbatté sul suo cuore. Ora che era amato, voleva continuare ad essere amato. Ora che era desiderato, voleva non rinunciarci più.
Lui, che in tutta la sua vita era stato solo, non voleva più lasciarlo andare.
Andò incontro alle sue spinte, si beò della frustrazione nei suoi occhi, come se nemmeno se lo avessero fatto tutta notte sarebbe potuto bastare.
Quella passione, che fino a pochi attimi era delicata e struggente, era diventata insaziabile.
Divenne tutto frenetico, scoordinato. Contatto, pelle contro pelle, un divorarsi di labbra. Tutto era diventato disperato.
Venire fu come morire.
Adam fu gentile mentre si stendeva accanto a lui, si premunì di coprirlo prima di spostare i lembi di coperta anche su di sé. Era un gentilezza a cui non aveva mai fatto caso prima d’ora.
Lo guardò e aspettò che le sensazioni così forti da togliergli il respiro che aveva provato scivolassero via, ma l’aria che scivolava nei polmoni, che gli graffiava la gola, aveva il sapore di follia.
Perché la follia sperimentata ogni attimo in quella casa non era nulla rispetto a quella che aveva bruciato la sua pelle da quando Adam si era presentato lì quella sera.
Cercò i suoi occhi, ma il padrone di casa, sembrava all’improvviso assente, come se dei ricordi avessero annebbiato il presente.
Gli toccò il viso, desideroso di riportarlo da sé. Quando quelle iridi grigie tornarono a guardarlo, fu disorientante vedere il rimpianto.
Ah, vero.
Stava per lasciarlo.
- Dammi un motivo per restare.- soffiò con tutto il cuore.
Adam sembrò volerlo fare, sembro lì per fargli un elenco dettagliato, ma tutto ciò che ottenne da lui fu silenzio.
Adam non disse nulla, ma lo strinse forte, come se lui fosse la cosa più importante del mondo.

***
Il mattino dopo Noah si svegliò dal freddo. Se fosse rimasto lì, una delle cose che avrebbe chiesto per comodità, sarebbe stata l’istallazione di riscaldamenti decenti. Aprì gli occhi e si mise seduto, Adam non era nel letto ma non era andato poi tanto lontano. Sul tavolino davanti la finestra c’era la colazione ed era seduto lì, sorseggiando quello che doveva essere thé.
- Ehi…- soffiò.
- buongiorno.-
Si grattò la testa leggermente a disagio. Sembrava così una mattina come tante…
Si alzò e cercò i suoi vestiti, li infilò al volo non tanto per pudore ma perché la giornata era davvero gelida.
Raggiunse Adam e rubò un crossaint dal piatto.
- Dormito bene?- fece un tentativo di conversazione in padrone di casa. Era chiaramente a disagio e non sapeva se era perché avevano appena passato una notte di passione o perché cercava uno spunto per chiedergli se sarebbe andato via.
- Sì. Tu?-
- Non ho chiuso occhio. – scrollò le spalle.
- Ho russato?- domandò.
- Non più del solito.-
- Tirato calci?- tentò ancora.
- No.- sorrise e bevve un altro sorso di thé.
Noah fece finta di rifletterci – Ammettilo che non ti è bastato a hai tentato di non svegliarmi per farlo di nuovo.-
Adam sorrise, divertito – Sicuramente ha contribuito.-
Masticò controvoglia la brioche, poi soffiò – Non è cambiato nulla, lo sai vero?-
- Sì, lo so.-
- Devo comunque andare via.-
Gli occhi grigi del padrone di casa si persero nel vuoto – Sì, lo so.-
- Ma è stato bello.-
Adam sorrise, senza allegria – Sì… lo so.-
Finirono di mangiare in silenzio, poi Adam gli procurò una borsa e scelse diversi vestiti dai sei armadi. Noah cercò di dissuaderlo, ma fu irremovibile; non sarebbe andato via di lì senza avere metà guardaroba.
-Ti manderò il resto.- promise.
- Non ho spazio nel mio appartamento. Se entrasse solo la metà di questi vestiti non potrei più viverci io.-
Adam sembrò rifletterci come se ponderasse di organizzare questo ennesimo tentativo di farlo restare.
Dopo che la borsa fu pronta, tutti si presentarono all’ingresso per salutarlo. Matilde lo abbracciò forte, il marito gli strinse la mano così come Adam.
Quando lo sfiorò ancora, sentì il suo cuore perdere un battito.
Perché si sentiva così?
Penny fu l’ultima che salutò, lo fece alla stazione, dopo aver passato un viaggio in macchina silenzioso. Prima di salutarlo però gli rubò il cellulare e memorizzò due numero.
- Il primo è il mio. Il secondo del Signor Adam.-
- … Adam ha il cellulare?-
- Gliel’ho comprato. Gli insegnerò ad usarlo.- gli riconsegnò il prezioso apparecchio con un espressione indecifrabile – Sarebbe bello, se ti facessi sentire.-
- Non mancherò.-
- Un ultimo tentativo: non andare.-
Noah quasi si lasciò convincere. Quasi.
- Io… non appartengo al vostro mondo. Non faccio parte della vostra famiglia.- esitò – Ma detto da una persona che non ha una famiglia degna di chiamarsi tale… siete bellissimi.- confessò.
La ragazza sembrò voler insistere ancora, ma alla fine prese un profondo respiro e annuì – Se avrai bisogno, siamo qui.-
- Grazie.-
Abbracciò Penny e poi si issò la borsa in spalla. Un ultimo controllo ai biglietti e salì sul treno.

***
Aveva acceso il cellulare e quando vide le barre tirò un sospiro di sollievo. Era stato strano tornare alla vera civiltà che non fosse di una piccola città in prossimità di una segretissima villa ottocentesca.
Mentre il treno andava, aveva controllato gli aggiornamenti dei social network solo per sapere se c’erano notizie di Lizzy, ma ovunque sembrava scomparsa da giorni.
La preoccupazione divenne una seconda pelle mentre cercava di chiamarla, ma non ottenne mai linea per poterci parlare.
Aveva il cellulare già tra le mani quando il numero di suo fratello comparve sullo schermo, seguito dal trillo.
Per un lungo attimo restò a fissare lo schermo illuminarsi a ripetizione, poi prese un profondo respiro e rispose.
- Oh, allora sei vivo.- fece la voce annoiata del fratello.
- Ciao anche a te.-
Theo restò un attimo in silenzio poi domandò – Dove sei?-
- Perché vuoi saperlo? Per mandare sicari ad uccidermi?-
L’altro fece una lunga pausa, poi soffiò – Torna in città.-
- Perché dovrei?-
- Hanno trovato Elosabeth. E’ morta.-
Le dita persero forza e il callulare gli scivolò tra le mani cadendo rovinosamente a terra. Guardò lo schermo restare illuminato e in chiamata come se non riuscisse a vedere fino al pavimento. Si mosse più per abitudine che per vero comando. Raccolse il cellulare e cercò le forze di trovare le parole.
- …. Come.-
Suo fratello era più taciturno di quanto non fosse mai stato – Torna a casa.- ripeté – Devi esserci al suo funerale.-
Non aggiunse altro e chiuse la chiamata.
Noah era solo nel vagone del treno, ma improvvisamente si sentì solo in tutto il resto del mondo.
La sua migliore amica era morta.
Le lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance senza alcuna possibilità di fermarle. Gli sembrò di poter piangere per ore…
O forse per sempre.

***
Il funerale fu silenzioso.
Restò in fondo alla sala, con gli abiti più sobri e neri che aveva trovato. Per fortuna, Adam aveva buon gusto in fatto di vestiti.
Avevano chiuso la bara, cosa che trovò davvero fastidioso.
Vederla, avrebbe potuto permettergli di realizzare davvero che fosse lì, inanimata. Non poterla vedere lasciava che la sua mente si riempisse di tutte più bislacche teorie: era viva, era scappata, era ancora dispersa.
Ma la disperazione di sua madre era autentica.
Finita la funzione, seppellito il feretro, Noah tornò su i suoi passi rendendosi conto di non sapere dove andare.
In quella città aveva una famiglia che non voleva, aveva un’amica ormai perduta, e nella città dove aveva abitato non aveva che un appartamento grande quando quella gara. La bara aveva almeno il confort di essere imbottita.
Poteva sempre tornare a da Adam, pensò mentre i suoi passi proseguivano malfermi, magari accettare un lavoro alla tenuta, provare a convincerlo davvero di far arrivare fin lì internet.
Magari perfino diventare amanti.
Si accorse che qualcuno gli si era parato davanti quando gli andò a sbattere addosso. Suo fratello lo afferrò le spalle e lo costrinse a guardarlo.
- mi dispiace per la tua perdita.-
Sembrò quasi sincero. Quasi.
La rabbia gli esplose in quel momento, lo spintonò con tutta la forza che aveva. Thoe, restò in piedi per miracolo. Sembrò ferito, e perfino un po’ infastidito che il suo tentativo di simpatizzare fosse caduto nel vuoto.
Noah domandò – Ma che razza di problemi hai?- con sincera incredulità – Che cazzo vuoi da me? Prima mi fai pestare e ora vuoi fare il gentile? Tu sei completamente matto.-
Il sguardo del fratello si indurì – Come ti pare. – scrollò le spalle – Per una volta che volevo essere gentile con te.-
Noah fece un passo in avanti, pronto a prenderlo a pugni. Cielo, a quel punto lo avrebbe pagato per prenderlo a pugni.
- E perché mai?- quasi urlò – Non te ne è mai fregato nulla di me!-
Stavolta fu Theo a spintonarlo, nei suoi occhi l’odio era tornato. Noah era sicuro che quella luce d’odio facesse parte del suo modo di essere, del loro modo di essere.
Si fronteggiarono, in silenzio, poi Theo tirò le labbra in un sorriso maligno e crudele – beh, hai perso la tua occasione. Pagherai per quello che hai fatto.-
- …cosa?- fu colto in contropiede.
Theo, si sistemò la cravatta nera come se il suo lavoro fosse finito lì, si guardò attorno e all’improvviso fruscii e movimenti riempirono l’aria.
Noah si ritrovò circondata da agenti di polizia con le spade sguainate che gli urlavano di stare fermo.
- Ho sempre pensato fossi un criminale.- soffiò – Ma uccidere la tua migliore amica è stato veramente un colpo basso.- scrollò le spalle – Addio, fratellone. Contrariamente a ciò che pensi, spero davvero che troverai il modo di divertirti in prigione. Se non altro… loro si divertiranno con te.-
La mente di Noah si spense, nella totale confusione, mentre si sentiva strattonare, ammanettare e trascinare in macchina.
Solo una volta seduto, riuscì a dire – Sono innocente.- ma il poliziotto si era limitato a mettere in moto.
Ripensò all’ultima volta che l’aveva vista, ripensò ai suoi tentativi di rintracciarla, alla sua assenza.
Lizzy era morta. Peggio, era stata uccisa.
E lo credevano l’assassino.
A quel punto, non aveva nemmeno più la forza di arrabbiarsi.
Pensò ad Adam, alla sua famiglia improvvisata, alla sua stanza completamente isolata, pensò che lì sarebbe stato al sicuro, o addirittura, amato, e che aveva sbagliato ad andare via.
Nella sua vita tutti lo avevano trattato come se la sua esistenza fosse sbagliata, come se tutti i crimini del mondo fossero opera sua. Un accusa di omicidio? Solo la peggiore dei crimini a lui imputati in una lunga lista.
Per Theo, il crimine maggiore era stato respirare.
Cercò in tutti i modi a pensare a prove che lo scagionassero: ma era stato isolato più di un mese, non aveva prove per dimostrare dov’era, né le condizioni. Son testimoni oculari, anche se chiamare qualcuno che diceva di avere duecento anni non sembrava una cosa molto saggia.
Però, pensò con la morte nel cuore, non gli restava che lui.

Non appena gli fu possibile chiese di avere la chiamata garantita. Mentre componeva il numero, sperò che Penny gli avesse insegnato a usare il cellulare. Il telefono squillo solo due volte prima che lui sentisse di nuovo la sua voce.
Venti ore prima, era a letto con lui a sentirsi il centro del suo mondo. Ora era in prigione.
- Noah?-
- … Grazie per aver risposto.-
Adam sembrò intuire qualcosa, infatti domandò - Che succede?-
D’un tratto, odiò l’idea di chiedergli aiuto. Il fatto di averlo sentito per un lungo momento come se fosse la sua famiglia non giustificava il trascinando nei suoi casini più di così.
Quindi, disse solo – Lizzy è morta.-
Adam fece un lungo silenzio prima di dire – Mi dispiace.-
- Quando l’hai vista?- domandò senza fiato – Quando ti ha detto di aiutarmi? Io… devo capire che le è successo.-
Adam domandò – Stai bene?-
- No, che non sto bene.- replicò – Solo… puoi dirmi quando l’hai vista?-
Adam restò in silenzio per un lungo momento, poi soffiò – E’ una lunga storia.-
- Non è una lunga storia. La domanda è semplice: quando l’hai vista?-
Il respiro gli si bloccò in gola. All’improvviso tutto aveva senso: la sua migliore amica era morte e lo aveva lasciato alle cure di una persona che veniva definita un assassino.
Parlò, ma era così scosso da non riuscire a sentirsi - … come le hai fatto?- domandò.
Adam non rispose.
- Il tempo è finito.- tuonò la guardia prima di afferrargli la cornetta e mettergliela giù – Torni in cella.-
- ma…-
- Niente ma. Si sbrighi!-
Mentre tornava in calle le sue gambe lo reggevano a stento. Era così scosso che perfino i suoi compagni di cella, non ebbero cuore di istigarlo, frustrati dalla situazione.
Noah era paralizzato dall’idea di essersi innamorato dell’uomo che aveva ucciso la sua migliore amica.


**

Passò una settimana nel silenzio. Le sue giornate erano lunghe, monotone.
Non aveva avuto il tempo di metabolizzare la morte della sua migliore amica che era stato arrestato e poi aveva capito che la persona che si era presa cura di lui, che lo aveva coccolato, perfino amato, era con tutta probabilità il vero assassino.
Noah, non aveva mai brillato di fortuna ma c’era del esasperazione in quella situazione.
Dopo un primo momento di mutismo e silenziosa disperazione, era esplosa la rabbia. Bastava una sola parole per far esplodere la sua furia.
Finì in isolamento quasi subito.
La rabbia era così intensa che gli sembrava una fedele amica, una presenza concreta. Non si sentì per nulla solo, in isolamento con lei che sussurrava nelle sue orecchie.
Alla fine Theo ci era riuscito, gli aveva tolto tutto, perfino l’idea di una famiglia amorevole che aveva accarezzato in quel mese di lontananza.
Tre settimane, dodici ore e 24 minuti dopo una guardia entrò nella sua cella e esclamò – West, ti rilasciano!-
- Cosa?-
- Sei stato scagionato!-
Prima ancora di capire cosa stesse succedendo si era ritrovato in strada, con i vestiti del funerale in dosso e un espressione confusa.
Fuori dalla prigione, ritrovò l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere; Penny era lì, appoggiata alla sua Kia con un espressione colpevole.
- Che ci fai qui?-
- Ti porto a casa.-
Noah ringhiò tra i denti – Non ho nessuna casa.-
Penny fece per prendere la sua borsa e Noah si fece indietro.
- Adam?-
I suoi occhi brillarono di una luce oscura – Ti ha scagionato.- soffiò.
- E’ stato lui?- soffiò – E’ stato… davvero lui?-
Penny aprì lo sportello della kia e lo guardò – Se vuoi sapere la risposta, Sali in macchina.- soffiò – Altrimenti, va ovunque tu voglia e non ci vedremo mai più.-
Noah osservo la ragazza che era stata come una boccata d’aria con un espressione assente, poi salì in macchina e Penny salì con lui.
- Lo ucciderò.- disse, in un sibilo prima che mettesse in moto.
Lei fece una smorfia senza allegria e mormorò - … Gli faresti solo un favore.-

***

Rivedere Adam fu come una freccia in pieno petto. Era in piedi, con lo sguardo rivolto fuori alla finestra.
Il tradimento bruciò più di ogni altra cosa.
Sapeva che, volendo, avrebbe potuto atterrarlo e scacciarlo come una mosca, ma la rabbia fu impetuosa e cieca.
Il primo pugno lo colpì in piena faccia. Il secondo lo colpì sulla mascella, il terzo sul collo.
Ma Adam non si mosse e forse si era anche rotto la mano a tentare di colpirlo.
Quando la sua rabbia scivolò via lasciando finalmente avanzare la stanchezza, Noah si sentì disorientato.
Era così stanco.
Così… stanco.
Adam non aveva che un po’ la guancia rossa pensò mentre lo aiutava a sedersi su una sedia. Gli allungò anche una bicchiere d’acqua.
- Stai meglio?-
- Non starò mai meglio.- replicò – Com’è andata? Ho bisogno di saperlo.- ringhiò.
Le spalle del padrone di casa crollarono sotto quella domanda. I suoi occhi si persero in ricordi lontani.
- Non mi hai mai chiesto quale sia il prezzo della mia maledizione.- mormorò.
Noah alzò gli occhi e lo guardò, senza capire.
Adam si mise una mano sul petto e sembrò concentrarsi per sentire il battito del suo cuore – Nella mia vita ho tanti rimpianti: ho usato le persone, le ho ferite. Sono stato punito per questo e la mia condanna è stata continuare a ferire. – disse, poi alzò gli occhi – La mia punizione non è vivere. E’ vivere divorando il cuore di persone innamorate…- esitò – E lei ti amava davvero, con tutto il cuore.-
Noah non riusciva a capire le sue parole, tanto era stanco e confuso, dovette letteralmente far prendere forma a quelle parole nella sua testa e analizzarle una per una per riuscire a collegare i pezzi.
- … divorare?-
Adam sviò lo sguardo e Noah capì.
- Tu… le hai strappato il cuore.- realizzò – E lo hai mangiato.- aggiunse, per poi ricavare in ultimo – Perché mi amava.-
Adam esitò per un lungo momento prima di annuire grevemente.
- E’ perché lei mi amava, che mi hai aiutato?-
- Me lo ha chiesto lei.- disse.
- Come? Mentre le mangiavi il cuore?-
Adam si massaggiò le tempie e sembrava che provato dalla conversazione – Mi ero addormentato, volevo morire. Ho dormito per cento anni.- confessò – Lei non sarebbe dovuta essere lì, nessuno sarebbe dovuto essere lì. Ma quando è arrivata sembrava essere lì apposta per me e la maledizione si è risvegliata più cruenta che mai.- scosse la testa – Mi ha chiesto di proteggerti, lo ha fatto a sua voce. Ti amava molto.-
- Stai dicendo… che si è suicidata?-
- Puoi non credermi.-
Lo sguardo di Noah era fermo nel vuoto. Purtroppo, aveva senso: Lizzy non stava bene, e con Theo nella sua vita, essa era sempre in pericolo.
Ma era assurdo…
Semplicemente assurdo.
Affondò la testa tra le mani, il peso del mondo sempre di più sulle sue stanche spalle.
- Stai bene?-
- No che non sto bene.- replicò – Come potrei stare bene?-
- … per quel che vale, mi dispiace.-
Lacrime di rabbia attraversarono le sue guance, Adam sembrò sul punto di crollare con lui.
Dopo un po’ Noah chiese di poter risposare, e lo accompagnarono in quella che era stata la sua stanza.
Ci rimane per giorni, rifiutandosi di mangiare, per metà tempo addormentato, per l’altra metà fermo a fissare il soffitto.
Ci mise due settimane a uscire dalla sua stanza.
Adam era in giardino, con una spada affilata stava colpendo un manichino con più rabbia di quando era solito combattere.
Noah restò a guardarlo e si aspettò di odiarlo, ci provò con forza. Ma tutto ciò che ottenne fu un lungo silenzio.
Poi Adam si accorse di lui e lo guardò. Il suo cuore ebbe un tuffo.
Odiò, provare ancora qualcosa per lui.
Odiò volerlo perdonare, volerlo amare.
Il contesto, pensò, una persona maledetta, centenaria, che era costretto ad uccidere per via di una magia.
Era un assassino come lo credeva il marito di Matilde, o era una persona costretta dagli eventi?
Poteva mettere su un piatto della bilancia tutto ciò che voleva, ma la verità era che non riusciva ad odiarlo. Non davvero.
Scese le scale e lo raggiunse, si cercò di sistemare i capelli ovviamente stressati dal cuscino.
- … Non devi prenderti cura di me.- disse, dopo essersi fermato davanti a lui – Non avrei dovuto permettertelo. –
- Volevo farlo.-
- Solo per il senso di colpa.- replicò – Non era giusto approfittarne.-
Gli occhi grigi di Adam e alzò la spada solo per lanciarla nel terreno, facendola penetrare di qualche centimetro.
- Io ti amo, Noah.- quasi ringhiò tra i denti – Non posso evitare di farlo e non posso smettere. – continuò – Non ti chiederò mai di amarmi a tua volta, né di potermi perdonare. Ti aiuterò, sì, per senso di colpa forse, ma non importa se mi scaccerai, o se mi odierai, se avrai bisogno di me io ci sarò. Mi prenderò cura di te. Sempre.-
- … hai ucciso la mia migliore amica.- replico Noah, senza fiato.
- Lo so.-
- Come posso… amarti?- insistette, disperatamente.
- Non te l’ho mai chiesto.-
E invece sì. Con ogni sguardo, con ogni tocco, con ogni respiro.
Adam era lì, e quel semplice fatto era una fondamentale richiesta di essere amato.
E quale era il suo problema, per voler accogliere quella richiesta. Anzi, per non poter evitare di accettarla?
- Chiedimelo.- disse allora, senza fiato, incatenando il suo sguardo.
Adam semplicemente lo baciò.
Tutto scomparve, e non restò che quell’amore che si era impegnato a non provare per lui, inutilmente.
Fu così devastante da fare male.
Rispose al baciò, divorò le sue labbra, e non poté fare a meno di rispondere- Ti amo anche io.-
Adam lo strinse, così forte da togliergli il respiro.

Quando il suo corpo toccò il letto, Noah si rese conto che non avrebbe mai creduto di provare più emozioni della loro prima volta, ma questa volta fu più intenso.
Il cuore gli batteva così forte che temeva di morire ad ogni bacio.
Mentre Adam gli era dentro, l’emozione fu così concreta da fargli scivolare lungo le guance calde lacrime.
Lo amava, come non aveva mai amato nessuno.
Non sarebbe mai stato in grado di amare qualcuno così, era una certezza più concrete che mai.
Adam si strinse addosso a lui, mentre il piacere esplodeva. Lo baciò con dolcezza mentre con la stessa dolcezza della prima volta, lo copriva.
- Mi prenderò cura di te.- promise, e Noah sapeva che era così.
Noah fissò il soffitto ma strinse la sua mano, prima di replicare.
- Ci conto.-





 
 
 
 
 
<input ... > <select ... ><option ... >Rileva lingua</option><option ... >Afrikaans</option><option ... >Albanese</option><option ... >Amarico</option><option ... >Arabo</option><option ... >Armeno</option><option ... >Azero</option><option ... >Basco</option><option ... >Bengalese</option><option ... >Bielorusso</option><option ... >Birmano</option><option ... >Bosniaco</option><option ... >Bulgaro</option><option ... >Catalano</option><option ... >Cebuano</option><option ... >Ceco</option><option ... >Chichewa</option><option ... >Cinese semp</option><option ... >Cinese trad</option><option ... >Coreano</option><option ... >Corso</option><option ... >Creolo Haitiano</option><option ... >Croato</option><option ... >Curdo</option><option ... >Danese</option><option ... >Ebraico</option><option ... >Esperanto</option><option ... >Estone</option><option ... >Filippino</option><option ... >Finlandese</option><option ... >Francese</option><option ... >Frisone</option><option ... >Gaelico scozzese</option><option ... >Galiziano</option><option ... >Gallese</option><option ... >Georgiano</option><option ... >Giapponese</option><option ... >Giavanese</option><option ... >Greco</option><option ... >Gujarati</option><option ... >Hausa</option><option ... >Hawaiano</option><option ... >Hindi</option><option ... >Hmong</option><option ... >Igbo</option><option ... >Indonesiano</option><option ... >Inglese</option><option ... >Irlandese</option><option ... >Islandese</option><option ... >Italiano</option><option ... >Kannada</option><option ... >Kazako</option><option ... >Khmer</option><option ... >Kirghiso</option><option ... >Lao</option><option ... >Latino</option><option ... >Lettone</option><option ... >Lituano</option><option ... >Lussemburghese</option><option ... >Macedone</option><option ... >Malayalam</option><option ... >Malese</option><option ... >Malgascio</option><option ... >Maltese</option><option ... >Maori</option><option ... >Marathi</option><option ... >Mongolo</option><option ... >Nepalese</option><option ... >Norvegese</option><option ... >Olandese</option><option ... >Pashto</option><option ... >Persiano</option><option ... >Polacco</option><option ... >Portoghese</option><option ... >Punjabi</option><option ... >Rumeno</option><option ... >Russo</option><option ... >Samoano</option><option ... >Serbo</option><option ... >Sesotho</option><option ... >Shona</option><option ... >Sindhi</option><option ... >Singalese</option><option ... >Slovacco</option><option ... >Sloveno</option><option ... >Somalo</option><option ... >Spagnolo</option><option ... >Sundanese</option><option ... >Svedese</option><option ... >Swahili</option><option ... >Tagiko</option><option ... >Tailandese</option><option ... >Tamil</option><option ... >Tedesco</option><option ... >Telugu</option><option ... >Turco</option><option ... >Ucraino</option><option ... >Ungherese</option><option ... >Urdu</option><option ... >Usbeco</option><option ... >Vietnamita</option><option ... >Xhosa</option><option ... >Yiddish</option><option ... >Yoruba</option><option ... >Zulu</option></select>
 
 <select ... ><option ... >Afrikaans</option><option ... >Albanese</option><option ... >Amarico</option><option ... >Arabo</option><option ... >Armeno</option><option ... >Azero</option><option ... >Basco</option><option ... >Bengalese</option><option ... >Bielorusso</option><option ... >Birmano</option><option ... >Bosniaco</option><option ... >Bulgaro</option><option ... >Catalano</option><option ... >Cebuano</option><option ... >Ceco</option><option ... >Chichewa</option><option ... >Cinese semp</option><option ... >Cinese trad</option><option ... >Coreano</option><option ... >Corso</option><option ... >Creolo Haitiano</option><option ... >Croato</option><option ... >Curdo</option><option ... >Danese</option><option ... >Ebraico</option><option ... >Esperanto</option><option ... >Estone</option><option ... >Filippino</option><option ... >Finlandese</option><option ... >Francese</option><option ... >Frisone</option><option ... >Gaelico scozzese</option><option ... >Galiziano</option><option ... >Gallese</option><option ... >Georgiano</option><option ... >Giapponese</option><option ... >Giavanese</option><option ... >Greco</option><option ... >Gujarati</option><option ... >Hausa</option><option ... >Hawaiano</option><option ... >Hindi</option><option ... >Hmong</option><option ... >Igbo</option><option ... >Indonesiano</option><option ... >Inglese</option><option ... >Irlandese</option><option ... >Islandese</option><option ... >Italiano</option><option ... >Kannada</option><option ... >Kazako</option><option ... >Khmer</option><option ... >Kirghiso</option><option ... >Lao</option><option ... >Latino</option><option ... >Lettone</option><option ... >Lituano</option><option ... >Lussemburghese</option><option ... >Macedone</option><option ... >Malayalam</option><option ... >Malese</option><option ... >Malgascio</option><option ... >Maltese</option><option ... >Maori</option><option ... >Marathi</option><option ... >Mongolo</option><option ... >Nepalese</option><option ... >Norvegese</option><option ... >Olandese</option><option ... >Pashto</option><option ... >Persiano</option><option ... >Polacco</option><option ... >Portoghese</option><option ... >Punjabi</option><option ... >Rumeno</option><option ... >Russo</option><option ... >Samoano</option><option ... >Serbo</option><option ... >Sesotho</option><option ... >Shona</option><option ... >Sindhi</option><option ... >Singalese</option><option ... >Slovacco</option><option ... >Sloveno</option><option ... >Somalo</option><option ... >Spagnolo</option><option ... >Sundanese</option><option ... >Svedese</option><option ... >Swahili</option><option ... >Tagiko</option><option ... >Tailandese</option><option ... >Tamil</option><option ... >Tedesco</option><option ... >Telugu</option><option ... >Turco</option><option ... >Ucraino</option><option ... >Ungherese</option><option ... >Urdu</option><option ... >Usbeco</option><option ... >Vietnamita</option><option ... >Xhosa</option><option ... >Yiddish</option><option ... >Yoruba</option><option ... >Zulu</option></select>
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La funzione vocale è limitata a 200 caratteri
 
<input ... >
 
Opzioni : Cronologia : Opinioni : DonateChiudere

Expand Cut Tags

No cut tags

Profile

macci: (Default)
macci

March 2022

S M T W T F S
  123 45
6789 101112
13141516171819
20212223242526
2728293031  

Style Credit

Page generated Aug. 20th, 2025 10:19 pm
Powered by Dreamwidth Studios